Sonia & Tommaso - Capitolo 24: La Proposta Indecente

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genere
tradimenti

Il mattino dopo, in spiaggia, eccolo lì davanti, come se la notte non fosse mai finita. Mi porse ancora la chiave, la stessa, per la stessa cabina. Lo sguardo, quasi istintivamente, volò verso sua moglie. Lei ci guardava, e un brivido mi corse lungo la schiena, un misto di paura e l'eccitazione del rischio. Ma Nicola, con la sua voce profonda e quel carisma che mi faceva completamente sua, disse di non farci caso.
Nonostante mi sembrasse assurdo, nonostante una parte di me sapesse di stare esagerando, presi la chiave. Docile, quasi ipnotizzata dalla sua presenza, mi incamminai verso le cabine. La mente era già lì, proiettata su quello che sarebbe successo.
Aprii la porta della cabina numero cinque. L'aria era calda e un po' umida. Entrai, chiudendo la porta alle spalle. Un istante dopo, arrivò. Senza perdere tempo, mi afferrò i fianchi, spingendomi contro la parete e mi sollevò il mento con un dito. I suoi occhi azzurri erano intensi, famelici.
«In ginocchio,» ordinò, la voce bassa e roca, un tono che non ammetteva repliche. Senza esitare, obbedii. Mi inginocchiai, guardandolo dal basso: la posizione di sottomissione mi eccitava in un modo inconfessabile.
Lui abbassò i pantaloncini, e il suo cazzo balzò fuori, duro, turgido, imponente. Era lì, davanti al mio viso, pulsante e desideroso. Lo guardai, inghiottendo a fatica. Era davvero grande, e perfetto nella sua virilità.
«Prendilo, puttanella,» sibilò.
Aprii la bocca, lasciai che la lingua scivolasse lentamente sulla cappella. Il sapore di sale e maschio mi invase la bocca. Iniziai a muovermi, accogliendolo, la lingua che lo accarezzava in un movimento lento e sensuale. Lo presi in bocca, i miei occhi erano puntati sui suoi, cercando di leggere ogni espressione mentre mi impegnavo a dargli tutto il piacere che desiderava.
Lavorai con la bocca, succhiando e leccando, scendendo e risalendo lungo tutta la lunghezza del cazzo. Le sue mani mi afferrarono i capelli, guidando il ritmo, spingendo la mia testa più a fondo quando voleva che lo prendessi tutto. Non provai disgusto, solo un senso perverso di onore nel servirlo. I miei occhi lacrimavano un po' per la profondità, ma non smisi. Sentivo la sua eccitazione crescere, l'erezione che pulsava ancora più forte nella bocca.
Mi mossi con abilità, ricordando ogni lezione appresa da Mario ed Enzo, ogni movimento che li aveva fatti gemere. Lo strinsi con le labbra, lo spinsi in gola, assaporandone ogni centimetro. Un gemito profondo gli sfuggì. Sentivo che era vicino.
«Così, brava,» sussurrò, la voce ormai quasi un ringhio. «Vieni a prenderti la tua sborra.»
E poi, con un ultimo, potente spasmo, venne. Il suo seme caldo e denso mi riempì la bocca, un'ondata salmastra e virile che ingoiai senza esitazione, sentendomi come una predatrice che aveva cacciato.
Nicola uscì per primo dalla cabina, e un attimo dopo mi fece segno con la testa che potevo uscire. Ero stordita, le labbra ancora umide del suo sapore, i capelli un po' in disordine. Lui mi guardò, con un'espressione di soddisfazione.
«Andiamo al bar,» mi disse, nel tono deciso di chi è abituato a comandare. Mi sentivo in imbarazzo per l'aspetto, la sola brasiliana e il reggiseno che mi coprivano a malapena. «Non mi metto qualcosa?» gli chiesi, la voce un sussurro, sperando che mi dicesse di sì.
Lui mi guardò con quell'espressione tagliente, decisa, e un lampo nei suoi occhi azzurri. «Vai bene così,» mi disse, con quella voce che non dava spazio per la discussione. Subivo fortemente il suo carisma, e ogni sua richiesta era per me un ordine. Non potevo dirgli di no, e in fondo, non volevo nemmeno. La sua autorità mi eccitava in un modo primordiale.
