Vergine

di
genere
etero

La superficie tenuemente ondulata, di un candore accecante.
Giochi di luce disegnano i contorni delle sporgenze e degli avvallamenti.
Luce radente sulla distesa morbida, piccole porosità, attraenti discontinuità, come per garantire allo sguardo la possibilità di un riposo dalla candida uniformità.
I miei occhi contemplano la distesa di neve sotto la punta dei miei sci che sporgono sull'orlo del sentiero.
Nessuno è ancora passato sul pendio incontaminato. Nessuna traccia.
Ripidità sotto la cicatrice che il sentiero battuto dai ciaspolatori ha tracciato sul fianco della montagna. Linee convergenti verso il gruppo di pini cembri più sotto.
Ombreggiature azzurre catturano lo sguardo, arricchendo di vellutata leggerezza la pacifica distesa di neve vergine. Riflessi dell'azzurro del cielo rapiti negli stretti confini terrestri.
Il sole si insinua suscitando brillamenti e luccichii. Microscopici prismi rilucono di riflessi iridati, scomponendo la luce selvaggia dell'astro.

I tuoi occhi sulla pelle del mio corpo, alla luce dell'abat-jour di fianco al letto.
Le ombre sottolineano i contorni del mio seno e del mio ventre.
La pelle porosa e finemente vellutata scolpita nelle ondulazioni delle coste e degli addominali, poco rilevate.
Le irregolarità delle areole dirigono lo sguardo sui capezzoli appena accennati, in riposo.
La luce sparisce ingoiata dallo scuro ombelico; divalla perdendosi in sfumature intorno alle cosce.
I peli del pube, brusca discontinuità tra il ventre e le dune delle cosce, lievemente aperte per lasciarmi indagare dai tuoi occhi.
Il tuo dito leggero mi accarezza in precise sinusoidi che dal collo mi sfiorano le ascelle, contornano il seno e scivolano verso l'inguine.
I capezzoli lievitano, risvegliati dal lungo torpore. Si gonfiano le areole finemente tubercolate, sostenendo l'erezione dei capezzoli.
Il tuo dito li sfiora e loro inseguono le tue carezze, attratti come magneti incontro alle tue dita, si sollevano al tuo dolce tocco.
Il dito disegna discese convolute sulla pelle dei miei seni, circonda l'ombelico e si lascia sedurre dai richiami del pube.
Sfiori la superficie dei peli perdendoti nei pendii montani di Venere e scivoli tra le mie cosce impazienti. Sci estremo sulle pieghe inguinali, le dita sfiorano la vulva senza addentrarsi nei vortici del piacere, tana umida ed oscura dentro cui perdere la ragione, incatenando la coscienza, sequestrando la volontà, asservita al desiderio irrefrenabile.

Con un piccolo gemito di eccitazione mi spingo con le bacchette lungo la linea più ripida del pendio.
Prendo velocità, allargo appena le cosce, piego le ginocchia.
I capelli mi scappano dal cappellino e fuggono sedotti dalle lusinghe del vento.
Bastoncino nella neve, alzo le code, distendo le gambe nella prima curva.
La neve morbida asseconda il movimento degli sci ed ammortizza il mio peso.
Lo sbuffo di neve polverosa si innalza impalpabile, brillando dei riflessi solari.
Le lamine grattano il fondo ghiacciato sotto la recente nevicata e riparto in diagonale.
Ma la velocità è già sostenuta e leggera affronto la seconda curva nella sequenza di piegamento, bastoncino e distensione.
Affondo nella neve in una nuova nuvola di polvere bianca, rimbalzando fuori dalla superficie di farina. Le punte riaffiorano come artigli di un rapace che emerge dall'uniformità di ghiaccio.
Gli sci rimbalzano fuori dalla coltre e riaffondo pronta ad affrontare la curva successiva.
Di nuovo l'affondo degli sci nella cedevole superficie di luce cristallizzata.
Una curva dopo l'altra nella stretta serpentina sulla massima pendenza.
Emergo ed affondo, le braccia larghe, la schiena contratta, le anche che scattano nei cambi di direzione, indovinando e domando la pendenza sfuggente.

Emergi ed affondi dentro di me, con la tua potenza imbrigliata di dolcezza.
I miei fianchi di vengono incontro, assecondano le tue spinte mentre ti accolgo e ti sento penetrare nel mio corpo.
Le dita grattano la superficie morbida delle lenzuola, per poi abbandonarsi lungo le forti linee del tuo corpo.
La pelle umida per lo sforzo mentre entri dentro di me.
I muscoli contratti nel movimento pendolare fuori e dentro il mio ventre.
Il dolce scorrimento della tua potenza nelle mie profondità morbide ed accoglienti.
La mia intimità bagnata per il tuo incedere regolare e senza intoppi.
Entri ed esci, affondi e riemergi; il mio seno si contrae sotto le tue carezze, si irrigidiscono i capezzoli sotto le tue mani, mentre sporgo il bacino per favorire il tuo ingresso, per accoglierti nel profondo.

