La gladiatrice. 4. Una notte nella villa di Domiziano

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orge


4. Una notte nella villa di Domiziano

Quella mattina ci è concesso riposo, per riprenderci dal combattimento all'anfiteatro e in vista dell'impegno per la serata. La prima parte della giornata la passiamo al circo Massimo a guardare gli allenamenti di altri gladiatori e di cavalli, godendoci il sole e la vita rinnovata.
Chiacchiero con la ragazza dal pelo fulvo mentre mi guardo in giro alla ricerca di erbe profumate per farci belle. Lei mi racconta del suo paese e del suo popolo, caduto sotto le armi romane e privato della sua libertà dopo le campagne vittoriose dell'imperatore e io le racconto della mia terra, un paese così lontano che anche il fisico delle persone che ci vivono è diverso nei tratti somatici e di cui, qui al centro dell'impero, non si conosce nemmeno il nome.
Ma molte piante le conosco e mi lascio attrarre da cespugli di oleandro dai fiori che risplendono di tenui colori dal rosa al fucsia.
Con la scusa di adornarci i capelli raccolgo alcuni rametti in fiore e li sistemo tra le trecce di Siret. Il colore rosa dei petali contrasta con i suoi occhi azzurri e il verde tenero delle foglie con i suoi capelli arancioni. Dio mio da quanto tempo non mi sentivo più così donna!
Poter essere me stessa, riscoprire tratti gentili e dolci e poter essere capita da un essere come me, non solo nel fisico, ma soprattutto nella mente.
Provo per questa ragazza un sentimento di cui mi sorprendo, di cui non pensavo di poter essere capace, un sentimento insolito se rivolto verso una donna. È tutto così nuovo per me e se da una parte, per la conoscenza di questo popolo e della vita in questo impero, posso farmi maestra con la mia compagna, riconosco che nella gestione di questo sentimento così strano e contro natura è Siret che mi guida e mi rassicura.
Le pettino le trecce di questo colore assurdo e così affascinante mentre il sole si rifrange tra i suoi capelli e brilla sulle sue sopracciglia arricchendosi dei riflessi dell'arcobaleno.
Siamo così diverse e così incuriosite da tante differenze tra i nostri corpi e i nostri colori.
Lei è attratta dalla forma dei miei occhi, continua ad avvicinarsi e mi scruta con attenzione, poi si mette a ridere e mi dà una carezza sul viso. Passa il suo dito sulle mie palpebre superiori e ne segue i contorni fino alla radice del naso, poi si guarda le dita e le intreccia con le mie.
“Guarda!” mi dice e mi mostra le nostre mani congiunte. Io la interrogo senza capire.
“Come sono diverse le nostre pelli, donna dai riflessi del sole. Le tue dita e le mie dita, come petali di girasole giallo oro mescolate a petali di rosa canina!”
È vero. Così a stretto contatto con le sue mani di un colore rosa tenue e delicato, si accentua la differenza con la sfumatura giallastra della mia pelle.
Queste diversità così marcate la fanno impazzire dalla gioia e resto affascinata a guardarla danzare tra i cespugli intorno al grande ovale del circo.
Finalmente anche lei può esprimere i suoi sentimenti e la sua femminilità, senza più nascondersi sotto false vesti. Può lasciarsi andare alla sua passione saffica con una donna che la seguirà nei suoi istinti.
E mentre la osservo che gioca con le farfalle penso che me ne sto innamorando e ancora non capisco come tutto questo possa essere successo.
Proprio a me, donna dura e mascolina, donna da combattimento che poco spazio ha lasciato da sempre ai sentimenti femminili.
E la paura si insinua nel mio animo; paura di non riuscire a proteggerla, timore di innamorarmene perdutamente, terrore di perderla in qualche combattimento o perché venduta schiava ad altro padrone o per altri scopi. Un corpo per piacere a un senatore o ricco patrizio, un assortito insieme di membra di cui abusare e da maltrattare a proprio piacimento.
Potrei forse trovarmi troppo debole per garantirne la sopravvivenza, o incapace di regalarle la felicità che desidero per lei.
Ho paura di diventare vulnerabile nei sentimenti, finendo poi per essere indifesa nei combattimenti.