Nicola decise per un tavolino in piena vista. Proprio ciò che temevo, o forse, in fondo al cuore, ciò che desideravo. Mi sentii esposta, la figura in bikini sotto gli sguardi di tutti, ma in particolare sotto i suoi. Dopo esserci seduti e ordinati due caffè freddi, iniziammo a parlare.
Con un filo di voce che tradiva una timidezza inaspettata, data la sfrontatezza con cui l'avevo accolto poco prima, gli chiesi: «Non temi di essere visto da tua moglie?» Lo sguardo, quasi per istinto, cercava il suo ombrellone.
Lui mi rispose lapidario, con quel tono deciso che mi fece rabbrividire: «Di mia moglie non ti devi interessare.» Una risposta che mi tagliò il fiato, ma non mi fermai. Spinta da una curiosità che era quasi una provocazione, insistetti: «Il vostro rapporto è in crisi?»
«No,» mi rispose semplicemente, lo sguardo che non ammetteva repliche, un'espressione che mi fece capire che l'argomento era chiuso.
E continuò: «Cosa fai nella vita?» mi chiese, un leggero sorriso che gli si disegnava sulle labbra.
«Ho iniziato da poco,» gli risposi, con un po' di orgoglio, «come impiegata, in una piccola azienda di trasporti.»
Lui sorrise, un sorriso che non capii bene se fosse di divertimento o di scherno. «E tu, invece, cosa fai?» gli chiesi, cercando di ribaltare la situazione. «Sono agente di borsa,» mi disse, la voce sicura, «e ho un'agenzia tutta mia.»
Un lampo di sorpresa mi attraversò gli occhi, ma la sua domanda successiva mi fece sentire un nodo allo stomaco. «E Tommaso? Da quanto state insieme? Convivete?» «No, non conviviamo,» gli risposi, cercando di apparire naturale. «Abitiamo entrambi in famiglia. E stiamo insieme da quasi tre anni.»
I suoi occhi erano fissi nei miei, una sfida silenziosa. «Lo ami?» mi chiese, con un tono che non ammetteva esitazioni. «Sì,» risposi, con decisione, cercando di convincere lui e, forse, anche me stessa.
Lui inclinò la testa, il sorriso che si allargava in un'espressione quasi beffarda. Si sporse in avanti, abbassando la voce: «Allora perché lo tradisci, Sonia? Dimmi la verità: non ti basta?» Mi sentii in crisi. La domanda mi colpì come un pugno nello stomaco. Il mio volto si accese di imbarazzo, le parole mi morirono in gola. Non sapevo cosa rispondere, e lui rise al mio evidente disagio, un suono basso e gutturale che mi eccitò nonostante la situazione.
«E lui che lavoro fa, il tuo bravo fidanzato?» mi chiese, cambiando repentinamente argomento, ma senza togliermi gli occhi di dosso. «Tommaso è impiegato nella piccola azienda del padre,» gli spiegai, la voce un po' più bassa, quasi a scusarmi per la modestia dell'impiego. «È un lavoro molto modesto, ma dignitoso.»
Il suo sguardo si fece ancora più diretto, facendomi la domanda che in fondo mi aspettavo. «E l’altro? L'hai conosciuto qui? Ti piace scopare con lui?»
A quella domanda, «Ti piace scopare con lui?», non risposi. Divenni rossa come un peperone, il calore che mi saliva fino alle orecchie, la bocca che mi si seccò. Il mio imbarazzo era palese. Lui, però, non si scompose. Anzi, insistette, con quel suo modo sbrigativo e autoritario che mi faceva rabbrividire. «Non farti tirar fuori le parole,» mi disse, il tono duro, ma gli occhi sorridevano. «Si vedeva da un chilometro di distanza che con lui ci scopavi. Anzi,» precisò, con un sorriso che mi gelò il sangue e mi accese allo stesso tempo, «giocavate a fare gli innamorati come due adolescenti.» Ero incapace di resistere. La sua prepotenza, la sua certezza, mi disarmarono. «Sì,» sussurrai, la voce appena un filo, senza però scendere nei dettagli. «Sì, ci... ci andavo a letto.»
