A casa di mio zio
di
AngelicaBellaWriter
genere
incesti
1.Non dormivo.
Fingevo, da almeno venti minuti. Lo sentivo camminare per casa, il pavimento che cigolava sotto i suoi passi lenti. Aveva quella andatura che conosco a memoria. Me l'ha stampata dentro quando ero ancora piccola. Quando veniva a sedersi sul bordo del mio letto per controllare se avessi la febbre o se piangevo davvero.
Ora non piango più. E non ho la febbre. Ma lui viene lo stesso.
Ho lasciato la porta socchiusa. Ho tolto le mutandine sotto la maglietta lunga, quella grigia che mi arriva appena sotto il culo. So che la odia.
So che lo eccita.
Lo sento fermarsi.
Lo immagino lì, in piedi, a guardarmi stesa di lato, con una coscia fuori dalle lenzuola e il culo in vista. La mia finta innocenza. Il mio invito muto.
Non dice mai nulla. Mai. Ma entra sempre.
Il letto si muove appena. Lo sento sedersi. Sento il suo respiro. Sento la sua mano sfiorarmi il fianco e poi fermarsi, calda, pesante.
Allora apro gli occhi. Solo un poco.
«Credevo dormissi» sussurra.
Non rispondo. Sollevo appena il bacino, lo spingo contro la sua mano. Mi inarca la schiena, le dita scivolano sotto la maglietta. Tocca il culo, lento. Mi infila le dita tra le cosce. Sono bagnata. Lo sa già.
«Lo fai apposta, vero?»
La sua voce è roca.
Lo faccio apposta, sì. Da settimane. Da quando ho capito che non riesce a resistermi.
Lo desidero da sempre. Prima non capivo. Ora sì. Mi piace farlo impazzire.
Mi gira, con forza. La sua bocca mi prende un capezzolo, poi l’altro. Mi succhia, mi morde.
Il cazzo preme contro la mia coscia. È duro, caldo, vivo.
Lo voglio dentro. Ma non lo chiedo.
Mi apro da sola. Le gambe larghe. La figa bagnata. Mi infila due dita.
«Sei già pronta, troia.»
Sorrido.
Lo sono sempre, per lui.
Solo per lui.
Lo sento spingere più a fondo. Due dita dentro, poi tre. Le muove lente, poi veloci.
Mi apre. Mi allarga.
Gemo. Piano, ma voglio che senta tutto. Che sappia che non ho più freni.
Mi guarda.
Ha quegli occhi che mi divorano.
Non sorride mai quando mi scopa. Non è dolce, non è gentile.
Mi prende, punto.
«Vuoi il cazzo adesso?»
La sua voce è un colpo secco nella stanza.
Annuisco. Non riesco neanche a parlare. La lingua mi si è incollata al palato. Il cuore rimbomba nelle orecchie.
Mi sollevo. Gli slaccio i pantaloni. Il cazzo gli esplode in mano, teso, gonfio. Lo prendo in bocca. Lo lecco dalla base alla punta, poi lo ingoio.
Mi afferra i capelli, mi guida. Mi fotte la bocca senza pietà. Gorgoglio e sbavo. Mi cola la saliva sulla gola, sulle tette, sulle cosce.
«Apri le gambe, puttanella.»
Obbedisco.
Sempre.
Per lui, sempre.
Mi scopa con rabbia. Mi sbatte contro il materasso come se dovesse punirmi per tutto quello che non riesce a dirmi.
Ogni colpo è un’accusa. Ogni spinta, una confessione sporca.
Mi prende le mani, me le blocca sopra la testa. Mi guarda mentre entra e esce, lento. Poi di nuovo forte.
Mi fa male, ma è quel male che mi strappa un orgasmo dal centro della pancia.
«Dimmelo» mi ringhia contro l’orecchio.
«Sono la tua troia» gli rispondo.
Con la voce rotta. Con le cosce sporche.
Con il cuore che mi batte tra le gambe.