Penso questo e la guardo mentre mi si avvicina e mi sorride mordendosi un dito di una mano.
Si stacca un rametto di oleandro di quelli fioriti che le ho infilato tra i capelli e se lo mette in bocca.
Mi avvento subito su di lei e le strappo il rametto di bocca: “Sputa, stupida!”
Lei mi guarda senza capire e io allora le tiro una treccia e le ripeto l'ordine con voce strozzata.
“Sputa, Siret, sputa, per la miseria!”
Lei ancora mi guarda con un'espressione angosciata, ma io le ficco due dita in bocca e le piego il busto in avanti. “Sputa, per amor del cielo, fai quello che ti dico!” Le ripeto mentre mi guardo in giro per vedere se qualcuno ci sta guardando. Finalmente lei sputa.
“Sputa ancora!”
Lei esegue.
“Ma cosa ti è preso?” Mi chiede con gli occhi coperti di lacrime.
La guardo severa e le mostro il rametto di oleandro che teneva tra le labbra, glielo agito davanti agli occhi.
Ma Quinto ci si avvicina: “Che succede?”
“Nulla di che, Quinto. Questa sciocca ha mangiato troppo stamattina e ora ha mal di pancia.”
Me la trascino via fino a una pozza d'acqua, mi bagno una mano e gliela ficco in bocca, mentre osservo Quinto che si allontana immerso nei suoi pensieri. Siret ancora mi guarda spaventata.
“Questa pianta è velenosa!” La minaccio col rametto di oleandro. “Chi ne mangia muore!”
Lei inizia subito a sputare e sputare, si lava la bocca e le labbra e mi guarda con terrore.
“E perchè mi hai messo una pianta velenosa tra i capelli?” Mi interroga penetrandomi con i suoi occhi celesti.
“Zitta. Ho un piano. Prima di tornare alla cella, riempiamoci i capelli di questi fiori, e tu non dire nulla, capito?”
Lei annuisce e l'incidente sembra chiuso.

Nel primo pomeriggio giunge un cocchiere con una carrozza scoperta, come annunciato dal nostro allenatore. Noi ci bardiamo con il nostro equipaggiamento da combattimento con eccezione delle armi e veniamo trasportate in un lungo viaggio nelle campagne intorno a Roma.
L'uomo che ci accompagna è gentile e anche se ha dovuto incatenarci le mani, durante il percorso sulla via Appia ci racconta dei posti che attraversiamo e della villa in cui andremo, senza però rivelarci il nome del proprietario, senz'altro molto facoltoso.
Per noi è un'opportunità insolita e ci godiamo questo inatteso diversivo ai violenti giochi nell'arena mentre ci avviciniamo alla villa che fu dell'imperatore Domiziano sulle rive del lago Albano. Ormai in vista della costruzione ci vengono incontro dei servitori, ci fanno vestire di tutto punto e ci vengono donate finte armi in legno dalle punte smusse. Un tridente per me e un gladio per Siret. Ci fanno salire su una biga e, guidate da un auriga, facciamo un ingresso trionfale tra le mura della ricca dimora. Questa cosa è molto divertente e tra di noi ci chiediamo se davvero un giorno il nostro destino possa essere quello di finte guerriere per giochi e divertimenti invece dei sanguinosi scontri sotto gli occhi di appassionati assetati di sangue.
In questa bellissima villa arriviamo a un piccolo teatro dove veniamo accolte da un gruppetto di nobili in eleganti toghe. Sembrano quattro coppie di uomini e donne dalle capigliature riccamente addobbate.
Il conducente della biga ci spiega di inscenare un combattimento e di inventarci un finale con scontro corpo a corpo e 'molto sesso', ed enfatizza l'ultimo particolare con eloquenti gesti delle mani.
Va bene, abbiamo capito, e questa cosa in fondo non ci infastidisce neanche troppo, se non per il pensiero che inevitabilmente altri uomini e donne probabilmente vorranno godere dei nostri corpi.
Ma questo è il nostro compito e non possiamo ribellarci.
