Susanna: Timidezza e desiderio

di
genere
dominazione

Alcune dovute premesse:
1) questo racconto non è frutto di fantasia, è assolutamente vero. Solo alcune circostanze sono state romanzate. Ma neanche troppo.
2) spero che questo racconto ecciti la fantasia di qualcuno, uomo o donna che sia, e che sia di ispirazione. Se così non fosse, potete dedicare la vostra lettura ad altri autori.
3) se qualcuno ha dei commenti da fare può contattarmi su b_bull_and_master@proton.me

Susanna aveva appena compiuto diciotto anni. Era una ragazza dolce, con lunghi capelli castani che le arrivavano alla vita, occhi verdi timidi e un sorriso che raramente si apriva del tutto. Viveva in una piccola città di provincia, dove la vita scorreva lenta e prevedibile. Ogni mattina, prima di andare all'università, passava in chiesa: si inginocchiava nel banco in fondo, recitava le sue preghiere con devozione, chiedendo al Signore di proteggerla dalle tentazioni del mondo. Era timorata di Dio, educata in una famiglia cattolica rigorosa, e il suo guardaroba rifletteva quella purezza: gonne lunghe fino al ginocchio, camicette abbottonate fino al collo, niente trucchi, niente scollature. Si sentiva al sicuro così, protetta.
Poi c'era Luca, il suo fidanzato. Vent'anni, meccanico in un'officina, con un corpo atletico segnato dal lavoro manuale e un carattere diretto, quasi sfacciato. Luca era l'opposto di Susanna: rideva forte, bestemmiava ogni tanto, e aveva una fame costante di vita, di piacere, di sesso. Si erano conosciuti a una festa parrocchiale – ironia della sorte – e lui l'aveva conquistata con la sua energia, facendola sentire viva per la prima volta. Ma Luca era un "porco", come lo definiva lei arrossendo tra sé: le sue mani non stavano mai ferme quando erano soli, le sue parole erano crude, dirette, e i suoi desideri non conoscevano freni.
Una sera d'autunno, erano nel appartamento di Luca, un piccolo bilocale sopra l'officina. Susanna era seduta sul divano, con la gonna plissettata che le copriva le ginocchia, le mani intrecciate in grembo. Luca le stava accanto, una birra in mano, gli occhi che la divoravano.
"Su', amore mio," disse lui con quel tono basso e rauco che le faceva accelerare il cuore. "Sei bellissima, lo sai? Ma... possibile che ti vesti sempre come una suora? Hai diciotto anni, un corpo da urlo, e lo nascondi tutto."
Susanna arrossì violentemente, abbassando lo sguardo. "Luca, non dire così... Io mi vesto in modo decoroso. La modestia è importante, lo dice anche il Catechismo."
Lui rise piano, posando la birra e avvicinandosi. Le sfiorò la guancia con le dita callose. "Modestia un cazzo. Tu sei una ragazza, Susanna. Una donna adesso. Hai tette perfette, un culo che mi fa impazzire, e quelle gambe lunghe... Voglio vederti vestita da ragazza vera. Una gonna corta, una maglietta stretta. Qualcosa che mostri quanto sei sexy."
Lei si ritrasse leggermente, il cuore che batteva forte. "Ma... mi vergognerei. E se mi guardassero tutti? Non è peccato attirare gli sguardi degli uomini?"
Luca le prese la mano, portandosela alle labbra e baciandola piano. "Peccato? L'unico peccato è sprecare un corpo come il tuo. Io ti amo, Su. Voglio che ti senta desiderata. Da me, per prima cosa." Le sue labbra scesero sul collo, mordicchiando piano. Susanna trattenne un gemito: quelle carezze la facevano sciogliere, anche se si sentiva in colpa.
"Proviamo solo qui, tra noi," mormorò lui contro la sua pelle. "Ho comprato una cosa per te. Niente di esagerato, giuro."
Andò in camera e tornò con un sacchetto. Dentro c'era una gonna jeans corta – arrivava a metà coscia – e una canottiera bianca aderente, con una scollatura discreta ma che metteva in evidenza il décolleté. Susanna la guardò come se fosse un oggetto proibito.
"Luca, è troppo corta... Si vedrebbero le gambe."
"Appunto," disse lui ridendo, gli occhi che brillavano di desiderio. "Le tue gambe bellissime. Dai, provala. Per me."
Lei esitò a lungo, pregando mentalmente di avere forza. Ma Luca la baciava, la accarezzava, le sussurrava parole sporche all'orecchio: "Immagino di scoparti con quella gonna alzata, senza togliertela... Di sentirti bagnata mentre ti guardo."
Susanna si arrese, come sempre. Andò in bagno, si cambiò con le mani tremanti. Quando uscì, si sentiva nuda, esposta. La gonna le accarezzava le cosce, la canottiera le stringeva i seni piccoli ma sodi, i capezzoli che si indurivano contro il tessuto sottile.
Luca la fissò, la bocca socchiusa. "Cazzo, Susanna... Sei una dea."
Si alzò, la prese per i fianchi e la spinse contro il muro. Le sue mani salirono subito sotto la gonna, trovando le mutandine di cotone bianco. "Vedi? Ti sta d'incanto. E sei già bagnata, troietta mia timida."
Lei gemette, la testa all'indietro. "Luca... non dire quelle parole..."
"Ma ti piacciono," ringhiò lui, infilando un dito sotto il tessuto umido. "Ti piace quando sono porco con te. Dimmi che ti vestirai così anche fuori, un giorno. Per farmi eccitare tutto il tempo."
Susanna non rispose con parole: il suo corpo lo fece per lei, inarcandosi contro la sua mano. Luca la portò in camera, la buttò sul letto senza troppa delicatezza. Le alzò la gonna, le strappò quasi le mutandine, e la prese lì, con lei vestita da "ragazza vera" per la prima volta.
Mentre lui la scopava con foga, sussurrandole quanto fosse sexy, quanto la desiderasse, Susanna si abbandonò completamente. Tra un gemito e l'altro, pensò che forse... forse non era poi un peccato così grave. Forse il Signore capiva che l'amore, anche quello carnale, poteva essere una preghiera diversa.
E da quella sera, piano piano, il guardaroba di Susanna iniziò a cambiare. Una gonna un po' più corta, una camicetta un po' più aderente. Sempre con vergogna, sempre con un rosario in tasca. Ma con Luca che la guardava come se fosse la cosa più preziosa e peccaminosa del mondo.
E lei, per la prima volta, si sentiva viva.
Quella sera, nella camera di Susanna, l’aria era densa di incenso e di desiderio. Lei aveva acceso una candela profumata alla vaniglia – un piccolo lusso che si concedeva di nascosto – e la luce tremolante danzava sulle pareti tappezzate di poster di sante e di un calendario della parrocchia. Indossava il rossetto rosso che Luca le aveva fatto comprare: un colore acceso, quasi scandaloso sulle sue labbra pallide. Si sentiva una peccatrice, ma il brivido le piaceva più di quanto fosse disposta ad ammettere.
Luca aveva sistemato il treppiede accanto al letto e il telefono era pronto a scattare in modalità raffica. Indossava solo i jeans slacciati, il petto nudo segnato dai tatuaggi che Susanna baciava di nascosto durante i loro amplessi.
