La chioma di Berenice

Scritto da , il 2021-01-27, genere bisex

Le due ragazze si spogliarono completamente ed entrarono nella stanza da bagno.
Gli eunuchi avevano già riempito la grande vasca di acque fumanti e le ancelle vi sciolsero sali profumati provenienti da Babilonia e dall'India, spargendo sulla superficie dell'acqua manciate di petali di rosa.
Essenze di cedro del Libano e sandalo di Tiro bruciavano agli angoli del locale, spandendo profumi obnubilanti.
Al tocco delicato dei loro strumenti musicali altri eunuchi si prepararono per l'ingresso nella sala da bagno della regina, moglie di Tolomeo.
In quella sala potevano accedere solo donne, a parte gli eunuchi, e la regola dettava che le prescelte dovessero presentarsi assolutamente prive di ogni indumento.
Aiutata da un'ancella, Berenice si spogliò della tunica, entrando nella sala, pronta per la cerimonia dell'igiene del mattino.
La moglie del monarca fu accolta dalle sue due schiave più devote, Ayleen, la ragazza celtica dalla pelle chiara, gli occhi azzurri ed i capelli delicatamente biondi, e Ashait la ragazza dalla pelle di mogano dai riflessi rameici e la splendida coltre riccia.
La giovane regina apparve loro ricoperta dalla lunga capigliatura di capelli ondulati, profondamente neri. La decantata bellezza della chioma si presentava in tutto lo splendore alle due schiave, che, sebbene scelte per la foggia non comune dei loro capelli, rimanevano ogni volta ammaliate dalla meraviglia che si presentava loro e di cui non riuscivano mai a capacitarsi.
I capelli di Berenice sembravano dotati di caratteristiche inusuali che li distinguevano da qualunque altra donna.
Neri come le ali del corvo, come la notte senza luna, così neri da presentare riflessi blu intenso, finemente ondulati, quasi ricci, erano dotati di un potere riflettente inconsueto, tanto che dalle curvature dei ricci brillavano delicati bagliori, come una manciata di fini diamanti dispersi su un manto di velluto nero. Era sufficiente una debole fonte luminosa, una lampada ad olio, un cero votivo, che la chioma si rivestiva di brillamenti cangianti e raffinati.
Molti poeti del regno egiziano avevano già decantato la bellezza di tale chioma, ma solo al re Tolomeo III ed alle due fedeli ancelle della regina, era dato di poter ammirare la grazia della regina quando si presentava completamente nuda, avvolta solo dai suoi capelli. Allora le due ancelle acconciavano la chioma perché servisse da vestito alla loro sovrana, ricoprendo parzialmente il seno ed avvolgendola alla vita celando le grazie più intime.
Alle due giovani schiave era affidata la cura dei capelli, cui dedicavano un'attenzione speciale.
Unguenti profumati erano immolati per rendere la chioma lucida e setosa, essenze provenienti da Cipro e da Sidone per aggraziarne il sentore.
La nera Ashait si fece incontro alla regina piegando poco il capo al suo cospetto in segni di riverenza.
Berenice con due dita le sollevò il mento, con una mano le sfiorò il piccolo seno appuntito mentre le avvicinava la bocca per scoccarle un piccolo bacio a fior di labbra. La ragazza aprì le labbra per accarezzare con la lingua quella che la regina le porgeva e, facendosi cingere e guidare, la accompagnò nella vasca.
Ayleen le raggiunse, immergendosi all'altro lato della monarca.
I capelli delle ragazze, che dovevano essere mantenuti lunghi e cotonosi, si immersero nelle calde acque, in parte galleggiando ed in parte fluttuando come piante marine.
Con saponi ed aromi lavarono il corpo della loro sovrana, dedicando al seno ed al ventre una cura particolare.
Berenice si lasciava conquistare dal piacere delle carezze che, partendo dal collo e dal volto, intrise di profumi avvolgenti, si approfondivano verso il ventre ed i genitali in sfioramenti sempre più sensuali ed espliciti.
Le scure labbra africane si unirono in bacio a quelle della moglie del re, mentre le labbra della schiava celtica ne sfioravano i capezzoli.
Ashait cominciò ad accarezzare con le dita le profondità che si aprivano tra le cosce della regina, lasciando che le dita di lei si inoltrassero nell'interno del proprio ventre.
Ayleen alternava i baci al seno con quelli dedicati al collo di Berenice, accompagnando i gemiti della sovrana ai propri, scaturiti dalle carezze che lei stessa si dedicava, abbandonandosi ai profumi ed ai vapori del bagno.
All'apice dell'estasi le due schiave si strinsero al giovane corpo della padrona unendo le rispettive manifestazioni di piacere.
Poterono quindi dedicarsi alla cura della chioma di Berenice strofinandone i capelli con detergenti e liquidi balsamici per addolcirne la setosità ed impreziosirne i profumi.
