Il regalo di nozze (parte 2)
di
Kugher
genere
sadomaso
Per quanto la speranza di avere avuto fortuna, per qualsiasi motivo ad oggi sconosciuto, dia forza a colui che aspetta di conoscere il suo destino, quando questo arriva ci si sente sempre impauriti, financo terrorizzati per il salto nell'ignoto al quale si è destinati, senza poter più, ormai, incidere sul proprio futuro se non in minima parte.
Così accadde il giorno in cui, nuovamente, vennero a prenderla per sottrarla da quel bozzolo che si era creata nel centro addestramento, ed essere portata al suo nuovo destino.
Ormai più nulla a lei sarebbe stato reso noto ma, in quanto oggetto, avrebbe semplicemente scoperto cosa l’avrebbe attesa a dado tratto.
Le speranze che aveva segretamente coltivate le parvero ingenue. Si sentì persa ed impaurita.
Contrariamente a quanto si era ripromessa, scioccamente e illogicamente, cercò di fare resistenza.
Lei stessa si rese conto dell'inutilità del suo vano gesto di aggrapparsi alla catena che le sembrava potesse garantire quella sicurezza che, finchè vi era attaccata, credeva di non avere.
Non notò neppure la delicatezza di chi, dovendo prenderla e trasportarla con la forza, non fece uso del frustino che invece continuamente minacciava, essendo però costretto, per ottenere risultato a torcere il capezzolo fino a farle staccare le mani da quella inutile catena.
Venne messa in una gabbia nella quale ottenere il suo silenzio con una ballgag bucata per consentirle di respirare.
Era piccola e stava stretta. Aveva paura, tanta paura.
Gli operai la stavano trasportando come fosse uno scatolone all’interno del quale non c’era una persona. D’altro canto lei stessa non aveva considerato umane le sue schiave alle quali, anche solo per divertimento, infliggeva supplizi fisici e psicologici, ridendone da sola o con gli ospiti di casa.
In quel momento non pensava più a quando era lei la Padrona. Periodo dimenticato, tutta concentrata a gestire il presente.
Solo fugacemente pensava al suo compagno di vita e ancora le bruciava la sua sparizione il giorno in cui erano venuti a prenderla. Anni di fidanzamento e di vita assieme senza nemmeno un saluto nel suo momento peggiore.
Il viaggio fu tutt’altro che comodo, rinchiusa nell’ambiente stretto di un camion destinato alle consegne pieno di altro carico ex-umano, tutti oggetti da consegnare ai nuovi Padroni per il loro divertimento o comodità, immaginando l’eccitazione parificata all’arrivo di una nuova auto.
Non poté vedere nulla quando si sentì scaricare dal camion. Solo le voci dei trasportatori, tutti impegnati a fare in fretta per tornare presto a casa, incuranti dello sballottamento cui erano sottoposti gli schiavi.
Intorno alla gabbia era stata messa una protezione in modo da impedire al contenuto di vedere alcunché. A nessuno interessava che quella protezione tratteneva anche il calore generando sofferenza che, a sua volta, amplificava la paura.
Si accorse di essere arrivata a destinazione quando venne depositata da qualche parte e sentì le voci che si allontanavano, per scomparire dietro al rumore di una serratura in ferro che si chiudeva.
Le sembrò infinita l’ora che la separò dal nuovo rumore alla serratura.
Si aspettava di vedere persone eleganti con indosso l’espressione del potere.
Invece era una giovane donna, nuda con solo indosso sandali, un collare, polsiere e cavigliere, fissate in modo che le fosse impossibile levarle e, quindi, comode per legarla o incatenarla agli anelli che quegli strumenti di schiavitù avevano.
Restò sorpresa e la sensazione, per un attimo, le fece dimenticare la paura.
Era evidente l’astio della schiava che era venuta a liberarla da una gabbia per collocarla in quella della sua nuova vita.
Sicuramente temeva che avrebbe preso il suo posto e a lei fosse destinato altro futuro rispetto a quello che, nella sua incertezza, aveva ormai costituito il suo presente.
La fece uscire maltrattandola ma avendo sempre cura di non crearle segni.
Subito non potè rendersi conto di quella delicatezza che, invece, avrebbe potuto realizzare dopo, quando le acque agitate di quei momenti si sarebbero placate per farle vedere la situazione con occhi lucidi.
La schiava, Noemi, pretese che le si prostrasse ai suoi piedi ai quali dovette dedicare attenzione con la lingua.
Solo poco dopo si accorse che c’era un'altra persona, uno schiavo, anch'egli nudo con indosso gli stessi strumenti che, a lei, non vennero applicati.
Anche di questo particolare si sarebbe resa conto dopo.
Dovette omaggiare i piedi anche del ragazzo al quale il cazzo reagì immediatamente.
Per stabilire un ordine gerarchico le torturarono i capezzoli strizzandoglieli e le tirarono i capelli.
La fecero muovere a 4 zampe con qualche calcio o spinta per farla cadere, gesto il cui unico scopo era quello di maltrattarla per farla rimettere a 4 zampe.
