En Vau (seconda parte)

Scritto da , il 2022-07-07, genere saffico

Cerco di farle intendere che ho perso la canoa. Con la sua capacità di nuotare forse potrebbe aiutarmi, ma è davvero impossibile farmi capire.
Le accarezzo una spalla lasciando scivolare la mano lungo il suo braccio snello. Lei mi sorride e io rispondo con lo stesso gesto. Qualcosa finalmente ci unisce, gesti di ancestrale memoria, quando donne e sirene avevano un antenato comune.
Un'inaspettata intesa; qualcosa riusciamo, a gesti, a comunicarci, anche solo un sentimento intimo. Le prendo una mano, me la porto alla bocca e la bacio, appoggiando leggermente le mia labbra su quella pelle liscia e leggermente viscida.
Lei mi guarda incuriosita, mi prende una mano fra le sue e ripete, su imitazione, il bacio che ha ricevuto. Al tocco delle sue labbra vengo invasa da una strana eccitazione.
Io e lei, da sole, al limitare di questa insenatura dai contorni fiabeschi, con queste acque da sogno, e ora la sensazione delle sua labbra sulla mia pelle e della sua superficie sotto ai miei baci.
Le parlo, ma lei non capisce. Forse intuisce soltanto la gentilezza del mio timbro vocale e mi sorride con uno sguardo che esprime intima dolcezza.
Quante cose abbiamo in comune io e questo essere, che ancora né io né lei comprendiamo? Al di là del modo di esprimersi a voce o con suoni incomprensibili, e del significato dei gesti di due mondi così lontani?
Mi viene voglia di scoprire, di sapere di più di questa ragazza pesce. Il suo volto mi attira, il suo corpo mi eccita. O almeno la parte che emerge dall'acqua, questa sorprendente somiglianza di questa metà dei nostri corpi.
La tentazione di toccarle il seno mi vince e mi fa schiava.
E che ci sarà mai di male? Mi chiedo mentre mi lascio possedere dal desiderio e le sfioro il petto.
Lei ha come un fremito. Forse le sensazioni che prova lei sono le stesse che provo io?
Sorride seguendo la mia mano che indugia trattenendo una sua mammella tra le mie dita, mentre le sollevo la morbida rotondità, soppesandola.
Lei, di rimando tocca il mio, di seno.
Si incuriosisce per il costume che lo copre, me lo studia, ne segue i contorni infilando un dito sotto la stoffa e ogni volta che mi sfiora i capezzoli sento l'eccitazione crescere.
Si starà chiedendo cosa sia questo velo colorato che copre un petto così simile al suo.
Alla fine lo sposta per vedere come sono fatte le mie tette.
Con timore. Prima una coppa, poi l'altra.
Mi guarda, timorosa, per vedere se il suo gesto mi ha fatto del male, temendo forse che il costume sia parte della mia pelle, ma mi vede sorridere. Chissà se riesce a intuire quanto io sia eccitata. Sentirà l'odore della mia pelle, dei liquidi che tra le gambe mi si stanno sciogliendo nell'acqua di mare che separa i nostri corpi?
Marina confronta le mie tette alle sue. Me le tocca e tocca le sue per paragonare la consistenza. La incuriosisce il colore scuro dei miei capezzoli, mentre i suoi sono rosa chiari.
Allora anche io le tocco il seno, con una carezza appena accennata, e con sorpresa, quando le sfioro la pelle sotto la convessità inferiore delle soffici escrescenze, colgo la sua espressione di eccitazione e godimento. Una smorfia universale, come il suo respiro che si blocca a metà quando le strofino un capezzolo tra pollice e indice.
La ragazza sta godendo delle mie carezze e capisce quanto mi facciano piacere le sue.
Mi avvicino al suo corpo galleggiante e la cingo con le braccia.
