Milano anima struggente; Milano puttana

Scritto da , il 2021-03-05, genere sentimentali

La segretaria entra nello studio del principale.
Il manager siede inghiottito nella sua poltrona in pelle, la osserva sornione mentre la donna si dirige verso la scrivania, con due cartellette sotto il braccio.
La donna si piega, spostando alcune pratiche.
Lui le pianta gli occhi sul sedere, incorniciato da una stretta gonna che, aderente, le sembra tatuata addosso. L'industriale tira un sospiro profondo, si schiarisce la gola e parte all'attacco, a gambe larghe come John Wayne, mettendo mano all'arnese da riproduzione che gli si sta gonfiando sotto la toppa dei calzoni.
Lei, del tutto ignara, è sempre piegata sull'ampia scrivania a riordinare un caos di fogli e scartoffie, quando il datore di lavoro le molla una pacca sui glutei che non preannuncia nulla di buono.
“Ohi!” fa lei sussultando. Girandosi abbassa gli occhiali per carpire dall'espressione del maiale quale sarà il seguito, ma lui con una mano la spinge bruscamente, girandola sul dorso e piegandola sulla superficie di lavoro. La donna stramazza sui documenti, le proiezione della borsa, i risultati delle verifiche ispettive e le consulenze amministrative. Perso l'appoggio e l'equilibrio si aspetta il peggio mentre sente una mano che le solleva la gonna senza troppi riguardi.
“Dottore, scusi, ma io non...” accenna ad un argomento di discussione.
“Taci, vacca!” viene interrotta.
La gonna è sollevata e il direttore le sta già strappando i collant sul sedere. La voglia e l'uccello lievitano di pari passo.
“Ma no! Ma io non voglio...” protesta la segretaria.
“Zitta, stronza! La vuoi la promozione, eh? La vuoi questa cazzo di promozione?”
Le calze sono strappate, il magnate contempla ancora il sedere della donna coperto dalle sole mutandine. L'indumento è succinto e la segretaria ha veramente un bel culo.
“Cazzo, Valter, piantala, non hai nessun diritto...”
“Vuoi metterti a strillare, ora? Sta zitta e vedi di godertela!”
Le mutandine vengono abbassate con decisione scoprendo una bella rotondità armoniosa e, in effetti, invitante.
Valter allarga le cosce della donna, si slaccia i calzoni, abbassandoli, e tira fuori una bella salamella, iniziando a menarsela per dare vigore all'impasto.
“Valter, dai, dobbiamo smetterla con questa...” la segretaria prova la carta della ragionevolezza, ma la prassi, suo malgrado, si è consolidata ed ora non riesce più ad imporre un freno al datore di lavoro.
L'attenzione dell'uomo si concentra sul sedere della donna, che, cosce belle aperte, lascia intravedere più sotto la sporgenza della vulva.
L'industriale non sente ragioni.
“Zitta troia, se vuoi l'avanzamento di carriera, ora devi sentire avanzare questo carrarmato!” prosegue lui rimanendo stupido dalla propria battuta di spirito. La donna invece si rassegna a quella che non riesce a riconoscere come l'ennesima violenza, un nuovo sopruso.
Si sente lei in colpa, per non essere stata capace di ritrarsi le prime volte, ed ora quel posto di lavoro le serve maledettamente, e non se la sente di far casino, non ora.
Il ricco signore si è modellato una bella spranga e senza peritarsi della preparazione genitale della dama, come non si era peritato di ottenere un consenso, allargate con le dita delle mani le labbra della disgraziata, individua il percorso e ci si immette senza neanche azionare l'indicatore di posizione. Un colpo solo ed è già in fondo.
La donna geme l'intrusione, ma dopo i primi colpi, suo malgrado, inizia a bagnarsi, mentre il minotauro, da dietro, esprime la sua soddisfazione con grugniti rantolanti di autoconsenso.
Geme la donna, un misto di godimento e sofferenza, di piacere e pianto di umiliazione.
La scrivania si sposta ad ogni spinta, i vocalizzi gutturali del finanziere si fanno più rochi mentre le mani si artigliano sui seni della donna, espiantati da sotto la camicetta, dopo aver strappato il reggiseno. Ancora una convincente sequenza di spinte, la donna inizia a godere in modo consolante, ma il direttore prorompe con una specie di rutto che denota l'avvenuto successo dell'operazione di deposito bancario.
Svuota nel contenitore apposito tutto lo stress dell'inizio settimana che ha registrato in seguito alla deflessione dell'indice FTSE MIB di piazza Affari per un calo del mercato del sudest asiatico.
Senza considerare che la segretaria, dopo il servizio reso, avrebbe bisogno anche lei di un piccolo ripasso sulle manovre finanziare, per coronare un successo almeno parziale, il Direttore operativo estrae la scimitarra dalla vittima in cui l'aveva affondata con cotanto ardore e, gocciolante di sensualità, se la ripone nelle mutande.
La donna giace sopraffatta col culo per aria, le mutande abbassate, la gonna sollevata e le calze stracciate.
Respira affannosamente. Dalla posizione del boss non si capisce se sta ansimando per il piacere, in realtà solo sfiorato, o se sta piangendo.
Il capo si stira gonfio di compiacimento, si riveste con fare professionale.
“Vieni al bar, che ci mangiamo un boccone.” Dopo aver saziato la fame di riproduzione, emerge la fame di carboidrati e acidi grassi saturi, pronti a stratificarsi all'interno delle coronarie.
La segretaria tira su col naso, si sistema il reggiseno allacciandosi la camicetta. Si asciuga due furtive e colpevoli lacrime di indignazione e si solleva gli slip.
“Va' avanti tu. Sistemo questo bordello e ti raggiungo. Prendimi un'insalata mista.”
Il boss ridacchia, soddisfatto dell'efficienza. Espande il torace e si guarda in giro, dispiaciuto di non aver avuto un corteo di estimatori ad assistere alla sua manifestazione di prodezza.
Canticchia una canzonetta e si allontana verso l'ascensore.

