Schiava in Africa (parte 2) – La presa di possesso

Scritto da , il 2021-03-30, genere dominazione

Si allontanò.
La ragazza rimase ferma, ancora nel vortice di sensazioni ed emozioni.
Tornò con una corda con la quale le legò i polsi.
Occorreva compiere un gesto forte, un gesto che chiarisse subito i nuovi ruoli e la scuotesse per gettarla davanti alla sua anima.
La fece alzare e la tirò per farsi seguire.
Nessuno parlava.
Uscirono da casa e attraversarono il cortile. La pavimentazione procurava dolore alla pianta dei piedi scalzi della ragazza, ma Paul non se ne curò e la strattonò per farsi seguire nelle ex stalle.
La schiava non ebbe più tempo per pensare, coinvolta dall’evolversi della situazione.
Il Padrone attaccò i polsi legati ad un gancio e la alzò in modo che stesse con le braccia alte pur conservando i piedi a terra.
Non doveva darle tempo per pensare, ma solo per far vivere le emozioni che in quel momento, sicuramente, erano forti tanto quanto i battiti che sentì sotto il seno che aveva impugnato con decisione, quella tipica del Proprietario che passa la mano su tutto il corpo della schiava.
Le prese i capelli e le tirò indietro la testa, avvicinando le labbra alle sue e facendole sentire il proprio respiro eccitato per ciò che quel gesto stava significando.
Paul prese lo scudiscio e si posizionò dietro la ragazza appesa. Scelse quello perché è sufficientemente corto per poter stare vicino alla schiava.
Passò leggermente lo scudiscio sulla pelle della schiena, per anticiparle ciò che sarebbe accaduto e per aumentare l’ansia dell’attesa.
A Sophie aumentò il battito ed il respiro.
Colpo!
Contorsione e lamento.
Carezza della mano sul segno.
Il piacere del dolore è principalmente dettato dal potere che consente di infliggerlo.
Ne consegue il potere di controllare piacere e dolore della schiava.
Eccita la schiava che resta ferma in attesa del prossimo, seppur tra tensioni e ansia.
Ciò che eccita per prima la testa e poi il basso ventre è il potere su altra persona, o, meglio, l’averlo ricevuto.
Ciò che eccita per prima la testa e poi il basso ventre è il potere di un’altra persona, o, meglio, l’averlo ceduto.
Altri colpi sulla schiena della bella schiava bianca.
Ancora la mano del Padrone che passa sulla pelle, confermando quel possesso già segnato dalla frusta.
La mano sui seni, sui fianchi, sulle natiche, dappertutto perché a tutto il Padrone ha accesso, quell’accesso che gli è stato dato.
La schiava era provata, più per le tensioni e le emozioni che per la frusta che, comunque, non era la prima volta che riceveva.
Le piaceva quell’attesa tra un colpo e l’altro, la mano sulla pelle. La bagnava ma, in quel momento, erano più le tensioni.
Non era andata, quel giorno, per far sì che accadesse quello. Tutto inaspettato anche se inconsciamente voluto.
Nel tempo trascorso assieme, quell’uomo aveva dimostrato la capacità di leggerla, ascoltarla, capirla, guardarla, apprezzarla e, ancora, leggerle l’anima, dimostrando di capire e conoscere le sue sensazioni ed emozioni.
Davanti a lui si è sentita spesso l’anima nuda, eppure mai a disagio.
L’aveva anche desiderato fisicamente, quell’uomo maturo.
Certo, non al punto da pensare di cedersi sua schiava come aveva fatto quel giorno, ma il pensiero di essere scopata con forza sì, lo aveva avuto.
Paul la prese per i capelli e le avvicinò le labbra all’orecchio.
Lei sentì il suo respiro prima della parola che lui le sussurrò: “schiava!”, quasi fosse la firma di quanto accaduto.
Abbassò la corda fino a farla inginocchiare.
La prese forte per i capelli tenendola ferma la testa.
Si sbottonò con la mano libera i pantaloni e liberò il suo sesso pieno del desiderio di lei.
“Apri la bocca!”, le impose strattonando appena i capelli.
La schiava ubbidì quasi in automatico e lui ne prese possesso, entrandole in bocca fino in fondo, fino a toccarle la gola e a trattenere la testa di lei ferma, immobile con il sesso dentro.