Lei dapprima mi guarda un po' preoccupata, ma quando con le dita le sfioro la schiena in carezze vellutate, lei si lascia nuovamente andare a un sospiro di piacere e con le sue braccia avvolge il mio corpo.
Mi avvicino a lei; sento sotto di me i movimenti della sua pinna che la fa galleggiare senza fatica, mentre io comincio a sentire un po' i postumi degli sforzi prolungati in un ambiente che per me non è così naturale.
La avvolgo con le mie gambe e il mio pube entra in contatto con quella zona del suo corpo che è già ricoperta di squame argentee.
Il contatto della mia vulva con la sua pelle, cui cerco di aderire con il maggior contatto, mi strappa un sospiro di piacere che non riesco a trattenere.
Già eccitata come sono, sentire il suo corpo affusolato tra le cosce proprio a contatto con le mie parti più sensibili mi riempie di una carica erotica che fatico a controllare.
Lei si incuriosisce a vedere le mie due gambe avvolgerla. Di nuovo manifesta un velo di preoccupazione, come se con i miei tentacoli cercassi di catturarla, ma io le stringo dolcemente le braccia attorno al collo, portando il suo petto contro al mio, mi avvicino alla sua bocca e cerco di baciarla.
Le mie labbra aderiscono alle sue, ma lei, senza capire, cerca ancora di farmi respirare, come accadeva poco fa sott'acqua.
Insieme ridiamo, intuendo, entrambe, l'equivoco.
Mi guarda con curiosità e ancora sorride di fronte al mio sguardo che si fa dolce e mieloso, ai miei occhi che, assottigliando le palpebre, stanno cercando di sedurla.
La paura di fronte ai mie gesti inconsueti, ai miei arti inferiori così inspiegabilmente diversi rispetto alla sua coda da pesce, sta gradualmente lasciando il posto alla curiosità e forse a un inizio di eccitazione che, da donna, cerco di indovinare nei suoi gesti e nelle sue espressioni.
Con più calma riprovo a baciarla; le lecco le labbra, poi il collo e capisco che anche lei inizia a godere. Mi riavvicino alla sua bocca e schiudo le labbra, sporgo la lingua e lei sporge la sua.
È rosa e appuntita, decisamente più lunga della mia.
Ora è lei che mi legga il volto, come forse fanno già, anche coi loro cuccioli.
Io le vengo incontro e le nostre lingue si toccano.
Lei ride senza capire, forse le sembrerà tutto così strano, ma quando le prendo in mano un seno accarezzandolo delicatamente e mi avvicino per unire le nostre labbra, Marina impara subito cosa sia l'eccitazione femminile e ci abbandoniamo in un bacio infinito.
Ripetendo i miei gesti anche lei mi accarezza il seno; la sua lingua è lunga e finemente ruvida, in altri punti scivolosa, ben più fredda della mia.
Fa un po' impressione questa fresca appendice che, nella mia bocca, insegue e accarezza la mia lingua, quel sapore di mare, di ostrica, delicato e piacevole, e cerco di immaginare cosa stia pensando la sirena, con questo tozzo muscolo caldo che la cerca e la insegue dentro alla sua bocca.
E quando, lasciata la stretta delle ginocchia, affondo una mano sotto il suo ventre per cercare un'apertura fra le gambe che non trovo, quella mi guarda stupita.
Santo cielo, sto morendo di eccitazione. Ho una gran voglia di toccarla e di sentire la sua mano esplorarmi tra le cosce e solo ora mi ritorna in mente di quanto siamo diverse dalla cintola in giù Come cavolo faranno ad accoppiarsi questi animali che nella parte di sopra sono così simili a noi?
Le parlo facendo finta che lei capisca, mi viene istintivo e non riesco a farne a meno.
Tenendomi a galla, abbracciata al suo collo, mi distanzio un poco da lei per indirizzare la sua attenzione a come sono fatta io.
