Schiavo per amore Ventitreesimo episodio
di
Davide Sebastiani
genere
dominazione
Era trascorso circa un mese da quella serata. Il mio timore che Diana potesse aumentare la sua dote di sadismo si rivelò infondata. Evidentemente, le pratiche di sottomissione che padrona Diana amava infliggerci erano quelle e non sentiva il bisogno di cercare altre situazioni. In realtà, ci furono comunque tre variazioni. La prima fu che scoprì che era molto più umiliante per noi e soddisfacente per lei, farci il sedere rosso sculacciandoci con le mani piuttosto che usare il suo frustino. Attrezzo che comunque non abbandonò mai del tutto. E non so cos’era peggio considerando la forza delle sue mani. La seconda fu che cambiò l’oggetto da usare per penetrarci. Aveva scoperto che poteva utilizzare anche un pene finto con doppia penetrazione, ovvero il dildo, e naturalmente optò per questo che la soddisfaceva anche da un punto di vista sessuale oltre che psicologico. La terza riguardava il sesso. Che Diana fosse sempre stata una donna con una sessualità libera l’avevo sempre saputo, ma il ruolo di padrona la spingeva a voler osare sempre di più e, non di rado, non si accontentava di uno di noi ma ci voleva entrambi. Prima uno e poi l’altro, per cercare di soddisfare una donna che aveva trovato nella dominazione anche un desiderio sessuale fuori dall’ordinario. O, addirittura, tutti e due insieme. E quelle situazioni sembravano scene di filmetti porno, dove l'attrice è in mezzo a due maschi che la toccano e la eccitano, coi loro cazzi in mano. Ma la differenza era che noi eravamo solo pupazzi che lei manovreava a suo piacimento e l'unico interesse nostro era soddisfare i suoi desideri e le sue perversioni.
Ma, se da un punto di vista strettamente legato alle pratiche le variazioni furono minime, si stava invece per abbattere su di me un vero e proprio cataclisma che cambiò completamente la mia vita. Avvenne pochi giorni dopo quella sera in cui riconobbi definitivamente il mio status di schiavo. Eravamo come al solito nel salone nudi e inginocchiati in attesa di ordini della nostra padrona, come due cagnolini. Era seduta sul divano e noi due ai suoi piedi. Sembrava distratta. Era evidente che la sua meravigliosa testolina stava architettando qualcosa e il responso avvenne quando mi guardò sorridendo.
“Quanto guadagni Paolo?”
La guardai spalancando gli occhi. “Milleduecento euro, padrona. Più gli straordinari, tredicesima, quattordicesima e ferie pagate.”
Lei sorrise. “Una miseria. Bene, ho deciso. Ti licenzierai. Ho bisogno di te per tutto il resto della giornata. Non ho voglia di restare da sola tutto il giorno e aspettare la sera che voi due facciate ritorno dal lavoro. Ho due schiavi e li voglio sfruttare. Siccome mio marito deve lavorare per rendermi sempre più ricca, tu mi accompagnerai per il resto della giornata. Tanto i soldi non ti servono a niente visto che vivi e mangi nella mia casa. Ah, un consiglio, Paolo. Non obiettare perché non servirà a nulla se non a farmi incazzare.”
“Come vuole lei, padrona.” risposi semplicemente, ormai privo anche della mia volontà. E, comunque, la cosa non mi dispiaceva del tutto. Avrei trascorso tutte le ore del giorno insieme a lei e questo comunque mi rendeva felice, e di quel lavoro mal pagato ero già stanco da un bel pezzo. Padrona Diana non era comunque ancora soddisfatta.
“Bene, Paolo, sono felice di vedere che hai accettato la mia proposta,” fece ironicamente. Una proposta? Era un ordine e se avessi rifiutato mi sarei preso un sacco di botte inutilmente. Lei comunque si alzò mettendo un piede sopra la mia testa. “Ah, Paolino, visto che hai anche quello sgabuzzino che tu chiami casa, ho deciso che lo affitterai. Tanto non ti serve. Quanto ci puoi fare?”
“Non lo so, padrona,” risposi. "Forse sette/ottocento euro al mese visto che, pur piccolino, è in ottimo stato."
