Schiava bianca condivisa (parte 4)

di
genere
sadomaso

Non ne parlarono più, anche se a lei sarebbe piaciuto scambiare riflessioni e sensazioni, anche solo per anticipare l’eccitazione.
Nel tempo aveva dovuto abituarsi al suo modo di fare quando si trattava di atti di dominio. Non la stupì il suo silenzio che, sapeva, era solo dovuto all’attesa del momento, essendo ormai cosa certa che il fatto si sarebbe verificato.
“Vieni nel pomeriggio. Sii vestita elegante ma sexy”.
L’ordine venne affidato ad un semplice e secco sms alle 8 di un sabato mattino.
La complicità iniziò in quel momento e lei sentì quel filo rosso fuoco che si tese per unire le loro emozioni, speculari.
Passò la giornata a prepararsi. Si fece la doccia, si depilò. Andò a farsi sistemare i capelli. L’ampio armadio non le restituì il vestito che per lei avrebbe potuto essere adatto. Così uscì per comprarne uno, mai soddisfatta se non dopo un paio di ore di ricerca.
Non seppe se la sensazione che avvertiva fosse dovuta all’eccitazione o all’agitazione per l’ignoto.
Per tutto il giorno si sentì allo stomaco quella sensazione che è tipica del giorno prima di un'interrogazione, sensazione che si apprende da giovani e che non abbandona mai in ogni volta che si viene messi alla prova.
Nonostante il caldo, si infilò un paio di calze autoreggenti nere che, sull’abito nero lungo fino a sopra le ginocchia con uno spacco laterale, le slanciava il bel corpo.
Le scollature sulla schiena e sul petto, pur se eleganti e non sfacciate, riuscivano benissimo a mettere in evidenza quella che John chiama, in quelle circostanze, “la merce”.
Le scarpe nere, chiuse, contribuivano ulteriormente a slanciare la sua figura già alta e aumentata di 10 centimetri dal tacco sottile.
Aveva tagliato poco i capelli biondi che, lisci, le arrivavano sulle spalle. Non avrebbe potuto di più in quanto a lui piacevano lunghi, anche in estate quando lei avrebbe preferito, per il caldo, accorciarli un poco. Lui diceva che erano comodi per prenderla per i capelli e dirigerla dove aveva voglia. In realtà le aveva anche detto che il capello lungo la rendeva bellissima.
“Sei splendida!”.
John non faceva mai mancare i complimenti alla sua elegante bellezza.
“Mi farai fare una splendida figura”.
L’abbraccio ed il bacio sulla lingua precedettero il momento in cui, per salutarlo nel suo ruolo, posò le ginocchia a terra e si chinò a baciargli i piedi, attenta comunque a non rovinare i capelli o le calze, né a sgualcire il vestito. Non voleva e non poteva rovinare “la merce”.
Mentre il Padrone si vestiva in attesa dell’ospite, la cui identità non le venne svelata, le fu consentito di stare inginocchiata su un cuscino. Non voleva che le si rovinassero le calze.
Lui la guardò a lungo, non tanto per godere della ubbidiente sottomissione di quella donna che, pur coi limiti sentimentali autoimposti, era in grado di provocare emozioni, quanto per cercare qualche dettaglio che, stonando dalla figura perfetta, avrebbe iniziato a dare colore alla serata.
Quando lui distolse lo sguardo lei seppe che aveva individuato cosa mancava.
“Braccia dietro alla schiena”.
Ciò che lei pensò inizialmente si trattasse di una posa utile ad evidenziare il suo seno, prese diverso corpo quando, terminato il nodo alla cravatta, prese le manette dal cassetto.
Le chiuse strette.
Voleva che i suoi polsi segnati denunciassero al suo amico che qualcosa era diverso da ciò che forse si sarebbe aspettato. Quella nota stonata che attira e concentra l’attenzione.
Lei intuì che l’ospite non era a conoscenza di ciò che si sarebbe trovato di fronte e che il Padrone, con piccoli segnali, gli avrebbe fatto capire che le cose non erano ciò che sembravano.
I polsi le facevano male e la postura, lasciandola indenne dal dolore alle ginocchia, iniziò a presentare la sua scomodità.
L’ubbidienza le impedì di far conoscere il suo stato e la portò a tenere comunque ferma la posizione senza rovinare il bel viso con espressioni che non avrebbero raggiunto l'obiettivo di liberarla dal dolore.
John, prima di toglierle le manette, avvicinandosi il momento dell’arrivo dell’ospite, le mise al collo una collana d’oro, colore che si intonava ai capelli e veniva evidenziato dal nero del vestito.
La collana era sufficientemente stretta da apparire, a loro, per ciò che era: un collare che le cingeva il collo, un collare prezioso, ma pur sempre un collare. Davanti vi era, seppur ben lavorato, un piccolo anello. Apparentemente un ciondolo, in realtà idoneo ad accogliere il moschettone del guinzaglio.
Il Padrone le girò intorno, ancora non soddisfatto.
Ambra lo sentiva dietro di sé, così come sentiva il suo sguardo, la sua attenzione, percependo anche la sua eccitazione, che faceva il pari alla propria.
Non avendo le mutandine aveva la sensazione di sentire l’eccitazione che le colava sulle cosce, per fermarsi sul bordo delle autoreggenti.
John tornò all’armadio, prese un frustino e si posizionò dietro alla sua schiava.
“Appoggia le mani al letto”.
Entrambi sapevano cosa sarebbe successo. Lui, però, a differenza di lei ne conosceva il numero: uno. Una sola frustata, secca, forte al punto da farla piegare in avanti facendole mancare il fiato.
Un solo colpo, idoneo a segnare la schiena con quella striscia rossa che attraversava la pelle esposta dal vestito.
L’ospite si sarebbe interrogato a lungo sul significato di quel segno cui non avrebbe, forse, saputo attribuire la natura. Nemmeno avrebbe, con buone probabilità, capito il significato del segno ai polsi.
Solo dopo che la sua ubbidienza fosse stata esibita avrebbe capito tutto. Nel frattempo quei segni sconosciuti avrebbero continuamente richiamato la sua attenzione e, una volta svelata la motivazione, avrebbero avuto l’effetto di aumentare l’eccitazione, inevitabile alla vista di una giovane donna bianca sempre sottomessa, ubbidiente, schiava.
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2025-01-15
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