La moglie del Presidente golpista (parte 3)
di
Kugher
genere
sadomaso
Le celle erano buie e piccole. La ragazza dormiva su una brandina che doveva condividere con il padre e la madre. I vestiti stropicciati e non puliti denunciavano l’inferno nel quale erano precipitati.
Appena Fatimah entrò, la ragazza non poté che alzarsi in piedi. Lo fece istintivamente sapendo che da quella donna, che detestava e che in passato aveva deriso, anche pubblicamente, sarebbe dipeso il miglioramento della sua condizione.
Fatimah ascoltò le sue suppliche guardando le condizioni di vita di quella ragazza che, quando il padre era a Capo dello Stato, era sempre elegante e bellissima, corteggiata ed altezzosa.
Se ne andò senza parlarle, portando dentro di sé un grande turbamento.
Non aveva mai avuto una intensa vita sessuale, né molte distrazioni sotto il regime del padre di quella ragazza e quelle suppliche, unite al potere che adesso poteva avere su di lei, le avevano fatto provare una strana eccitazione, prima sconosciuta.
Nella settimana successiva continuò a sentire uno strano formicolio alla bocca dello stomaco. Non era mai stata supplicata e la cosa le era piaciuta.
Era tentata di tornare nelle segrete per assistere alle stesse richieste.
Alla fine cedette. Scese ripromettendosi che si sarebbe limitata a trarre piacere dalla condizione di quelle persone per poi risalire subito, come la volta precedente.
Lewa, appena la vide, iniziò a piangere e nuovamente la supplicò. La cosa aumentò il turbamento interiore della donna, per nulla interessata o dispiaciuta delle condizioni di vita di quella ragazza, ma attratta dalle sue suppliche.
Fatimah venne meno alla sua iniziale promessa e si fermò non riuscendo a resistere all’eccitazione che stava provando.
Voleva divertirsi anche lei. Non era giusto che solo suo marito potesse godere degli agi della sua nuova posizione.
“Se tieni così tanto a ciò che chiedi, dovresti avere più deferenza”.
Non seppe come le uscirono quelle parole e, subito pentita, scappò via.
Continuò però a pensare a quanto accaduto ed i pensieri le si accavallano in testa, facendo sempre più fatica a tenerli ordinati, complice anche la rabbia che provava per suo marito.
Lo sapeva che la odiava e che l’aveva sposata solo per fare carriera. Lo odiava. lo odiava tanto quanto all’inizio lo amava e si era illusa di fare una piacevole vita con lui. Gliel’avrebbe fatta pagare, voleva vendicarsi e fargli perdere quella posizione alla quale lui teneva tanto.
Gli anni di convivenza le avevano fatto conoscere tanti segreti, anche politici, del marito, ed aveva iniziato a pensare come utilizzarli per danneggiarlo.
Una settimana dopo tornò ancora nelle segrete, spinta da qualcosa che razionalmente lei definiva irrazionale, ma solo per nascondere a sé stessa il vero motivo: le suppliche ed il senso di potere.
Decide di scendere con due brioches anche se si disse di non conoscere il motivo di quella scelta.
Quando Lewa la vide con quelle leccornie in mano, cose alle quali non era più abituata in quei mesi di cibo scarso e sempre uguale, cominciò nuovamente con le suppliche, avendo notato una incrinatura nella Signora prima che scappasse durante l’ultima visita.
Fatimah continuava a guardarla senza dire nulla, senza fare nulla, immobile e apparentemente sorda alle suppliche di quella giovane donna.
Lewa si mise quindi in ginocchio per continuare il suo operato, cambiando ulteriormente il suono della sua voce.
In quel momento l’irrazionalità della sua scelta di scendere con le brioches divenne improvvisamente razionale, capendo che aveva solo nascosto a sé stessa il vero motivo: l’eccitazione che in quel momento provava, sempre più forte.
“Striscia se vuoi una brioche”.
Questa volta la frase non le era uscita improvvisa, ma voluta e pronunciata con la sicurezza di colei che non avrebbe retrocesso dalla sua posizione.
Fu premiata da quella bella ragazza che si stese ventre a terra sul pavimento sporco e iniziò il suo umiliante percorso fino ai piedi della Signora.
“Leccami le scarpe”.
L’eccitazione in Fatimah era fortissima e temeva che dalla voce trasparisse nella sua pienezza.
Non si accontentò della lingua che pulì le sue scarpette, e pretese di infilare in bocca la punta della calzatura schiacciando verso terra, soddisfatta solo quando sentì il mugolio di dolore.
Solo allora gettò a terra una brioche, sulla quale la ragazza si avventò.
Fatimah guardò la madre della ragazza.
“Se la vuoi anche tu stenditi a terra”.
La donna era troppo affamata per resistere e la sottomissione della figlia aveva già aperto una porta. Ubbidì stendendosi sulla schiena, come ordinato dopo che, inizialmente, aveva posato a terra il ventre.
Fatimah le pose un piede sui seni e iniziò a roteare il tacco fino a sentirsi soddisfatta del lamento udito.
Pensò che occorresse altro perché si meritasse la brioche. Le mise in bocca il tacco e spinse sino a sentire le difficoltà della donna.