“Non importa. Lo affitterai e i soldi li prendo io come rimborso, visto che sei qui a mie spese. Mi serviranno giusto per comprare un paio di scarpe o una borsa, ma è una questione di principio. A uno schiavo i soldi non servono. Comunque non ti preoccupare per il futuro. Semmai mi dovessi stancare di te, ti troverò un lavoro nell’azienda di Alberto. Non ti farò morire di fame.”
Non dissi nulla. Cosa avrei potuto dire?
Cominciai quindi la mia nuova vita come schiavo fisso di Diana. Io le portavo la colazione a letto, l’aiutavo a lavarsi e a vestirsi, la portavo a fare shopping o comunque in ogni posto lei volesse andare, le facevo compagnia mentre pranzava, e aspettavo pazientemente che lei si allenasse. Per me che ero innamorato disperatamente di lei, fu comunque una cosa positiva. Tanto sul lavoro non riuscivo a concentrarmi come avrei dovuto visto che ogni mio pensiero era rivolto a quella strana situazione che stavo vivendo. Certo, dinanzi a chi ci osservava la cosa doveva sembrare abbastanza strana visto che non si faceva pregare di darmi ordini anche dinanzi a gente, ma forse sarò passato agli occhi di quelle persone solamente per il factotum della bella, viziata e ricca signora. La vera dominazione iniziava nel momento in cui Alberto metteva piede in casa tornato dal lavoro. Si mandavano i due filippini nella dependance dopo che Maria aveva preparato la cena, e cominciava per noi la paura mescolata a quella strana sensazione di piacere mentale. Se Alberto c’era nato con quelle idee di sottomissione ed era quindi comprensibile ciò che provava, per me la cosa continuava ad essere inspiegabile. Continuavo ad avere la sensazione di essere sotto un incantesimo e di aver bisogno costantemente della sua presenza. Comunque, mi abituai al mio ruolo di schiavo. Essere inculato, dopo lo shock iniziale davvero traumatico, era iniziato ad essere meno doloroso e addirittura piacevole in certi momenti, quando ravvisavo quasi un massaggio prostatico. Anche l’urina di padrona Diana non mi faceva più schifo. Certo, non la consideravo un nettare divino come invece faceva Alberto che la bramava, ma riuscivo a trangugiarla senza avere il voltastomaco. Con la cenere invece, non riuscivo ad avere un buon rapporto. Mi rendeva la bocca amara e me la privavano di saliva. In compenso, non ci fece più mangiare i mozziconi. Come aveva detto quella volta, aveva letto che fossero cancerogeni e questo mi dava comunque la sensazione che, in qualche modo, tenesse a noi. Ma quello a cui proprio non riuscivo ad abituarmi erano le percosse e Diana non ci andava leggera. Obbedirle a volte non le bastava. Era evidente che il suo più grande piacere fosse nel vedere il terrore nei nostri occhi, sapere che noi due non potevamo far niente contro di lei. Ci afferrava entrambi o uno alla volta ed eravamo fantocci nelle sue mani. Il risultato era che naturalmente tremavamo di paura al suo cospetto, e questo ci faceva sentire davvero delle nullità al suo confronto. E se questo faceva impazzire Alberto, non altrettanto si poteva dire di me. Ma questo era il suo modo di dominare. La nostra sottomissione era pertanto reale, pur se era stata una decisione di entrambi e quindi in un certo senso consensuale.
A volte si andava a cena fuori. A seconda dei suoi umori, Diana sceglieva me o Alberto e altre volte tutti e due. Ci alternava come fossimo oggetti di sua proprietà e non uomini che erano, per diverse ragioni, pazzamente innamorati di lei. Probabilmente, questa alternanza le serviva anche per tenerci sempre più legati a lei. Soprattutto con me. Sapeva che io accettavo il bastone solo perché poi sapevo che sarebbe giunta la carota, ma credo che anche Alberto avesse bisogno di momenti meno dominanti. Forse, il fatto di essere a volte scelto come accompagnatore e poi come amante, gli servivano per sentirsi importante, utile per la propria padrona. E questo lo appagava.
Dicevo di quando si usciva. Dovevamo evitare certi ambienti dove lei e Alberto erano piuttosto conosciuti, ma per il resto non si faceva preclusioni di nessun tipo, né per quanto riguarda l’abbigliamento, sempre estremamente sensuale e sopra le righe, e nemmeno per quanto riguardava il suo desiderio di apparire padrona anche dinanzi ad altri, sia pur con qualche ovvia limitazione.
