Schiavo per amore. Tredicesimo episodio

di
genere
dominazione

Ero a testa bassa, arrabbiato con me stesso per aver obbedito senza fiatare a Diana. Per l’ennesima volta. Dinanzi a lei mi scioglievo come neve al sole, e diventavo incapace di pensare. Quella promessa poi mi aveva completamente destabilizzato. Da quando l’avevo conosciuta, avevo vissuto nella speranza di poterci fare l’amore, e ora ero ad un passo da quel sogno coltivato per anni. Non dovevo farla incazzare e sarebbe venuta con me. Ma quando? Per quanto tempo ancora mi avrebbe obbligato a farle da lacchè ricattandomi ogni volta? Alzai la testa e la visione dinanzi a me ebbe il potere di farmi smettere di pensare ai miei problemi. Dovevo solo ammirarla, ammirare quel suo sedere perfetto strizzato dentro quei pantaloni. Dio, quanto mi piaceva. Il suo incedere era straordinariamente sensuale, vestita come una vera dominatrice. E non c’era bisogno di avere i gusti particolari di Alberto per ammirarla e desiderarla. Percorremmo il corridoio che ci avrebbe portato nella cucina dove Alberto era ancora intento ad adempiere alle sue nuove mansioni di schiavo, mentre Diana, ogni tanto, si voltava per vedere se io, come mi aveva ordinato, la seguissi e, nel farlo, mi sorrideva compiaciuta. Entrò finalmente nella vasta cucina che possedevano e io sbirciai incuriosito. Alberto stava finendo di riassettare la cucina. Aveva le maniche della camicia tirate su e aveva infilato i guanti di gomma mentre teneva in una mano un piatto e nell’altra un panno per asciugarlo. Si voltò e la sua faccia divenne più bianca di un lenzuolo nel vedere la sua bellissima moglie dominante vestita come nei suoi sogni. Per l’emozione lasciò cadere il piatto che cadde in terra in mille pezzi.
“Brutto stronzo,” l’apostrofò Diana “Ora ti concio per le feste”
Alberto fece prima un passo indietro e poi si inginocchiò tremante. “Mi perdoni, padrona. Sono uno stupido, ma mi sono emozionato nel vederla. E’ così bella. Ora sistemo tutto quanto.”
Diana avanzò verso di lui e lo afferrò per un orecchio costringendolo a rialzarsi e poi, con la mano libera, lo schiaffeggiò violentemente mandandolo a sbattere contro la credenza. Alberto si mise le mani davanti alla faccia. Sembrava tremare. Mio Dio, cosa provava in quel momento quell’uomo? Paura? Eccitazione nel vedere finalmente i suoi sogni realizzati? Forse provava ambedue le sensazioni, ma anche io non ero insensibile di fronte a quello spettacolo. Non volevo essere al posto di Alberto. Almeno fino a quel punto non ero ancora arrivato, ma quella scena aveva comunque un qualcosa di estremamente sensuale, sia pure in quella situazione di violenza assurda. E pensare che io ero contro ogni tipo di violenza. Ma non lo era Diana. Si era messa dinanzi a lui con le mani sui fianchi, guardando quell’uomo tremante. Poi agì. Con perfetto stile da karateka qual era, e malgrado i tacchi altissimi che dovevano limitare la sua agilità, colpì il marito con un calcio allo stomaco. L’uomo si piegò in due dal dolore. Io mi misi la mano alla bocca, preoccupato per le possibili conseguenze. Anche perché Diana avanzò verso di lui stringendo il pugno e afferrandolo per la camicia.
Alberto era terrorizzato. “Pietà, padrona.” disse piangendo.
