Il figlio del marchese
di
minkanku91
genere
gay
Il castello di Valvetta, antico e imponente, era come se fosse la mia casa. Io sono Dino, figlio del manutentore, conoscevo ogni suo scricchiolio. Conoscevo anche Ludovico, l'erede marchese, distante ma con uno sguardo di curiosità che non avevo mai compreso del tutto.
Una sera, la sua voce mi chiamò nel suo studio. Lì, mi annunciò la "tradizione" di famiglia: la prima volta con la figlia del maggiordomo. Ma il maggiordomo non aveva figlie. E così, Ludovico, con voce ferma, dichiarò: "Pretendo che sia tu a farmi fare sesso per la prima volta."
Il mio cuore non si riempì di paura, ma di un'eccitazione febbrile. Il ricordo del mio cugino, che mi aveva lasciato nudo e deluso dopo un tentativo di penetrazione fallito, rendeva questa "pretesa" un'inattesa opportunità. Dove Ludovico vedeva un obbligo dinastico, io vedevo la mia vera prima volta, la possibilità di trovare ciò che mi era stato negato. Abbassai lo sguardo, fingendo riluttanza.
Quando arrivai nel suo studio, la signora Anna, la cameriera anziana, con i suoi occhi curiosi, mi fece strada. Ludovico era lì, insolitamente nervoso. "Sei venuto," sussurrò. La sua mano si tese, sfiorando la mia spalla. Per lui, un gesto di comando; per me, una scintilla. La sua mano scivolò lungo la mia schiena, ferma, fino al bordo dei miei pantaloni, posandosi con decisione sul mio culetto. Quel tocco fu una scarica. Il mio corpo rispose, fremendo, una consenzienza ardente che dovevo celare.
La sua mano, ancora sul mio culetto, mi fece voltare lentamente. Mi guidò a porre la mia mano sul gonfiore evidente sotto i suoi pantaloni. Il calore che emanava da lui mi fece tremare. Poi, Ludovico sbottonò e sfilò i miei pantaloni, le mie mutande. Ero nudo dalla vita in giù, esposto al suo sguardo famelico sul mio culetto nudo. Non ebbi un attimo di esitazione. La sua mano si mosse verso la sua vita, e quando tirò fuori il suo cazzo, lo presi senza attendere, con decisione.
Ludovico sussultò, un gemito di sorpresa e piacere. Il suo controllo vacillò. Mi fece voltare, spingendomi delicatamente ma fermamente. Mi chinai sulla scrivania, un invito silenzioso. Le sue dita prepararono la via, e poi, con un sospiro che vibrò contro la mia pelle, percepì la punta del suo membro premere contro l'apertura. Non c'era fretta, ma una determinazione concentrata nel suo movimento.
Un leggero dolore, un senso di pienezza, e poi il calore. Con una spinta lenta, metodica, Ludovico penetrò, e sentii il suo corpo scivolare profondamente dentro di me. Un gemito rauco gli sfuggì, un suono di pura scoperta e liberazione. Per un attimo, l'aria fu spessa, carica solo dei nostri respiri e del lento, profondo scivolare del suo corpo nel mio. Le sue mani si posarono sui miei fianchi, tirandomi ancora più a fondo, mentre la sua eccitazione pulsava ritmicamente dentro di me. Era lì. Era successo. E non era come con mio cugino. Non c'era esitazione, né la fredda delusione. C'era un'intensità quasi dolorosa, ma ogni nervo del mio corpo urlava di piacere, di appagamento.
Ludovico iniziò a muoversi, spingendo lentamente, poi con più ritmo. Ogni spinta era una conferma della sua "presa", del suo potere. Ma per me, ogni spinta era una liberazione, un'onda di piacere che lavava via il ricordo della delusione passata. Gemevo, lasciando che i suoni sfuggissero, suoni che lui avrebbe interpretato come segni di una sottomissione completa, ma che erano, in realtà, la mia vera, segreta resa al desiderio. Le sue dita si intrecciarono con le mie, strette sulla scrivania, e i suoi ansimi si fusero con i miei. Il ritmo si fece più frenetico, il calore aumentava, e il confine tra chi dava e chi riceveva si fece sempre più sottile, dissolvendosi in un'unica, potente sensazione.