In conclusione c’era il sesso. Diana ne aveva un bisogno decisamente superiore alla media e ormai ero più che certo che il suo nuovo ruolo di padrona assoluta avesse stimolato ulteriormente quel bisogno. Insomma, dominarci la eccitava sessualmente e, siccome entrambi la desideravamo con una passione fuori da ogni norma, la serata si concludeva a letto. Naturalmente, l’eccitazione mia e di Alberto era dovuta a fattori diversi. La sua era per la dominazione di sua moglie. Gli bastava ricevere un ordine che il suo cazzo si metteva sull’attenti, cosa per me visibilissima in quanto la nudità continuava ad essere d’obbligo per entrambi, mentre la mia dipendeva da fattori più propriamente erotici e infatti, al contrario di Alberto, la mia eccitazione si faceva spasmodica soltanto se lei mi toccava o comunque quando si comportava da femmina più che da padrona. E quindi, sia pure per motivi diversi, nessuno di noi due era in grado di resisterle. E, in fondo, resisterle era l’ultima cosa che avremmo voluto fare. Una volta io, una volta lui, una volta entrambi, senza problemi di sorta, senza la minima vergogna, anzi, eccitandosi ancor di più nel momento della decisione, vedendoci come entrambi avremmo pagato chissà cosa per essere scelti. E, naturalmente, l’escluso doveva osservare tutto in silenzio. Ed anche in questo io e Alberto eravamo diversi. A me venivano dei dolori al petto nel vedere quella donna che mi aveva stregato fare sesso con un altro, sia pure suo marito. Volevo starci io al suo posto, essere baciato da lei, toccato da lei, e invece ero costretto a fare il guardone con le lacrime agli occhi. Anche Alberto osservava tristemente il sesso tra me e sua moglie e di sicuro l’umiliazione era anche maggiore rispetto alla mia, ma continuava a rimanere eccitato con una vistosa erezione, segno che riusciva a provare qualcosa di eccitante anche da quella scena. In fondo, lui voleva sentire il potere di sua moglie. Era quello che aveva sempre cercato. Una sottomissione fisica grazie alle capacità di Diana, ma anche sottomissione psicologica derivante ovviamente dall’enorme potere che sua moglie aveva acquisito. E Diana dominava col pugno di ferro, su quello non c’erano dubbi. E, probabilmente, guardare sua moglie farlo cornuto, doveva essere davvero il massimo della sottomissione non potendo fare assolutamente niente per evitarlo.
Tra noi due invece, i rapporti erano quasi inesistenti ed erano improntati soprattutto sulla gelosia. Ognuno di noi avrebbe voluto essere l’unico schiavo di Diana ma dovevamo accettare il fatto che una donna del genere, scoperte le sue potenzialità di padrona, non avrebbe più potuto essere di un solo uomo. Ma stava per accadere qualcosa che avrebbe cambiato di nuovo tutti gli equilibri.
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Ma, se da un punto di vista strettamente legato alle pratiche le variazioni furono minime, si stava invece per abbattere su di me un vero e proprio cataclisma che cambiò completamente la mia vita. Avvenne pochi giorni dopo quella sera in cui riconobbi definitivamente il mio status di schiavo. Eravamo come al solito nel salone nudi e inginocchiati in attesa di ordini della nostra padrona, come due cagnolini. Era seduta sul divano e noi due ai suoi piedi. Sembrava distratta. Era evidente che la sua meravigliosa testolina stava architettando qualcosa e il responso avvenne quando mi guardò sorridendo.
“Quanto guadagni Paolo?”
La guardai spalancando gli occhi. “Milleduecento euro, padrona. Più gli straordinari, tredicesima, quattordicesima e ferie pagate.”
Lei sorrise. “Una miseria. Bene, ho deciso. Ti licenzierai. Ho bisogno di te per tutto il resto della giornata. Non ho voglia di restare da sola tutto il giorno e aspettare la sera che voi due facciate ritorno dal lavoro. Ho due schiavi e li voglio sfruttare. Siccome mio marito deve lavorare per rendermi sempre più ricca, tu mi accompagnerai per il resto della giornata. Tanto i soldi non ti servono a niente visto che vivi e mangi nella mia casa. Ah, un consiglio, Paolo. Non obiettare perché non servirà a nulla se non a farmi incazzare.”