«Tua. Solo tua.»
Fingevo, da almeno venti minuti. Lo sentivo camminare per casa, il pavimento che cigolava sotto i suoi passi lenti. Aveva quella andatura che conosco a memoria. Me l'ha stampata dentro quando ero ancora piccola. Quando veniva a sedersi sul bordo del mio letto per controllare se avessi la febbre o se piangevo davvero.
Ora non piango più. E non ho la febbre. Ma lui viene lo stesso.
Ho lasciato la porta socchiusa. Ho tolto le mutandine sotto la maglietta lunga, quella grigia che mi arriva appena sotto il culo. So che la odia.
So che lo eccita.
Lo sento fermarsi.
Lo immagino lì, in piedi, a guardarmi stesa di lato, con una coscia fuori dalle lenzuola e il culo in vista. La mia finta innocenza. Il mio invito muto.
Non dice mai nulla. Mai. Ma entra sempre.
Il letto si muove appena. Lo sento sedersi. Sento il suo respiro. Sento la sua mano sfiorarmi il fianco e poi fermarsi, calda, pesante.
Allora apro gli occhi. Solo un poco.
«Credevo dormissi» sussurra.
Non rispondo. Sollevo appena il bacino, lo spingo contro la sua mano. Mi inarca la schiena, le dita scivolano sotto la maglietta. Tocca il culo, lento. Mi infila le dita tra le cosce. Sono bagnata. Lo sa già.
«Lo fai apposta, vero?»
La sua voce è roca.
Lo faccio apposta, sì. Da settimane. Da quando ho capito che non riesce a resistermi.
Lo desidero da sempre. Prima non capivo. Ora sì. Mi piace farlo impazzire.
Mi gira, con forza. La sua bocca mi prende un capezzolo, poi l’altro. Mi succhia, mi morde.
Il cazzo preme contro la mia coscia. È duro, caldo, vivo.
Lo voglio dentro. Ma non lo chiedo.
Mi apro da sola. Le gambe larghe. La figa bagnata. Mi infila due dita.
«Sei già pronta, troia.»
Sorrido.
Lo sono sempre, per lui.
Solo per lui.
Lo sento spingere più a fondo. Due dita dentro, poi tre. Le muove lente, poi veloci.
Mi apre. Mi allarga.
Gemo. Piano, ma voglio che senta tutto. Che sappia che non ho più freni.
Mi guarda.
Ha quegli occhi che mi divorano.
Non sorride mai quando mi scopa. Non è dolce, non è gentile.
Mi prende, punto.
«Vuoi il cazzo adesso?»
La sua voce è un colpo secco nella stanza.
Annuisco. Non riesco neanche a parlare. La lingua mi si è incollata al palato. Il cuore rimbomba nelle orecchie.
Mi sollevo. Gli slaccio i pantaloni. Il cazzo gli esplode in mano, teso, gonfio. Lo prendo in bocca. Lo lecco dalla base alla punta, poi lo ingoio.
Mi afferra i capelli, mi guida. Mi fotte la bocca senza pietà. Gorgoglio e sbavo. Mi cola la saliva sulla gola, sulle tette, sulle cosce.
«Apri le gambe, puttanella.»
Obbedisco.
Sempre.
Per lui, sempre.
Mi scopa con rabbia. Mi sbatte contro il materasso come se dovesse punirmi per tutto quello che non riesce a dirmi.
Ogni colpo è un’accusa. Ogni spinta, una confessione sporca.
Mi prende le mani, me le blocca sopra la testa. Mi guarda mentre entra e esce, lento. Poi di nuovo forte.
Mi fa male, ma è quel male che mi strappa un orgasmo dal centro della pancia.
«Dimmelo» mi ringhia contro l’orecchio.
«Sono la tua troia» gli rispondo.
Con la voce rotta. Con le cosce sporche.
Con il cuore che mi batte tra le gambe.
«Tua. Solo tua.»
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