Sonia & Tommaso - Capitolo 25: Il Prezzo dell'Obbedienza

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tradimenti

Erano quasi le diciotto. La spiaggia cominciava a svuotarsi, ma l’aria conservava un calore denso e umido. Nicola riapparve; la sua figura emanava un fascino familiare, quasi atteso. Mi lanciò la chiave sul lettino, con quel suo sorriso che sapeva di promessa sottile e minaccia aperta. Udii il tintinnio metallico contro la stoffa calda. Tommaso, come al solito, era lontano, perso tra gli animatori e i loro giochi, ignaro. La sua ignoranza rappresentava la mia libertà: un velo sottile dietro cui nascondere la mia vera natura. Mentre io mi stavo preparando a consegnarmi a Nicola, completamente.
Mi sollevai, i muscoli un po' indolenziti dal sole e da quell'incontro mattutino. Lanciai un'occhiata discreta in giro. La moglie di Nicola si trovava lì, con i figli, i suoi occhi puntati su di me, su suo marito che le dava le spalle. Sapeva, o almeno intuiva. Percepivo il suo giudizio silenzioso, un peso che mi scivolava addosso come l’acqua salata. Ma non mi fermai. Iniziai a camminare, dirigendomi verso le cabine, la nostra destinazione segreta. Nicola mi seguiva; avvertire la sua ombra alle mie spalle era una pressione invisibile ma costante. A ogni passo, mi godevo il brivido di quella trasgressione così pubblica, così sfacciata.
Dentro la cabina, l’aria era densa, satura dell’odore di cloro e salsedine, mescolato a quello acre del sudore maschile. Nicola non sprecò un secondo. Mi prese da dietro, afferrando i capelli con una stretta forte, quasi possessiva, tirandoli con una violenza che scatenava al tempo stesso dolore e una scarica inebriante. Sentii il suo peso schiacciarmi contro il legno mentre, con colpi secchi, mi possedeva con foga. La sua voce, roca e bassa, mi raggiunse l’orecchio: «Io sono un uomo che sa quello che vuole e che non accetta negazioni, Sonia». Non erano solo parole, era un comando. Quella frase mi colpì come una frustata, punendomi per la finta resistenza di poco prima .
Poi, con un gesto improvviso, quasi crudele, estrasse il suo grosso cazzo dalla fica. Sentii la sua cappella cercare l'ingresso, spingere con prepotenza. Non ci fu tempo di protestare, di prepararmi. Con un’unica, decisa spinta, me l’infilò nel culo. Un dolore forte, acuto, così intenso che a stento trattenni un urlo. La mia bocca si spalancò, ma nessun suono uscì. Le lacrime mi appannarono gli occhi, ma non provavo solo male. Era una sensazione di rottura, di violazione, che si mescolava a un piacere perverso. Lui mi fotté il culo senza pietà, spingendo a fondo, ogni colpo un’offesa e un’estasi. I miei capelli, ancora stretti nella sua mano, erano redini; mi guidavano nella sua perversione, mi facevano piegare alla sua volontà. Il mio ano, caldo e teso, iniziava a cedere al suo dominio.
Il dolore, lentamente, sfumava, lasciando il posto a una sensazione di dilatazione e pienezza che mi portava a godere. Totalmente sottomessa al suo dominio, il mio corpo rispondeva a ogni sua spinta con spasmi involontari. Quando si accorse che stavo per venire, affondò con ancora più forza; sentire il suo sperma caldo riversarsi nel mio culo, un’onda bollente e vischiosa, mi fece inarcare la schiena. Ero sua, definitivamente, in ogni fibra del mio essere.
Quando feci per rimettermi il costume, lui m'afferrò la parte di sopra. L'appese sull'appendiabiti, con un gesto secco, definitivo. E mi disse, con un tono che non ammetteva repliche: «Da questo momento, quello non ti servirà più. Sei troppo bella per nasconderti». Provai a protestare, a dire qualcosa, ma i suoi occhi duri e inflessibili mi ipnotizzarono, zittendomi.
Uscendo da lì, cercai istintivamente di nascondermi il seno con le mani, ma lui, con una rapidità che non mi aspettavo, me le fece abbassare. Non potevo coprirmi. Tornai così all’ombrellone, con lui che mi precedeva, e il mio corpo mezzo nudo in bella vista, come un trofeo in esposizione. Tommaso era lì, seduto sul lettino, e Nicola gli andò incontro con un sorriso da complice, fingendo di complimentarsi con lui per avermi convinta a stare con il seno nudo.
Nicola: «Tommaso, amico mio, complimenti! Sei riuscito a convincerla. La tua Sonia è una meraviglia. Guarda che coraggio! Ti ho solo detto che sarebbe un peccato nascondere tanta bellezza... e lei ti ha dato retta!» Tommaso: (Sorpreso, ma con un sorriso ingenuo) «Ah, Nicola, sei un adulatore! Magari! Ha fatto tutto da sola, io non c'entro nulla. È una ragazza sfrontata, quando vuole... ma è bellissima, vero?» Nicola: (Guardandomi con un sorriso eloquente) «Bellissima. E coraggiosa. Molto coraggiosa, Tommaso».