Diana aprì la mano e, invece di colpirlo con un pugno, si limitò a schiaffeggiarlo di nuovo per un paio di volte. Aveva gli occhi gonfi e il sangue che gli colava dal naso. Ma questo non dovette far tenerezza a Diana che, sempre tenendolo per la camicia, lo trascinò prima fuori dalla cucina e poi per diversi metri per il corridoio, incurante che il poveretto, caduto a terra dopo il primo strattone, ogni tanto andava a sbattere contro qualcosa. Infine, arrivata al centro del salone lo lasciò. Si avvicinò a lui che tremava impaurito. Cristo santo! Perché un uomo in quelle condizioni trema di paura e contemporaneamente si eccita? Non riuscivo a comprendere quella misteriosa psicologia che possedevano Alberto e tutti coloro che erano come lui. Sarebbe accaduta la stessa cosa se Diana non fosse stata così bella e sexy? Al diavolo le mie domande da allievo di un corso di psicologia. La situazione era se non drammatica, quantomeno pericolosa per quell’uomo che ora era rannicchiato ai piedi della sua padrona. Diana osservò soddisfatta la scena e fortunatamente si fermò. Che senso aveva picchiare ancora un uomo che era completamente in suo potere?
“Alzati!” gli ordinò con voce perentoria e, quando l’uomo ottemperò al suo ordine, lo afferrò per il mento. “Ti farò pentire per aver rotto il piatto. Il mio piatto. Tutto quello che c’è in questa casa mi appartiene. Compreso te. Non è cosi’?”
“Si, padrona. Tutto le appartiene e io sono soltanto una delle cose di sua proprietà”
“Bene. Non ho intenzione di picchiarti ancora, a meno che tu non dovessi meritartele, e mi accontenterò di comminarti una punizione. Trovi che sia giusto?”
“Tutto quello che lei decide è giusto”
“Proprio così, tutto quello che io decido è giusto. Bene. Spogliati completamente e aspettami qui in ginocchio e senza muoverti”
Osservai Diana uscire dal salone e rientrare poco dopo con una cosa in mano. E quella cosa aumentò i brividi che già si erano appropriati del mio corpo da un bel pezzo.
Quando anche Alberto si accorse di cosa teneva in mano trasalì. “Oddio. Oh, mio Dio, padrona. Abbia pietà“ piagnucolò, ma Diana, per tutta risposta, lo afferrò per un braccio e lo scaraventò senza tanti complimenti vicino al tavolo, lo fece girare, gli mise le mani sul tavolo stesso, gli divaricò le gambe, e infine fece sibilare l’oggetto che aveva preso, ovvero un frustino rigido.
“Bene, quante frustate vale un piatto rotto?” chiese sarcasticamente a suo marito?
“N-Non lo so, padrona” balbettò il poveretto.
“Diciamo una cinquantina almeno. Più...facciamo altre cinquanta per ricordarti che con me non si scherza. Contale, tesoro. Contale e ringraziami a ogni frustata. Si comincia” concluse affondando il frustino sul sederone di Alberto.
“Uno, grazie, padrona. Due, grazie padrona...” Era iniziata quindi la conta. Doveva essersi informata bene. Mi sembrava strano che fosse tutta farina del suo sacco. Lei era si dominante, ma lo era di carattere, mentre in quel momento agiva e diceva cose come una provetta dominatrice. Volsi lo sguardo da un’altra parte, incapace di assistere alla scena e di vedere quel culo che diventava sempre più rosso, mentre la pelle si toglieva lasciando il posto a ferite che dovevano essere dolorosissime. Ma Alberto proseguiva a contare imperterrito. Alla fine cadde a terra iniziando a piangere quasi in preda ad una crisi nervosa. Poi si avvicinò alla sua padrona accucciandosi ai suoi piedi
“Sono stato bravo, padrona? L’ho accontentata? Ho resistito solo per lei, per dimostrarle la mia devozione”
Oh, mio Dio. Aveva il culo che sembrava essere andato a fuoco e l’unica sua preoccupazione era quella di sperare che sua moglie fosse contenta. No, una cosa del genere esulava dalle mie capacità di comprensione.
