Offerta agli ospiti (parte 3)

Scritto da , il 2022-08-15, genere sadomaso

Gli ospiti volevano godere. L’eccitazione era alta.
Non erano ancora soddisfatti dall’umiliazione, la volevano ancora più giù, non solo nell’anima ma anche nel corpo, sottomessa, a terra.

Arianna si sentì abbassare le catene che le tenevano i polsi verso l’alto.
Non le vennero staccate le polsiere, solo veniva meno la tensione verso l’alto.
Non aveva speranze o, meglio, timori di liberazione.
Era evidente che le stavano solo facendo cambiare posizione. Le cavigliere no, erano sempre tenute ferme a terra, dalla corta catena che le imprigionava le gambe tenute larghe.
La cecità e la semi sordità le stavano dando una sensazione particolare nel momento in cui la sua collocazione nello spazio, benché costretta, veniva cambiata.
Quella variazione, affidandosi solo al senso dell’equilibrio, la fece sentire ancora più esposta, in balia.
Era sicuramente la mano di una donna quella che, standole davanti, le prese i capelli e la spinse verso terra.
Non c’era bisogno che le spiegasse cosa voleva. Era evidente che si doveva inginocchiare, prostrare davanti alla loro eccitazione e desiderio di dominio. Percepiva anche il respiro della sua ignota aguzzina. Lo sentiva con la frequenza dell’eccitazione, quella che la mano ferma, e desiderosa della sua sottomissione, le trasmetteva ai capelli, tirando più del necessario, per farle sentire dolore ed il suo potere su di lei.
Stava abbassando le ginocchia portando il suo orgoglio verso l’altezza dell’umiliazione che l’avrebbe eccitata.
Non se lo aspettava, concentrata nel mantenere l’equilibrio, e fu colta di sorpresa dall’ulteriore colpo di scudiscio. Altra scarica che le fece abbassare di colpo le ginocchia a terra.
Altre risate, risate eccitate, piene di desiderio, di voglia.
Quando le ginocchia furono a terra, mentre proseguiva il percorso del capo verso il livello dei piedi altrui, sporse in fuori ulteriormente il culo, per eccitare, richiamare, sfidare, far vedere a quegli stronzi che non le avevano fatto male, cioè sì, aveva male, lo sapeva lei, lo sapevano loro, ma dovevano sapere che quel male era piacere.
Fu premiata o punita. Fatto sta che le arrivarono altri due colpi che la fecero scuotere e contorcere e offrire ancora.

La Padrona-aguzzina aveva provato una eccitazione fortissima nel vedere frustata una donna alla quale lei stessa stava tenendo la testa per i capelli per spingerla a terra, ai suoi piedi, per l’offerta del suo sesso.
Mancavano ancora troppi centimetri per la sua totale esposizione ma non voleva abbassarsi lei. Anzi, voleva accompagnarla in quell’ultimo tratto con un'ulteriore umiliazione.
Le mise una scarpa sui bei capelli, ormai tutti spettinati e scomposti, che davano alla preda quel qualcosa di selvaggio che eccitava ulteriormente.
Le mise la scarpa sulla testa e la spinse giù, a terra, ai piedi di tutti ma sotto il suo.
Schiacciò a terra più del necessario. Voleva che sentisse la sua scarpa sul suo capo, che sentisse la sua posizione, che sapesse che i suoi bei capelli, tanto curati all'inizio della serata, ora erano il tappeto di una donna a lei ignota, una donna che sapeva di conoscere ma non chi fosse.
La Padrona la tenne ancora la scarpa sulla testa mentre gli altri finivano di sistemare la cagna.
Aveva in mano un bicchiere pieno di champagne, fresco, anzi, freddo, anch’esso eccitante perché alimentava il contrasto con la schiava a terra, sotto la sua scarpa.