Alla fine, con un gemito strozzato, sentii una scossa profonda, un calore che si propagava dal punto in cui i nostri corpi erano uniti. Ludovico inarcò la schiena contro la mia, e poi un flusso caldo e denso si riversò dentro di me. Era il suo sperma, la prova fisica del compimento. Il suo corpo si rilassò contro il mio, pesante, tremante. Rimanemmo così per un momento, i nostri respiri affannosi l'unico suono.
Ludovico si staccò lentamente, con un sospiro profondo, quasi un lamento. Si voltò, i suoi occhi ancora velati dal piacere, ma ora con una nuova luce, più matura, più consapevole. C'era un'espressione sul suo viso che non avevo mai visto prima: un misto di soddisfazione, sorpresa e, forse, un barlume di curiosità per ciò che era appena accaduto.
Il suo sguardo si posò sul mio viso, e per un istante temetti che avesse capito. Che avesse letto la mia consenzienza, la mia fame, il mio desiderio nascosto in quei gemiti che avevo lasciato sfuggire. Ma no. I suoi occhi si soffermarono sul mio rossore, sul mio respiro ancora irregolare, e interpretò tutto come la prova della mia completa, forzata, arrendevolezza.
Si avvicinò e, con un gesto inaspettatamente tenero per uno come lui, mi sollevò il mento con un dito. "Grazie, Dino," sussurrò, la sua voce rauca per l'emozione. "La tradizione è stata rispettata."
Poi, con un tocco leggero e quasi solenne, strinse la mia spalla. I suoi occhi scuri si fissarono nei miei, e c'era una promessa in quello sguardo, una promessa che era solo per lui, e che io avrei dovuto interpretare come una garanzia del suo favore o della mia posizione nel castello.
"Questa... questa è la mia prima volta," disse, la sua voce ora più ferma, ma con un'ombra di gravità. Fece una pausa, abbassando la voce, "e non credo che sarà l'ultima. Non ora che ho imparato a desiderare."
Non una minaccia, ma un sigillo. Un segreto che ci avrebbe legati. Per lui, un dovere compiuto; per me, l'inizio. La mia delusione passata era svanita. Io, Dino, mi sentivo il vero vincitore di quella notte, con la promessa di altre notti ancora da venire.
Una sera, la sua voce mi chiamò nel suo studio. Lì, mi annunciò la "tradizione" di famiglia: la prima volta con la figlia del maggiordomo. Ma il maggiordomo non aveva figlie. E così, Ludovico, con voce ferma, dichiarò: "Pretendo che sia tu a farmi fare sesso per la prima volta."
Il mio cuore non si riempì di paura, ma di un'eccitazione febbrile. Il ricordo del mio cugino, che mi aveva lasciato nudo e deluso dopo un tentativo di penetrazione fallito, rendeva questa "pretesa" un'inattesa opportunità. Dove Ludovico vedeva un obbligo dinastico, io vedevo la mia vera prima volta, la possibilità di trovare ciò che mi era stato negato. Abbassai lo sguardo, fingendo riluttanza.
Quando arrivai nel suo studio, la signora Anna, la cameriera anziana, con i suoi occhi curiosi, mi fece strada. Ludovico era lì, insolitamente nervoso. "Sei venuto," sussurrò. La sua mano si tese, sfiorando la mia spalla. Per lui, un gesto di comando; per me, una scintilla. La sua mano scivolò lungo la mia schiena, ferma, fino al bordo dei miei pantaloni, posandosi con decisione sul mio culetto. Quel tocco fu una scarica. Il mio corpo rispose, fremendo, una consenzienza ardente che dovevo celare.
La sua mano, ancora sul mio culetto, mi fece voltare lentamente. Mi guidò a porre la mia mano sul gonfiore evidente sotto i suoi pantaloni. Il calore che emanava da lui mi fece tremare. Poi, Ludovico sbottonò e sfilò i miei pantaloni, le mie mutande. Ero nudo dalla vita in giù, esposto al suo sguardo famelico sul mio culetto nudo. Non ebbi un attimo di esitazione. La sua mano si mosse verso la sua vita, e quando tirò fuori il suo cazzo, lo presi senza attendere, con decisione.