Abbandonata la vasca avvolsero la donna in lenzuola ricamate per asciugarne la pelle e proseguire con le attenzioni alla capigliatura.
Berenice si presentò al re dell'Egitto avvolta dei suoi soli capelli nella stanza da letto, preceduta da volute di incensi e combustioni di sandalo, stratificati sui bracieri ai bordi della stanza.
Una lieve brezza muoveva dalle ampie finestre portando memorie marine nella notte incipiente.
Lumini ad olio bruciavano nelle lampade dorate.
Tolomeo III accolse la sposa avvolto da una leggera tunica.
Il suo sguardo contemplò stupendosi nuovamente la morbida chioma che avvolgeva la pelle pallida della donna, già regina di Cirene, che solo da una settimana le si era unita in matrimonio.
I capelli brillavano lucidi come lapilli di un vulcano ardente, ripetendo le tremolanti fiammelle delle lampade ad olio ed amplificandole in innumerevoli bagliori.
Berenice si coprì il giovane seno che sembrava voler emergere dalla nera cascata di capelli, portando la chioma a coprirle il pube.
Sdraiatasi sul letto, in posizione regale, lasciò scivolare la nera coltre che lentamente scoprì il suo corpo da ragazza.
"Devi proprio partire?" chiese allo sposo con un'espressione tradita.
"Gli affari di guerra chiamano il tuo re" le rispose con un velo di tristezza Tolomeo.
Con una mano le accarezzò il viso, spostandosi sui suoi capelli e seguendone il decorso lungo le spalle ed il seno.
Dopo un accenno di carezza al petto, riprese in mano il flusso nero che avvolgeva morbidamente il corpo della ragazza, apprezzandone la morbidezza ed i riflessi cangianti.
La mano proseguì così fino al ventre della sposa, ne spostò i capelli infilandosi delicatamente fra i peli del pube.
Berenice allargò un poco le cosce per agevolare le manovre del marito.
"Siamo sposati da una sola settimana ed ora già parti per rimanere lontano da me per mesi di fatiche e dolore"
"La Siria, sempre la Siria. E la Siria non può aspettare che il faraone di Alessandria dedichi alla regina di Cirene le attenzioni che una giovane sposa merita!"
La ragazza spostò con le dita i capelli per offrire il proprio corpo al marito. Tolomeo si spostò su di lei accarezzandone la pallida pelle ed interrompendo i discorsi di politica militare. Si lasciò avvolgere dalle braccia della ragazza e, rotolando sul dorso, se la mise a cavalcioni.
Berenice sollevò il busto lasciando depositare la brillante capigliatura fin sul petto del marito. Sollevò il sedere per avvolgere la virilità del re e con lenti movimenti, accarezzandogli il volto con la chioma, lo condusse all'orgasmo.
Fini rintocchi di strumenti discreti accompagnavano con un sottofondo di impalpabile musica la danza dell'amore dei due reggenti.
Il re, senza uscire dalla moglie, abbracciandola la adagiò sulla schiena.
Dopo solo una breve pausa dal precedente amplesso, ricominciò con più forza i movimenti del bacino. Si fermò per sollevare le cosce della giovane ed aprirle per appagare il suo sguardo.
Il suo membro rigido e gonfio scompariva tra le cosce della donna. Le cosce chiare, lambite dalla coltre nera dei capelli, si aprivano sensuali ed invitanti. Ad ogni spinta la regina gemeva appagando il giovanile desiderio di piacere ed attenzioni.
Il re si retrasse dalla corolla della moglie. Restò in contemplazione delle mucose che, umide ed arrossate per il piacere, aspettavano beanti e gocciolanti l'entrata trionfale della forza del monarca.
Con delicatezza prese le caviglie della ragazza alzandole e spingendole per sollevare le anche della moglie e svelare il buco più scuro. Agevolato dalla colata di piacere che grondava dal talamo segreto rivestendo il sedere, si inoltro nel pertugio più stretto, strappando un gemito di piacere dalla giovane. Dopo alcuni movimenti in delicata circospezione, affondò tutto il membro nel sedere della sposa. Con lentezza riemerse per approfondirsi di nuovo. Gli occhi attenti alle espressioni della donna, per coglierne il piacere o rallentare nel dolore.
Finchè i gemiti della donna gli confermarono la buona preparazione dell'orifizio più esclusivo. Accelerò i movimenti guidando con perizia la moglie ad un orgasmo condiviso.
Senza più uscire si addormentò tra le femmine cosce mollemente avvinghiate ad avvolgere il suo corpo.

Al mattino Berenice si svegliò che Tolomeo era già partito.
Accompagnata alla stanza da bagno dalle sue ancelle affrontò con coraggio il primo giorno di un'attesa che sarebbe durata 5 anni.
Ma i mesi passavano e la giovane regina, impegnata nel governo dei regni di Egitto e Cirene, non riceveva notizie dal marito in guerra.