«Inizia piano, amore,» le disse con voce bassa, già rauca di eccitazione. «Siediti sul bordo del letto, gambe accavallate. Guardami come se mi stessi pregando di toccarti.»
Susanna obbedì, il cuore che le martellava nel petto. La gonna plissettata color panna le arrivava appena sotto il sedere; sotto, come lui aveva ordinato, solo le autoreggenti bianche e un perizoma minuscolo di pizzo nero – un altro acquisto “obbligato” al centro commerciale. Il body nero velato le stringeva il seno, i capezzoli già duri contro il tessuto trasparente. Si morse il labbro inferiore, abbassando gli occhi con quella timidezza che faceva impazzire Luca.
Click. Click. Click.
«Bravissima,» mormorò lui, avvicinandosi per sistemarle i capelli dietro l’orecchio. «Ora apri un po’ le gambe. Solo un po’. Fammi vedere quanto sei bagnata per me.»
Susanna esitò, le guance in fiamme. «Luca… è troppo…»
«Troppo cosa?» Lui si inginocchiò tra le sue cosce, le mani che le accarezzavano l’interno delle gambe. «Troppo sexy? Troppo mia?» Le sfiorò il perizoma con il pollice, trovandolo già umido. «Guarda come goccioli, Su. La tua fighetta vuole essere fotografata quanto vuole essere leccata.»
Lei gemette piano, aprendo istintivamente le gambe. Il telefono scattò altre foto: lei con la testa all’indietro, le labbra socchiuse, il rossetto sbavato dal morso; lei che si toccava timidamente un seno sopra il body; lei che, su ordine di Luca, si passava un dito tra le labbra intime e poi se lo portava alla bocca, assaggiandosi.
«Cazzo, sei perfetta,» ringhiò lui, la voce spezzata. «Ora in ginocchio sul letto. A carponi. Guarda indietro, verso l’obiettivo.»
Susanna tremava, ma si mise in posizione. La gonna le salì completamente sui fianchi, lasciando scoperto il culo sodo fasciato dal perizoma. Luca le si avvicinò da dietro, le abbassò il filo di pizzo e le diede una sculacciata leggera ma sonora.
«Dimmi che ti piace farti fotografare così,» le ordinò, mentre scattava.
«Mi… mi piace,» sussurrò lei, la voce rotta dall’eccitazione. «Mi piace quando sei porco con me.»
Altre foto: lei che si inarcava, offrendosi; lei che si voltava a guardarlo con occhi lucidi; lei che, sempre più audace, si infilava due dita dentro e le muoveva piano, gemendo il nome di lui.
Luca non resse più. Gettò via il telefono (ancora in modalità video, senza che lei se ne accorgesse), la girò sulla schiena e le strappò letteralmente il perizoma. La penetrò con un colpo secco, profondo, facendola urlare di piacere.
«Sei la mia puttana santa,» le ringhiò nell’orecchio mentre la scopava con foga animalistica. «La mia brava ragazza che prega di giorno e si fa fottere come una troia di notte.»
Susanna gli graffiò la schiena, le gambe avvinghiate ai suoi fianchi. «Sì… sì, sono la tua… scopami più forte…»
Vennero insieme, lei con un grido soffocato contro il suo collo, lui riempiendola con un ringhio gutturale.
Dopo, sdraiati nudi e sudati, Luca riprese il telefono. Mostrò a Susanna le foto e – sorpresa – anche il video che aveva registrato per sbaglio negli ultimi minuti: lei a carponi, lui che la prendeva da dietro, i gemiti, le parole sporche, i corpi che sbattevano.
Susanna impallidì. «Luca… cancellalo! È troppo… qualcuno potrebbe vederlo…»
Lui sorrise, malizioso. «Tranquilla, è solo per noi. Lo carico sul profilo privato. @susanna_secret. Password solo mia e tua.»
Lei protestò debolmente, ma quando vide il video – il suo viso stravolto dal piacere, il modo in cui si offriva senza vergogna – sentì di nuovo quel calore tra le gambe.
Due ore dopo, sul profilo privato erano stati caricati dodici nuovi post.
Foto singole: primi piani del rossetto sbavato, del segno della sculacciata sul culo, delle autoreggenti slacciate.
Una sequenza di lei che si masturbava, con caption: «La mia angioletto si tocca pensando al mio cazzo.»
E il video, tagliato ad arte: solo i momenti più intensi, con l’audio dei gemiti e delle parole crude.
Follower: ancora solo loro due. Ma Luca aveva già pronto il prossimo passo.
La settimana successiva le mandò un messaggio mentre era all’università:
«Stasera nuove foto. E stavolta ti metto il collare che ho comprato. Con scritto “Property of Luca”.»
Susanna, seduta in aula durante una lezione di teologia, lesse il messaggio e strinse le cosce sotto il banco. Rispose con un solo emoji: 😈
Il profilo @susanna_secret stava diventando sempre meno segreto, almeno nel suo cuore.
E lei, per la prima volta, non si inginocchiò per chiedere perdono.
Si inginocchiò per aspettare Luca.
La domenica mattina seguente, Susanna era in chiesa come sempre. Aveva scelto l’orario delle otto, la messa meno frequentata, sperando di passare inosservata. Indossava la gonna lunga grigia e la camicetta bianca abbottonata fino al collo, i capelli raccolti in una treccia modesta. Dall’esterno sembrava la stessa ragazza devota di sempre.
Ma dentro era un turbine.
La sera prima Luca le aveva fatto indossare il collare nero con la scritta argentata “Property of Luca”. L’aveva fotografata mentre lo portava, nuda a parte le autoreggenti e il rossetto sbavato, in ginocchio sul pavimento della sua stanza. Il video che ne era uscito – lei che lo leccava piano mentre guardava l’obiettivo con occhi lucidi – era stato caricato su @susanna_secret con la caption «La mia brava cattolica che prega… il mio cazzo».
Ora, seduta al solito banco in fondo, Susanna stringeva il rosario tra le dita fino a farle sbiancare. Ogni volta che chiudeva gli occhi per pregare, rivedeva se stessa in quelle pose. Sentiva ancora il cuoio del collare contro la gola, il sapore di Luca in bocca, il calore tra le gambe mentre lui la riprendeva. Il corpo reagiva anche lì, in chiesa: le cosce si stringevano involontariamente, il respiro si faceva corto.
Don Matteo, il parroco, un uomo sulla sessantina con occhiali spessi e un tono di voce sempre gentile, stava celebrando la messa. Durante l’omelia parlava della vigilanza contro le tentazioni del mondo, della purezza del corpo come tempio dello Spirito Santo. Susanna cercava di concentrarsi, ma le parole le arrivavano ovattate.
Al momento dell’offertorio, mentre passava accanto al suo banco per raccogliere le intenzioni, Don Matteo la notò. Susanna aveva lo sguardo perso nel vuoto, le guance lievemente arrossate, le labbra socchiuse. Stringeva il messale con troppa forza, e quando lui le sorrise come faceva sempre con i giovani della parrocchia, lei sobbalzò visibilmente, abbassando gli occhi di scatto.
Dopo la messa, mentre la maggior parte dei fedeli usciva, Don Matteo si avvicinò piano.