Sotto la superficie del mare la sua coda argentata brilla di riflessi come lampi nelle profondità blu cobalto. A Marina basta qualche piccolo movimento per galleggiare e io approfitto per tenermi in superficie senza faticare.
Faccio galleggiare le mie gambe invitandola a vedere come sono fatta e ciò che ci distingue.
Anche lei sembra essere presa da una curiosità incontenibile.
Se per qualche motivo o per qualche regola i nostri due mondi sono rimasti separati, intuisco che almeno da lontano le sirene abbiano già visto prima d'ora un essere umano e che adesso, da così vicine, l'essere cui sto ancorata stia morendo di interesse per scoprire cosa ci differenzia.
Se volto, braccia, capelli e persino il seno sono molto somiglianti e, lo abbiamo sperimentato insieme, funzionano nello stesso modo, almeno per quanto riguarda l'eccitazione sessuale, da sotto l'ombelico le cose cambiano un poco.
Ma qui, dove non tocco, in un ambiente che non è il mio, ulteriori moti di conoscenza anatomica e culturale risultano abbastanza problematici e anche Marina, intuisco, è arrivata alla stessa conclusione.
Il suo interesse per guardarmi, toccarmi e studiarmi sotto all'ombelico ormai è incontenibile, ma richiede di prendersi un po' di tempo all'aria aperta.
Marina ha scoperto che sotto il reggiseno fucsia si nascondeva un petto identico al suo e ora è curiosa di verificare cosa si trova sotto allo slip dello stesso colore, eppure all'origine di due gambe che per lei rappresentano un immenso mistero.
Mi prende per mano con decisione e inizia a nuotare trascinandomi come una campionessa di sci nautico. Resto affascinata dalla potenza di questa pesciona che con pochi colpi di pinna e solo un vago movimento delle braccia per stabilire la traiettoria, è in grado di sviluppare una velocità impensabile per un essere umano.
Mi porta su una spiaggetta isolata poco fuori dalla baia di En Vau. A occhio dovremmo essere sotto le pareti di Devenson, una zona di rocce a picco e completa inaccessibilità da terra.
Sperimentiamo situazioni indescrivibili.
Se in mare aperto Marina è nel suo ambiente naturale e padroneggia perfettamente la situazione, al momento di avvicinarsi a riva, quando io comincio a toccare, la povera sirena inizia a dimenarsi goffamente. Sbatte la coda senza riuscire più a muoversi così agevolmente e, mentre io mi sollevo sulle gambe, lei giace a riva annaspando sotto di me, come un povero pesce rimasto arenato.
E in effetti è esattamente così.
La situazione si è completamente ribaltata e ora è lei che mi tende una mano per essere aiutata e trascinata a riva.
Ma io non voglio arrivare all'asciutto, metterei questa splendida ragazza in estremo disagio e vulnerabilità, e conciliamo di fermarci dove l'acqua è abbastanza bassa perché io resti sdraiata di fianco a lei, ma con il mio corpo all'aria e accessibile alla sua curiosità.
Mi sgranchisco, però, le gambe, rimaste in acqua e nello sforzo del nuoto per troppo tempo.
Mi bilancio sui due piedi, perfettamente padrona della gravità, sotto gli occhi increduli della mia amica che, guardando ora le mie gambe e ora la sua pinna, cerca di capire come io riesca a stare dritta in piedi mentre i suoi tentativi di emulazione naufragano inesorabilmente.
La sirena punta la pinna e si spinge con le braccia, solleva il busto e cerca di reggersi, ma la sua appendice è malamente inadeguata e il corpo ricade in acqua a ogni tentativo.
Mi tende le braccia e cerco di aiutarla, ma alla fine si arrende anche lei all'evidenza dei fatti e, una volta dato sfoggio delle mie abilità pedestri, finalmente mi riavvicino a lei e mi metto in ginocchio al suo fianco perchè possa studiare la mia strana anatomia, appagando la sua curiosità.