“Come vuole lei, padrona.” risposi semplicemente, ormai privo anche della mia volontà. E, comunque, la cosa non mi dispiaceva del tutto. Avrei trascorso tutte le ore del giorno insieme a lei e questo comunque mi rendeva felice, e di quel lavoro mal pagato ero già stanco da un bel pezzo. Padrona Diana non era comunque ancora soddisfatta.
“Bene, Paolo, sono felice di vedere che hai accettato la mia proposta,” fece ironicamente. Una proposta? Era un ordine e se avessi rifiutato mi sarei preso un sacco di botte inutilmente. Lei comunque si alzò mettendo un piede sopra la mia testa. “Ah, Paolino, visto che hai anche quello sgabuzzino che tu chiami casa, ho deciso che lo affitterai. Tanto non ti serve. Quanto ci puoi fare?”
“Non lo so, padrona,” risposi. "Forse sette/ottocento euro al mese visto che, pur piccolino, è in ottimo stato."
“Non importa. Lo affitterai e i soldi li prendo io come rimborso, visto che sei qui a mie spese. Mi serviranno giusto per comprare un paio di scarpe o una borsa, ma è una questione di principio. A uno schiavo i soldi non servono. Comunque non ti preoccupare per il futuro. Semmai mi dovessi stancare di te, ti troverò un lavoro nell’azienda di Alberto. Non ti farò morire di fame.”
Non dissi nulla. Cosa avrei potuto dire?
Cominciai quindi la mia nuova vita come schiavo fisso di Diana. Io le portavo la colazione a letto, l’aiutavo a lavarsi e a vestirsi, la portavo a fare shopping o comunque in ogni posto lei volesse andare, le facevo compagnia mentre pranzava, e aspettavo pazientemente che lei si allenasse. Per me che ero innamorato disperatamente di lei, fu comunque una cosa positiva. Tanto sul lavoro non riuscivo a concentrarmi come avrei dovuto visto che ogni mio pensiero era rivolto a quella strana situazione che stavo vivendo. Certo, dinanzi a chi ci osservava la cosa doveva sembrare abbastanza strana visto che non si faceva pregare di darmi ordini anche dinanzi a gente, ma forse sarò passato agli occhi di quelle persone solamente per il factotum della bella, viziata e ricca signora. La vera dominazione iniziava nel momento in cui Alberto metteva piede in casa tornato dal lavoro. Si mandavano i due filippini nella dependance dopo che Maria aveva preparato la cena, e cominciava per noi la paura mescolata a quella strana sensazione di piacere mentale. Se Alberto c’era nato con quelle idee di sottomissione ed era quindi comprensibile ciò che provava, per me la cosa continuava ad essere inspiegabile. Continuavo ad avere la sensazione di essere sotto un incantesimo e di aver bisogno costantemente della sua presenza. Comunque, mi abituai al mio ruolo di schiavo. Essere inculato, dopo lo shock iniziale davvero traumatico, era iniziato ad essere meno doloroso e addirittura piacevole in certi momenti, quando ravvisavo quasi un massaggio prostatico. Anche l’urina di padrona Diana non mi faceva più schifo. Certo, non la consideravo un nettare divino come invece faceva Alberto che la bramava, ma riuscivo a trangugiarla senza avere il voltastomaco. Con la cenere invece, non riuscivo ad avere un buon rapporto. Mi rendeva la bocca amara e me la privavano di saliva. In compenso, non ci fece più mangiare i mozziconi. Come aveva detto quella volta, aveva letto che fossero cancerogeni e questo mi dava comunque la sensazione che, in qualche modo, tenesse a noi. Ma quello a cui proprio non riuscivo ad abituarmi erano le percosse e Diana non ci andava leggera. Obbedirle a volte non le bastava. Era evidente che il suo più grande piacere fosse nel vedere il terrore nei nostri occhi, sapere che noi due non potevamo far niente contro di lei. Ci afferrava entrambi o uno alla volta ed eravamo fantocci nelle sue mani. Il risultato era che naturalmente tremavamo di paura al suo cospetto, e questo ci faceva sentire davvero delle nullità al suo confronto. E se questo faceva impazzire Alberto, non altrettanto si poteva dire di me. Ma questo era il suo modo di dominare. La nostra sottomissione era pertanto reale, pur se era stata una decisione di entrambi e quindi in un certo senso consensuale.