Diana osservò il risultato della sua furia e sorrise soddisfatta. “Bene. Ho fatto proprio un bel lavoro. Domani useremo qualche altro oggettino che ho comprato. E adesso fammi vedere se meriti di essere mio marito. Io sono una donna giovane e ho bisogno di essere soddisfatta sessualmente. E se dovessi rimanere scontenta... Beh, sarà difficile per te la prosecuzione della serata”
Era troppo per me. Feci per andarmene ma la voce di Diana mi fermò “Tu rimani qui. Voglio che assista”
“Ma...Ma, Diana...” provai ad obiettare, ma lo sguardo con il quale mi fulminò non mi fece andare avanti e rimasi al mio posto ad assistere. Non era il caso di mettermi a discutere con lei. Era troppo su di giri e poteva dimenticarsi che io ero il suo amico del cuore, l’uomo innamorato di lei, e avrebbe potuto farmi del male. Per la prima volta nella mia vita mi accorsi di avere paura di lei anche sotto l’aspetto propriamente fisico. Mi stavo rendendo conto che la Diana che avevo sotto gli occhi in quel momento, era notevolmente cambiata rispetto a quella di un tempo. E ora quella donna faceva paura. Molta paura.

Alberto nel frattempo, attendeva la sua bellissima moglie con l’uccello in tiro e Diana lo osservò compiaciuta. D’altronde, cosa potevo aspettarmi? Era una giovane donna nel pieno della sua maturità sessuale e, come a noi maschietti non lasciava indifferente la visione delle parti intime femminili, così a lei non doveva affatto dispiacere la visione di un membro maschile completamente eretto. Si mise seduta su una poltrona e ordinò al marito di aiutarla a sfilarsi il pantalone di lattice e, quando l’operazione fu conclusa, si alzò in piedi e si fece togliere anche lo striminzito perizoma che indossava. Mio Dio, che visione! Era rimasta solo col reggiseno ma anche quell’indumento durò poco e, dopo pochi secondi, era completamente nuda. Ammirai rapito quei seni rigogliosi e straordinariamente dritti. Diana possedeva un corpo davvero statuario. Con un gesto della mano fece inginocchiare di nuovo il marito e poi avvicinò la sua fica interamente depilata alla bocca di Alberto che cominciò a leccare avidamente mentre Diana si toccava morbosamente i seni con gli occhi chiusi. Un paio di minuti dopo e la donna si scansò gemendo. Non avrei voluto vedere quella scena nemmeno per tutto l’oro del mondo, ma quello che osservai dopo fu ancora peggio. Fece sdraiare il marito per terra, e non dovette essere facile considerando il sedere di Alberto coperto di piaghe, e si posò su di lui iniziando a cavalcarlo forsennatamente. Perché mi faceva questo? Perché era così cattiva nei miei confronti? Sapeva che avrei sofferto, eppure mi stava obbligando a guardare. L’amplesso durò poco. Diana si agitava ritmicamente muovendo il suo bacino e l’uomo iniziò a rallentare i suoi movimenti.
“Piano, padrona,” gemette “Piano, la prego altrimenti non resisto”
“Zitto e scopa, stronzo,” gli intimò invece la donna aumentando il ritmo dei suoi movimenti, col risultato che Alberto non riuscì a resistere. Lo sentii quasi urlare. Diana proseguì per alcuni secondi a muoversi e quindi si fermo anche lei “Che cazzo hai fatto?” lo apostrofò duramente
“Io...Io...Mi perdoni, padrona. Glielo stavo dicendo che non ce la facevo a resistere” Diana scivolò fuori dal membro del marito che, ovviamente, stava cominciando a perdere la sua rigidità dopo l’eiaculazione, e poi lo afferrò per la spalla sollevandolo di peso. Prima uno schiaffo e poi addirittura un calcio in pieno petto che lo mandò a terra. Era arrabbiata e avanzò verso il marito che, invece, indietreggiava impaurito.