Lui, sentendomi, rise. Una risata bassa, roca, che mi investì come un'ondata. Avrei dovuto sentirmi offesa, umiliata, sprofondare per la vergogna. Ma sapevo benissimo che questo mi piaceva. Mi piaceva il suo dominio, mi piaceva sentirmi così esposta, così messa a nudo da lui.
Il suo sguardo si fece ancora più penetrante, incurante della gente ai tavolini accanto, che in parte poteva sentire. Lui sembrava divertirsi a mettermi in imbarazzo, e non gli importava se sentivano. «E Tommaso?» mi chiese, la sua voce bassa ma chiara. «Com'è il sesso tra voi? Noioso, immagino.» Fui colta di nuovo alla sprovvista, ma il suo tono, il suo sguardo, mi impedirono di mentire. «Normale,» gli risposi, la voce un po' strozzata. «Tranquillo. Affettuoso.» Mi mancavano le parole per descrivere la sua mancanza di passione, il suo essere così... prevedibile.
Un sorriso beffardo gli si disegnò sulle labbra. «E le corna gliele metti anche a casa? Quanto sei puttanella da uno a dieci?» mi chiese, senza distogliere lo sguardo, con una crudeltà che mi eccitava in modo perverso. Ero chiaramente imbarazzata, ma lui insisteva e dovevo rispondere.
Mentendo, gli dissi che Luca era stato il primo con cui avevo tradito il mio ragazzo. Una bugia detta con un filo di voce, sperando che bastasse a placare la curiosità, o almeno a deviarla.
Lui mi guardò dritto negli occhi, un sorriso sornione che gli si allargò sulle labbra. «Ah, quindi ci hai preso gusto,» mi disse, con un tono che non era una domanda, ma un'affermazione. «Visto che con me non ti sei fatta pregare. E so che non sarà l'ultima volta.»
Un'altra ondata di imbarazzo mi travolse. Le guance mi andarono a fuoco, e abbassai lo sguardo, incapace di sostenere l'intensità. Sapevo che aveva ragione, che la mia sfacciataggine con lui era stata evidente, ma sentirlo dire così apertamente, con la gente attorno, mi faceva ribollire il sangue di vergogna e di un piacere perverso.
«Quanto ti piace rischiare, Sonia?» mi chiese, la sua voce bassa ma chiara, un brivido che mi percorse la spina dorsale. Era una domanda che andava dritta al cuore della mia nuova natura, quella che stavo scoprendo e amando. Non riuscivo a formulare una risposta immediata. La sua domanda mi aveva colto di sorpresa, pur essendo così coerente. I miei occhi cercarono i suoi, un misto di desiderio e la paura di essere scoperta.
Poi, si chinò leggermente, la sua voce che divenne un sussurro, ma pur sempre tagliente. «E dimmi, come hai fatto a farlo dormire?» mi chiese, riferendosi a Tommaso. «Eravamo nello stesso letto, mentre noi scopavamo.» La domanda mi gelò e mi accese allo stesso tempo. Il suo sguardo era fisso sul mio, non ammetteva finzioni. Sapevo che voleva la verità, la cruda, eccitante verità. Il fatto che lo chiedesse così apertamente, in mezzo alla gente, amplificava la mia eccitazione. Ero completamente in suo potere.
A quella domanda, «Come hai fatto a farlo dormire? Eravamo nello stesso letto, mentre noi scopavamo», la mia bocca si aprì per rispondere. Non avevo intenzione di mentire, non a lui, non su questo. La sua sfrontatezza mi eccitava troppo per negargli la verità. «Gli ho messo delle gocce nel drink,» sussurrai, la voce appena udibile, ma con una nota di orgoglio per la mia astuzia. «Un sonnifero leggero. Così dormiva tranquillo mentre...» Interruppi la frase, ma i miei occhi parlarono per me, il mio sguardo che cercava il suo. Volevo che capisse la portata di ciò che avevo fatto, la completa e totale disinvoltura con cui l'avevo tradito lì accanto a noi.