«Susanna, cara,» disse con voce calda, paterna. «Ti vedo un po’ distratta stamattina. Tutto bene?»
Lei si irrigidì, il cuore che le schizzava in gola. «S-sì, padre. Solo… un po’ stanca. Gli esami all’università, sa…»
Lui la osservò con attenzione, quegli occhi penetranti che sembravano leggere dentro le anime. «Gli esami sono una cosa, ma l’anima ha bisogno di pace. Se hai qualcosa che ti pesa sul cuore, la chiesa è sempre aperta. Anche per una chiacchierata, o per la confessione.»
Susanna deglutì. Sentì un calore improvviso tra le gambe al pensiero di confessare tutto: le foto, i video, il collare, le parole sporche che ormai le uscivano dalla bocca quando era con Luca. Immaginò di dover dire «Padre, ho peccato contro il sesto comandamento… mi sono lasciata fotografare nuda, mi sono fatta prendere in tutti i modi, ho goduto come una…». Le mani le tremarono.
«No, padre, davvero… sto bene,» riuscì a balbettare, evitando il suo sguardo. «Grazie della preoccupazione.»
Don Matteo annuì lentamente, ma non sembrava convinto. «Va bene. Ma ricordati: il Signore vede tutto, figlia mia. E perdona tutto, se c’è pentimento sincero.» Le pose una mano sulla spalla per un istante, un gesto innocente e paterno.
Susanna sentì quella mano come una scottatura. Si alzò di scatto. «Devo andare, padre. Grazie.»
Uscì dalla chiesa quasi di corsa, l’aria fredda di dicembre che le colpiva il viso bollente. In tasca, il telefono vibrò.
Un messaggio di Luca: una nuova foto sul profilo privato. Era lei, la sera prima, con il collare al collo e la bocca piena, gli occhi che guardavano l’obiettivo con una espressione che non aveva mai avuto prima: non più solo timidezza, ma sfida, desiderio, abbandono.
Sotto, lui aveva scritto: «La mia santa che adora peccare. Stasera ne facciamo altre. Ti metto anche il guinzaglio.»
Susanna si fermò sul sagrato, il respiro affannoso. Guardò la porta della chiesa alle sue spalle, poi il telefono.
Pregò per un secondo, in silenzio: «Perdonami, Signore.»
Poi rispose a Luca: «Vengo da te alle otto. Porta il guinzaglio.»
E si avviò verso casa, la gonna lunga che ondeggiava, il rosario ancora stretto in mano… ma il cuore già altrove.
Quella sera, Susanna arrivò da Luca alle otto in punto. Aveva mentito ai genitori dicendo che andava a studiare con un’amica. Indossava il cappotto pesante sopra la gonna lunga, ma sotto… sotto aveva già obbedito agli ordini che lui le aveva mandato per messaggio nel pomeriggio.
«Niente mutandine. Solo autoreggenti nere e il collare. Il guinzaglio lo metto io.»
Il cuore le batteva così forte da farle male mentre saliva le scale dell’appartamento sopra l’officina. Luca aprì la porta prima ancora che bussasse, come se l’avesse sentita arrivare. Indossava solo i boxer neri, il petto nudo, i capelli ancora umidi dalla doccia. In mano teneva già il guinzaglio di cuoio nero, con il moschettone argentato che rifletteva la luce.
«Brava la mia ragazza,» mormorò, tirandola dentro e chiudendo la porta con un calcio. La baciò subito, possessivo, la lingua che le invadeva la bocca mentre le strappava il cappotto di dosso.
Sotto, Susanna era esattamente come lui aveva ordinato: la gonna plissettata cortissima color panna, il body nero velato che lasciava intravedere i capezzoli duri, le autoreggenti nere che le arrivavano a metà coscia. E al collo, già allacciato, il collare con la scritta “Property of Luca”.
Luca si staccò un attimo per guardarla, gli occhi scuri di desiderio. «Cazzo, sei perfetta.» Agganciò il guinzaglio al collare con uno scatto secco. «Stasera sei la mia cagnolina, Susanna. La mia santa puttanella.»
Lei tremò, le ginocchia molli. «Luca… mi vergogno…»
«Lo so,» disse lui tirando piano il guinzaglio, facendola avvicinare. «Ed è per questo che sei così bagnata, vero?» Le infilò una mano sotto la gonna, trovandola nuda e già fradicia. «Bravissima. Niente mutandine, come ti ho detto.»
La portò in camera tenendola al guinzaglio, facendola camminare piano davanti a lui. Il treppiede era già pronto, il telefono puntato sul letto. Luci soffuse, una lampada rossa che dava alla stanza un’atmosfera da film proibito.
«In ginocchio, amore,» ordinò.
Susanna si inginocchiò sul pavimento, le mani sulle cosce, la testa bassa. Il guinzaglio pendeva tra i suoi seni. Luca iniziò a scattare foto: lei in quella posizione sottomessa, il collare lucido contro la pelle pallida, il rossetto rosso ancora intatto.
Poi la fece salire sul letto a carponi. Le alzò la gonna sui fianchi, esponendo il culo nudo. «Tieni la schiena inarcata. Offrimi tutto.»
Click. Click.
Le diede una sculacciata forte, lasciandole un segno rosso. «Dimmi chi sei.»
«Sono… sono la tua,» sussurrò lei, la voce tremante.
«Più forte.» Un’altra sculacciata.
«Sono la tua puttana, Luca! La tua cagnolina!» gridò lei, sorpresa dalla propria voce.
Lui gemette di piacere. Iniziò a registrare un video: la fece girare, le mise il guinzaglio in mano e le ordinò di masturbarlo mentre guardava l’obiettivo.
Susanna obbedì. Prese il suo cazzo già duro tra le mani, lo accarezzò piano, poi lo prese in bocca. Il guinzaglio le pendeva sul viso, il collare le stringeva leggermente la gola. Luca le teneva i capelli raccolti in una coda improvvisata, guidandole i movimenti.
«Guardami,» le ordinò mentre riprendeva. «Dimmi che ti piace essere la mia troia con il guinzaglio.»
Lei alzò gli occhi lucidi, la bocca piena. «Mi piace… mi piace essere la tua troia,» farfugliò intorno a lui.
Luca la tirò via per i capelli, la fece mettere a pecorina sul letto. Agganciò il guinzaglio alla testiera, lasciandole poca libertà di movimento. Poi la penetrò da dietro, con un colpo profondo che la fece urlare.
La scopò forte, tirando il guinzaglio ogni tanto per farle inarcare la schiena. Il telefono riprendeva tutto: i gemiti di lei, le parole sporche di lui, i corpi che sbattevano, il collare che segnava la pelle.
«Dimmi dove vuoi che venga,» ringhiò alla fine, sul punto di esplodere.
«In bocca… voglio berlo,» rispose lei senza esitare, la voce rotta dal piacere.
Luca si ritrasse, la girò, le tenne il guinzaglio stretto mentre lei lo succhiava avidamente. Venne con un grido, riempiendole la bocca. Susanna ingoiò tutto, leccandosi le labbra, gli occhi fissi nell’obiettivo.
Dopo, sdraiati e ansimanti, Luca caricò tutto su @susanna_secret.