“Non sei nemmeno capace di soddisfare la tua padrona e ora pagherai.” Ancora una volta lo sollevò da terra, come se, invece di un uomo, fosse un fuscello ,e lo sbatté al muro. Un altro schiaffo si abbatté sulla faccia martoriata di Alberto. E poi un altro, mentre l’uomo chiedeva piangendo di essere perdonato. La furia di Diana sembrò placarsi. Osservò il marito e poi lo afferrò di nuovo per un braccio. “Vieni, idiota. Passerai la notte in un posto degno di te e non nel mio letto”
Li vidi allontanarsi dal salone e rimasi impietrito al mio posto. Mi misi la testa fra le mani, incredulo di aver appena assistito a una scena del genere. Non c’era una logica, non c’era un vero motivo per cui una donna potesse fare quello che Diana aveva fatto ad Alberto e a me. Dovevo andarmene, dovevo mettere una croce a ogni rapporto esistente tra me e lei. Se Alberto godeva nell’essere picchiato dalla sua bella e forte moglie, io non dovevo essere come lui, io non potevo continuare ad obbedire ad ogni suo ordine come se fossi anch’io un uomo con gli stessi istinti di Alberto. Dovevo farlo, anche a costo di non fare l’amore con lei, anche a costo di non vederla mai più. Quella non era più la mia amica del cuore, la donna che giocava con la sua forza fisica ma che mi voleva bene, seppure a suo modo, ma era diventata una persona che si approfittava del suo fascino e della sua forza per tenere ai suoi piedi due uomini adulti, e per arricchirsi ai danni di uno dei due.
Ma, malgrado desiderassi essere a migliaia di chilometri lontano da dove mi trovavo, non riuscii a muovere un solo muscolo, come se l’ordine impostomi da Diana di non muovermi non mi permettesse di agire di mia iniziativa. E quella sensazione si rafforzò quando riapparve Diana, ancora completamente nuda a parte gli stivali, palesemente a suo agio nella nudità quasi assoluta, ben sapendo di possedere un corpo praticamente perfetto, un corpo meritevole di essere ammirato e concupito. Sorrideva tronfia mentre a me quasi mancava il fiato dinanzi a tanta perfezione. Si avvicinò a me.
“Sono pronta a mantenere la mia promessa.” disse semplicemente e improvvisamente credetti che il cuore mi si stesse per fermare, mentre la mia voglia di essere in un altro posto era completamente svanita.
“Io...Io sono pronto, Diana” balbettai.
Sorrise, afferrandomi per il mento. Pensavo che volesse baciarmi ma non lo fece e rimase alcuni secondi in silenzio in quella posizione. “Le cose però sono cambiate, tesoruccio, e scoperemo solo alle mie condizioni” fece.
In un primo momento non riuscii a capire, perso com’ero nelle sue forme bellissime a pochi centimetri da me, con i suoi seni che si ergevano dritti e rigogliosi quasi all’altezza dei miei occhi. Sentivo la mia erezione palpitare vigorosa mentre il resto del corpo era quasi un’appendice inutile. Mi sentivo stanco, spossato, ma incredibilmente vivo nelle mie parti intime, come se il mio sangue pompasse soltanto in quella direzione. Ma poi qualcosa in me s’illuminò
“Quali condizioni, Diana?” riuscii a dire dopo un silenzio che durò diversi secondi
“Oh, niente di particolare. Faremo l’amore solo se t’inginocchierai sottomettendoti completamente a me, mi bacerai i piedi e mi chiamerai padrona. Come vedi, niente che tu non possa fare in pochi secondi” rispose con la sua solita ironia
La guardai esterrefatto. “Cosa? Ma sei impazzita? Io non sono Alberto” dissi istintivamente. Diana non smise di sorridere ma la sua mano sul mio mento s’irrigidì e l’altra afferrò la mia mano destra. Il mio cuore continuava ad andare a velocità supersonica, ma stavolta non era solo per la bellezza della donna che era di fronte a me, ma per la paura che lei mi procurava. Mi resi conto che la mia frase poteva averla fatta innervosire, e l’ultima cosa che avrei voluto era trovarmi di fronte Diana incazzata. Ma ormai era troppo tardi. Le sue mani cominciarono a stringere, e io mi ritrovai completamente alla sua mercè, impossibilitato a compiere qualsiasi azione. La sua mano destra sul mio mento m’impediva di aprire bocca, ma era l’altra mano, quella che si era impossessata della mia, a tormentarmi. La stava stringendo facendomi una dolorosissima torsione. Quel dolore era insopportabile e mi costringeva a piegarmi.
