A casa di mio zio- l'ospite
di
AngelicaBellaWriter
genere
incesti
2. Non ho avuto il tempo di rimettermi le mutandine.
Quando ha bussato, eravamo ancora stesi, sudati, il suo seme colato lungo la mia coscia, il lenzuolo attorcigliato a metà tra le gambe.
«Aspetta qui» mi ha detto lui.
Si è alzato e ha aperto la porta in mutande.
Io ho allungato l’orecchio. Sapevo chi era.
Lo avevamo invitato a cena, giorni fa. Un vecchio amico. Uno che mi guardava troppo. Uno che aveva capito troppo in fretta.
Lo sento entrare. Ridono.
Lui prova a fare il normale. Ma la voce è ruvida, ancora carica di me.
Io resto nella stanza, seduta sul bordo del letto, nuda. Le cosce appiccicose.
Poi mi viene un’idea.
Mi alzo. Cammino verso la porta.
Lascio che mi vedano.
Il nuovo arrivato è seduto sul divano, una birra in mano.
Mi guarda. Non abbassa gli occhi. Li tiene fissi su di me, sulle mie tette, sulla figa che ancora brilla.
Poi guarda lui.
«Non disturbo?»
La sua voce è un rasoio.
L’altro tace.
Io sorrido.
Mi siedo sul bracciolo, accanto a lui.
«Puoi restare. Tanto hai già visto tutto, no?»
Gli prendo la mano.
Lui non si ritrae.
Le sue dita sfiorano la mia pelle. Salgono tra le cosce, trovano la fessura ancora calda, ancora aperta.
«Sei ancora bagnata» dice.
Non è una domanda.
«Lo sono sempre.»
Lui si alza in piedi. Mi prende per la nuca. Mi infila il cazzo in bocca senza chiedere.
L’altro ci guarda.
Immobile.
«Non dici nulla?» gli chiedo, con la voce strozzata dal cazzo che mi scivola in gola.
«No» risponde. «Guarderò. Voglio vedere quanto sei troia. Anche con lui.»
Il nuovo arrivato mi scopa la bocca come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Io glielo lascio fare. Lo prendo fino in fondo, gli sbavo addosso, lo guardo negli occhi mentre mi muovo.
Mi piace. Mi piace perché so che lui—l’altro, quello che mi ha presa per primo—mi sta guardando.
Lo sento dietro di me. Immobile, ma presente. Il fiato tagliato.
Poi si muove.
Mi prende per i fianchi. Mi apre le chiappe con forza.
«Questa è mia» dice.
La voce gli trema di rabbia, o di eccitazione. Forse di tutte e due.
Mi infila due dita nel culo, senza pietà.
Mi spinge in avanti, verso l’altro, che si alza in piedi. Io rimango in mezzo. In ginocchio, la figa pronta, la bocca spalancata.
«Ditelo» sussurro, tra un gemito e l’altro.
«Ditelo che vi piace condividermi.»
Non parlano.
Mi rispondono con i corpi.
Lui entra da dietro. Me lo infila tutto nel culo, con un colpo secco che mi fa urlare.
L’altro mi afferra la nuca, mi costringe a prenderlo in bocca di nuovo.
Sono tutta piena.
Stretta tra due cazzi.
Spalancata. Umiliata. Usata.
E godo.
Godo da far schifo.
Le spinte si fanno più forti. Mi sbattono avanti e indietro, come un giocattolo.
Sento le loro mani che mi afferrano. I loro insulti.
«Troia.»
«Schiava.»
«Sporca cagna.»
Sì.
Lo sono.
Ma solo con loro.
Quando vengo, grido. Il corpo si spezza in due.
Loro vengono insieme, dentro di me, in ogni mio buco, e restano lì, ansimanti, svuotati.
Mi lasciano crollare sul pavimento, nuda, sudata, con le cosce appiccicose, la bocca impastata di sperma e il culo che pulsa.
Li guardo entrambi.
Sorridono. Ma è un sorriso diverso.