Arianna sentiva male alla fronte, schiacciata a terra dalla scarpa della sua dominatrice. Sapeva che la sua posizione non era ancora quella definitiva. Sentiva i suoi aguzzini che armeggiavano e le liberavano un polso dalle catene.
Non capiva, assorbita dalla sua eccitazione, dalla sottomissione che aveva sempre il potere di scatenare in lei quelle emozioni contrastanti, forti, fortissime e delle quali non poteva fare a meno, se non cullarle, stimolarle, alimentarle con il suo compagno e poi dar loro corpo.
Si sentì legare il collare a terra. Non poteva provare ad alzare la testa perché ancora tenuta giù da quella donna che la schiacciava inutilmente per tenerla, utilmente per eccitarsi ed eccitarla.
Si sentì portare le braccia dietro la schiena ed i polsi uniti.
Sentì rimettere la polsiera. Cercò di muoversi, un tentativo di ribellione il cui unico scopo era quello di confermare a lei la sua schiavitù, perchè costretta e tenuta ferma.
Sentì dolore ma, ormai, era ad un punto in cui il dolore, la posizione costretta, umiliata, incatenata come una bestia a terra, aveva il solo effetto di eccitarla, bagnarla, desiderare sempre più di essere presa, scopata, usata, finalmente riempita del desiderio altrui che soddisfaceva il suo.
La alzarono le braccia dietro la schiena, mentre era sempre con le ginocchia a terra, prostrata, offerta.
Si era accorta che le avevano tolto le pinzette dai capezzoli solo quando la questi cominciarono a farle male per la circolazione che riprendeva.
Le venne tolta la benda, ma non i tappi nelle orecchie.
Non c’era rischio che potesse riconoscere qualcuno. La testa era troppo bassa, a livello del pavimento, al livello dei piedi altrui, di quelle persone vestite.
Poteva vedere le belle scarpe delle due donne. Ecco, aveva intuito bene, erano due.
Vedeva le scarpe e si stupì nell'apprezzarne la fattura, le vene quasi da ridere per questo suo pensiero. Cercò di alzare la testa ma la catena al collare, infissa a terra, era cortissima, qualche centimetro e non le consentiva di alzare ulteriormente il capo.
Capì il motivo dei pochi centimetri che le consentivano di tenere alzato poco il capo solo quando una donna le mise la scarpa davanti alla bocca.
Doveva leccarla.
Sentì un suono ovattato. Aveva il tono dell’ordine imperioso. Non capì la parola ma la intuì.
Così iniziò a leccare quella scarpa, testimone della sua ulteriore umiliazione.
Vedeva le scarpe e le caviglie dell’altra aguzzina, vicino ai suoi occhi. Intuiva che anche lei avrebbe voluto godersi lo spettacolo e l’umiliazione di lei ridotta a leccascarpe.
Riusciva stranamente a sentire il tintinnio dei bicchieri delle due donne davanti alle quali era prostrata ed alle quali stava pulendo le scarpe con la lingua.
Stavano brindando di lei, per lei, sopra lei.
Rumore di liquido. Non capì subito, intenta nella sua umiliante operazione. Se ne rese conto quando lo vide a terra e gli schizzi le colpirono il viso a terra.
Stronze.
Le stavano gettando a terra un poco di champagne, quello che loro stavano bevendo davanti alla sua umiliazione.
Espose il culo.
Voleva sentire dentro di sé il cazzo maschile. Ne aveva voglia.
Fu accontentata, quando sentì un uomo abbassarsi su di lei per penetrarla, scoparla.
L’uomo era rimasto in piedi, abbassandosi sulle gambe senza posare le ginocchia a terra.
Appena appena poteva vedere che era ancora vestito, almeno aveva i pantaloni. Intuì che si era solo slacciato i calzoni e, chinato su di lei, la stava prendendo come una cagna, scopandola, tenendola per i fianchi.
La stringeva con le mani, in maniera forte. In parte per l’equilibrio, ma, principalmente, per stringerla e farle sentire il suo potere su di lei, mentre la scopava con forza, spinto dall’eccitazione maturata in quei minuti, ore, giorni. Si rese conto che aveva perso la cognizione del tempo. Non sapeva da quanto era lì.
Il Padrone spingeva, la riempiva, la eccitava. Venne presa dal piacere quando, poco prima dell'uomo, ebbe l’orgasmo, subito dopo che le aguzzine davanti a lei si erano date il cambio, costringendola ora a leccare le scarpe di quella che era rimasta in attesa.
Si accorsero del suo orgasmo e ne risero. La volevano umiliare, farle capire come si divertivano della sua umiliazione e di come potesse godere in quella posizione.
Questo la eccitò ulteriormente. Le piaceva essere degradata.
L’uomo le venne sulla schiena, spruzzando il piacere frutto della sua umiliazione. Quell’orgasmo maschile le apparteneva, era suo, lo sapeva, le piaceva, le dava piacere averlo portato all’orgasmo, avere procurato eccitazione con il suo corpo umiliato.