Così è Milano.
Le parole di Alberto Fortis mi risvegliano un sentimento di tenerezza verso una città che spesso ho trattato con indifferenza. Non odio o disprezzo, sarei ingrata.
Poca considerazione e sofferta tolleranza, piuttosto.
Eppure mi accorgo di dirigere sentimenti negativi perso la realtà sbagliata.

“Milano, sono tutto tuo
Vincenzo, no, non mi rinchiude più
Oh, Milano, sii buona almeno, almeno tu”

Milano dai molteplici gemellaggi: Chicago, Birmingham, Francoforte, Lione, Melbourne, San Pietroburgo, San Paolo e Shanghai, Tel Aviv, Toronto ed altre e, naturalmente, Osaka.
Relazioni tra mentalità con intenti similari, legami tra i popoli, interazioni culturali, Milano senza frontiere.
Milano maltrattata da tutti eppure da tutti sfruttata.
Milano comprata, Milano venduta.
Milano da una sveltina, soldi che girano, persone che trovano sempre ciò che cercano, a Milano, e poi ci sputano sopra.
Sicuramente Milano da disgiungere dai milanesi, da coloro che si credono di origine certificata e da coloro che solo ci lavorano e ci studiano, o ci passano di sera e nei weekend per soddisfare qualunque tipo di bisogno.
Milano da bere, Milano da usare e poi abbandonare, Milano da sfruttare per i propri interessi e di cui, poi, parlar male.
Altra razza, i milanesi. Francamente non li adoro e mi ci trovo a disagio, eppure c'è così tanta gente che vive a Milano, che, fuori dallo stereotipo del milanese imbruttito, ci sono parecchie persone valide, milanesi e non.
Il milanese imbruttito che schiaccia freneticamente il bottone dell'ascensore, “così fa prima”; il milanese che deve fatturare e non deve perdere tempo. Il milanese che si crede superiore, il polmone economico dell'Italia, dimenticando che l'economia gira grazie a tutta la gente che viene da fuori, per riuscire a lavorare in modo più efficiente ed organizzato.
Ma non voglio parlare dei milanesi doc, imbruttiti ed altezzosi, intolleranti e talvolta un po' razzisti.
Il mio interessa oggi si apre per la città.
Questa città che fa da sfondo, che sostiene tutta l'attività frenetica, che la rende possibile, e che, nella sua anima, non viene mai riconosciuta.
Milano al centro del nord Italia, a due o tre ore da Venezia, Firenze, Genova e Torino.
Milano così vicina ai mari della Liguria e ai laghi della Svizzera.
Austria e Francia a portata di mano.
I ghiacciai scintillanti della valle d'Aosta, le severe pareti del retico bastione a difesa dai Lanzichenecchi, le insondabili verticalità gialle e grigio chiaro dei dirupi dolomitici.
Milano vicino ai fiumi e ai grandi laghi.
In fondo Milano è bella.
A parte chiese, musei e monumenti, sparpagliati e comunque di indiscusso valore artistico, le architetture Liberty, i palazzi signorili mescolati agli edifici medievali, Milano ha veramente un'anima.