Solo rari messaggeri raccontavano di vittorie e successi in terra di Siria e di Babilonia, ma della fine della guerra e del ritorno del re nessuna notizia.
La preoccupazione cresceva nell'animo di Berenice, che cominciò a frequentare il tempio di Afrodite ad Alessandria per offrire riti e sacrifici alla dea della bellezza e dell'amore, affinchè propiziassero il ritorno vittorioso del faraone.

Nitocris, la sacerdotessa consacrata ad Afrodite, guardava con ammirazione la devozione della regina che ogni settimana si dedicava alle offerte sacrificali sui bracieri del tempio.
Alle sue spalle ne reggeva i capelli perché non si rovinassero con le fiamme ed il calore, perdendosi negli ineffabili bagliori di cui risplendevano, affondando voluttuosamente le dita nella morbidezza che nera più del carbone e dell'inchiostro, sembrava colare dal regale capo come un fiume indolente verso la sua foce.
Le due donne rimanevano chiuse nel tempio senza che altri potessero averne accesso, per garantire alla sovrana di compiere senza interferenze le sue offerte votive.
La dea dell'amore accoglieva le offerte, ricambiando con serenità d'animo e notizie confortanti sulla salute del re combattente, ma il ritorno ad Alessandria continuava ad allontanarsi nel tempo.
Berenice fu infine soggiogata dallo struggimento.
Un pomeriggio, mentre completava l'offerta all'altare di Afrodite sentì più vicine le mani della sacerdotessa; si accorse delle carezze che, dedicate ai suoi capelli, nel tempo, di volta in volta sconfinavano sempre più audaci sulle sue spalle e sui suoi fianchi. Non ci aveva mai dedicato particolare attenzione, ma in quella sera che sentiva la mancanza del consorte, affaticata dalle pratiche amministrative del regno, allungò le braccia dietro di sè, incontrando i polsi della ragazza.
Le due donne rimasero un periodo infinito in quella posizione, poi forse in un movimento condiviso, le mani di Nitocris, avvolte da quelle di Berenice, si spostarono sul ventre della regina.
La sacerdotessa accostò il capo alla nuca della sovrana, perdendosi nei delicati aromi che si sprigionavano dalla brillante chioma e le sue mani, attraverso il sottile tessuto della tunica, esplorarono le forme perfette della monarca.
Come delicati petali seguirono la convessità del ventre convergendo nell'imbuto dell'ombelico.
Lo avvolsero, lo circondarono lievitando timidamente verso la sporgenza dei seni che prorompevano sulla uniforme distesa del torace. Le dita indugiarono nella piega sotto le mammelle, finchè Berenice con una piccola contrazione delle sue mani su quelle della ancella, invitò la carezza ad avvolgerle i seni.
Le dita della sacerdotessa percepivano nei minimi dettagli i contorni del corpo della regina, nuda sotto il tessuto sottilissimo.
Risalendo lungo la generosa curva dei seni, si arrestarono sui capezzoli, duri ed ingrossati, che sollevavano il tessuto, ben visibili e definiti sotto le dita sensibili.
Le areole erano sollevate e spingevano i capezzoli sotto il tessuto, quasi come in cerca delle carezze della guardiana del tempio.
Berenice emise un lieve sosspiro, quasi un sibilo di piacere, accompagnando le dita di Nitocris sul proprio seno.
I polpastrelli circondarono i capezzoli muovendosi a spirale intorno alle areole, come galassie a spirale di un universo domato entro i confini di dimensioni umane.
La sovrana lasciò che le le dita della custode di Afrodite si muovessero liberamente sui suoi seni ed allungò le mani dietro la schiena per percepire il corpo che si trovava alle sue spalle. Le dita seguirono i contorni della stretta vita allargandosi sui fianchi ed allungandosi a cercare il sedere della religiosa.
Questa si avvicinò, sfiorando col pube le natiche regali per agevolare l'esplorazione delle proprie curve da parte della regnante.
Le dita della regina si insinuarono tra i glutei, allargandoli e tastandoli, mentre altre dita le pizzicavano i capezzoli, sporgenti come spilli attraverso la tunica ricamata di oro e porpora.
Berenice si girò verso la custode del tempio.
Le due donne si guardarono negli occhi, manifestando con un gioco di sguardi il desiderio reciproco di unirsi sessualmente.
“La dea dell'amore, Afrodite, mia padrona, nella cerchia dell'Olimpo, apprezza i tuoi sacrifici, ma chiede con insistenza voti di amore carnale, mia sovrana”. Disse poi, interrompendo il lungo dialogo che stava proseguendo con gli occhi.
“E come posso unirmi sessualmente alla dea, sacerdotessa?”