Schiave siamo e per noi l'unica alternativa è una morte violenta anche se negli ultimi tempi la nostra figura comincia a essere valorizzata: se siamo accompagnate dal successo, la sopravvivenza è salvaguardata, almeno entro certi limiti.
Ma ora non siamo qui a filosofeggiare.
Al centro della scena cominciamo a duellare.
Per noi che abbiamo sfidato la morte in combattimento, è facile inscenare uno scontro anche violento senza in realtà correre alcun rischio.
La mia rete rotea nell'aria e il mio finto tridente si infrange con clamore contro lo scudo di vera foggia della mia finta nemica.
I colpi più violenti strappano esclamazioni di stupore o di entusiasmo.
La rete cade sulla mia avversaria, bardata nel suo ruolo di secutor, ma scivola sull'elmo liscio e senza asperità e cade a terra. Ora è Siret che mi attacca col gladio, me la sua lama smussa si scontra col tridente e le strappo l'arma dalla mano. L'attacco allora col forcone, ma lei para i colpi con lo scudo. Le lancio la mia rete, ma lei l'afferra con la mano e mi trascina a ridosso del suo corpo. Lei lancia lo scudo e io il tridente e presto iniziamo a lottare corpo a corpo.
Lei mi strappa i vestiti di dosso, lasciandomi a seno nudo e mi salta addosso.
Cadiamo tutte e due e ci rotoliamo per terra. Nella lotta le slaccio l'armatura e presto siamo nude una avvinghiata all'altra. I perizomi che ricoprono la nostra nudità vengono presto eliminati e i ricchi senatori possono godersi la scena di due ragazze nude arrotolate in una lotta per la sopravvivenza.
Ogni tanto leviamo lo sguardo verso il pubblico notando che un paio di uomini si sono spogliati delle loro tuniche e sembrano intenzionati a unirsi alla lotta.
Noi due cominciamo allora a baciarci sulle bocce e a strizzarci i seni fra le mani ottenendo acclamazioni di stupore e di approvazione. Mi impossesso del gladio della mia compagna, che trovo a poca distanza da me e, immobilizzata la mia nemica, le spalanco le cosce e le infilo il manico dell'arma direttamente nella fica. Siret inizia a gemere e a divincolarsi e neanche io riesco a distinguere se reciti o se veramente si stia eccitando sotto la mia tortura.
Finchè non mi sento prendere le tette da dietro, una presa forte, a due mani.
Vengo fatta piegare in avanti come una cagna e, mentre continuo a tormentare la vagina della dace, l'uomo mi infila il suo membro tutto dentro la mia apertura.
L'altro nobile si è avvicinata alla ragazza dal pelo rosso, vi si è inginocchiato di fianco e si è fatto prendere la verga tutta nella sua bocca. E mentre io vengo scopata da dietro, la mia amante viene infilata in bocca dal romano e nella fica da me.
Non sono contenta del trattamento che deve subire la donna che ormai comincio ad amare, ma non posso oppormi e dobbiamo continuare per soddisfare i nostri padroni.
Gli altri spettatori si sono spogliati delle loro vesti e si sono aggregati al gruppo.
Un uomo si è sdraiato sotto di me col cazzo dritto. Chi mi scopava da dietro è uscito dal mio corpo dirigendomi a farmi impalare da quello sdraiato, mentre lui, da dietro, me lo infila dritto nel culo.
Vengo così scopata in tutti i miei buchi da due uomini insieme, mentre Siret viene penetrata nella bocca da uno e nella fica da un altro.
Le altre donne si dispongono nel gruppo, a toccarci le tette e baciare le nostre bocche o a farsi toccare dagli uomini.
Io gemo di godimento e per il dolore nel sedere finchè anche il bruciore dietro si trasforma in un piacere di cui mi sento avvampare di vergogna.
Qualcuno ha già eiaculato in faccia alla donna venuta dalla Dacia e qualcun altro dentro di me, ma gli altri continuano la loro ginnastica e noi proseguiamo la sevizie.
Ora vengo fatta piegare tra le cosce di una matrona e inizio a leccarla sulla vulva mentre un altro mi scopa nel culo. Un'altra donna si siede a gambe aperte sul volto di Siret e se la fa leccare. Le altre due donne vengono possedute da uomini che forse non sono neanche i loro mariti, finchè tutti quanti non raggiungono in un modo o nell'altro il loro orgasmo. Probabilmente anche più di uno.