Nuovi post: lei al guinzaglio in ginocchio, lei sculacciata, lei che lo succhiava con il collare al collo.
Un video lungo, montato con cura: dall’inizio alla fine, con l’audio dei gemiti e delle parole crude.
Caption finale: «La mia ragazza timida di chiesa… con il guinzaglio al collo e il mio sapore in bocca. Pregherà domani mattina pensando a questo.»
Susanna, accoccolata contro il suo petto, guardò il profilo con lui. Le mani le tremavano ancora.
«Luca… è troppo. Se qualcuno lo vedesse…»
«Nessuno lo vedrà,» la rassicurò lui baciandole la fronte. «È solo nostro. Per ora.»
Ma mentre diceva così, il suo dito sfiorò il tasto “impostazioni profilo”.
E cambiò una cosa minuscola.
Rimosse la privacy.
Solo per un secondo, giusto il tempo di screenshottare la pagina con zero follower.
Poi la rimise privata.
Susanna non se ne accorse.
Ma Luca sorrise nel buio.
Il passo successivo era già nella sua testa.
E lei, con il collare ancora al collo e il sapore di lui in bocca, si addormentò pensando che forse… forse voleva che qualcuno lo vedesse.
Solo un po’.
La mattina dopo, Susanna si svegliò lentamente, come se emergesse da un sonno profondo e proibito.
La luce grigia di dicembre filtrava attraverso le tende socchiuse della camera di Luca. Era nuda sotto le lenzuola aggrovigliate, il corpo ancora caldo e indolenzito nei punti giusti: i segni leggeri delle sculacciate sul sedere, la gola leggermente arrossata dove il collare aveva stretto per ore, le labbra gonfie per i baci e per tutto il resto.
Il collare era ancora lì. Luca glielo aveva lasciato al collo mentre dormivano, come un marchio possessivo. Il cuoio nero contrastava con la sua pelle pallida, la scritta “Property of Luca” appena visibile quando girava la testa.
Si stiracchiò piano, sentendo tra le cosce quella piacevole pesantezza che resta dopo una notte intensa. Il profumo di Luca era ovunque: sulla sua pelle, sulle lenzuola, nei capelli. Ricordava tutto in flash: il guinzaglio tirato, le parole crude che le aveva fatto dire, il telefono che riprendeva ogni gemito, ogni movimento. E lei che aveva obbedito, che si era lasciata andare completamente.
Per un momento, il senso di colpa la colpì come un’onda fredda. Domani era lunedì: avrebbe dovuto alzarsi presto per la messa delle sette, come sempre. Si immaginò inginocchiata in chiesa con il collare ancora al collo sotto la camicetta, il rossetto sbavato nascosto sotto uno strato di pudore, il corpo che portava i segni di ciò che aveva fatto.
Ma l’onda passò in fretta.
Al suo fianco, Luca dormiva ancora, un braccio possessivo gettato sopra i suoi fianchi. Susanna si girò piano verso di lui, osservandolo. Aveva un’espressione rilassata, quasi innocente nel sonno. Le labbra socchiuse, i capelli arruffati. Eppure era stato lui a trasformarla in quel modo: da ragazza timida e devota a… questo. Qualunque cosa fosse diventata.
Si portò una mano al collo, sfiorando il collare. Non se lo tolse. Anzi, lo strinse leggermente tra le dita, sentendo il cuoio contro la pelle. Un brivido la percorse, e tra le gambe sentì di nuovo quel calore familiare.
Si morse il labbro – lo stesso labbro che ore prima era stato pieno di lui – e pensò alle foto, ai video caricati su @susanna_secret. Chissà quante volte Luca li avrebbe rivisti oggi. Chissà se qualcun altro, un giorno…
Scivolò piano fuori dal letto, nuda, il collare che dondolava leggermente mentre camminava. Andò in bagno, si guardò allo specchio.
La ragazza che la fissava non era più la stessa.
Capelli spettinati, occhi ancora lucidi di sonno e di piacere, segni sul collo, sul sedere. E un’espressione nuova: non solo vergogna, ma qualcosa di più profondo. Accettazione. Desiderio. Orgoglio, persino.
Aprì l’acqua fredda, si sciacquò il viso. Poi, invece di togliersi il collare, lo sistemò meglio, come se fosse un gioiello.
Tornò in camera. Luca si era girato, ancora addormentato. Susanna si chinò su di lui, gli baciò piano la spalla, poi il collo, poi scese più in basso.
Lo svegliò con la bocca, piano, dolcemente, come una preghiera diversa.
Lui aprì gli occhi, sorrise subito quel sorriso porco che la faceva sciogliere.
«Buongiorno, cagnolina,» mormorò, infilandole una mano nei capelli.
Susanna non rispose con parole.
Rispose con la lingua.
E mentre lo faceva, con il collare al collo e la luce del mattino che entrava, pensò che forse non sarebbe andata alla messa delle sette.
Forse avrebbe pregato in un altro modo.
Forse non avrebbe più chiesto perdono.
Solo un altro po’ di quel peccato che la faceva sentire così viva.
Susanna entrò in chiesa quella domenica mattina con qualche minuto di ritardo, cosa che non le era mai successa prima. La messa delle otto era già iniziata; l’organo suonava piano l’inno d’ingresso e le panche erano semivuote, come sempre a quell’ora.
Indossava un cappotto pesante abbottonato fino al collo e una gonna lunga di lana grigia, ma sotto portava ancora i segni della notte: il collare era stato tolto solo all’ultimo momento, lasciando una leggera striscia rosata sulla pelle che aveva nascosto con una sciarpa di seta. Le labbra, prive del rossetto acceso della sera prima, sembravano più pallide del solito. I capelli erano raccolti in una treccia severa, ma qualche ciocca ribelle le sfuggiva sul viso.
Camminò piano lungo la navata laterale, cercando il suo banco in fondo, quello da cui poteva osservare tutto senza essere troppo notata. Si inginocchiò appena arrivata, fece il segno della croce con mani che tremavano leggermente e chinò la testa.
Don Matteo stava già leggendo il Vangelo. La sua voce calda riempiva la navata: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».
Susanna sentì quelle parole come una lama.
Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi sulla liturgia, ma la mente tornava indietro di poche ore. Rivide se stessa in ginocchio sul pavimento di Luca, il guinzaglio tirato, la bocca piena, il telefono che riprendeva. Sentì di nuovo la voce di lui: «Brava la mia cagnolina». Il corpo reagì immediatamente: un calore improvviso tra le cosce, un formicolio alla gola dove il collare aveva stretto.
Strinse il rosario nella tasca del cappotto fino a farsi male alle dita.
Durante l’omelia, Don Matteo parlò della tentazione, del diavolo che si nasconde nelle cose più belle del mondo, del corpo come tempio che va custodito. Susanna teneva lo sguardo fisso sul pavimento. Sentiva le guance bruciare. Ogni tanto alzava gli occhi verso l’altare, verso il crocifisso, e le sembrava che Gesù la guardasse dritto negli occhi, come se sapesse tutto.