Passai davanti a Tommaso senza dire nulla, mentre una sfida eccitante mi ribolliva dentro. E per un ultimo, piccolo atto di ribellione, mi stesi sul lettino di pancia, nascondendo i miei seni, come se potessi ancora nascondere qualcosa di me. Ma sapevo, e lui sapeva, che quella resistenza era solo apparente. La mia pelle era sua, il mio corpo anche, e la mia psiche era ormai irrimediabilmente legata alla sua perversione.
Stesa sul lettino, la pancia affondata nel telo, i seni nascosti, percepivo il sole picchiarmi sulla schiena, ma un altro calore, quello dello sguardo di Nicola, mi bruciava addosso; un calore che la sabbia non poteva irradiare. Lui e Tommaso chiacchieravano, eppure ogni tanto mi arrivava una frase, un tono. Sapevo che Nicola stava ancora tessendo la sua tela. Tommaso rimaneva lì, la sua ingenuità era una barriera sottile tra me e il precipizio in cui Nicola voleva spingermi. Tutto si svolgeva come una danza, un gioco sottile di sguardi e parole non dette, un silenzio carico di promesse proibite.
Nelle sue pupille leggevo un possesso silenzioso che mi eccitava e mi rendeva, al tempo stesso, irrequieta. Sentivo il mio ano pulsare piano, un’eco del suo sperma ancora caldo dentro di me. Ogni minima vibrazione, ogni parola di Nicola a Tommaso su quanto fossi bella, su quel «peccato» del mio corpo nascosto, mi regalava il brivido di essere esposta, seppur velata. Quella tensione era costante, un filo teso tra la normalità di quella scena da spiaggia e la perversione che mi fermentava sotto la pelle.
Provavo un senso d’insofferenza verso quella situazione. Sì, eccitante, ma anche... estenuante. Nicola mi attraeva in un modo che andava oltre il semplice desiderio: un’attrazione complessa, magnetica, a cui non sapevo dire di no. Vedevo in lui un vero maestro nella manipolazione. Scaltro, sfacciato, sembrava trarre un piacere quasi infantile nel mettere in imbarazzo le persone, specialmente me. Ogni suo gesto, ogni sua parola, appariva mirata a spingermi al limite, per farmi vibrare in balia della sua volontà.
Finito di parlare con Tommaso, passò accanto a me, quasi con noncuranza, e mi diede uno schiaffetto sul sedere. Un gesto pubblico, sfacciato, e Tommaso, il mio ingenuo fidanzato, rise. Non aveva capito nulla, ovviamente. Quello scherzo rappresentava un ulteriore segno del suo dominio su di me, sotto gli occhi di tutti.
Rientrando in hotel, lo vidi seduto a uno dei tavolini del bar, da solo. Ci invitò a fermarci per un aperitivo. Io indossavo gli short attillati e la canottiera molto scollata. Al mattino mi sentivo coperta dal costume, ma ora la parte sopra non c'era più. Il mio seno si offriva libero e in bella vista sotto la canottiera. Provavo una sensazione di vulnerabilità e al tempo stesso di eccitazione.
Tommaso, nel frattempo, manifestò un’urgenza improvvisa di andare al gabinetto. Così, finito di bere la sua birra, scusandosi, salì in camera. Rimasta sola con Nicola, lo guardai, i miei occhi che incontravano i suoi, e scuotendo la testa, gli feci capire che la situazione era incredibile. Non vi era rabbia nel mio gesto, ma un misto di rassegnazione e ammirazione per la sua audacia, per il suo controllo su ogni situazione e, soprattutto, su di me.
Seduti a conversare, vidi sopraggiungere Alessandro, il ragazzo con cui avevo parlato un paio di volte. Mi salutò con poche parole educate e andò a prendersi il suo aperitivo. Nicola, subito, mi chiese di lui. Gli dissi la verità, parlandogli di quelle brevi conversazioni innocue. Ma lui, con quella sua sfacciataggine che mi mandava in corto circuito, disse: «Ti piace, Sonia? Ti piacerebbe farti scopare anche da lui? Sii onesta». Gli chiesi se fosse pazzo. Lui mi fissava, in cerca di una risposta che andasse oltre le mie parole, in cerca di un’ammissione che neanche io osavo fare a me stessa.
Alessandro stava tornando, il bicchiere in mano. Nicola, con una rapidità che mi colse di sorpresa, mi ordinò quasi in un sibilo: «Fai in modo che Alessandro possa intravedere il tuo seno attraverso la canottiera scollata. Devi farlo». Lo guardai incredula. La mia mente urlava: Ma cosa sta dicendo? Come posso? Alessandro ci chiese se disturbava e se poteva sedersi perché i tavoli erano tutti occupati. Nicola lo invitò con un sorriso disinvolto e il giovane prese posto accanto a me. I due iniziarono a conversare del più e del meno, ma mentre parlava, gli occhi di Nicola mi restavano puntati addosso: un comando silenzioso, implacabile.
