Condanna 1
di
AngelicaBellaWriter
genere
dominazione
Ho trentadue anni e da fuori sembro una donna normale.
Un lavoro in uno studio legale, un appartamento in periferia, due amiche che non sospettano nulla. Ma ogni sera torno a casa, mi spoglio, resto nuda sotto una vestaglia leggera e aspetto. Non so mai se lui arriverà. Non so mai se rimarrò a farmi la passera da sola come un cane in calore.
L’ho conosciuto su un’app di incontri. Swipe a destra, due messaggi, zero convenevoli.
«Sei troia?» mi ha scritto subito.
Ho risposto: «Sì».
Non c’è stato altro. Nessun buongiorno, nessuna emoticon, nessuna promessa. Solo foto di cazzi gonfi e fighe aperte. Una sera mi manda la foto del suo cazzo con una frase: «Questo ti apre». Mi bagno davanti allo schermo, dita sotto la mutanda, già col culo che scivola sulla sedia.
Ci vediamo dopo due giorni. Parcheggio deserto, notte, lampioni spenti. Sale in macchina, non mi saluta. Mi prende la testa e mi ficca la bocca sul cazzo. Mi manca l’aria, sbavo, mi cola tutto sul mento. Lui spinge più dentro, fino a farmi lacrimare gli occhi. Io resto lì, con la gola spalancata, felice di farmi usare come una troia qualsiasi.
Quando viene mi riempie la bocca, io ingoio, mi sporco la faccia, e mi sento viva.
Da quella notte è iniziata la mia condanna.
Ora ogni sera mi preparo come se dovesse arrivare. Aspetto. A volte bussa dopo mezz’ora, a volte dopo ore, a volte non si presenta affatto. E io resto lì, con la passera che cola, le gambe spalancate sul divano, senza toccarmi. Non posso. Se mi tocco, lui lo capisce. E quando lo scopre, mi punisce.
Quando invece arriva, non ho scampo.
Apre la porta senza chiedere permesso, mi spinge al muro, mi strappa la vestaglia di dosso. Le mie tette rimbalzano fuori, lui me le afferra, me le torce, mi morde i capezzoli fino a farmi urlare.
«Sei la mia troia,» mi dice.
E io ansimo, ci sto, lo voglio.
Mi piega sul tavolo, mi apre le cosce, e mi scava con due dita, tre, fino a farmi colare tutto. Mi tiene ferma i polsi, mi infila il cazzo dentro con un colpo secco. Io urlo, sbatto la faccia sul legno, le spinte mi fanno vibrare tutta. Sento le sue palle che sbattono contro di me, il suo respiro pesante, la sua risata bastarda.
Ogni colpo è una fucilata, mi trapana fino alla pancia. Io godo, piango, supplico.
Non sono più una donna. Sono solo una figa che lo aspetta, sera dopo sera, senza sapere se arriverà a devastarmi o se mi lascerà marcire da sola.
Un lavoro in uno studio legale, un appartamento in periferia, due amiche che non sospettano nulla. Ma ogni sera torno a casa, mi spoglio, resto nuda sotto una vestaglia leggera e aspetto. Non so mai se lui arriverà. Non so mai se rimarrò a farmi la passera da sola come un cane in calore.
L’ho conosciuto su un’app di incontri. Swipe a destra, due messaggi, zero convenevoli.
«Sei troia?» mi ha scritto subito.
Ho risposto: «Sì».
Non c’è stato altro. Nessun buongiorno, nessuna emoticon, nessuna promessa. Solo foto di cazzi gonfi e fighe aperte. Una sera mi manda la foto del suo cazzo con una frase: «Questo ti apre». Mi bagno davanti allo schermo, dita sotto la mutanda, già col culo che scivola sulla sedia.
Ci vediamo dopo due giorni. Parcheggio deserto, notte, lampioni spenti. Sale in macchina, non mi saluta. Mi prende la testa e mi ficca la bocca sul cazzo. Mi manca l’aria, sbavo, mi cola tutto sul mento. Lui spinge più dentro, fino a farmi lacrimare gli occhi. Io resto lì, con la gola spalancata, felice di farmi usare come una troia qualsiasi.
Quando viene mi riempie la bocca, io ingoio, mi sporco la faccia, e mi sento viva.
Da quella notte è iniziata la mia condanna.
Ora ogni sera mi preparo come se dovesse arrivare. Aspetto. A volte bussa dopo mezz’ora, a volte dopo ore, a volte non si presenta affatto. E io resto lì, con la passera che cola, le gambe spalancate sul divano, senza toccarmi. Non posso. Se mi tocco, lui lo capisce. E quando lo scopre, mi punisce.
Quando invece arriva, non ho scampo.
Apre la porta senza chiedere permesso, mi spinge al muro, mi strappa la vestaglia di dosso. Le mie tette rimbalzano fuori, lui me le afferra, me le torce, mi morde i capezzoli fino a farmi urlare.
«Sei la mia troia,» mi dice.
E io ansimo, ci sto, lo voglio.
Mi piega sul tavolo, mi apre le cosce, e mi scava con due dita, tre, fino a farmi colare tutto. Mi tiene ferma i polsi, mi infila il cazzo dentro con un colpo secco. Io urlo, sbatto la faccia sul legno, le spinte mi fanno vibrare tutta. Sento le sue palle che sbattono contro di me, il suo respiro pesante, la sua risata bastarda.
Ogni colpo è una fucilata, mi trapana fino alla pancia. Io godo, piango, supplico.
Non sono più una donna. Sono solo una figa che lo aspetta, sera dopo sera, senza sapere se arriverà a devastarmi o se mi lascerà marcire da sola.
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