Un sorriso lento, predatorio, gli si disegnò sulle labbra. I suoi occhi brillarono con una luce che mi fece sentire ancora più esposta, ma al tempo stesso desiderata. Sembrava che ogni mia confessione lo eccitasse ancora di più. «E ti è piaciuto, vero?» mi chiese, la sua voce ora un sussurro rauco, gli occhi fissi sui miei. «Scopare con me, con il tuo fidanzatino che dormiva vicino? Ti è piaciuto il rischio, Sonia?»
Annuii, incapace di parlare, i miei occhi che tradivano ogni segreto. Il sangue mi pulsava nelle vene. La sua capacità di leggere la mia anima perversa era quasi spaventosa, e mi rendeva completamente sua. Mi sentii una puttanella tra le sue mani, una marionetta che non poteva fare altro che confessare le sue oscenità. E, per quanto imbarazzante, era un piacere indescrivibile.
Tornammo verso i nostri ombrelloni. Lui era disinvolto, il suo passo leggero, come se nulla fosse accaduto. Io, invece, mi sentii un po' imbarazzata, o forse meglio dire accesa da un misto di sfacciataggine e la consapevolezza del rischio. Soprattutto perché sua moglie mi guardava male, con uno sguardo che mi trapassava e che sembrava capire tutto. Dovetti abbassare gli occhi per non incrociarli.
Tommaso era lì, steso sul lettino, che leggeva la Gazzetta, ignaro di tutto. Mi accolse con il suo solito sorriso, così dolce, così fiducioso. E io, con la mia maschera di fidanzata perfetta, gli sorrisi di rimando. «Amore,» mi annunciò, molto contento, il suo volto che si illuminava, «ho ricevuto la telefonata di Mario! Ci ha invitati a cena a casa sua per domani sera!» Quella notizia mi elettrizzò. Un brivido mi corse lungo la schiena, completamente diverso da quelli provati con Nicola. Questo era un brivido di pura, anticipata perversione. Cominciai già a pensare al tipo di serata che ci aspettava, alla sottomissione, alla degradazione, ai giochi proibiti. La mia mente era già lì, proiettata su quello che Mario avrebbe voluto da me. Un sorriso, questa volta autentico e malizioso, mi spuntò sulle labbra.
Il pranzo era stato un'agonia e un'eccitazione crescente. Gli sguardi di Nicola si fecero ancora più sfacciati e audaci di prima, una morsa invisibile ma potente. I suoi occhi azzurri, famelici, si incollarono addosso, mi percorrevano, spogliandomi di ogni velo. La presenza di sua moglie, seduta al suo fianco, sembrava non importargli nulla. Anzi, forse quel sottile sfiorare il proibito rendeva il tutto ancora più elettrizzante per lui. Io, quella a essere imbarazzata, o almeno la parte di me che ancora si aggrappava a una qualche forma di rispettabilità, sentivo il calore salire al viso. Ma sotto quell'imbarazzo, un fuoco bruciava, un'eccitazione che mi divorava. Mi guardava con quel mezzo sorriso che mi faceva sentire esattamente ciò che ero diventata per lui: la sua puttanella, gestita a suo piacimento.
Nel pomeriggio, la scena si ripeté, una danza già conosciuta. Ero di schiena, stavo prendendo il sole e sentivo il calore sulla pelle, un benessere quasi innocente, interrotto bruscamente dalla sua ombra che si stagliava su di me. Eccolo di nuovo, Nicola, a porgermi la chiave. Il leggero tintinnio era un richiamo irresistibile. La moglie e i figli non c'erano, probabilmente in camera a riposare, ignari di tutto, le loro vite così distanti dalla mia.
Mi sollevai lentamente, i muscoli intorpiditi dal riposo e dalla tensione accumulata. Cercai istintivamente i laccetti del costume per allacciarlo, un gesto automatico per coprirmi, per nascondermi. La sua voce roca ruppe il silenzio della spiaggia, un sussurro che era un comando: «Perché il sole non lo prendi in topless?».