Hanno scoperto qualcosa.
E io li ho legati per sempre.
Quando ha bussato, eravamo ancora stesi, sudati, il suo seme colato lungo la mia coscia, il lenzuolo attorcigliato a metà tra le gambe.
«Aspetta qui» mi ha detto lui.
Si è alzato e ha aperto la porta in mutande.
Io ho allungato l’orecchio. Sapevo chi era.
Lo avevamo invitato a cena, giorni fa. Un vecchio amico. Uno che mi guardava troppo. Uno che aveva capito troppo in fretta.
Lo sento entrare. Ridono.
Lui prova a fare il normale. Ma la voce è ruvida, ancora carica di me.
Io resto nella stanza, seduta sul bordo del letto, nuda. Le cosce appiccicose.
Poi mi viene un’idea.
Mi alzo. Cammino verso la porta.
Lascio che mi vedano.
Il nuovo arrivato è seduto sul divano, una birra in mano.
Mi guarda. Non abbassa gli occhi. Li tiene fissi su di me, sulle mie tette, sulla figa che ancora brilla.
Poi guarda lui.
«Non disturbo?»
La sua voce è un rasoio.
L’altro tace.
Io sorrido.
Mi siedo sul bracciolo, accanto a lui.
«Puoi restare. Tanto hai già visto tutto, no?»
Gli prendo la mano.
Lui non si ritrae.
Le sue dita sfiorano la mia pelle. Salgono tra le cosce, trovano la fessura ancora calda, ancora aperta.
«Sei ancora bagnata» dice.
Non è una domanda.
«Lo sono sempre.»
Lui si alza in piedi. Mi prende per la nuca. Mi infila il cazzo in bocca senza chiedere.
L’altro ci guarda.
Immobile.
«Non dici nulla?» gli chiedo, con la voce strozzata dal cazzo che mi scivola in gola.
«No» risponde. «Guarderò. Voglio vedere quanto sei troia. Anche con lui.»
Il nuovo arrivato mi scopa la bocca come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Io glielo lascio fare. Lo prendo fino in fondo, gli sbavo addosso, lo guardo negli occhi mentre mi muovo.
Mi piace. Mi piace perché so che lui—l’altro, quello che mi ha presa per primo—mi sta guardando.
Lo sento dietro di me. Immobile, ma presente. Il fiato tagliato.
Poi si muove.
Mi prende per i fianchi. Mi apre le chiappe con forza.
«Questa è mia» dice.
La voce gli trema di rabbia, o di eccitazione. Forse di tutte e due.
Mi infila due dita nel culo, senza pietà.
Mi spinge in avanti, verso l’altro, che si alza in piedi. Io rimango in mezzo. In ginocchio, la figa pronta, la bocca spalancata.
«Ditelo» sussurro, tra un gemito e l’altro.
«Ditelo che vi piace condividermi.»
Non parlano.
Mi rispondono con i corpi.
Lui entra da dietro. Me lo infila tutto nel culo, con un colpo secco che mi fa urlare.
L’altro mi afferra la nuca, mi costringe a prenderlo in bocca di nuovo.
Sono tutta piena.
Stretta tra due cazzi.
Spalancata. Umiliata. Usata.
E godo.
Godo da far schifo.
Le spinte si fanno più forti. Mi sbattono avanti e indietro, come un giocattolo.
Sento le loro mani che mi afferrano. I loro insulti.
«Troia.»
«Schiava.»
«Sporca cagna.»
Sì.
Lo sono.
Ma solo con loro.
Quando vengo, grido. Il corpo si spezza in due.
Loro vengono insieme, dentro di me, in ogni mio buco, e restano lì, ansimanti, svuotati.
Mi lasciano crollare sul pavimento, nuda, sudata, con le cosce appiccicose, la bocca impastata di sperma e il culo che pulsa.
Li guardo entrambi.
Sorridono. Ma è un sorriso diverso.
Hanno scoperto qualcosa.
E io li ho legati per sempre.
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