“Questo tono lo tieni con le tue amichette e non con me, capito, mio dolce Paolo?”
“Si Diana, scusami” mi affrettai a dire nella speranza che potesse lasciare quella presa ferrea.
“Sei un’idiota. Sai che contro di me non hai nessuna possibilità, e invece ti rivolgi a me in quel modo insolente. Che cosa dovrei farti, adesso?”
Alzai la testa per guardarla. “Mi stai facendo male, Diana. Lasciami, ti prego” dissi. Avevo parlato con la voce bassa, sperando di commuoverla e dovetti essere riuscito nel mio intento perché la sua presa si affievolì permettendomi di ritornare in posizione verticale, senza però lasciarmi del tutto.
“E va bene. Cosa decidi allora? Vuoi scopare con me oppure no?”
“Si che lo voglio. Lo desidero da sempre, ti amo. Ma non puoi pretendere che io diventi il tuo schiavo come tuo marito. Hai già lui”
Il suo sorriso si fece più aperto. “E invece lo pretendo. Perché fermarsi a uno schiavo quando posso averne due, tre, dieci e anche di più? Mi sono informata, caro il mio Paolino, non l’hai fatto solo tu. Internet è una grande scoperta e ci puoi trovare di tutto. E sai cosa ho scoperto? Che una donna con le mie caratteristiche può avere tutto quello che vuole. Ma basta parlare. Se non accetti le mie condizioni, ti do il permesso di andare. Potrei costringerti con la forza ma non voglio farlo con te. Non adesso, almeno”
“Io...Io sono confuso, Diana. Non posso accettare una cosa del genere. Va contro la mia morale”
“E allora prendi la tua morale e vattene a fare in culo” mi disse lasciando le sue prese e allontanandosi di un paio di metri. Rimasi in quella posizione per qualche secondo. Dio, quanto la volevo. Desideravo quel corpo, desideravo baciarlo e accarezzarlo, anche se quel corpo conteneva ormai un’anima nera, un’anima plagiata dal denaro e dal potere, un’anima che io stesso avevo aiutato a diventare negativa.
Diana continuava a sorridere. Chissà cosa pensava in quel momento. Si riavvicinò a me e mi afferrò dietro la nuca spingendo il mio viso a stretto contatto col suo “Sei uno stronzo. Non sai cosa ti stai perdendo” Mi baciò sulle labbra e poi mi diede una leggera spinta. Non potevo resistere. Il mio cervello era offuscato dal desiderio che provavo nei confronti di quella donna. Al diavolo la mia dignità. Quel bacio l’aveva definitivamente soffocata, anche se forse la mia dignità l’avevo persa tanti anni prima, quando la incontrai per la prima volta e me ne innamorai perdutamente. Aveva vinto lei. Mi inginocchiai al suo cospetto e le baciai gli stivali, unica cosa che aveva indosso
“Sono pronto, padrona. Sono pronto a fare quello che vorrai”
“Ne ero certa. Non ho mai dubitato un solo istante. Ora alzati!” Le obbedii e finalmente ci baciammo. Un bacio vero, quasi interminabile, mentre con la sua mano esplorava la mia erezione palpitante, e io potevo finalmente accarezzare quel corpo che tanto mi sconvolgeva. Iniziai a baciarla dappertutto, su quei seni durissimi, su quelle braccia dotate di una forza inusitata che lei si stava divertendo a gonfiare, forse per farmi capire la potenza che possedevano e l’abissale differenza nei miei confronti. Scesi giù, baciando anche la sua pancia, un’altra parte del suo corpo dura come l’acciaio ma morbida e delicata al tatto.
Si voltò con tutta la sensualità che possedeva. “Ora leccami il culo, schiavo” mi ordinò chinandosi e appoggiando le sue mani al muro.
“Si, padrona” riuscii a dire, ormai completamente immedesimato nella parte e soggiogato dal desiderio. Ero il suo schiavo.

Fine tredicesimo episodio.
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scritto il
2025-06-12
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