Al momento della comunione esitò a lungo. Rimase seduta mentre gli altri si alzavano. Le mani in grembo, le unghie che si conficcavano nei palmi. Pensò: «Non sono degna». Pensò: «Se prendo l’ostia ora, è un sacrilegio». Pensò anche, con un brivido che la spaventò: «E se invece lo faccio lo stesso?».
Alla fine si alzò. Camminò lentamente verso l’altare, le gambe molli. Quando Don Matteo le porse l’ostia – «Il Corpo di Cristo» – lei rispose «Amen» con un filo di voce, quasi impercettibile.
Tornata al banco, si inginocchiò di nuovo. L’ostia sulla lingua, il sapore del pane. Chiuse gli occhi forte. Avrebbe dovuto pregare per il perdono, per la forza di resistere, per tornare alla ragazza di prima.
Invece pregò in silenzio una cosa diversa.
«Signore… fai che Luca mi voglia ancora così. Fai che non si stanchi di me. Fai che stasera mi metta di nuovo il guinzaglio.»
Una lacrima le scese sulla guancia. La asciugò in fretta con il dorso della mano.
Quando la messa finì, rimase seduta ancora un po’, mentre la chiesa si svuotava. Don Matteo passò accanto al suo banco per spegnere le candele. La vide lì, immobile, e si fermò.
«Susanna… vuoi restare per una preghiera?» chiese piano.
Lei alzò lo sguardo. Gli occhi lucidi, le labbra tremanti.
«No, padre… grazie. Devo andare.»
Si alzò, fece una genuflessione frettolosa davanti al tabernacolo e uscì.
Fuori piovigginava. L’aria fredda le colpì il viso bollente.
Tirò fuori il telefono dalla tasca.
C’era già un messaggio di Luca, mandato da mezz’ora:
«Buongiorno, cagnolina. Hai pregato anche per me oggi? 😈 Stasera ti aspetto. Ho un’idea nuova per il profilo.»
Susanna lesse due volte. Il cuore le scoppiò nel petto.
Rispose subito: «Sì. Ho pregato per te.»
Poi aggiunse, con le dita che volavano sulla tastiera:
«Dimmi l’idea.»
E si avviò verso casa, la gonna lunga che ondeggiava, l’ostia ancora sullo stomaco, il sapore del peccato in bocca più forte di quello del pane.
Non si voltò indietro verso la chiesa.
Quella sera, quando Susanna arrivò da Luca, lui la stava già aspettando con la porta socchiusa e un sorriso che le fece capire subito che aveva in mente qualcosa di diverso.
La fece entrare, la baciò con calma, quasi con tenerezza, poi le tolse il cappotto e la sciarpa. Le sfiorò il collo con le dita, proprio dove il giorno prima c’era stato il collare.
«Ti è mancato, vero?» le sussurrò all’orecchio.
Lei annuì piano, arrossendo.
Luca la prese per mano e la portò in camera. Sul letto c’erano già i soliti accessori – autoreggenti, perizoma minuscolo, il collare con il guinzaglio – ma accanto, su una sedia, vide qualcosa di nuovo: un abitino bianco candido, corto, con il colletto alto e le maniche lunghe, quasi da comunione. Accanto, un velo corto di tulle bianco e un piccolo crocifisso d’argento da appendere al collo.
Susanna si bloccò. «Luca… cos’è quello?»
Lui sorrise, gli occhi che brillavano di eccitazione perversa.
«L’idea nuova, amore mio.» Si avvicinò, le accarezzò la guancia. «Stasera ti vestiamo da sposa di Cristo. Da brava ragazza che sta per fare la prima comunione… o che sta per prendere i voti. Bianca, pura, innocente. Con il velo, il crocifisso, tutto.»
Susanna sentì un nodo in gola. «Ma… è una bestemmia…»
«Esatto,» disse lui con voce bassa, già rauca. «È questo il bello. Tu, la mia ragazza di chiesa, vestita da santa… mentre io ti faccio cose che nessuna suora immaginerebbe mai.»
Le spiegò piano il piano, mentre le sue mani già le slacciavano la camicetta.
Prima fase: foto “innocenti”. Lei vestita con l’abitino bianco, il velo in testa, il crocifisso al collo, in ginocchio davanti al piccolo altare improvvisato che Luca aveva preparato sul comodino – una candela accesa, un piccolo crocifisso di legno, un rosario. Pose devote: mani giunte, occhi bassi, labbra socchiuse in preghiera.
Poi, piano piano, la “corruzione”.
Luca le avrebbe alzato lentamente l’abitino, le avrebbe fatto tenere il rosario in mano mentre le infilava le dita dentro, le avrebbe fatto baciare il crocifisso mentre lei lo succhiava. Il velo sarebbe rimasto in testa per tutto il tempo, anche quando lui l’avrebbe presa da dietro sul letto, con l’abitino alzato sui fianchi e il crocifisso che dondolava tra i seni.
E soprattutto: avrebbe ripreso tutto. Foto e video lunghi, con l’audio dei suoi gemiti che contrastava con l’aspetto da angelo.
«Voglio che sembri una cerimonia,» le disse, mordicchiandole il lobo. «Tu che fai voto a me, non a Dio. Che mi offri la tua purezza… e io che te la strappo.»
Susanna tremava. Il senso di colpa era fortissimo, quasi insostenibile. Immaginò Don Matteo che la vedeva così. Immaginò sua madre. Immaginò il crocifisso vero in chiesa.
Ma tra le gambe era già bagnata fradicia.
«Luca… è troppo… è davvero una bestemmia…»
Lui la strinse, le infilò una mano sotto la gonna lunga che ancora indossava, trovandola nuda come le aveva ordinato.
«Lo so. Ed è per questo che lo faremo. Perché tu sei la mia brava ragazza cattolica… che prega di giorno e si fa profanare di notte.»
Le mise il crocifisso al collo lì per lì, freddo contro la pelle calda.
«Dimmi di sì, Susanna.»
Lei chiuse gli occhi. Sentì il metallo del crocifisso, il profumo di Luca, il calore del suo corpo.
«…Sì.»
Luca sorrise vittorioso.
«Brava la mia sposa di Cristo. Ora spogliati. La cerimonia inizia.»
E mentre Susanna si toglieva gli ultimi vestiti castigati, con le mani che tremavano più per eccitazione che per paura, Luca accese la candela sul comodino e preparò il telefono.
@Susanna_secret stava per accogliere i post più proibiti di sempre.
E lei, per la prima volta, non pensò nemmeno di chiedere perdono.
La prima foto “innocente” fu scattata subito, proprio perché Luca voleva che fosse perfetta, senza alcun segno di ciò che sarebbe seguito.
Susanna era in ginocchio sul pavimento della camera, davanti al piccolo “altare” improvvisato sul comodino: una candela bianca accesa, un crocifisso di legno semplice, il suo rosario di perle bianche posato accanto, e un piccolo libro di preghiere aperto su una pagina del Salmo 23.
Indossava l’abitino bianco candido, corto ma non troppo – arrivava appena sopra il ginocchio – con il colletto alto chiuso da un bottoncino e le maniche lunghe che le coprivano le braccia fino ai polsi. Il tessuto era leggero, quasi etereo, di cotone fine, che le accarezzava la pelle come una carezza monacale. Sul capo portava il velo corto di tulle bianco, fissato con una coroncina di fiori finti bianchi e delicati, lo stesso tipo che si usa per le bambine alla prima comunione. Il velo le scendeva morbido sulle spalle, incorniciandole il viso e lasciando intravedere solo qualche ciocca di capelli castani.