“Farò io da tramite tra il tuo amore, regina Berenice, e l'amore della dea, tra il tuo corpo ed il suo, consentendo ad Afrodite di possedere il mio corpo, le mie mammelle e lo scuro pertugio tra le cosce, per donarlo a te e farmi possedere dal tuo desiderio”
Detto questo Nitocris allungò le mani ai lacci che legavano sulle spalle la tunica leggera della regina d'Egitto; con un gesto deciso ne aprì in fermagli dorati e la tunica cadde ai piedi di Berenice.
L'intero corpo nudo della regina si presentò agli occhi della sacerdotessa, i grossi seni con i capezzoli contratti, i fianchi larghi ed ubertosi sotto il girovita ed il groviglio di peli scuri che, come una freccia, convogliavano lo sguardo verso il centro della vita, della riproduzione e del piacere.
Berenice abbassò lo sguardo con pudore, portandosi con una mano la lunga chioma nera a coprire il pube dagli occhi della ancella che vi si erano fissati, obnubilati dal desiderio sessuale.
Forse era una lieve brezza che si insinuava tra i bracieri, forse veramente un alito divino, ma i lunghi capelli sembravano fluttuare sollevati ed animati da spiriti indipendenti.
Le migliaia di tracce di inchiostro che avvolgevano i contorni della regina, riproducendone le forme, lo scorrimento di ruscelli convergenti di seta corvina animati da riflessi argentei e blu cobalto, paralleli sentieri che dal volto e dalla nuca convergevano tra le cosce dalle sfumature perlacee, sembravano animati di vita propria, elettricità elettrostatica, librandosi in movimenti vellutati, sprigionando diademi di lucore argenteo.
Più ancora che dal corpo ben tornito e prosperoso della sovrana, la sacerdotessa fu rapita dai riflessi, i movimenti spontanei, le morbide promesse di quei capelli dall'aspetto divino, mentre un'idea, una rivelazione si faceva strada nella sua mente, pervasa dalla trascendenza divina.
Con un gesto d'invito condusse le mani della regina sui fianchi, sui suoi seni, indirizzandole verso l'allacciatura della propria tunica sacerdotale di lino bianco.
Le dita giocarono tra i nodi, sciogliendo il segreto che ricopriva il corpo virgineo della ragazza.
I piccoli seni si svelarono illuminati dalle fiamme tremolanti dell'altare della dea della bellezza.
Le dita della regina disegnarono sul suo corpo percorsi di piacere, sfiorando, delicatamente tastando, palpando ogni curva ed ogni anfratto per scivolare infine tra le cosce della ragazza, accolte con un profondo sospiro.
Le dita regali si infilarono tra le cosce, nella fonte che gemeva e sgorgava nettare colmo di profumi evocativi. Al solo tocco delle dita alcune gocce di piacere scivolarono sulle mani della regina, segno che la ragazza ormai da tempo ricercava un contatto intimo, aspettava le mani curiose della propria monarca.
Nitocris piegò leggermente le ginocchia come appoggiandosi alle dita di Berenice, allargò le anche per invitare la donna a penetrarla oltre il vestibolo dell'imbuto dell'oblio.
La ragazza era vergine, come richiesto per essere ammessa al tempio, e Berenice con dolcezza le infilò solo un dito per violarne delicatamente le membrane intonse. Avvezza al sesso tra donne con le proprie ancelle, con il pollice accarezzava il clitoride mentre il dito, all'interno della compagna, risaliva sulla superficie vaginale sfiorandone il punto più sensibile.
La sacerdotessa avvolse con un braccio le spalle della sua sovrana, quasi abbandonandosi nel piacere mai provato prima, un piacere che le toglieva ogni forza piegandole le ginocchia.
I brividi le risalivano dalla vulva lungo la schiena, si riflettevano sui giovani seni e le oscuravano i pensieri.
Posseduta dallo spirito di Afrodite, animata e condotta dall'essenza divina, sfiorò con l'altra mano le cosce della donna fermandosi al contatto con i peli della vulva. Con due dita sfiorò le grandi labbra prima si insinuarsi inseguendo lo stillicidio caldo che percepiva sui polpastrelli.
Le dita penetrarono nel morbido mollusco, ne restarono avvolte ed imprigionate, progredendo ed esplorando tutti i confini della sfera sessuale della regina.
Mossa e guidata dai suoi sussulti, dai suoi gemiti, cominciò a penetrarla sentendo avanzare dentro di sé una speculare carezza, una mano gentile e curiosa, rispettosa e provocante, come un riflesso carnale, una simmetrica esplorazione in grado di evocare piccole urla e sospiri che, incoercibili, sfuggivano al controllo della sua volontà.
Le due donne si inginocchiarono una di fronte all'altra, rimanendo appoggiate, nude, una contro l'altra, a cosce larghe, il capo ed i capelli abbandonati alle reciproche spalle, le dita che alternavano carezze profonde e percorsi in superficie per riunire e completare i punti più evocativi del piacere.