Non posso negare di aver provato piacere anch'io, in certi momenti, ma mi sento avvilita e usata e dentro di me mi brucia la rabbia di aver dovuto sopportare l'umiliazione che ha subito Siret.
Ma siamo schiave e non dobbiamo scordarlo. E ho già subito simili trattamenti, anche se ora li tollero meno.
Uomini e donne si sollevano dai nostri corpi e si allontanano soddisfatti riprendendo le loro vesti e chiacchierando affabilmente.
Io mi metto in ginocchio e osservo il corpo di Siret, la sua pelle chiara, i suoi seni dolci.
La donna che amo è sporca di sperma e di sabbia. I suoi capelli rossi imbrattati di vischio lattescente, i suoi seni arrossati per i morsi e gli schiaffi subiti.
Un dolore mi prende dentro il petto, con una voglia incontenibile di piangere, ma lei si alza e mi sorride, mi prende per mano e mi bacia sulle labbra.
“Non essere cupa, non indignarti per me, Keiko.” Mi dice indovinando i miei pensieri e il mio dolore. “Tu mi hai salvato la vita e io ti sono debitrice.”
Lungi dall'avermi consolata, sento che sto per scoppiare a piangere, ma mi copro il volto con una mano.
Lei mi si avvicina e mi abbraccia. “Non preoccuparti, gladiatrice. È meglio questo combattimento che rischiare di morire per filo di spada, e al tuo fianco posso sopportare qualunque umiliazione.”
Mi prende il mento con la sua mano e mi guarda negli occhi sorridendomi.
Ma il tempo non ci appartiene; alcuni servitori ci porgono le nostre tuniche e ci invitano a seguirli alle terme.
Mentre i patrizi si dedicheranno alla loro cena, noi saremo lavate e profumate da schiave esperte per prepararci alla seconda parte della serata.
Quella che Domiziano fece ampliare e abbellire è veramente una splendida villa, come mai ne ho viste neanche nella città di Roma.
Per la prima volta ho l'occasione di immergermi in una vasca termale, dopo averne tanto sentito parlare.
Dimentico il doloroso trattamento subito nel piccolo teatro e, nuda di fianco al corpo nudo di Siret, lasciamo vagare i nostri sguardi sui nostri corpi senza veli accuditi da schiave che ci lavano e ci profumano il corpo e i capelli con aromi giunti da terre lontane.
Le schiave sono giovani e molto rispettose nei nostri riguardi. Probabilmente ai loro occhi siamo due personaggi speciali, due rarità.
Donne forte e determinate, abituate al combattimento e alla lotta. Gladiatrici che hanno vinto duelli, infliggendo sconfitte e morte a nemici forti e rispettati.
Usciamo dalle vasche e osserviamo i nostri corpi nudi e fumanti di vapore nell'aria fresca di collina nella sera ormai inoltrata.
Ora io e Siret siamo solo due donne. Due corpi splendidi e ben formati. Seni generosi e vita stretta, capelli lunghi e sensuali. Neri come il carbone i miei, lunghi sulle spalle; rossi come il fuoco i suoi, ora raccolti nelle trecce tipiche del suo popolo.
Ammiro i suoi seni pallidi vicino ai miei dalla pelle più olivastra, quei suoi capezzoli chiari e invitanti come petali di rosa. Contemplo i peli rossi del suo pube, quel ciuffo riccio e infeltrito, quasi impenetrabile e lo confronto con i miei peli neri e dritti, molto più circoscritti alla base del mio ventre glabro.
Le schiave ci coprono di unguenti, con carezze volutamente provocanti per eccitarci e prepararci al piacere dei ricchi padroni.
Queste ragazze sembrano ben addestrate per donare piacere ad altre donne e con baci sui nostri seni e massaggi con le loro mani calde sulle schiene e sui ventri, con allunghi tra i nostri peli e tra le nostre cosce, ci portano a un livello di eccitazione quasi insostenibile. Siret si concede un piccolo orgasmo, ma forse questo era solo un incidente di percorso, dovuto al suo corpo e al suo pelo rosso che devono aver ispirato una attenzione particolare da parte di una giovane schiava. Ci danno da mangiare alcuni pezzi di carne arrostita in rosmarino e alloro e alcuni grappoli d'uva, ma il desco è contenuto. Ora dobbiamo guadagnare la serata e con essa il rispetto nostro e del nostro proprietario là nella capitale dell'impero.