Una domanda diretta, sfacciata, che mi colse di sorpresa. Non risposi a parole. Non ce n'era bisogno. La mia risposta fu un'altra, una resa silenziosa. Docile, mi avviai verso la solita cabina, ormai il nostro piccolo, segreto rifugio. Lui mi seguiva, la sua presenza alle mie spalle una promessa silenziosa, un'ombra che mi spingeva in avanti.
Dentro la cabina, l'aria era calda, quasi soffocante, densa di odore salmastro della salsedine e di un indefinibile profumo di chiuso. La porta si chiuse dietro di noi, sigillando il nostro piccolo mondo proibito. Nicola non perse tempo, né concesse preamboli. Le sue mani forti si posarono sui miei fianchi, attirandomi a sé con una forza irresistibile. Non resistetti, non volevo. Il suo sguardo, più intenso che mai, incontrò il mio, e in quegli occhi azzurri vidi la fame, il desiderio di possesso, una scintilla che accese un fuoco dentro di me. Sentii il suo cazzo indurirsi contro il mio addome, grande e virile, una promessa silenziosa.
Mi afferrò il sedere, le dita che affondavano nella mia carne soda, e mi spinse con decisione contro la parete ruvida della cabina. Ansimai, l'aria che mi si bloccava in gola. La mia fica iniziò a grondare umore, un desiderio liquido e impellente che mi bagnava le cosce, già pronte. Le nostre bocche si unirono in un bacio avido, profondo, che mi tolse il respiro. Sentivo le sue labbra muoversi con urgenza, le nostre lingue cercarsi in una danza sfrenata. Le mie mani, quasi per riflesso, gli si aggrapparono alle spalle, poi scivolarono sulla sua nuca, tra i suoi capelli, stringendolo a me.
Non ci fu una parola. Solo il suono rauco dei nostri respiri affannosi, il fruscio del mio bikini che scivolava a terra, liberando completamente il mio corpo. Ero nuda, esposta, completamente sua, pronta ad accoglierlo. E il suo sguardo mi percorse, dalla testa ai piedi, con un'intensità che mi fece sentire la sua proprietà.
Appoggiata alla parete ruvida, il respiro ancora corto, Nicola non mi diede il tempo di pensare. La sua mano scivolò sul mio seno, accarezzando la carne, facendo indurire i miei capezzoli quasi all'istante. Sentii un brivido attraversarmi il corpo, una scarica elettrica. La sua bocca si staccò dalla mia per scendere sul mio collo, poi sui miei seni, succhiando con avidità, mentre le sue dita forti afferrarono il mio culetto, stringendolo, quasi impastandolo, plasmandolo al suo volere.
Il suo cazzo, enorme, era duro e pulsante contro la mia fica, che grondava umore, già calda e pronta a riceverlo. Sentii il suo desiderio primordiale, la sua fame insaziabile. Mi sollevò leggermente, le mie gambe che si avvolsero intorno ai suoi fianchi con naturalezza, quasi per istinto, come se il mio corpo sapesse già cosa volesse il suo. E poi, con una spinta decisa, entrò dentro di me. Lo sentivo tutto, la sua grandezza che mi riempiva completamente, un piacere doloroso che mi fece gemere, un suono che trattenni a stento. Il respiro mi si mozzò in gola.
Iniziò a muoversi, spingendo con forza e ritmo, sbattendomi delicatamente contro la parete della cabina. Ogni spinta era un'ondata di piacere che mi faceva tremare le gambe. I capezzoli duri mi pizzicavano sotto il suo tocco, e la mia fica era un delirio di sensazioni, grondante e sempre più stretta intorno a lui, quasi volesse trattenerlo, non lasciarlo andare.
Non fu scambiata una parola. Solo il suono della nostra pelle che si scontrava, i nostri respiri affannosi che riempivano lo spazio angusto della cabina. Guardai i suoi occhi famelici, e vidi il suo piacere, il suo dominio assoluto, e in quello sguardo mi sentii completamente sua. Il brivido del rischio era lì, sempre presente, e amplificava il piacere, rendendolo quasi divino.