“Mi piacciono i tuoi quadri grigi
Le luci gialle, i tuoi cortei
Oh, Milano, sono contento che ci sei”

Parlo di una particolare città, che emerge quando la metropoli dorme, o quando è ricoperta di brillanti cristalli di brina; quando riposa sotto la neve che cancella il grigiume e rende difficoltosa la circolazione sulle strade ai milanesi. Milano nascosta dalla nebbia, quando la sua anima si manifesta, geme e respira. I grigi sulla darsena o lungo i navigli, interrotti dalle ringhiere in ferro battuto. I tram chiassosi e fracassoni.
Milano vuota al tempo del Covid, i marmi del Duomo e i bastioni dei Visconti e degli Sforza.
Milano romanica, Milano medievale, e la città che si è ribellata agli austriaci, assumendone però l'efficientismo, Milano dei grandi parchi e dei giardini privati, i fenicotteri nella villa degli Invernizzi.
Milano in declino, la moda, la droga, l'eccessivo giro di affari.
Eppure Milano è anche la città che, privata del caos e del traffico, sa rivendicare la sua intima natura, che diventa visibile a chi, con occhi attenti, la sa cogliere. La città che, dopo essersi nascosta, riemerge timida dallo stress della fatturazione ossessiva dei manager e degli uomini d'affari.
Allora sì, anche Milano può essere bella.

“Vincenzo dice che sei fredda
Frenetica, senza pietà
Ma è cretino e poi vive a Roma e che ne sa?”

Milano, la gemella di Osaka, trapiantata dalle isole del pacifico nelle brume della pianura padana.
Milano trafitta dagli intrallazzi politici, Milano in ginocchio col Covid, per gestioni regionali discutibili. Giochi di soldi.

“Oh, Milano, fa' di me quello che vuoi
Ti lascio tutti i miei progetti
Le mie vendette e la mia età
Oh, non tradirmi, sono vecchio e il tempo va”
finisce Alberto Fortis.

La segretaria guarda i lembi delle calze stracciate brutalmente e ha un guizzo d'orgoglio.
Quanto ha dovuto subire, inseguendo un ideale di benessere e quanto ha dovuto pagare, rimanendo schiava di un sogno sbagliato?
Quanto vale una vita di guadagni e di carriera e quanto vale la propria dignità, l'amor proprio, la stima di sé? La sua carriera lavorativa le scorre davanti agli occhi. Un campionario di tragici errori.
Raccoglie con un faticoso sospiro tutti gli importanti documenti di lavoro dall'immensità della scrivania.
Li fascicola con affettata cura.
Li passa con freddezza nello strumento distruggidocumenti, ricavandone delle graziose tagliatelle sottili.
Con precisione li sminuzza tutti, prima di lanciarli dalla finestra del tredicesimo piano del grattacielo in zona Isola.
La corrente ascensionale nei primi tepori primaverili anima i frammenti filiformi degli indispensabili documenti. Li dipana come il volo di uno stormo di colombe, con sfumature dal grigio al bianco brillante, disperdendoli in lontananza verso il Monte Rosa rapiti da un artiglio di nube.
Chissà come, il profumo delle prime faticose infiorescenze di un giardino lontano, si impongono sulla puzza di smog carico di piombo e di monossido di carbonio.
“Fanculo, Valter” sussurra a denti stretti la giovane donna, sentendo un'inedita leggerezza dilatarle i polmoni mentre lascia il palazzo avviandosi verso le signorili forme dei palazzi del centro, diretta ai giardini di Palestro.
L'anima viva di Milano.

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