Innanzitutto mi sposta il reggiseno perchè il mio petto ricompaia, vicino al suo, come a rimarcare le caratteristiche già assodate che ci uniscono.
Io me lo slaccio e lo tolgo, gettandolo sulla spiaccia, tra gemiti di stupore della ragazza pesce.
Inarco un poco la schiena e porgo le tette di cui sono discretamente orgogliosa.
Il freddo ha fatto contrarre i capezzoli, ma soprattutto è l'eccitazione che ha ricominciato a impadronirsi delle mie reazioni.
Marina verifica che il mio ombelico è del tutto simile al suo.
“Sì”, concludo io ad alta voce, “siamo state tutte e due attaccate a un cordone ombelicale.”
Lei mi guarda senza capire e scoppia in una risata, con quei suoni da delfino che non riesco a definire.
Poi articola altri suoni, dei gemiti, come dei lamenti. Intuisco che mi stia a sua volta parlando, ma proprio non ci capiamo.
La interrompo e le indico la sua parte di corpo sotto all'ombelico.
Allungo una mano per indagare se ci sia qualche segno di un'entrata all'interno della barriera di squame, un pertugio, anche solo un'insenatura che serva per l'accoppiamento come capita per noi donne.
Scaccio dalla mente l'idea di un essere marino monosessuato. Sono convinta che debba esistere una controparte maschile, che questo essere sia una femmina, necessariamente molto simile a noi mammiferi e che per forza debba accoppiarsi anche lei con un atto di penetrazione.
E proprio dove Marina possa essere penetrata sarà l'oggetto delle mie prossime attenzioni.
La mia mano scivola sulla sua superficie ittica, lungo un'uniforme e liscia distesa di viscide squame, ma, con delusione, le mie dita non incontrano alcuna insenatura, anche insistendo là dove immagino che la ragazza abbia la vulva.
La sirena osserva senza capire la mia espressione di disappunto.
Improvvisamente ho una felice intuizione.
“Marina, eccomi, guardami; guarda come sono fatta io. Tra le gambe, intendo!”
E così facendo allargo i miei arti inferiori invitandola a studiarmi.
Sotto il costume il mio monte di Venere sporge invitante, convogliando le linee dei miei inguini verso la mia vulva. L'organo che ora voglio che Marina scopra e studi, per indicarmi come è fatta lei.
Lei mi guarda interessata. In qualche modo deve aver capito il mio intento.
Allunga la sua mano e mi accarezza i fianchi che si allargano dalla vita. Le nostre curve lombari sono magicamente simili, ma mentre il mio corpo si divide in due, racchiudendo la zona del massimo piacere e della riproduzione, il suo sembra sigillato e inaccessibile.
Ora la bionda creatura sembra interessata al mio monte di Venere. Lo tocca, ne apprezza la soffice consistenza, guarda la sua parte di corpo sotto all'ombelico senza trovare un'analoga struttura.
Ancora mi sfiora il pube e quando mi sente gemere e vede il mio ventre scosso da un sussulto, si ferma incuriosita.
Poi mi sorride, con un'espressione dolcissima.
Forse ha capito che cosa mi ha fatto provare.
Si rafforza la mia convinzione che i sospiri, le scosse e i gemiti di piacere che posso esprimere io, quando il mio corpo viene accarezzato, ricalchino lo stesso modo di manifestare il piacere sessuale delle sirene.
Ancora mi sfiora il pube, ma stavolta fissandomi negli occhi.
Ancora sospiro e protendo il pube verso le sue carezze.
Marina ci prende gusto e inizia a spingersi nello spazio che ho tra le gambe, continente a lei del tutto sconosciuto.
Stavolta è un gemito che non riesco a trattenere. Un fiotto di liquido mi irriga le grandi labbra, ma attraverso il costume già bagnato, la sirena non si accorge di questa mia reazione fisiologica.