Continuò a pompare dentro di me, ritmico, inarrestabile, finché sentii una tensione crescente nel mio basso ventre, una pressione che minacciava di farmi esplodere. La mia fica si contrasse in uno spasmo incontrollabile, e un orgasmo potentissimo mi travolse, facendomi inarcare la schiena, stringendo lui ancora più forte a me. Sentii il suo sperma caldo riversarsi dentro di me, un'ondata di piacere e appagamento che mi lasciò senza fiato, completamente svuotata e felice.
La cabina, un piccolo spazio di trasgressione, era diventata il nostro universo per quei minuti. Era finita, sì, ma non del tutto.
Come la mattina, seguii Nicola al bar. La sua richiesta era un comando silenzioso, e io ero docile, quasi per istinto. Mentre camminavo, la sabbia sotto i piedi, sentivo una tensione crescere dentro di me. Era il timore che Tommaso ci vedesse, non una paura dettata dal senso di colpa, ma il brivido puro di essere scoperta, di sfidare il limite.
Ci sedemmo. Lui, di fronte a me, con quello sguardo che non si limitava a vedermi, ma sembrava penetrarmi l'anima. Ordinammo due birre, e mentre le sorseggiavamo, il fresco liquido che mi scendeva in gola, lui mi chiese di nuovo, con quella sua sfacciataggine che mi faceva bollire il sangue: «Perché il sole non lo prendi in topless?». Gli risposi che non lo avevo mai fatto e che mi vergognavo. Una bugia, ovviamente. La verità era che non ci avevo mai pensato in quel modo, e il pensiero di espormi così, sotto il suo sguardo famelico, era un mix vertiginoso di terrore e desiderio.
Lui mi guardò, il suo sorriso sornione era una domanda silenziosa: Come puoi, dopo quello che fai, vergognarti a mostrarti con il seno nudo?. Poi, con una voce che era un sussurro e un comando insieme, disse che avevo un bellissimo seno e che avrei dovuto mostrarlo fiera. Ma la sua crudeltà non si fermò lì. Con un tono che mi eccitò in un modo strano, aggiunse che «tutti quei segni non ti stanno certo bene». Mentre lo diceva, con un gesto improvviso, mi pizzicò un capezzolo sopra il tessuto del costume. Sentii la mia pelle rabbrividire, il capezzolo indurirsi sotto la sua pressione, e un brivido di piacere misto a vergogna mi percorse, lasciandomi senza fiato.
Proprio in quel momento, come un'ombra dal nulla, arrivò Tommaso. Il mio cuore ebbe un sussulto, un battito mancato. Non doveva aver visto nulla, per fortuna, o forse la sua ingenuità era così profonda da renderlo cieco alle dinamiche che si svolgevano sotto i suoi occhi. Ci salutò cordiale e si sedette con noi.
Nicola non si scompose, no. Con una disinvoltura glaciale, disse a Tommaso che, vedendomi tutta sola, mi aveva invitata a bere qualcosa con lui. Tommaso ringraziò felice e si fece portare una birra. I due iniziarono a parlare del più e del meno. Nicola, con un sorriso quasi innocente, disse a Tommaso di chiamarlo Niko, e che tutti lo chiamavano così, fingendo una complicità che non c'era. Chiese a Tommaso che lavoro facesse, e i loro discorsi proseguirono su quel tono "normale", una facciata perfetta per la perversione che ribolliva sotto.
Poi, Nicola disse qualcosa che mi sorprese. Si rivolse a Tommaso e gli rivelò di avermi proposto di lavorare per lui.
«Stiamo cercando un'impiegata alle prime armi, Tommaso,» spiegò Nicola, gli occhi fissi sui miei. «E Sonia mi sembra la persona giusta. La paga sarebbe subito ottima. Parliamo di almeno duemila euro netti al mese.»
