Bocche fameliche. 1 parte

di
genere
tradimenti

Il paese si stendeva lungo la costa come un gioiello di luce e ombra. Edifici bianchi, accecanti al sole, si arrampicavano lungo il pendio, abbracciati da un dedalo di angusti vicoli e angiporti. Era facile perdersi tra muri sbiancati e panni stesi che ondeggiavano nel caldo vento di mare, come vessilli di una vita antica Lei avanzava con passo sicuro, il vestito leggero che le sfiorava le cosce, ma erano il seno — pieno, rotondo, procace — e l’aria consapevole a catturare gli sguardi. Sandra sapeva di essere osservata. Non si sottraeva, anzi, accoglieva quella fame muta con il piacere sottile di chi domina il gioco della seduzione. Scivolò nell’ombra fresca di un piccolo negozio quasi nascosto, incastrato tra due case, come un segreto da scoprire. Le pareti ingiallite dal tempo, i vestiti appesi stipati ovunque, un groviglio di stoffe e colori stinti. La penombra dell’interno contrastava violentemente con la luce abbacinante del pomeriggio, avvolgendo ogni cosa in un’atmosfera ovattata, sospesa. Dietro il bancone, due uomini la fissavano: uno giovane, con occhi affilati e un sorriso trattenuto, l’altro sulla cinquantina, robusto, con un’aria vissuta e sorniona. I loro sguardi si posarono subito sul suo petto, che il top abbracciava senza contenere del tutto.
«Bella presenza,» mormorò il ragazzo, lasciando che lo sguardo scivolasse senza pudore sulle curve. «Con quel seno lì, le starebbe a pennello il costume rosso… anche se è un peccato coprire quei splendori.»
Il titolare annuì, la voce roca: «La mutandina sembra a posto, ma il reggiseno... non so se sarà sufficiente a contenerla.»
Sandra sorrise, inclinando appena la testa. Civettò con gli occhi, lasciando intuire più di quanto mostrasse.
«Forse dovrei provarlo... per vedere se davvero fa per me.»
Il giovane si fece audace: «Se vuole, possiamo consigliarla meglio. Se ce lo mostra addosso.»
Il titolare si avvicinò, lo sguardo diretto. «C’è uno sgabuzzino in fondo, dietro la tenda. Se ha piacere...»
Sandra non disse nulla e si avviò, lasciandosi attraversare dalla tensione elettrica che l’invito implicava. Il cuore le batteva forte. Sentiva i loro occhi bruciarle la schiena mentre oltrepassava la tenda di velluto consunto. Lo sgabuzzino era minuscolo, con pareti scrostate e l’odore denso di tessuti vecchi.
Chiuse la porta dietro di sé. Lontano, il brusio del negozio continuava, filtrando dalla fessura sotto la porta: risate, passi, voci indistinte. Si spogliò lentamente, lasciando cadere il vestito ai piedi, la pelle accesa, il desiderio che saliva come una marea. Il costume che aveva scelto era troppo stretto, audace: bastava a stento a contenere quell’abbondanza che i due avevano già imparato a desiderare.
All’improvviso la porta si aprì. I due individui entrarono senza esitazione, come se avessero colto un tacito invito. Le luci basse, la stanza angusta, il silenzio violato solo dai loro respiri. La circondarono.
Le mani la cercarono con avidità rispettosa. Sandra non si sottrasse, anzi, il cuore in gola, si lasciò spingere contro il muro, le labbra morse per non gemere. Il titolare era deciso, le mani grandi, esperte, la bocca a pochi centimetri dall’orecchio: «Quel reggiseno non regge un minuto. Ci vuole qualcosa di più forte.»
Il giovane era già pronto, la sua erezione palpitava sotto i pantaloni. Si avvicinò, la offrì alla bocca di Sandra, che lo accolse senza indugio. Il sapore virile, il profumo della pelle calda, la invase come un’ondata. Si sentiva esposta, al centro di un piccolo teatro proibito — prigioniera e regina.
I loro corpi la stringevano, la dominavano. La penetrazione fu ruvida, decisa, crudele. Il titolare la teneva da dietro, senza pietà, ma con un controllo che non tradiva mai la linea invisibile del consenso. Il giovane la guidava con la mano dietro la nuca, mentre lei lo prendeva in gola, tra singulti trattenuti e sguardi che ardevano nel silenzio.
Fuori, il mondo continuava: il fruscio dei panni stesi, il chiacchiericcio, il rumore delle scarpe sul selciato. Dentro, un’altra realtà si stava consumando, fatta di carne, desiderio e rischio. La penombra pareva liquida, densa. Ogni gemito soffocato era un sussurro che sfidava il confine tra pubblico e privato.
Il piacere di Sandra era totale, un vortice di vergogna e voluttà che la attraversava in ogni fibra. Si sentiva viva, vibrante, completa — trafitta dallo sguardo e dalle mani, eppure sovrana del gioco. In quel piccolo spazio segreto, il tempo sembrava essersi fermato.
Sandra alzò gli occhi verso l’uomo davanti a sé, un sorriso malizioso che sfidava la sua impudenza. «Il tuo uccello è lurido e puzza di uomo... proprio così mi piace,» sussurrò, la voce roca di piacere e desiderio, come una sfida e una dichiarazione di dominio insieme.
Lui la guardò con occhi ardenti, un ghigno feroce che diceva chiaramente quanto quella frase lo eccitasse, mentre il giovane dietro di lei riprendeva a spingere, deciso a non lasciarla mai andare.
La bocca di Sandra accolse l’eiaculazione con una docilità che sapeva di sottomissione affinata. Non si ritrasse, anzi: schiuse le labbra ancora di più, come per invitarlo a finirle dentro, ad annullarle il respiro. Gocce bianche le colavano sul mento mentre lui, ansimando, si ritirava, soddisfatto. Il secondo, che le stringeva i fianchi come a volerle lasciare lividi, gemeva forte e venne dentro di lei con uno spasmo scuotente. Lei restò immobile, aperta, tremante, come una cosa usata e momentaneamente dimenticata.
Si scambiarono uno sguardo e una risata.
«Puttana perfetta,» mormorò il più anziano.





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2025-07-16
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