Di fronte alle manifestazioni vocali sempre più esplicite della regina, la sacerdotessa smise di trattenere le urla che forti e dilanianti le si sprigionavano dal petto incontro al piacere nuovo, inusuale e mai provato nè immaginato.
Le due donne, rilasciate una contro l'altra, i capelli della regina ad avvolgere la schiena dell'amante, gli occhi chiusi e le labbra strette, circondate in un gorgo di urla, gemiti e sospiri raggiunsero l'esplosione del piacere più animale, selvaggio ed incontrollato, turpe e sublime, perdendo coscienza ed intelletto; le bocche unite, le lingue ad accarezzarsi ed inseguirsi, i sospiri a tramutarsi nei respiri, nel dono reciproco di fiato e saliva.
Gli occhi della dea contemplarono le due donne sdraiate ai piedi degli altari e dei bracieri, avvolte nella chioma di carbone e brillanti della regina, di piccole palpitanti stelle nel profondo della notte senza luna.
Le due amanti si risvegliarono a tramonto inoltrato, le mani ancora sigillate nelle loro culle del concepimento, luccicanti di umori, di sapori e profumi femminili.
La luce rossa dell'astro si infiltrava tra le strette fessure dei muri del tempio, scintillando sui capelli regali, come sulle distese liquide della foce del Nilo, increspate dalla brezza serale e dal volo sfuggente di centinaia di ibis, gli uccelli sacri del fiume eterno.
“La dea mia padrona, Afrodite, la dea dell'amore e della bellezza, la dea nata dalla spuma del mare, Afros, la dea che protegge i navigatori e la dea della rigenerazione, ti ha parlato attraverso il mio corpo e ha depositato i suoi voleri nel profondo della mia mente...”
Si rialzò, Nitocris, parlando ad occhi chiusi, sospirando come in trance, sollevata e accarezzata da un sottile vento profumato di mare.
Quello stesso alito divino muoveva e rivitalizzava i capelli fluenti di Berenice, li animava e li impersonificava estraendone palpiti e brillamenti, lucidi riflessi ed evanescenti sfumature del profondo del mare, dando vita e spessore alle tenebre della notte, ed un'eco di fragili onde marine sussurrava ai loro orecchi, rapiti dall'estasi del sussurro divino.
“La dea cui hai offerto i tuoi voti, consacrato i tuoi doni, affidato i tuoi sacrifici chiede a te, regina di Cirene e dell'Egitto, la sposa del faraone Tolomeo III, di donarle la tua chioma come estremo voto, come donazione del tuo spirito, delle tue più profonde virtù, dell'anima che ti caratterizza e ti sublima, regina divina, per essere percepibile agli occhi umani e degli abitanti dell'Olimpo!”
Berenice ascoltava l'oracolo della divinità come risvegliandosi da un profondo torpore, percependo le parole farsi strada in una sorta di spessa nebbia mentale.
Nitocris si stagliava in piedi, nuda, con la luce del sole al tramonto che le brillava alle spalle; la silhouette nera del suo corpo senza veli, immobile ed imperturbabile mentre la regina cadeva in ginocchio ai suoi piedi.
Berenice chinò il capo in avanti, agnello da immolare per l'amore che la legava al marito, fedele alla dea cui si era abbandonata.
Nel silenzio irreale che avvolgeva i due corpi nudi e magnifici, le lame brillarono di riflessi spettrali avvicinandosi alla chioma che la regina con le mani porgeva alla sacerdotessa.
Lacrime nel silenzio irroravano il volto della sovrana, freddo ed inespressivo.
La mattina successiva un messaggero raggiunse le soglie del palazzo reale ad Alessandria.
Il precedente messaggero essendo scomparso nelle tempeste di sabbia del Sinai, la notizia era stata ritrasmessa in ritardo.
Tolomeo III, coperto di gloria, si avvicinava alla capitale del regno di Egitto, con mare calmo ed i favori dei venti, vittorioso nella terza guerra siriaca, terminata con la conquista di Siria, Dacia, Cilicia e Panfilia, Efeso e Mesopotamia, ed eletto re di Babilonia.
Varcata la soglia della sua dimora incontrò la moglie inginocchiata ai suoi piedi, il capo ed il corpo coperti da un velo di lino finemente ricamato.

Lassù, oltre le nubi dell'Olimpo, Afrodite faceva bella mostra della morbida chioma brillante di riflessi iridati, sotto gli occhi ammirati delle dee e l'invidia di Hera.
La consorte di Zeus convinse il padre degli dei a sottrarre la chioma ad Afrodite e per evitare contese tra le due, su indicazione di Atena, Zeus trasferì la scintillante coltre di soffici capelli lassù nel cielo Boreale. Solo più tardi Afrodite chiese aiuto ad Urano ed ancora per mediazione di Atena, la chioma fu sistemata in una posizione in cui i pianeti Venere e Giove potessero solo sfiorarla, ma non toccarla, ammirarla e lambirla senza più impossessarsene.