Non le fecero altro.
Lei stessa si stupì quando se ne andarono, essendosi aspettata ben altri trattamenti, anche sessuali o sadici.
Solo nel silenzio della sua posizione fetale a terra, sullo stuoino che costituiva l’unico arredamento della cella, realizzò che, ancora una volta, le era stata riservata una attenzione non solita per le schiave.
Mentre questo le aveva dato sicurezza e speranza quando si trovava al centro addestramento, quasi potesse pensare di essere destinata a qualcosa di meglio rispetto a ciò cui erano destinate le bestie quale ora lei era, adesso, che era giunta a destinazione, questo fatto iniziò a crearle un po’ di ansia, come se quello fosse solo una zona di passaggio ed il suo destino non fosse ancora arrivato.
Provò a convincersi che gli schiavi che l'avevano liberata e che nei giorni successivi le portarono cibo e acqua, non potevano abusare di lei in quanto quel privilegio sarebbe spettato ai suoi Padroni.
Non sapeva perché aveva in mente che i suoi proprietari fossero una coppia. Forse da qualche segnale colto senza che se ne rendesse conto.
Passò qualche giorno e ancora nulla da parte di chi l’aveva comprata.
Quale unica compagnia vi erano solo i due schiavi che le portavano cibo e acqua.
Dovevano avere paura di lei, non certo per reazioni fisiche, ma per ciò che avrebbe potuto rappresentare, soprattutto per le attenzioni che, evidentemente, avevano l’ordine di dedicarle.
Entrambi temevano che fosse stata comprata per sostituire uno dei due.
Era evidente il desiderio di farle male, così come era evidente la rabbia trattenuta che, nella lotta con il proprio dovere di eseguire l’ordine, impediva loro di farle male, limitandosi a umiliarla a parole e ad aspettar il minimo segno di inesistente ribellione per torcerle il capezzolo.
Solo dopo un paio di giorni presero un po’ di confidenza con sé stessi e, invece di metterle il cibo in una ciotola, glielo rovesciarono a terra costringendola a mangiare come una bestia mentre la pietanza era vicina ai loro piedi.
Non paghi, sempre col piede gliela spostavano non appena lei cercava di avvicinarsi, ridendo di lei.
In piccole cose che divengono grandi, è possibile prendere coscienza di significative realtà.
Fu così in quel momento, ricevendo denigrazione da coloro che sono nella sua stessa condizione e che trovandosi un gradino più in alto, la schiacciano sotto il loro pur piccolo potere, che si sentì definitivamente sola e privata di ogni pur ridotta speranza, anche se ancora avrebbe dovuto capire a cosa dovesse essere riservata quella speranza.
Così accadde il giorno in cui, nuovamente, vennero a prenderla per sottrarla da quel bozzolo che si era creata nel centro addestramento, ed essere portata al suo nuovo destino.
Ormai più nulla a lei sarebbe stato reso noto ma, in quanto oggetto, avrebbe semplicemente scoperto cosa l’avrebbe attesa a dado tratto.
Le speranze che aveva segretamente coltivate le parvero ingenue. Si sentì persa ed impaurita.
Contrariamente a quanto si era ripromessa, scioccamente e illogicamente, cercò di fare resistenza.
Lei stessa si rese conto dell'inutilità del suo vano gesto di aggrapparsi alla catena che le sembrava potesse garantire quella sicurezza che, finchè vi era attaccata, credeva di non avere.
Non notò neppure la delicatezza di chi, dovendo prenderla e trasportarla con la forza, non fece uso del frustino che invece continuamente minacciava, essendo però costretto, per ottenere risultato a torcere il capezzolo fino a farle staccare le mani da quella inutile catena.
Venne messa in una gabbia nella quale ottenere il suo silenzio con una ballgag bucata per consentirle di respirare.
Era piccola e stava stretta. Aveva paura, tanta paura.
Gli operai la stavano trasportando come fosse uno scatolone all’interno del quale non c’era una persona. D’altro canto lei stessa non aveva considerato umane le sue schiave alle quali, anche solo per divertimento, infliggeva supplizi fisici e psicologici, ridendone da sola o con gli ospiti di casa.
In quel momento non pensava più a quando era lei la Padrona. Periodo dimenticato, tutta concentrata a gestire il presente.
Solo fugacemente pensava al suo compagno di vita e ancora le bruciava la sua sparizione il giorno in cui erano venuti a prenderla. Anni di fidanzamento e di vita assieme senza nemmeno un saluto nel suo momento peggiore.
Il viaggio fu tutt’altro che comodo, rinchiusa nell’ambiente stretto di un camion destinato alle consegne pieno di altro carico ex-umano, tutti oggetti da consegnare ai nuovi Padroni per il loro divertimento o comodità, immaginando l’eccitazione parificata all’arrivo di una nuova auto.