Ludovico sussultò, un gemito di sorpresa e piacere. Il suo controllo vacillò. Mi fece voltare, spingendomi delicatamente ma fermamente. Mi chinai sulla scrivania, un invito silenzioso. Le sue dita prepararono la via, e poi, con un sospiro che vibrò contro la mia pelle, percepì la punta del suo membro premere contro l'apertura. Non c'era fretta, ma una determinazione concentrata nel suo movimento.
Un leggero dolore, un senso di pienezza, e poi il calore. Con una spinta lenta, metodica, Ludovico penetrò, e sentii il suo corpo scivolare profondamente dentro di me. Un gemito rauco gli sfuggì, un suono di pura scoperta e liberazione. Per un attimo, l'aria fu spessa, carica solo dei nostri respiri e del lento, profondo scivolare del suo corpo nel mio. Le sue mani si posarono sui miei fianchi, tirandomi ancora più a fondo, mentre la sua eccitazione pulsava ritmicamente dentro di me. Era lì. Era successo. E non era come con mio cugino. Non c'era esitazione, né la fredda delusione. C'era un'intensità quasi dolorosa, ma ogni nervo del mio corpo urlava di piacere, di appagamento.
Ludovico iniziò a muoversi, spingendo lentamente, poi con più ritmo. Ogni spinta era una conferma della sua "presa", del suo potere. Ma per me, ogni spinta era una liberazione, un'onda di piacere che lavava via il ricordo della delusione passata. Gemevo, lasciando che i suoni sfuggissero, suoni che lui avrebbe interpretato come segni di una sottomissione completa, ma che erano, in realtà, la mia vera, segreta resa al desiderio. Le sue dita si intrecciarono con le mie, strette sulla scrivania, e i suoi ansimi si fusero con i miei. Il ritmo si fece più frenetico, il calore aumentava, e il confine tra chi dava e chi riceveva si fece sempre più sottile, dissolvendosi in un'unica, potente sensazione.
Alla fine, con un gemito strozzato, sentii una scossa profonda, un calore che si propagava dal punto in cui i nostri corpi erano uniti. Ludovico inarcò la schiena contro la mia, e poi un flusso caldo e denso si riversò dentro di me. Era il suo sperma, la prova fisica del compimento. Il suo corpo si rilassò contro il mio, pesante, tremante. Rimanemmo così per un momento, i nostri respiri affannosi l'unico suono.
Ludovico si staccò lentamente, con un sospiro profondo, quasi un lamento. Si voltò, i suoi occhi ancora velati dal piacere, ma ora con una nuova luce, più matura, più consapevole. C'era un'espressione sul suo viso che non avevo mai visto prima: un misto di soddisfazione, sorpresa e, forse, un barlume di curiosità per ciò che era appena accaduto.
Il suo sguardo si posò sul mio viso, e per un istante temetti che avesse capito. Che avesse letto la mia consenzienza, la mia fame, il mio desiderio nascosto in quei gemiti che avevo lasciato sfuggire. Ma no. I suoi occhi si soffermarono sul mio rossore, sul mio respiro ancora irregolare, e interpretò tutto come la prova della mia completa, forzata, arrendevolezza.
Si avvicinò e, con un gesto inaspettatamente tenero per uno come lui, mi sollevò il mento con un dito. "Grazie, Dino," sussurrò, la sua voce rauca per l'emozione. "La tradizione è stata rispettata."
Poi, con un tocco leggero e quasi solenne, strinse la mia spalla. I suoi occhi scuri si fissarono nei miei, e c'era una promessa in quello sguardo, una promessa che era solo per lui, e che io avrei dovuto interpretare come una garanzia del suo favore o della mia posizione nel castello.
"Questa... questa è la mia prima volta," disse, la sua voce ora più ferma, ma con un'ombra di gravità. Fece una pausa, abbassando la voce, "e non credo che sarà l'ultima. Non ora che ho imparato a desiderare."
Non una minaccia, ma un sigillo. Un segreto che ci avrebbe legati. Per lui, un dovere compiuto; per me, l'inizio. La mia delusione passata era svanita. Io, Dino, mi sentivo il vero vincitore di quella notte, con la promessa di altre notti ancora da venire.
1
voti
voti
valutazione
10
10
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Incontro al fiume
Commenti dei lettori al racconto erotico