Quella sera il faraone, profondamente turbato dalla confessione della regina, la possedette con ira e con violenza, più volte penetrandola e violandola nelle sue cavità più intime, raccogliendone le urla di dolore e di passione, strizzandole i seni e mordendola tra le cosce, ed infine abbandonandosi sul suo corpo tra sudore ed umori.
Risvegliatosi nella notte fece chiamare le ancelle della sposa, Ayleen ed Ashait, e vi si avventò con forza, sodomizzandole più volte mentre le ragazze, abbracciate, si scambiavano baci e carezze, sul corpo accasciato di Berenice.
La mattina successiva, dopo un sofferto scambio di tenerezze e di effusioni, la coppia regale in pompa magna si diresse al tempio di Afrodite per offrire olocausti alla dea che aveva protetto il ritorno vittorioso dello sposo e riappacificato i regnanti, ma ad accoglierli trovarono Nitocris, la sacerdotessa, vestita solo di una tunica cortissima e senza maniche, al posto dell'abito formale.
Di fronte al faraone, la ragazza si strappò la veste rimanendo nuda, si chinò di fronte al sovrano offrendogli la spada sacrificale e la propria vita; la chioma di Berenice era scomparsa dal tempio.
A lungo fu cercata nel regno, alimentando dispute nella copia regale e voci cattive tra i popolani.
Fu la malizia e la competenza dell'astronomo di corte Conone di Sarno che pose termine ai litigi mettendo a tacere le malelingue, ritrovando nella prima notte stellata e senza luna di fine primavera, la preziosa chioma brillare tra le costellazioni del Bootes e del Leone.
Callimaco, poi ripreso da Catullo, collocò nella storia la leggenda della chioma, il sacrificio della regina e le vicende della coppia regnante.
Ancora, in questi tempi, Venere si inoltra nella costellazione della Vergine, la sua sacerdotessa Nitocris, per cercare di raggiungere la chioma posta sopra la ragazza relegata nel cielo sotto il Leone, raggiunge i confini con la Chioma di Berenice senza mai riuscire ad impossessarsene. Unica consolazione è che la stessa sorte tocca a Giove. Si allunga, si estende nella costellazione del Leone, lui pure sfiora la chioma, ma non riesce mai a raggiungerla.

Nella notte di metà primavera gli specchi del Celestron da 230 mm si dirigono verso sud.
La serata è propizia, una sottilissima falce di Luna è appena tramontata ed il bagliore di Venere si palesa alla massima elongazione dal Sole, fra le tenui galassie dell'ammasso della Vergine, che si estende nella costellazione della Chioma di Berenice.
Una donna armeggia con gli oculari, mette a fuoco e descrive la morfologia del pianeta più luminoso, delineandone la fase. Incerte sfumature del sistema di nubi sembrano stagliarsi sui contorni della 'stella della sera', nome improprio per definire il pianeta per certi versi più simile alla Terra.
Un fenomeno raro ed incerto si delinea sotto gli occhi inconsapevoli dell'astrofila.
Il vento si fa fresco in prossimità della quota di 2000 metri del passo San Marco e la ragazza indossa un cappellino di lana, ma i capelli neri e lunghi ne sfuggono, ricadendo sulle spalle, appena smossi dalla brezza frizzante della sera.
Il profilo abbagliante di Venere risalta su un sottofondo di incerto bagliore dato da un ammasso di galassie. Qualche traccia rapida e brillante proveniente dalla costellazione della Lira denota un'abbondante ed imprevista attività dello sciame meteorico di questo periodo. C'è un'atmosfera sospesa, una magia latente in questa notte senza Luna, in cui le stelle sembrano palpitare brillantissime nell'aria incredibilmente tersa dopo l'ultima serie di temporali.
Venere sembra voler sfuggire la forza di gravità ed allontanarsi dalla sua orbita, perdendosi sullo sfondo delle galassie in direzione della Chioma di Berenice. Giove si muove tra Cancro e Leone, ben lontano e troppo in ritardo nella corsa ai delicati brillamenti della chioma.
Le stelle della Vergine con la sua regina, Spica, brillano di luce viva, palpitando come se volessero parlare, trasmettere un messaggio alle poche persone che, sfidando l'aria ancora fredda, nella notte che avanza, affrontano i venti che sfiorano le nevi, per restare a naso in su ad interrogare le stelle ed i destini dei mondi.
Yuko alza lo sguardo oltre il pianeta, brillante di luce fissa.
Qualcosa la attira, richiama la sua attenzione: un angolo scuro del cielo tra le stelle più luminose, Arturo, Spica e Regolo.
Quel bagliore... Un palpito di stelle così fragile che guardandolo direttamente sembra scomparire, ma appena l'occhio se ne distoglie ricompare perentorio e provocante.