Iniziò a scoparle la bocca, a piacimento, tenendole sempre ferma la testa mentre si muoveva lui, alternando il ritmo, a volte lento per gustarsi la lingua, a volte più veloce fino a entrarle dentro tutto tenendola bloccata al suo inguine, godendo delle sue difficoltà.
Altre volte stava fermo e le guidava la testa sul membro, regolando il ritmo, sempre a suo piacimento.
Non liberò mai la testa dalla sua stretta, anzi, la dirigeva tirandola indietro per fare uscire il sesso dalla bocca e dirigerla sui testicoli.
Non c’era nemmeno bisogno di ordinarle di leccarli.
Ciò che alimentava la sua eccitazione non era solo la lingua sulle palle, ma il desiderio della ragazza inginocchiata di dargli piacere leccandogliele.
Quando si ritenne soddisfatto le guidò la testa a prenderglielo nuovamente in bocca, continuando a scopargliela.
Quando erano in casa, lei si era donata spogliandosi ed inginocchiandosi.
Era toccato a lui prenderla e passare il confine verso il loro nuovo rapporto.
Con la frusta aveva affermato il suo nuovo potere su di lei.
Con il sesso ne prendeva definitivamente possesso asservendola ai propri piaceri.
Si sentiva esplodere il membro dal desiderio di lei.
“Faccia a terra!”.
La schiava abbassò la testa fino a posarla a terra, ai suoi piedi, sul pavimento grezzo della ex stalla. Le pose il piede sulla testa schiacciando appena. Voleva che lei sentisse fermo il suo dominio. Voleva ammirarla sotto il suo piede, guardandole dall’alto la schiena segnata ed il suo sesso offerto, a sua disposizione.
Era bagnatissima.
Altre schiave si bagnavano molto sotto la frusta, emettendo tanti umori da creare filamenti tra le cosce.
Non ebbe difficoltà a penetrarla mentre, inginocchiata, aveva ancora la fronte a terra.
Le entrò dentro fino a schiacciare il suo inguine alle sue natiche, tenute ferme e premute dalle mani sui fianchi. Prese a muoversi, prima lentamente, fino a quasi farlo uscire per giocare con l’ingresso, penetrandola di colpo e poi tenendo un ritmo regolare mentre le mani guidavano i fianchi.
“Tieni giù la testa!”.
Represse così il suo timido tentativo di alzarla.
Uscì dal sesso per entrarle nell’ano.
Voleva prendere possesso completo di lei. Voleva che la schiava lo sentisse dentro di sé in ogni dove, a suo piacimento e discrezione.
Lei sarebbe stata uno strumento di piacere per lui.
Rientrò nel sesso, trovandolo bagnatissimo mentre lui era sempre più eccitato. Con una mano le teneva giù quella testa che lei non aveva nemmeno più cercato di alzare.
La scopò fino a godere e quando si sentì esplodere la penetrò fino in fondo tenendole fermi i fianchi, bloccati tra le mani.
Godendo, si sentì entrare in lei, nella sua parte intima fisica. Nella intimità mentale era già entrato, ancor prima che lei posasse a terra le sua ginocchia.
Uscì. Lei non si mosse e lui la ammirava, sua, ancora prostrata a terra, ancora offerta, ancora piena di lui.
Andò a sedersi.
“Ai miei piedi”.
L’ordine non era più imperioso, era carico del tono di colui che si aspetta solo l’esecuzione.
A quattro zampe, con difficoltà posto che aveva ancora i polsi legati, lo raggiunse e pose la guancia a terra tra i suoi piedi.
“Puliscimi”.
Mentre eseguiva Paul iniziò ad accarezzarle la testa, usando la mano di colui che accarezza una cosa propria, un cane.
La presa ai capelli era ancora decisa ma meno imperiosa, sufficiente a farle alzare la testa.
“Guardami”.
Voleva che vedesse, nell’ordine, prima il membro con il quale l’aveva posseduta, testimonianza del suo piacere, poi il suo viso. Voleva che avesse la visione dalla sua nuova prospettiva, cioè dal basso, sottomessa, schiava.
Le fece posare la guancia a terra e si allontanò, tornando con un collare in acciaio che le mise mentre era ancora giù, ai suoi piedi.
Le agganciò il guinzaglio di catena e, messosi comodamente seduto, le appoggiò la scarpa sulla guancia esposta a terra.

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