A volte si andava a cena fuori. A seconda dei suoi umori, Diana sceglieva me o Alberto e altre volte tutti e due. Ci alternava come fossimo oggetti di sua proprietà e non uomini che erano, per diverse ragioni, pazzamente innamorati di lei. Probabilmente, questa alternanza le serviva anche per tenerci sempre più legati a lei. Soprattutto con me. Sapeva che io accettavo il bastone solo perché poi sapevo che sarebbe giunta la carota, ma credo che anche Alberto avesse bisogno di momenti meno dominanti. Forse, il fatto di essere a volte scelto come accompagnatore e poi come amante, gli servivano per sentirsi importante, utile per la propria padrona. E questo lo appagava.
Dicevo di quando si usciva. Dovevamo evitare certi ambienti dove lei e Alberto erano piuttosto conosciuti, ma per il resto non si faceva preclusioni di nessun tipo, né per quanto riguarda l’abbigliamento, sempre estremamente sensuale e sopra le righe, e nemmeno per quanto riguardava il suo desiderio di apparire padrona anche dinanzi ad altri, sia pur con qualche ovvia limitazione.
In conclusione c’era il sesso. Diana ne aveva un bisogno decisamente superiore alla media e ormai ero più che certo che il suo nuovo ruolo di padrona assoluta avesse stimolato ulteriormente quel bisogno. Insomma, dominarci la eccitava sessualmente e, siccome entrambi la desideravamo con una passione fuori da ogni norma, la serata si concludeva a letto. Naturalmente, l’eccitazione mia e di Alberto era dovuta a fattori diversi. La sua era per la dominazione di sua moglie. Gli bastava ricevere un ordine che il suo cazzo si metteva sull’attenti, cosa per me visibilissima in quanto la nudità continuava ad essere d’obbligo per entrambi, mentre la mia dipendeva da fattori più propriamente erotici e infatti, al contrario di Alberto, la mia eccitazione si faceva spasmodica soltanto se lei mi toccava o comunque quando si comportava da femmina più che da padrona. E quindi, sia pure per motivi diversi, nessuno di noi due era in grado di resisterle. E, in fondo, resisterle era l’ultima cosa che avremmo voluto fare. Una volta io, una volta lui, una volta entrambi, senza problemi di sorta, senza la minima vergogna, anzi, eccitandosi ancor di più nel momento della decisione, vedendoci come entrambi avremmo pagato chissà cosa per essere scelti. E, naturalmente, l’escluso doveva osservare tutto in silenzio. Ed anche in questo io e Alberto eravamo diversi. A me venivano dei dolori al petto nel vedere quella donna che mi aveva stregato fare sesso con un altro, sia pure suo marito. Volevo starci io al suo posto, essere baciato da lei, toccato da lei, e invece ero costretto a fare il guardone con le lacrime agli occhi. Anche Alberto osservava tristemente il sesso tra me e sua moglie e di sicuro l’umiliazione era anche maggiore rispetto alla mia, ma continuava a rimanere eccitato con una vistosa erezione, segno che riusciva a provare qualcosa di eccitante anche da quella scena. In fondo, lui voleva sentire il potere di sua moglie. Era quello che aveva sempre cercato. Una sottomissione fisica grazie alle capacità di Diana, ma anche sottomissione psicologica derivante ovviamente dall’enorme potere che sua moglie aveva acquisito. E Diana dominava col pugno di ferro, su quello non c’erano dubbi. E, probabilmente, guardare sua moglie farlo cornuto, doveva essere davvero il massimo della sottomissione non potendo fare assolutamente niente per evitarlo.
Tra noi due invece, i rapporti erano quasi inesistenti ed erano improntati soprattutto sulla gelosia. Ognuno di noi avrebbe voluto essere l’unico schiavo di Diana ma dovevamo accettare il fatto che una donna del genere, scoperte le sue potenzialità di padrona, non avrebbe più potuto essere di un solo uomo. Ma stava per accadere qualcosa che avrebbe cambiato di nuovo tutti gli equilibri.
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