Non sapevo come fare, il mio corpo sembrava non rispondere. Cercai di trovare un modo, ma l'imbarazzo mi bloccava. E vedendo che io non agivo, intervenne lui. Cambiando discorso, disse: «Scusaci Sonia, ti stiamo annoiando con i nostri discorsi». Poi, rivolto ad Alessandro: «Non è forse uno splendore? Bella vero?» E con un gesto rapido, deciso, mi aprì di lato la canotta, mostrando la mia tetta ad Alessandro. Un gesto veloce, un lampo, ma fu abbastanza. Nicola, con una finta innocenza, chiese: «Ti piacciono le sue tettine? Pensa che si vergogna a mostrarle. Guarda bene, non sono molto grosse, ma secondo me sono perfette».
Alessandro quasi si rovesciò addosso l'aperitivo, diventando rosso come un pomodoro. Si sentiva così a disagio, così inaspettatamente coinvolto. Con Nicola che sollecitava una sua risposta, il ragazzo, balbettando, disse che sì, le trovava molto belle. Io stavo lì, bloccata, incapace di reagire, lasciandolo fare. Una parte di me era mortificata; l’altra, quella più oscura, vibrava per quella pubblica esposizione.
Poco dopo, Alessandro, ancora visibilmente turbato, se ne andò. Mi voltai verso Nicola, i miei occhi che lo trafiggevano. Gli chiesi di nuovo, con voce quasi strozzata: «Sei completamente fuori di testa?» Come risposta, lui disse, con quel suo sorriso malizioso e una determinazione che non ammetteva repliche: «Farò in modo che il ragazzo ti scopi, Sonia. Presto». Le sue parole erano come una promessa, una minaccia e una sfida. Sapevo che l’avrebbe fatto. E in quel momento, nonostante la mia finta rabbia, assaporavo già il brivido di quella futura trasgressione.
L'odore sgradevole lasciato da Tommaso in bagno era un promemoria fastidioso della sua presenza, della sua ingenuità. Ma neanche l’acqua calda della doccia riusciva a lavarmi via ciò che era successo al bar. La scena si riproponeva nella mia mente: gli sguardi di Nicola, le sue parole sfacciate e poi Alessandro, il suo imbarazzo, il mio seno esposto. Mi chiedevo quanti avessero visto, quante persone avessero assistito a quel piccolo, pubblico scandalo. La figura che avevo fatto con Alessandro mi bruciava, ma non di vergogna. No. Era un misto di eccitazione e consapevolezza di quanto fossi andata oltre. Mi ero mostrata, mi ero sottomessa e quella sensazione mi pervadeva.
Mi lavai con cura, ma la mente continuava a correre a quel «Farò in modo che il ragazzo ti scopi» di Nicola. Una promessa e una minaccia che mi faceva fremere. Uscita dalla doccia, iniziai a prepararmi per la cena. Come intimo, scelsi un perizoma di pizzo nero sottilissimo, quasi invisibile sotto la seta. Non misi il reggiseno, lasciando il mio seno libero di muoversi sotto la stoffa, in una sfida silenziosa. Volevo sentire la sua nudità sotto il vestito, un contatto costante che mi ricordasse chi ero diventata.
Per l’abito optai per un vestito lungo di seta nera, leggero e scivoloso. Era elegante, sì, ma la seta accarezzava ogni curva del mio corpo, rivelando senza mostrare del tutto. Scollato sul davanti, lasciava intravedere l’inizio del mio seno e mostrava uno spacco vertiginoso sulla coscia sinistra, che arrivava quasi all’inguine. Ogni movimento avrebbe rivelato un po’ di più, un gioco di nascondere e rivelare che mi eccitava.
Ai piedi, sandali neri altissimi, con un tacco a spillo sottile che slanciava la figura e mi faceva sentire irresistibilmente attraente. Ogni passo ribadiva la consapevolezza del mio corpo, della mia sensualità. Mi guardai allo specchio. La mia immagine riflessa non era più quella della «brava ragazza». Dallo specchio emergeva una donna sfrontata, desiderosa, con gli occhi che brillavano di un fuoco nuovo, di una consapevolezza perversa.
Entrando nella sala da pranzo, percepii immediatamente gli occhi dei maschi su di me, un coro di sguardi che mi accarezzava, mi spogliava. Ma uno sguardo in particolare mi trafiggeva: quello di Nicola. Stava lì e sembrava mi stesse mangiando con gli occhi, ogni sua pupilla un raggio laser che mi scandagliava. Lo vidi prendere il telefono, le dita rapide sulla tastiera. E subito, il mio cellulare vibrò. Lessi velocemente le poche righe di testo. Non una richiesta, ma un ordine: «Metti a dormire il cornuto e aspetta». Sentii un fremito attraversarmi il corpo, un brivido di pura eccitazione per quella richiesta così sfrontata, così diretta. Di risposta, gli sorrisi: un sorriso che era una promessa silente, un patto tra noi due che nessuno avrebbe mai potuto capire.
scritto il
2025-12-21
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