Vestite di leggere tuniche quasi trasparenti e molto corte, che ci lasciano scoperte le spalle e che a malapena nascondono il nostro seno e il nostro pelo, senza alcun indumento tra gli inguini, veniamo condotte nelle stanze da letto.
L'aria della sera è fresca e piacevole e si sente forte il canto dei grilli. A tratti sembra di sentire la brezza che si carica dei profumi del lago, che non vediamo, nascosto nell'oscurità, ma che pensiamo molto vicino.
Veniamo fatte adagiare su morbide coltri in cui già si trovano le quattro donne, tutte abbastanza in carne e non più giovani.
Queste ci accolgono a braccia aperte, ci invitano sui loro corpi e iniziano a esplorarci con le loro mani. Le carezze scivolano sui nostri seni, sui nostri corpi. Si insinuano tra le nostre pieghe, si inoltrano tra le cosce. Le mani avide delle donne opulente si saziano dei nostri contorni giovani e atletici, dei nostri profili formosi.
Io e Siret siamo donne straniere, di fattezze e caratteristiche particolari, venute da paesi lontani.
Le dita delle matrone giocano con i peli delle nostre fiche, si avviluppano nei nostri capelli.
E presto ci ritroviamo bocche e lingue a leccarci nella femminilità più intima.
Noi stesse veniamo condotte a baciare, toccare, accarezzare e leccare lingue e bocche, tette, culi e fiche, fontane copiose di umori femminili, calde di vapori, sature di sentori di eccitazione.
Cominciamo a collezionare urla e orgasmi, spasimi e contrazioni di queste donne dell'alta società che di notte si concedono abbondanti abbuffate di sesso con giovani schiave, senza freni e inibizioni, un po' grasse e molto sconce.
Queste donne possedute da demoni che urlano e strizzano tette e corpi, si contorcono in orgasmi e gemiti, mordono e sbavano, infilano le dita in culi e fiche e sembrano insaziabili.
Io e la mia compagna passiamo di mano in mano, di lingua in lingua e mentre affondiamo la faccia tra tette e cosce sudate, sentiamo avvicinarsi il quartetto degli uomini.
I senatori, deliziati dalla vista delle loro amanti, mogli e compagne, nude in orge oscene a farsi scopare da due ragazze schiave, a sbattersi tra donne e colate di liquidi vaginali, eccitati e a cazzo dritto, prendono parte al banchetto di buchi e di membra di donne.
Con i membri eretti si spingono nelle bocche nostre e loro, indagano ogni buco e ogni anfratto, si inculano a vicenda e ci inondano di fontane di sperma.
E ancora mangiano e si strafogano, vomitano e si riprendono, e si sfondano di pratiche anali, orali e vaginali, per poi finire in una commistione di membra, ventri, volti esausti e capelli impiastricciati.
Braccia, culi, cosce e tette a russare beatamente, spiaccicati e spalmati, compenetrati a due ragazze compiacenti e succubi.
Al completo soddisfacimento degli augusti piaceri patrizi, io e la donna rossa veniamo riaccompagnate ai bagni, dove ci laviamo con acqua fredda e senza schiume profumate e ci rivestiamo delle nostre tuniche.
A gambe larghe per il dolore anale dopo le tante penetrazioni, zoppicando per il bruciore vaginale, ci sdraiamo in una camera a due letti per riposare qualche ora prima di essere ricondotte al ludus Dacicus.
Siret viene però nel mio letto e si accoccola tra le mie braccia.
Piange mentre la accarezzo tra i capelli e finalmente si addormenta cullata dai miei baci.
Io mi mordo le labbra per non far sfuggire le lacrime, penso a suoni di musiche orientali e a quando e se mai saremo un giorno libere di vivere insieme il nostro amore e mai più schiave.

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2022-12-02
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