Gettando a terra il cibo, si sentì Maria Antonietta.
Tornata in camera si masturbò avendo negli occhi quanto accaduto.
Appena Fatimah entrò, la ragazza non poté che alzarsi in piedi. Lo fece istintivamente sapendo che da quella donna, che detestava e che in passato aveva deriso, anche pubblicamente, sarebbe dipeso il miglioramento della sua condizione.
Fatimah ascoltò le sue suppliche guardando le condizioni di vita di quella ragazza che, quando il padre era a Capo dello Stato, era sempre elegante e bellissima, corteggiata ed altezzosa.
Se ne andò senza parlarle, portando dentro di sé un grande turbamento.
Non aveva mai avuto una intensa vita sessuale, né molte distrazioni sotto il regime del padre di quella ragazza e quelle suppliche, unite al potere che adesso poteva avere su di lei, le avevano fatto provare una strana eccitazione, prima sconosciuta.
Nella settimana successiva continuò a sentire uno strano formicolio alla bocca dello stomaco. Non era mai stata supplicata e la cosa le era piaciuta.
Era tentata di tornare nelle segrete per assistere alle stesse richieste.
Alla fine cedette. Scese ripromettendosi che si sarebbe limitata a trarre piacere dalla condizione di quelle persone per poi risalire subito, come la volta precedente.
Lewa, appena la vide, iniziò a piangere e nuovamente la supplicò. La cosa aumentò il turbamento interiore della donna, per nulla interessata o dispiaciuta delle condizioni di vita di quella ragazza, ma attratta dalle sue suppliche.
Fatimah venne meno alla sua iniziale promessa e si fermò non riuscendo a resistere all’eccitazione che stava provando.
Voleva divertirsi anche lei. Non era giusto che solo suo marito potesse godere degli agi della sua nuova posizione.
“Se tieni così tanto a ciò che chiedi, dovresti avere più deferenza”.
Non seppe come le uscirono quelle parole e, subito pentita, scappò via.
Continuò però a pensare a quanto accaduto ed i pensieri le si accavallano in testa, facendo sempre più fatica a tenerli ordinati, complice anche la rabbia che provava per suo marito.
Lo sapeva che la odiava e che l’aveva sposata solo per fare carriera. Lo odiava. lo odiava tanto quanto all’inizio lo amava e si era illusa di fare una piacevole vita con lui. Gliel’avrebbe fatta pagare, voleva vendicarsi e fargli perdere quella posizione alla quale lui teneva tanto.
Gli anni di convivenza le avevano fatto conoscere tanti segreti, anche politici, del marito, ed aveva iniziato a pensare come utilizzarli per danneggiarlo.
Una settimana dopo tornò ancora nelle segrete, spinta da qualcosa che razionalmente lei definiva irrazionale, ma solo per nascondere a sé stessa il vero motivo: le suppliche ed il senso di potere.
Decide di scendere con due brioches anche se si disse di non conoscere il motivo di quella scelta.
Quando Lewa la vide con quelle leccornie in mano, cose alle quali non era più abituata in quei mesi di cibo scarso e sempre uguale, cominciò nuovamente con le suppliche, avendo notato una incrinatura nella Signora prima che scappasse durante l’ultima visita.
Fatimah continuava a guardarla senza dire nulla, senza fare nulla, immobile e apparentemente sorda alle suppliche di quella giovane donna.
Lewa si mise quindi in ginocchio per continuare il suo operato, cambiando ulteriormente il suono della sua voce.
In quel momento l’irrazionalità della sua scelta di scendere con le brioches divenne improvvisamente razionale, capendo che aveva solo nascosto a sé stessa il vero motivo: l’eccitazione che in quel momento provava, sempre più forte.
“Striscia se vuoi una brioche”.
Questa volta la frase non le era uscita improvvisa, ma voluta e pronunciata con la sicurezza di colei che non avrebbe retrocesso dalla sua posizione.
Fu premiata da quella bella ragazza che si stese ventre a terra sul pavimento sporco e iniziò il suo umiliante percorso fino ai piedi della Signora.
“Leccami le scarpe”.
L’eccitazione in Fatimah era fortissima e temeva che dalla voce trasparisse nella sua pienezza.
Non si accontentò della lingua che pulì le sue scarpette, e pretese di infilare in bocca la punta della calzatura schiacciando verso terra, soddisfatta solo quando sentì il mugolio di dolore.
Solo allora gettò a terra una brioche, sulla quale la ragazza si avventò.
Fatimah guardò la madre della ragazza.
“Se la vuoi anche tu stenditi a terra”.
La donna era troppo affamata per resistere e la sottomissione della figlia aveva già aperto una porta. Ubbidì stendendosi sulla schiena, come ordinato dopo che, inizialmente, aveva posato a terra il ventre.
Fatimah le pose un piede sui seni e iniziò a roteare il tacco fino a sentirsi soddisfatta del lamento udito.
Pensò che occorresse altro perché si meritasse la brioche. Le mise in bocca il tacco e spinse sino a sentire le difficoltà della donna.
Gettando a terra il cibo, si sentì Maria Antonietta.
Tornata in camera si masturbò avendo negli occhi quanto accaduto.
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