L’altro uomo aveva il cazzo duro. Anche lui non si era abbassato i pantaloni, volendola prendere come una cagna.
La vedeva a terra, ai suoi piedi mentre stava leccando la scarpa di sua moglie. Si erano accordati in quel senso. Mentre un uomo la scopava, la schiava avrebbe dovuto leccare la scarpa della moglie.
Così anche per loro.
Si abbassò ma volle soddisfare un piacere diverso da chi lo aveva preceduto, un piacere che la moglie non gli concedeva ma che sapeva che si prendeva altrove, come quella sera, con quella schiava, con quella cagna.
Il suo cazzo era lubrificato ma trovò bagnato anche il culo della schiava, che penetrò senza fatica, spingendo forte non riuscendo più a trattenere il piacere.
Non ci volle molto perché arrivasse l’orgasmo liberatorio, spinto anche dalla moglie che si era tolta la scarpa e aveva infilato il piede nella bocca di quella donna a terra a loro disposizione.
Le godette dentro. Voleva lasciare la sua firma, il suo marchio. Voleva che si sentisse bagnata del suo piacere.

Arianna sentì lo sperma dell’uomo nel suo culo nel momento in cui quella donna, stronza, le spinse il più possibile il piede in bocca.
Fu presa dalla tosse e il piede le venne tolto, ma solo per farle prendere altra posizione.
Lo sapeva, lo intuiva. Non avrebbe potuto essere altrimenti.
Avevano goduto i due uomini. Mancavano le Padrone.
Si vide rimettere la benda, ritornare nella cecità e, subito, i sensi si acuirono per compensare il buio.
Sentì muovere un mobile, pareva una sedia. Forse, non capiva. La sentì vicino, davanti a lei.
Le sganciarono il collare da terra e la tirarono con la catena verso l’alto tirandole le braccia ancora incatenate dietro alla schiena. Dovette alzarsi. Fu costretta ad alzarsi.
Una mano tra i capelli, stretta, le fece capire quando fermarsi. Era scomoda. Molto scomoda.
Era sulle ginocchia. Il busto parallelo al pavimento. Faceva leva sulla schiena. Ogni tanto, per riposare, si appoggiava sulle braccia tenute tese dietro la schiena, che le procuravano dolore.
Si sentiva in gabbia. Aveva quella sensazione. Animale in gabbia, la cui prigionia era offerta per il piacere. Sentì muoversi davanti a lei. Una persona si stava sistemando.
Capì. Sì, quel mobile spostato era una sedia.
La Padrona si era seduta ed ora aveva la sua testa tra le cosce.
Non ci fu bisogno di ordine.
Avrebbe dovuto leccarle la figa, offrendo lo spettacolo della sua posizione scomoda.
Questa la spinse ad impegnarsi maggiormente con la lingua per dare piacere.
Lo provò anche lei, molto, finché non sentì godere la Padrona e non sentì che si spostava, per lasciare posto ad altre cosce nelle quali immerse la testa, per fare uscire nuovamente la lingua.


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