Mi sta ritornando un'eccitazione che non riesco a contenere. Eppure vorrei che questa ragazza godesse insieme a me, vorrei capire come poterla accarezzare nelle sue zone erogene.
Le prendo la mano e la reindirizzo sul mio pube. Un invito a spostarmi il costume.
Lei non capisce, e allora sono io che mi tiro l'elastico degli slip e dirigo le sue dita verso i miei peli.
Appena la sirena avverte la consistenza del mio vello, che contrasta con la liscia superficie del ventre, viene colta da rinnovata curiosità anatomica.
Mi abbassa la mutandina ed emette un suono che immagino di stupore, nello scoprire la mia pelle chiara coperta di peli neri.
Li tocca, ci infila le dita e poi li confronta con i suoi capelli, prima, e poi con i miei.
Mi dice qualcosa con un'espressione che sembra proprio interrogativa, o forse sono io che la reputo così. Immagino mi chieda cosa sono, cosa ci fanno lì quelle specie di capelli così fuori luogo e perchè proprio lì.
Io sorrido senza rispondere, ma riprendo la sua mano e me la porto ancora a giocare sul mio pube.
Anzi per far capire il mio apprezzamento, mi sfilo un poco il costume invitandola a proseguire le sue indagini.
Lei prende il bordo del costume e lo abbassa ancora, dove i peli e le pieghe convergono verso il vestibolo dei miei centri del piacere.
Incontra le morbide pieghe delle grandi labbra, le tasta, le sente morbide e gonfie e poi torna a fissare il mio volto che ormai sta palesando le sensazioni che mi provocano quelle dita indaffarate sulla mia vulva.
Ora Marina sembra aver capito tutto.
Lascia scivolare le dita nel calore bagnato della mio vestibolo, ci si infila dentro mentre io, con una scossa, contraggo l'addome e stringo le gambe per bloccare la sua mano dentro di me.
Ho avuto un piccolo orgasmo, e quando, pochi secondi dopo, rilascio le gambe, la sirena solleva le sue dita da dentro di me, con un filamento di lucida bava vaginale.
Lo annusa, sembra riconoscerlo, lo assaggia. Io intanto sto morendo di eccitazione nel vedere questa ragazza dalle forme stupende che si mette in bocca le dita bagnate dalla mia figa.
Marina si guarda il ventre. Forse sta cercando di farmi capire come funzionano i suoi genitali, che non ho ancora capito dove nasconda.
E se tutto fosse dietro? Se la penetrazione avvenisse dal retro?
Lei mi guarda ancora, sembra presa dal desiderio. Sono convinta che abbia riconosciuto il mio orgasmo e qualcosa della mia fisiologia che sia simile alla sua. Forse l'odore, o il sapore.
Certo che questi animali marini, in mezzo all'acqua, perderanno umori e odori, ma può darsi che l'accoppiamento avvenga all'asciutto.
Devo smettere di fare ipotesi scientifiche.
Desidero questa ragazza. Voglio farla godere e voglio che lei mi porti all'estasi, insieme.
La giovane allunga le mani verso le mie cosce.
Per agevolarla alzo il sedere e mi sfilo il costume, mostrandomi a lei nella mia completa nudità, così come lei è di fatto completamente nuda sotto ai miei occhi.
Lei segue i movimenti delle mie mani lungo le mie cosce, perdendosi ad ammirare i miei piedi.
Li ha tenuti stretti poco fa, quando mi reggeva nei miei sforzi per liberarla, ma adesso li apprezza, li studia, li contempla. Forse anche li invidia, visto l'uso che se ne può fare a terra.
E mentre allargo le gambe la sua attenzione è ancora attratta dall'apertura che si schiude sotto il livello dei peli, dalle pieghe umide e profumate di eccitazione sessuale che ora presento ai suoi occhi interessati.
“Fammi godere, pesciolino del mio cuore!” le sussurro prendendole la mano e portandomela alla morbida fessura genitale.