L'ammasso stellare aperto Mel 111 nella costellazione della Chioma di Berenice, sta cercando di comunicarle qualcosa.
La giapponese aguzza la vista. In quello spicchio di profondo cielo qualcosa sta succedendo, così, spontaneamente, nella grandiosa indifferenza delle montagne innevate, delle stelle di prima grandezza e delle costellazioni più arroganti ed invadenti.
Rari bagliori in fondo valle ricordano alla ragazza che lassù nel cielo brilla il Firmamento, debole riflesso, parente negletto del tripudio notturno di luci delle città degli umani, che feriscono lo sguardo ed annientano il delicato volo delle lucciole siderali, in perpetua apparente rotazione dai tempi degli antichi egizi e delle loro leggende, dagli astronomi arabi che diedero il nome ad ogni stella.
Ma lassù stasera c'è un messaggio subliminale, qualcosa che affiora appena oltre il livello della coscienza, come il relitto di una nave corsara alla deriva da secoli in acque tempestose.
Yuko sguaina un binocolo 12x40 ed insegue la linea delle tre stelle che identificano la costellazione della Chioma. Sfiora la stella gamma, dai riflessi arancioni ed abbassa lo sguardo sull'ammasso di stelle.
Mel 111 parla a Yuko.
Mel 111 consegna una manciata di zaffiri incastonati nella scura geode del cielo notturno.
Riflessi che dall'ametista sconfinano nel bagliore delle giganti azzurre, con qualche brillamento rossastro: le piccole nane rosse che sfuggono alla gravità dell'ammasso.
Movimenti a 200 anni luce dagli occhi indiscreti di una giapponese. Memorie passate che si palesano solo ai giorni nostri, come antiche reliquie che affiorano da ghiacciai secolari, resti di tombe etrusche ed egizie.
Lapislazzuli scagliati nel cielo dall'oscura mano del destino.
Un'antica regina perpetuata nei bagliori effimeri del cielo.
L'ammasso di stelle sembra scivolare, o forse è solo il movimento apparente della sfera celeste, o forse il binocolo tra mani incerte.
Una vergine si allunga verso la chioma. Una divinità di bellezza cerca di rapire la delicata reliquia, il dono di una regina dimenticata nel tempo, ma eternata nella volta celeste.
L'eterno inseguimento di ineffabili scintillii, ammiccamento discreto di timide stelle.
Yuko appoggia l'occhio all'oculare grandangolo; le spirali delle galassie si contorcono in faticosi movimenti, rievocati alla distanza di milioni di anni luce.
Movimenti a spirale... qualcosa si concretizza nella mente della ragazza, come due mani che, alle sue spalle le sfiorano i capelli scappati dal copricapo di lana.
Spirali in lento movimento sul ventre di una regina, dita rispettose di una sacerdotessa.
Una donna si avvicina al telescopio, sfiora la schiena della giapponese, le accarezza i capelli.
Profumi esotici, sfumature di sandalo e cedro del Libano si materializzano nel sensorio della giovane che interroga gli astri.
Nitocris la vergine, Nitocris la sacerdotessa del 250 avanti Cristo.
Due mani seguono i contorni dei fianchi di Yuko, dalle spalle le palme convergono sulla stretta vita per riallargarsi sul sedere.
Yuko è scossa da brividi di freddo. Oppure il palpitare delle stelle al binocolo, i bagliori delle galassie al telescopio, gli incerti lampeggi dell'ammasso, evocano nella ragazza oscure riminiscenze.
Le stelle parlano, le stelle raccontano.
“Mi serve una donna, una donna calda e viva!”
sussurra Nitocris alle spalle di Yuko, un sussurro del vento tra i capelli.
“Chi sei?” un'eco lontana nella mente dell'asiatica, deboli potenziali evocati al confine tra la coscienza ed il sogno.
'Qualcuno mi sta toccando? Qualcuno mi sta parlando?'
L'astrofila si stacca dallo strumento e si guarda intorno, ma solo il sussurro del vento tra le fronde dei larici le risponde dalla fondo della val Gerola.
Sembra che Venere si muova, che attraversi la Vergine e che ne venga proiettata verso i tenui bagliori della chioma, eppure la donna lo sa che è solo suggestione. Venere non può uscire dall'orbita e l'ammasso che delinea la chioma di Berenice è distante oltre 200 anni luce. Solo prospettive, giochi di fantasia, leggende e proiezioni fantastiche.
Due mani si infilano sotto la giacca a vento della giapponese. Due mani calde, due mani riscaldate al sole del nord Africa, il delta del Nilo, le antiche pietre di Alessandria d'Egitto.
Due mani le sfiorano i seni, ne evocano stimoli di piacere.
Yuko si abbandona a quelle carezze, rifiuta di razionalizzare, richiude il pensiero sciente nello scrigno del razionale e si abbandona alla leggenda ed alla fiaba narrata dal lento e perpetuo movimento degli astri.