Mi fermo col fiatone e guardo con orgoglio la regolare scia sinusoidale che i miei sci hanno scolpito sul fianco della montagna. Decine di metri bruciati in poche curve, una manciata di secondi.
L'uniforme sequenza di curve e controcurve, solco simmetrico come vomere nella fecondità della nivea superficie.
Mi aggiusto il cappellino spostando i capelli che mio coprono lo sguardo. Sistemo gli occhiali da sole; apro appena la giacca a vento, ora sono accaldata.
Mi rilasso in un lungo diagonale nel bosco rado in cerca del prossimo pendio.
Le tracce di caprioli in cerca delle oasi di erba appassita sotto gli abeti ed i cembri, il sentore della resina per i miei sensi affinati. Giochi di luce tra i rami dei sempreverdi e mi affaccio su una nuova distesa.
Neve perfetta nel gelo invernale, impalpabile polvere aggrappata al pendio di ghiaccio.
Minuti cristalli, piccoli aghi brillanti, alternati a scagliette vivide di riflessi, catturano i raggi del sole restituendoli in variegate sfumature di luce.
La superficie farinosa ottunde ogni rumore, solo il cotonoso mio incedere, leggera e sottile sull'impalpabile nuvola di polvere ghiacciata.
Sul nuovo pendio scivolo in un ammiccante canalone più ripido, costruendo nuove geometrie, firmando con la mia scia la tela vergine che mi invita a violarla.
Piccole urla di piacere, simbiosi con la natura, discreta presenza solitaria tra i boschi silenziosi nel riposo invernale.
Neve vergine.
Distese incontaminate.
Mi affaccio sull'orlo di una ripida parete che si divide in ripidi sdruccioli che convergono in cascate cristallizzate, terreno per picozze e ramponi.
Scarto di lato aggirando i contrafforti fino a scorgere un canalino stretto come il buco di una serratura. Due inguini che convergono tra strette cosce di una donna.
Attente derapate, concentrazione e circospezione. Le lame degli sci, come un rasoio a depilare un pube per renderlo liscio e docile.
Finchè lo stretto si allarga cedendo ad un nuovo ripidissimo pendio abbastanza largo per un salto ed un'inversione degli sci.
Salto, curva e stop. Blocchetti di neve precipitano risucchiati nel baratro sotto di me.
Bacchetta, alzo le code e curva stretta. Due metri più sotto affondo nella neve, le lamine raspano sulla base ghiacciata che arresta la scivolata.
Altra curva tra le pareti rocciose, poi un'altra ed il couloir si allarga, la pendenza cede e mi lancio in una nuova serpentina, sequenza di salti ed affondi verso il bosco sottostante.

Ti accolgo nei tuoi movimenti profondi e controllati. Entri in profondità.
Il clitoride accoglie le carezze dei tuoi peli, rimani dentro di me e ti muovi al mio interno per stimolarmi nei miei punti più sensibili.
Ricevi i miei sospiri di ritorno. Con le unghie ti arpiono ai fianchi.
Affondi la faccia tra i miei seni, in cerca della voluttuosa morbidezza.
Ti bacio la nuca.
Poi riprendi rapido ed impietoso, incurante dei miei gemiti, nutrito dai miei sospiri.
Mi sconquassi, mi vìoli, mi penetri, mi conquisti.
La tua firma dentro di me, il tuo tocco.
Traccia indelebile del tuo passaggio, circondato da litri di inchiostro filante di piacere.
Sapori indescrivibili, miscela di sensazioni.
Vibro ed urlo, ti avvolgo tra le cosce e ti stringo per catturarti dentro alla mia trappola.
E tu ti sciogli infine, con un ultimo sbuffo, come una locomotiva a vapore al termine di un lungo viaggio sulla via dell'oriente express, dalle delizie del sol levante alle fiorite distese di tulipani.

Resto immobile a raccogliere il mio respiro affannoso.
L'audace e maliziosa traccia degli sci su un pendio inspiegabile.
Impertinente e provocante.

L'affanno umido di sudore al termine di un appagante esercizio fisico.
Sento il caldo sciacquettio farsi strada nel mio ventre, percolare al di fuori di me.
Viscosa e lenta carezza sui genitali esterni.

Il respiro ritrova regolarità, mentre mi lascio scivolare sugli ultimi pendii nel bosco, ormai giunta sul sentiero inferiore, quasi in prossimità della case.

Guardo il mio uomo abbandonato sopra di me, appagato del mio corpo.
Come un bambino riposa sul mio seno.
Gli accarezzo le tempie mentre lentamente lo sento ritrarsi dal mio ventre.
Traiettorie sempre nuove tra i miei capelli e le mie cosce, rifugio di desideri, sollievo del corpo.
Percorsi da indovinare, da osare, in sempre nuove insondabili avventure.
La “suite in stile antico per archi” di Edvard Grieg si mescola alle melodie dei concerti Brandenburghesi di Bach.
di
scritto il
2021-01-10
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