Al collo aveva il piccolo crocifisso d’argento appeso a una catenina sottile, che riposava esattamente al centro del décolleté appena accennato dall’abitino chiuso.
Le mani erano giunte in preghiera, le dita intrecciate con devozione, le unghie corte e senza smalto. Gli occhi erano bassi, fissi sul crocifisso di legno, le ciglia lunghe che proiettavano ombre delicate sulle guance pallide. Le labbra – prive di rossetto, per questa prima fase – erano socchiuse in un’espressione di raccoglimento assoluto, come se stesse davvero pregando in silenzio.
La luce proveniva solo dalla candela e da una lampada soffusa alle sue spalle, creando un’aura calda e dorata intorno alla figura. Il velo catturava riflessi tremolanti, dando l’impressione che fosse circondata da un alone di santità.
Luca scattò diverse varianti, ma la foto che scelse come prima del set fu quella frontale, leggermente dal basso: Susanna perfettamente centrata, inginocchiata con la schiena dritta, le mani giunte all’altezza del petto, il viso chinato in umile adorazione. Non si vedeva nulla di provocante: nessuna scollatura, nessuna gamba scoperta, nessun segno di ciò che portava (o non portava) sotto. Solo purezza, innocenza, devozione.
La caption che Luca scrisse sotto quella foto su @susanna_secret fu semplice e crudelmente ironica:
«“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.”
La mia sposa di Cristo, prima della cerimonia.»
Nessuno, vedendo solo quella immagine, avrebbe mai sospettato cosa sarebbe successo nei post successivi.
Ma Susanna, quando la vide sul telefono dopo la sessione, sentì il cuore stringersi in una morsa di eccitazione e colpa insieme.
Era davvero lei, quella ragazza angelica in bianco?
E, soprattutto, quanto tempo sarebbe durata quella purezza apparente prima che Luca la profanasse completamente, scatto dopo scatto?
La seconda foto arrivò subito dopo la prima, come il primo passo verso la profanazione.
Susanna era ancora in ginocchio davanti al piccolo altare improvvisato, nella stessa posizione devota: mani giunte, testa leggermente china, velo bianco che le incorniciava il viso con dolcezza angelica. L’abitino candido era ancora perfetto, senza una piega, il crocifisso d’argento al centro del petto.
Ma Luca, accovacciato dietro il treppiede, le aveva dato un ordine sussurrato, con quella voce bassa e porca che le faceva tremare le ginocchia:
«Alza lentamente l’abitino davanti, amore. Solo un po’. Fammi vedere che sotto non porti niente. Tieni gli occhi sul crocifisso, come se stessi pregando.»
Susanna aveva obbedito, le guance in fiamme. Con le mani ancora intrecciate – come se la preghiera continuasse – aveva afferrato l’orlo dell’abitino bianco con i pollici e lo aveva sollevato piano, centimetro dopo centimetro, fino a metà coscia.
La foto catturò esattamente quell’istante.
L’abitino era alzato quanto bastava per mostrare che sotto era completamente nuda: nessuna mutandina, solo la pelle liscia e pallida delle cosce, le autoreggenti bianche (che Luca aveva scelto apposta, immacolate come quelle di una prima comunione) che terminavano con un bordo di pizzo delicato a metà coscia. Tra le gambe socchiuse, appena accennato nell’ombra, si intravedeva il suo sesso rasato, già lucido di eccitazione, ma senza essere esplicito: solo un suggerimento, un segreto che la “pura” stava rivelando.
Il contrasto era devastante: il viso rimaneva quello di un angelo, occhi bassi e riverenti verso il crocifisso di legno sull’altare, labbra socchiuse in un’espressione di estasi mistica; le mani ancora giunte in preghiera, come se stesse offrendo se stessa a Dio. Ma l’abitino alzato, le cosce nude, il velo intatto sopra tutto, trasformavano la scena in qualcosa di profondamente blasfemo.
La luce della candela illuminava dolcemente la pelle esposta, creando un riflesso caldo sulle cosce e un’ombra delicata tra le gambe. Il velo bianco sembrava quasi brillare, rendendola ancora più eterea, più intoccabile – proprio mentre si toccava, in senso letterale, con la sua stessa purezza.
Luca scattò diverse varianti, ma scelse quella in cui il suo viso era perfettamente sereno, quasi estatico, come se stesse vivendo un rapimento religioso… mentre offriva al mondo (o almeno a lui) la prova della sua corruzione.
La caption che accompagnò la foto su @susanna_secret fu:
«“Signore, ecco la tua serva.”
La sposa di Cristo alza l’abito per la prima offerta.»
Susanna, quando la vide sul telefono dopo, sentì le gambe cedere.
Era ancora inginocchiata quando Luca le sussurrò: «Ora la terza. Apri le gambe di più… e tieni il rosario tra le dita mentre ti tocchi.»
E lei, senza più esitare, lo fece.
La terza foto segnò il punto in cui l’innocenza cominciò a sgretolarsi visibilmente.
Susanna era ancora inginocchiata sul pavimento, il velo bianco intatto sulla testa, l’abitino candido alzato già fino ai fianchi come nella foto precedente. Ma ora le gambe erano aperte di più, divaricate quanto bastava per offrire una visione chiara e inequivocabile del suo sesso nudo, lucido e gonfio di desiderio. Le autoreggenti bianche incorniciavano le cosce pallide, il bordo di pizzo che contrastava con la pelle arrossata dall’eccitazione.
Luca le aveva messo il rosario tra le dita della mano destra. Le perle bianche, fredde e lisce, erano strette tra l’indice e il medio mentre Susanna, con un gesto lento e tremante, si toccava.
La foto catturò esattamente quell’attimo: due dita (l’indice e il medio) affondate piano dentro di sé, il pollice che sfiorava il clitoride turgido. Il movimento era delicato, quasi reverenziale, come se stesse accarezzando qualcosa di sacro invece di profanarlo. Il rosario pendeva dalla stessa mano, le perle che oscillavano leggermente tra le cosce aperte, alcune sfiorando la pelle interna, altre quasi toccando il sesso bagnato.
Il viso di Susanna era l’elemento più devastante. Non guardava più il crocifisso sull’altare: gli occhi erano socchiusi, le pupille velate di piacere, le labbra dischiuse in un sospiro silenzioso. Le guance erano arrossate, il velo bianco le incorniciava il volto come un’aureola, rendendo l’espressione estatica quasi mistica – come una santa in rapimento. Ma era un rapimento carnale, non divino.
La candela sull’altare illuminava dal basso la scena, proiettando ombre morbide sulle cosce aperte e creando riflessi umidi sulle dita che si muovevano piano dentro di lei. Il crocifisso d’argento al collo rifletteva la luce, dondolando leggermente tra i seni coperti dall’abitino ancora abbottonato.
Luca scelse l’inquadratura ravvicinata, quasi frontale: il viso angelico in alto, il velo candido, il rosario tra le dita… e poi, al centro dell’immagine, il gesto proibito: la “sposa di Cristo” che si masturbava con devozione, offrendo se stessa non a Dio, ma all’obiettivo.