Lei si sposta faticosamente un poco più a riva per emergere completamente con il suo corpo adagiato di fianco al mio che, nudo e a cosce aperte, le si offre in modo inequivocabile implorandole un appagamento sessuale.
Lei mi infila con le sue dita fresche e viscide, indovina la mia entrata e ci si introduce profondamente facendomi emettere lunghi ed espliciti gemiti.
Io allora con una mano le giro la testa e ricomincio a baciarla sulle labbra. Le nostre lingua ancora si incontrano e si studiano, si cercano, si avvolgono.
Con l'altra mano le prendo in mano una tetta e inizio a palpargliela alternando gli affondo alle carezze al capezzolo.
Anche lei geme e inizia a contorcersi, mentre muove le sue dita dentro di me, riproducendo i movimenti della sua lingua tra le mie guance.
E finalmente, quando inconsciamente la mia mano dal suo morbido seno le scivola di nuovo lungo il ventre, sotto la linea dove iniziano le squame avverto una resistenza.
Oramai a occhi chiusi e prossima a un nuovo e più convincente orgasmo, trovo la forza di osservare cosa stanno sfiorando le mie dita e vedo che una zona di squame si è sollevata dalla superficie uniforme del suo basso ventre. Indirizzo là le mie dita e questa volta trovo un'entrata insospettabilmente tiepida e morbida in quella distesa di fredde e rigide squame.
Le mie dita affondano nella figa di Marina, che sento gemere nella mia bocca.
Ora sì, non c'è più differenza di specie. Siamo due donne che si toccano, si accarezzano, si penetrano e si amano.
La mia mano le entra dentro completamente. Questo pesce in effetti è più grande di me.
Le sue dita nella mia vagina invece mi toccano con rispetto senza sventrarmi.
E allora mi giro e mi butto su questa sirena.
Le prendo i seni in bocca, li lecco, li mordo, ne succhio i capezzoli.
E poi ancora affondo la lingua in quella bocca che stride, che geme, che mi cerca, mentre le sue dita mi penetrano con decisione e delicatezza e la mia mano scompare nel suo ventre.
Ed è un doppio orgasmo quello che ci coglie, che ci esplode dentro, che ci fa contrarre una sul corpo dell'altra.
I nostri gemiti, le nostre urla sguaiate, roche, indecifrabili, ora si assomigliano.
Due femmine in calore, due animalesse che si amano e che si posseggono a vicenda.
Il liquido sgorga dalle mie viscere sulle dita di Marina, sul suo corpo, mentre scivolo verso la sua coda, come un mollusco in fin di vita.
Sotto il ventre sento le sue squame erette, la dove si apre la sua vagina.
Le mie mani ne cingono la vita, le mie dita risalgono a stringere ancora le sue tette grosse e morbide mentre con la bocca cerco la sua entrata e con la lingua indovino la sua figa.
Inizio a stimolarla, a leccarla d'intorno, poi in alto dove spero che abbia il clitoride.
La sento gemere mentre agita lievemente la sua cosa viscida e liscia.
Mi metto a cavalcioni della sua pinna e mentre intensifico baci e umide carezze, la coda mi scivola tra le grandi labbra strofinandomi il clitoride.
Lecco questa figa dal sapore di carpaccio di spada, mentre liquidi salati mi confermano che la sirena sta godendo come una porca.
Le mani di Marina mi accarezzano la nuca, poi mi tirano i capelli per schiacciarmi la testa contro il suo organo di godimento e io intensifico i baci e le leccate. Non riesco a penetrarla, ma indovino una sporgenza che ritengo il suo grilletto e lo lecco con delicata impazienza. E proprio in quel punto Marina si lascia stimolare e cerca il suo piacere.
Geme e si contorce e con quella coda che mi scivola tra le gambe, che avvolgo e che stringo per farla aderire alla mia figa, presto raggiungiamo una nuova estasi, un nuovo orgasmo prolungato.