Non poté vedere nulla quando si sentì scaricare dal camion. Solo le voci dei trasportatori, tutti impegnati a fare in fretta per tornare presto a casa, incuranti dello sballottamento cui erano sottoposti gli schiavi.
Intorno alla gabbia era stata messa una protezione in modo da impedire al contenuto di vedere alcunché. A nessuno interessava che quella protezione tratteneva anche il calore generando sofferenza che, a sua volta, amplificava la paura.
Si accorse di essere arrivata a destinazione quando venne depositata da qualche parte e sentì le voci che si allontanavano, per scomparire dietro al rumore di una serratura in ferro che si chiudeva.
Le sembrò infinita l’ora che la separò dal nuovo rumore alla serratura.
Si aspettava di vedere persone eleganti con indosso l’espressione del potere.
Invece era una giovane donna, nuda con solo indosso sandali, un collare, polsiere e cavigliere, fissate in modo che le fosse impossibile levarle e, quindi, comode per legarla o incatenarla agli anelli che quegli strumenti di schiavitù avevano.
Restò sorpresa e la sensazione, per un attimo, le fece dimenticare la paura.
Era evidente l’astio della schiava che era venuta a liberarla da una gabbia per collocarla in quella della sua nuova vita.
Sicuramente temeva che avrebbe preso il suo posto e a lei fosse destinato altro futuro rispetto a quello che, nella sua incertezza, aveva ormai costituito il suo presente.
La fece uscire maltrattandola ma avendo sempre cura di non crearle segni.
Subito non potè rendersi conto di quella delicatezza che, invece, avrebbe potuto realizzare dopo, quando le acque agitate di quei momenti si sarebbero placate per farle vedere la situazione con occhi lucidi.
La schiava, Noemi, pretese che le si prostrasse ai suoi piedi ai quali dovette dedicare attenzione con la lingua.
Solo poco dopo si accorse che c’era un'altra persona, uno schiavo, anch'egli nudo con indosso gli stessi strumenti che, a lei, non vennero applicati.
Anche di questo particolare si sarebbe resa conto dopo.
Dovette omaggiare i piedi anche del ragazzo al quale il cazzo reagì immediatamente.
Per stabilire un ordine gerarchico le torturarono i capezzoli strizzandoglieli e le tirarono i capelli.
La fecero muovere a 4 zampe con qualche calcio o spinta per farla cadere, gesto il cui unico scopo era quello di maltrattarla per farla rimettere a 4 zampe.
Non le fecero altro.
Lei stessa si stupì quando se ne andarono, essendosi aspettata ben altri trattamenti, anche sessuali o sadici.
Solo nel silenzio della sua posizione fetale a terra, sullo stuoino che costituiva l’unico arredamento della cella, realizzò che, ancora una volta, le era stata riservata una attenzione non solita per le schiave.
Mentre questo le aveva dato sicurezza e speranza quando si trovava al centro addestramento, quasi potesse pensare di essere destinata a qualcosa di meglio rispetto a ciò cui erano destinate le bestie quale ora lei era, adesso, che era giunta a destinazione, questo fatto iniziò a crearle un po’ di ansia, come se quello fosse solo una zona di passaggio ed il suo destino non fosse ancora arrivato.
Provò a convincersi che gli schiavi che l'avevano liberata e che nei giorni successivi le portarono cibo e acqua, non potevano abusare di lei in quanto quel privilegio sarebbe spettato ai suoi Padroni.
Non sapeva perché aveva in mente che i suoi proprietari fossero una coppia. Forse da qualche segnale colto senza che se ne rendesse conto.
Passò qualche giorno e ancora nulla da parte di chi l’aveva comprata.
Quale unica compagnia vi erano solo i due schiavi che le portavano cibo e acqua.
Dovevano avere paura di lei, non certo per reazioni fisiche, ma per ciò che avrebbe potuto rappresentare, soprattutto per le attenzioni che, evidentemente, avevano l’ordine di dedicarle.
Entrambi temevano che fosse stata comprata per sostituire uno dei due.
Era evidente il desiderio di farle male, così come era evidente la rabbia trattenuta che, nella lotta con il proprio dovere di eseguire l’ordine, impediva loro di farle male, limitandosi a umiliarla a parole e ad aspettar il minimo segno di inesistente ribellione per torcerle il capezzolo.
Solo dopo un paio di giorni presero un po’ di confidenza con sé stessi e, invece di metterle il cibo in una ciotola, glielo rovesciarono a terra costringendola a mangiare come una bestia mentre la pietanza era vicina ai loro piedi.
Non paghi, sempre col piede gliela spostavano non appena lei cercava di avvicinarsi, ridendo di lei.
In piccole cose che divengono grandi, è possibile prendere coscienza di significative realtà.
Fu così in quel momento, ricevendo denigrazione da coloro che sono nella sua stessa condizione e che trovandosi un gradino più in alto, la schiacciano sotto il loro pur piccolo potere, che si sentì definitivamente sola e privata di ogni pur ridotta speranza, anche se ancora avrebbe dovuto capire a cosa dovesse essere riservata quella speranza.
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