La caption che accompagnò la terza foto su @susanna_secret fu breve e tagliente:
«“Ave Maria, piena di grazia…”
La sposa prega con le dita dentro, il rosario tra le cosce.»
Quando Susanna la vide sul telefono, dopo che Luca glielo aveva mostrato con un ghigno soddisfatto, sentì le ginocchia cedere. Si morse il labbro fino a farsi male, il respiro corto.
«Luca… è… è troppo,» sussurrò, la voce rotta.
Lui le accarezzò il velo ancora in testa, le baciò la fronte come un sacerdote perverso.
«No, amore. È solo l’inizio. Ora la quarta: tieni il crocifisso in bocca mentre continui a toccarti… e guardami negli occhi.»
E Susanna, con le dita ancora umide dentro di sé e il rosario stretto in mano, annuì.
Senza più dire una parola.
La quarta foto fu il momento in cui la profanazione divenne esplicita e irreversibile.
Susanna era ancora inginocchiata davanti all’altare improvvisato, il velo bianco candido perfettamente in testa, i fiori finti che le incorniciavano il viso come una coroncina innocente. L’abitino era alzato fino alla vita, le cosce divaricate, le autoreggenti bianche tese sulla pelle arrossata. Il rosario era rimasto tra le dita della mano sinistra, abbandonato contro la coscia interna, le perle lucide di umidità.
Ma ora il crocifisso d’argento – quello che prima riposava castamente sul petto – era tra le sue labbra.
Susanna lo teneva delicatamente con i denti, la catenina che pendeva dalle labbra socchiuse, il piccolo Cristo rivolto verso l’obiettivo come se la stesse guardando mentre veniva profanato. Le labbra pallide erano strette intorno al metallo freddo, leggermente gonfie, lucide di saliva. Gli occhi – finalmente – erano alzati verso Luca, dietro il telefono. Non più bassi in falsa devozione, ma fissi, lucidi, supplichevoli. Uno sguardo che non era più di preghiera a Dio, ma di resa totale a lui.
La mano destra continuava a toccarsi, ma con più urgenza: tre dita ora affondate dentro di sé, il movimento visibile, ritmico, il pollice che premeva sul clitoride gonfio. Il sesso era completamente esposto, bagnato in modo evidente, le labbra intime aperte e lucide sotto la luce tremolante della candela. Un filo trasparente di eccitazione collegava le dita al bordo delle autoreggenti, come un segno di quanto fosse già vicina al bordo.
Il viso, incorniciato dal velo immacolato, era stravolto dal piacere represso: guance rosse, sopracciglia aggrottate, un lieve tremito nelle labbra che stringevano il crocifisso. Non c’era più traccia di innocenza – solo una “sposa di Cristo” che lo baciava con la bocca mentre si masturbava guardando il suo vero padrone.
Luca scelse l’inquadratura ravvicinata, quasi un primo piano: il velo bianco in alto, gli occhi supplichevoli, il crocifisso tra le labbra, la catenina che dondolava, e sotto – in basso, al centro dell’immagine – la mano che si muoveva senza pudore tra le cosce spalancate.
La caption che accompagnò la quarta foto su @susanna_secret fu la più blasfema finora:
«“Prendete e mangiate: questo è il mio corpo.”
La sposa bacia il suo Signore… mentre si offre al diavolo.»
Quando Luca gliela mostrò subito dopo lo scatto, Susanna – ancora inginocchiata, il crocifisso tra i denti, le dita ancora dentro di sé – emise un gemito soffocato.
Luca le tolse delicatamente il crocifisso dalla bocca, lo baciò lui stesso, poi glielo rimise al collo, bagnato della sua saliva.
«Bravissima, amore mio,» le sussurrò, la voce già spezzata dall’eccitazione. «Ora la quinta. Ti metti in piedi, ti giri, ti chini sull’altare… e tieni il crocifisso stretto in mano mentre io ti prendo da dietro. Con il velo ancora in testa.»
Susanna, senza più voce, annuì.
Il rosario le scivolò dalle dita e cadde sul pavimento.
Non lo raccolse.
La quinta foto non era più una foto: era una sequenza di scatti in modalità raffica, ma Luca ne scelse uno solo come “la quinta”, quello perfetto, quello che avrebbe fatto parte della galleria su @susanna_secret.
Susanna era in piedi, girata di spalle all’obiettivo, chinata in avanti sull’altare improvvisato. Le mani erano appoggiate sul comodino, le braccia tese, le dita aperte che stringevano il bordo del mobile come per reggersi durante una preghiera troppo intensa. Il velo bianco era ancora perfettamente in testa, intatto, i fiori finti leggermente spostati da un movimento precedente, ma ancora candido come se nulla fosse accaduto.
L’abitino bianco era alzato e raccolto intorno alla vita, formando una sorta di cintura di tessuto candido che contrastava violentemente con ciò che accadeva sotto. Le autoreggenti bianche erano tese, i muscoli delle cosce in evidenza per la posizione: le gambe leggermente divaricate, il culo sodo offerto all’obiettivo, la schiena inarcata in modo da accentuare ogni curva.
Luca era dentro di lei.
Il suo corpo era visibile solo in parte – le mani che le stringevano i fianchi con forza, lasciando segni rossi sulla pelle pallida, il bacino premuto contro di lei – ma era evidente che la stava penetrando profondamente, da dietro, con un colpo fermo e possessivo. Il movimento era congelato nell’istante esatto dell’affondo: si vedeva la base del suo sesso che spariva dentro di lei, il suo sesso di Susanna dilatato, lucido, aperto intorno a lui.
Il crocifisso d’argento, che Susanna stringeva ora nella mano destra, era premuto contro il legno del comodino, come se lo stesse baciando o stesse cercando di aggrapparsi a esso per non crollare. La catenina pendeva tesa tra le dita, il piccolo Cristo capovolto, quasi a simboleggiare l’inversione totale di ogni voto.
Il viso di Susanna era girato di tre quarti verso l’obiettivo, visibile di profilo: gli occhi semichiusi, le lacrime di piacere che le rigavano le guance, le labbra spalancate in un gemito silenzioso, il velo che le sfiorava il viso arrossato. Non c’era più traccia di innocenza: solo abbandono, estasi carnale, resa.
La candela sull’altare era ancora accesa, la fiamma che tremolava proprio accanto alla sua mano, illuminando la scena con una luce calda, quasi sacra, che rendeva il contrasto ancora più insostenibile: la “sposa di Cristo” chinata sull’altare, profanata nel modo più completo, con il suo uomo che la possedeva mentre lei stringeva il simbolo della fede.
Luca scelse lo scatto in cui il suo viso era più visibile, l’espressione più stravolta, il crocifisso più evidente nella sua mano.
La caption che accompagnò la quinta foto fu la più diretta e blasfema di tutte:
«“Consummatum est.”
La sposa di Cristo riceve il suo vero sposo sull’altare.»
Quando, subito dopo l’orgasmo, Luca le mostrò la foto sul telefono – ancora chinata, ancora piena di lui – Susanna non disse nulla.
Solo un sussurro, quasi una preghiera:
«Caricane un’altra… mentre vieni dentro.»