Ecco.
Ci siamo amate, due volte. Siamo venute una sull'altra, ci siamo scoperte, eccitate e appagate.
Risalgo sui suoi seni avvolgendoli con morbide carezze di lingua.
Lei viene mossa da nuovi sussulti.
Ma quando mi adagio tra le onde che si infrangono sulla riva, quando la mia schiena accaldata cerca ristoro nel mare fresco e mentre il mio respiro si tranquillizza, la sirena si gira su di me, con la lingua mi lecca le tette, quella lingua lunga e viscida sui miei capezzoli ancora terribilmente eccitati.
“Oh, Marina...” sussurro, e la ragazza coltivata nei miti di generazioni di marinai discende sulla mia figa.
Con le mani mi allarga le gambe.
Mi annusa.
Odore di donna eccitata.
Sentore di femmina che ha fatto l'amore e che ancora ne desidera.
E poi quella lingua indemoniata mi flagella il clitoride, lo circonda, sembra che lo stringa.
E infine mi penetra.
Mi entra dentro, mobile e profonda, senza tregua, e inizia a girare, a frullare.
Sembra che si gonfi e che si sgonfi. Entra ed esce come uno stantuffo.
Questa sirena sa molto bene come fare godere una femmina.
Conosce perfettamente cosa sia una penetrazione maschile e con quella lingua sa riprodurla in modo impagabile.
Entra ed esce dal mio interno mentre le mani mi strizzano le tette.
Ora sono io a stringerle la faccia sulla figa, a volerla tutta dentro di me, lingua, faccia, corpo, quella coda che si agita e che sbatte fra le onde.
Marina mi modula, rallenta quando sto per venire e accelera quando il mio respiro riduce la sua frequenza.
La imploro di farmi venire, poi di farmi aspettare.
Il piacere aumenta, sale, supera ogni confine, e sempre quella lingua che mi devasta e mi obnubila, mi assoggetta, mi ammalia.
Grossa presenza viscida che mi si muove nella figa, in continuazione, mani che mi stringono le tette, me le strappano, me le impastano, e le mie urla di donna selvaggia, donna posseduta senza più riguardi, donna in calore, donna che gode senza remore, senza pudore.
Urlo, urlo più forte, urlo il mio godimento, urlo con i suoni più primitivi e ancestrali e consegno tutto il mio corpo e la mia anima a questa donna pesce che ora può fare di me qualunque cosa essa voglia.
Poi il silenzio, una pace incontaminata e prolungata in cui gradualmente prendono forma i rumori discreti di piccole onde che si arrendono alla spiaggia.
Apro gli occhi.
Sono nuda, a gambe e braccia aperte, sulla spiaggia deserta.
Il mio respiro ora è tranquillo.
Vedo il mio seno sollevarsi ogni volta che una boccata di aria fresca dilata il mio petto.
Le onde lambiscono le mie cosce, timide carezze su pelle ancora molto sensibile.
Mi alzo in posizione seduta. Sono da sola.
Che ci faccio qui, nuda, da sola al tramonto?
Alcuni ricordi si affacciano alla mia mente, immagini sfumate dai contorni tremolanti.
Ho fatto l'amore con una sirena?
In quest'aria fresca della sera, in questo posto consegnato alle fiabe e alle leggende, tutto può essere capitato.
Mi giro e trovo il mio costume, piegato in ordine, su cui sta appoggiato il coltellino.
Alle mie spalle sta la mia canoa color vermiglio.
Non so cosa mi sia successo, come sia finita qui e cosa ci faccia completamente nuda sul bagnasciuga, ma mi alzo e mi rimetto il costume.
Vado verso la canoa pensando che arriverò a Port Miou che sarà già buio; ritrovo la pagaia appoggiato sotto il bordo del natante.
All'interno della canoa, proprio sul sedile, una meravigliosa collana di conchiglie marine.

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