Una mano si fa strada sotto la maglietta accarezzandole i capezzoli, un'altra mano forza la stretta della cintura e viola l'elastico degli slip.
La fronte suda, la fronte si appoggia al telescopio che insegue il movimento apparente della volta celeste attorno all'asse terrestre.
Yuko viene sopraffatta da un orgasmo. Non un'esplosione dei sensi, ma un dolce abbandono al piacere, piccoli singulti avvolti nella discrezione. Chiude gli occhi mentre sente le dita giocare dentro di lei, muoversi in profondità e tornare in superficie, avvolgerle la vulva, come quelle lente spirali che avvolgevano i bracci delle galassie lontane ed irraggiungibili nel tempo e nello spazio, eppure reali e concrete nell'oculare del telescopio.
Nitocris si è impossessata della ragazza che da sola, nella notte, scruta i bagliori siderali.
La sacerdotessa pronuncia antiche formule, lingue scomparse da tempo e riemerse dalla lontana terra delle piramidi e dei geroglifici.
Afrodite prende forma e sembianze dall'abbagliante luce del pianete Venere.
Si muove magica e fatata, brillante e seducente tra le stelle della Vergine. Con movimenti sinuosi dei fianchi, la dea della bellezza procede nuda nella costellazione della Chioma di Berenice.
Nitocris alza le dita al cielo, come un direttore del Conservatorio, ad orchestrare movimenti di stelle, orbite planetarie, rotazioni di galassie e stelle di nuova nascita negli ammassi aperti. Venere sfiora la coda del Leone, si tiene distante dal Bifolco, evita lo sguardo indagatore di Arturo, la stella gigante arancione a guardia della Chioma. La Vergine guida l'astro della sera attraverso formule ancestrali ed antichi rituali, Venere si muove tra le stelle.
Yuko giace abbandonata nel suo corpo, ma attraverso le sue membra, la sacerdotessa immola riti ed offerte, chiede l'intercessione degli dei, rievoca i fasti del regno della dinastia di Tolomeo prima della resa all'impero romano.
Con gesto furtivo Afrodite si impossessa della Chioma di Berenice. Si guarda intorno sospettosa. Arturo, dalla prospiciente costellazione del Bifolco, non si è accorto di nulla; sbircia la Corona Boreale, discorre annoiato con Ercole di questa stupida tradizione, di queste leggende che, scolpite nei cieli, non tramontano mai, se non per risorgere la notte successiva, invariate ed immutabili nello scorrere dei millenni.
Si avvicendano i regni e gli imperi, ma nel Firmamento tutto resta immutato, inutilmente e ridicolmente.
Afrodite volge lo sguardo dalla parte opposta. Il Leone le dà le spalle e non si è accorto, lui pure, di nulla. La coda ogni tanto sbatte l'aria, annoiata. Il re degli animali discorre col padre degli dei che, stancamente, abbandonati i Gemelli, attraversa il Cancro per poi concedersi qualche settimana con la fiera regale.
Venere si lascia scivolare dalla Chioma alla Vergine, ma trascina con sé l'ammasso mel 111, le chioma propriamente della della regina d'Egitto e Cirene.
Yuko è scossa dalle ultime contrazioni al basso ventre, si sente le mutandine bagnate.
'Ma cosa diavolo mi è successo? Possibile che la visione delle stelle, delle tenui luminescenze della chioma, delle fasi di Venere, delle galassie della Vergine, mi abbiano stimolato e rapito al punto da provocarmi un orgasmo?'
Sente dei passi allontanarsi, un rametto secco che si spezza, un trascinarsi nella ghiaia.
Si volta, ma solo la brezza della notte le sorride bonaria. Il manto buio protegge i rapidi passi della sacerdotessa che scappa e si rintana nelle leggende da cui è emersa, solo in questa notte fatata, in questa notte in cui le meteore sembravano impazzire esplodendo come fuochi d'artificio dalla costellazione della Lira.
La giapponese solleva lo sguardo verso il cielo e... 'Dov'è finito l'ammasso?'
riprende il binocolo. L'ammasso stellare, il piccolo stormo di lucciole azzurre della Chioma di Berenice è scomparso.
'Non può essere. Oppure me lo sono sognato. Che stupida, ho sbagliato costellazione!'
Il rumore sommesso di una risolino frivolo di una ragazza altezzosa.
'Ma chi c'è qui in giro?'
Nessuno. Non c'è nessuno, Yuko, e tu stasera sei fuori dal mondo, forse anche fuori dal tempo; altro che Venere, galassie, ammassi e costellazioni: sei tu che stasera sei in orbita!
Venere è tornata nella costellazione della Vergine, la Chioma di Berenice saldamente nell'altra mano. L'ammasso di stelle misteriosamente slittato da una costellazione ad un'altra.
Afrodite nasconde il sorriso nella mano.

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