Tommaso mi guardò, gli occhi pieni di entusiasmo, in attesa di una mia reazione, di una mia risposta. Dovetti improvvisare. Gli risposi che ci dovevo pensare e che ne avrei parlato con lui. Subito, il mio fidanzato sembrò entusiasta di questa proposta e mi disse che sarebbe stato «un peccato non accettarla». Sorrisi imbarazzata, sentendo il calore sulla pelle, ma bastò lo sguardo di Nicola per piegarmi. Quello sguardo penetrante che prometteva ben altro che un semplice impiego, un patto che andava oltre il denaro.
Finito di bere, tornammo all'ombrellone tutti e tre. Io ero davanti, loro due dietro che parlavano, la loro conversazione un brusio distante. Mi misi a sistemare il mio telo da mare, con l’intenzione di sistemarmi nuovamente a prendere il sole. La mia fica era ancora piena dello sperma di Nicola, una sensazione vischiosa e intima che mi ricordava la nostra trasgressione appena consumata.
Mentre mi sistemavo, sentivo i suoi occhi addosso. Non era una sensazione di fastidio, ma di pura, inebriante eccitazione. E poi, la sua voce, chiara, si rivolse a Tommaso: «Tommaso, hai proprio una ragazza bellissima e con un fisico perfetto». Mi girai verso di lui, il mio sorriso era un misto di gratitudine e complicità che solo noi due potevamo capire.
Ma Nicola non si fermò. Aggiunse, sempre a Tommaso, con tono casuale: «Però, è un vero peccato che un fisico così lei lo nasconda e lo riempia di segni antiestetici».
Tommaso si bloccò. Il suo viso si fece una faccia da ebete, come se fosse la prima volta che mi vedeva davvero, che notava i segni sulla mia pelle, il mio seno magari meno "perfetto" di come l'aveva visto lui per la prima volta. Nicola, rivolgendosi a me con quel suo sorriso malizioso, proseguì: «Sicuramente è perché lui è geloso».
Tommaso, come se si dovesse difendere da chissà quale accusa, negò, dicendo che se io lo volevo fare lui non sarebbe stato per nulla contrario.
Ora la palla era passata a me. Entrambi mi guardavano in attesa di una mia risposta. Nicola con quel suo sorriso malizioso stampato in faccia, quasi a sfidarmi, a spingermi oltre. Avrei voluto rispondergli che erano affari miei, che la mia scelta di coprirmi o di mostrarmi era solo mia. Ma lo sguardo penetrante di Nicola sembrava ipnotizzarmi, bloccandomi ogni parola in gola. Restai lì, sospesa, la palla nelle mie mani, gli occhi di Nicola che mi trafiggevano. Ogni fibra del mio corpo urlava di rispondere con sfrontatezza, di mandarlo al diavolo. Ma c'era qualcosa nel suo sguardo, un misto di sfida e conoscenza, che mi bloccava. Sapeva. Sapeva tutto.
Abbassai lo sguardo per un attimo, fingendo imbarazzo, e poi tirai su le labbra in un sorriso debole, quasi innocente. Guardai Tommaso, che mi fissava con quella sua faccia da ebete, come se stesse aspettando una qualche autorizzazione da me. E poi riportai gli occhi su Nicola. Il suo sorriso malizioso non era svanito. Anzi, si era fatto più marcato.
«Ma... ma cosa dici, Niko?» gli dissi, la voce un po' più acuta del solito, cercando di suonare sorpresa, quasi offesa. Poi, con un tono più basso, quasi un sussurro rivolto a entrambi, aggiunsi: «Non è vero che Tommaso è geloso. E comunque... queste sono cose mie.»
Mi sentii immediatamente una bugiarda, ma in un modo eccitante. Quella risposta, così diplomatica e così falsa, serviva a mantenere la facciata con Tommaso, ma in realtà era una totale sottomissione a Nicola. Era un modo per dirgli: «Sì, hai ragione tu. Lo faccio per te. E lo nascondo, ma tu sai». Il mio sorriso imbarazzato era una maschera perfetta. Sapevo che lui aveva capito il vero significato delle mie parole. Il gioco era appena iniziato.
scritto il
2025-12-19
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