E Luca, con un sorriso oscuro, rimise il telefono sul treppiede.
La sessione non era ancora finita.
La sesta foto fu quella che chiuse il cerchio, la più estrema e definitiva della serie.
Luca aveva continuato a scoparla sull’altare per minuti interminabili, cambiando angolazione al telefono per catturare ogni dettaglio. Poi, quando aveva sentito che stava per venire, le aveva ordinato di girarsi.
Susanna, ubbidiente e persa nel piacere, si era voltata in ginocchio sul pavimento, il velo ancora miracolosamente in testa, l’abitino bianco alzato e aggrovigliato intorno alla vita come una cintura simbolica. Il crocifisso d’argento le dondolava tra i seni piccoli, ora esposti perché Luca le aveva strappato i primi bottoni durante l’amplesso. Le autoreggenti bianche erano leggermente calate su una coscia, il pizzo umido di sudore e di lei.
Luca era in piedi davanti a lei, il sesso duro e lucido dei suoi umori puntato verso il suo viso. Con una mano le teneva i capelli raccolti sotto il velo, tirandole delicatamente la testa all’indietro. Con l’altra reggeva il telefono, ma per questa foto aveva usato il timer: voleva essere completamente dentro l’inquadratura.
La foto catturò l’istante esatto in cui veniva.
Un getto denso e bianco le schizzava sul viso angelico: una striscia sulle labbra socchiuse, un’altra che le attraversava la guancia pallida, una terza che le colava sul mento e gocciolava sul crocifisso al collo, imbrattando il piccolo Cristo d’argento. Altre gocce le cadevano sul velo bianco, macchiandolo in punti precisi, come lacrime di peccato. Gli occhi di Susanna erano spalancati, lucidi di lacrime e di estasi, fissi su Luca in completa adorazione. La bocca era aperta, la lingua appena visibile che cercava di catturare ciò che poteva, come in una comunione profana.
Il rosario, abbandonato sul pavimento accanto a lei, era visibile in basso nell’inquadratura, le perle bianche sparse come se fossero cadute durante un rapimento.
Il viso – quel viso da bambina alla prima comunione, incorniciato dal velo immacolato ora macchiato – era completamente segnato: guance arrossate, labbra gonfie, semen che colava lento sul mento e sul collo, mescolandosi al sudore.
Luca scelse lo scatto più nitido, quello in cui il suo piacere era più evidente sul viso di lei, il crocifisso più imbrattato, il velo più visibilmente sporcato.
La caption che caricò su @susanna_secret fu l’ultima della serie, la più crudele e definitiva:
«“Amen.”
La sposa di Cristo riceve la benedizione finale sull’altare.»
Quando, subito dopo, Luca le mostrò la foto sul telefono, Susanna era ancora in ginocchio, il viso segnato, il respiro affannoso.
Non disse nulla.
Si limitò a passare lentamente un dito sulla guancia, raccogliendo una goccia, e se la portò alle labbra.
La assaggiò, guardandolo negli occhi.
Poi, con un filo di voce:
«Carica anche il video… voglio rivederlo.»
Luca sorrise, accarezzandole il velo macchiato.
La sessione era finita.
Ma Susanna sapeva già che la prossima idea di Luca sarebbe stata ancora più estrema.
E, per la prima volta, non ebbe paura.
Ebbe solo voglia.
Susanna uscì dall’appartamento di Luca che era già tarda notte. L’aria di dicembre era gelida, le strade della piccola città deserte, solo il rumore dei suoi passi sul marciapiede e il ticchettio lontano di un cane che abbaiava. Aveva il cappotto pesante abbottonato fino al collo, la sciarpa avvolta due volte, i capelli ancora un po’ umidi di sudore sotto il berretto di lana. In borsa, il velo bianco e l’abitino candido erano piegati con cura in una busta di plastica, come se fossero un segreto da nascondere persino a se stessa.
Camminava veloce, il respiro che formava nuvolette bianche. Il corpo era ancora indolenzito, soddisfatto, pesante: tra le cosce sentiva ancora lui, il calore appiccicoso che le ricordava ogni affondo sull’altare improvvisato. Il viso, lavato in fretta nel bagno di Luca, non portava più tracce visibili del “battesimo” finale, ma quando chiudeva gli occhi rivedeva tutto: il velo macchiato, il crocifisso imbrattato, la sua lingua che raccoglieva ciò che lui le aveva dato.
Non aveva pregato, quella sera. Nemmeno una volta.
Arrivò davanti al portone di casa verso mezzanotte e mezza. I genitori dormivano già; la luce del soggiorno era spenta, solo la lampadina del pianerottolo accesa dal timer. Salì le scale in punta di piedi, la chiave che girava piano nella toppa.
In camera sua, chiuse la porta a chiave – cosa che non faceva mai – e accese solo la lampada da comodino. La stanza era la stessa di sempre: il crocifisso appeso sopra il letto, l’immagine della Madonna sul cassettone, il calendario parrocchiale aperto su dicembre con la foto dell’Immacolata. Tutto immacolato, ordinato, puro.
Si tolse il cappotto, la sciarpa, le scarpe. Rimase in maglione e gonna lunga, si sedette sul bordo del letto e tirò fuori il telefono.
Aprì Instagram. Andò su @susanna_secret.
La serie era completa.
Sei foto, più il video lungo che Luca aveva caricato come ultimo post: dall’innocenza inginocchiata fino alla “benedizione” finale, con l’audio dei suoi gemiti, delle parole sporche, del suo “Amen” soffocato mentre ingoiava.
Guardò tutto, dall’inizio alla fine, due volte.
Le mani le tremavano. Sentì di nuovo quel calore tra le gambe, come se il corpo non ne avesse mai abbastanza. Si morse il labbro, si strinse le cosce sotto la gonna.
Poi aprì la chat con Luca.
Scrisse:
«Sono a casa. Mi manchi già.»
Aggiunse una foto nuova, scattata lì per lì con il telefono davanti allo specchio della camera: lei seduta sul letto, la gonna alzata quel tanto che bastava a mostrare che sotto non portava niente, il crocifisso vero della stanza visibile sullo sfondo. Occhi bassi, labbra socchiuse. Nessun velo, nessun abitino bianco. Solo lei, la ragazza di sempre… ma con lo sguardo cambiato.
Caption per lui: «La tua sposa è tornata nella sua cella. Prega pensando a te.»
Inviò.
Luca rispose quasi subito: un cuore nero, seguito da «Domani sera nuova sessione. Ho già un’idea.»
Susanna spense il telefono, lo posò sul comodino.
Si inginocchiò davanti al letto, come faceva ogni sera prima di dormire.
Giunse le mani.
Ma non recitò l’Ave Maria.
Rimase lì, in silenzio, per qualche minuto.
Poi si alzò, si spogliò completamente, si infilò sotto le lenzuola nuda – cosa che non aveva mai fatto in vita sua – e si addormentò con la mano tra le cosce, il respiro ancora accelerato.
Sognò l’altare.
Sognò il velo macchiato.
Sognò la voce di Luca che le diceva «Brava la mia sposa».
E per la prima volta da quando era bambina, non sognò il paradiso.
Sognò solo lui.
scritto il
2025-12-16
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