Alessia

di
genere
dominazione

Alessia aveva diciannove anni e viveva ancora con i genitori in un appartamento elegante ai Colli Aminei, a Napoli. Di giorno era la studentessa modello: primo anno di Psicologia alla Federico II, sempre con i libri aperti sul tavolo della cucina, capelli neri lisci raccolti in una coda pratica, occhiali sottili, maglioni oversize che nascondevano un corpo giovane e sodo – seni pieni e sodi, culo tondo e alto, cosce morbide che stringeva tra loro quando fantasticava. I genitori la adoravano: il padre, Giuseppe, cinquant’anni portati con autorità, ingegnere con capelli grigi alle tempie e mani larghe e forti, la trattava ancora come una bambina; la madre, una donna remissiva che conviveva con lui da vent’anni, cucinava e puliva senza lamentarsi. Alessia sorrideva educata a cena, rispondeva “sì papà” e “grazie mamma”, ma dentro bruciava.
Di notte, chiusa in camera, si toccava furiosamente pensando a uomini come suo padre. Uomini maturi, con l’esperienza stampata in faccia, che sapevano prendere una ragazza giovane e farla implorare. Immaginava le mani di Giuseppe che le aprivano le cosce, la voce bassa che le ordinava di stare buona mentre la scopava sul suo stesso letto. Si infilava tre dita nella figa stretta e bagnata, mordendo il cuscino per non farsi sentire, venendo con un fremito violento al pensiero di un cazzo grosso e vecchio che la sfondava.
Un giorno creò un blog anonimo, “PiccolaNapoli19”, dove scriveva racconti sporchi: ragazze ingenue che finivano sotto uomini over 50, descriveno pompini lenti, leccate esperte, scopate violente. Non si aspettava risposte. Invece arrivò la prima mail.
Mittente: b_bull_and_master@proton.me
Oggetto: La tua storia mi ha fatto venire duro
“Ciao piccola. Ho letto il tuo ultimo post, quello della studentessa che si fa il professore 55enne in aula. Mi hai fatto venire duro come un ragazzino. Io ho 50 anni, divorziato, vivo a Roma per lavoro ma sono napoletano dentro. Dimmi, sei davvero così troia come scrivi o è solo fantasia?”
Alessia lesse la mail in bagno, con la porta chiusa a chiave. Il cuore le batteva forte. Rispose dopo dieci minuti:
“Forse un po’ tutte e due. Mi piacciono gli uomini maturi… quelli che sanno cosa fare con una ragazza giovane.”
Da quel giorno le mail divennero quotidiane. All’inizio chiacchieravano: lui le raccontava del suo lavoro da consulente, delle ex mogli noiose, di quanto gli mancasse una figa giovane da leccare per ore. Lei confessava le sue fantasie, sempre più diretta.
“Mi eccita l’idea di un uomo come mio padre,” gli scrisse una sera. “Autorevole, con esperienza. Vorrei che mi trattasse come una puttanella da educare.”
Carlo rispose subito:
“Sei una ragazzina con seri problemi con il tuo papà, eh? Immagina me al posto di tuo papà. Ti prenderei per i capelli e ti metterei in ginocchio. A proposito… ho un regalo per te.”
Allegò la prima foto: un cazzo enorme, 23 centimetri di carne venosa, spesso come un polso, cappella larga e rossa che gocciolava. In un’altra foto si vedeva la base, peli grigi, palle pesanti pendenti.
Alessia si chiuse in camera, abbassò le mutandine e si sfregò il clitoride gonfio guardandolo. Scrisse:
“Dio, è mostruoso. Non ci entrerebbe mai nella mia fighetta stretta.”
Lui: “Invece sì, piccola. Ti dilaterei piano, ti farei urlare. Ora masturbati pensando a me e mandami un audio.”
Lei obbedì. Registrò se stessa mentre si infilava due dita dentro, gemendo piano: “Papà Carlo… voglio il tuo cazzo grosso… ah… mi sto bagnando tutta…” Glielo mandò. Lui rispose con un video: si segava lentamente quel mostro, grugnendo “Brava troietta, papà ti sfonda presto.”
Le mail si fecero sempre più sporche. Ogni sera, mentre i genitori guardavano la TV, Alessia si chiudeva in camera e leggeva:
“Dimmi cosa indossi adesso.”
“Solo una canottiera e le mutandine.”
“Toglile. Apri le gambe davanti allo specchio e descrivimi la tua figa.”
“È rasata liscia… le labbra sono gonfie, rosa… sto colando.”
Lui le ordinava compiti: “Infila il manico della spazzola e scopati pensando a me.” Lei lo faceva, fotografando il manico che entrava e usciva lucido dei suoi umori, mandandogli le prove. Lui ricambiava con foto del suo cazzo che pulsava, video di lui che si sparava sborra densa sul petto peloso pensando a lei.
Una sera Carlo scrisse la fantasia più sporca:
“Immagina che vengo a Napoli. Entro in casa tua mentre i tuoi dormono. Ti trovo in cucina con la camicia da notte. Ti alzo la stoffa, ti infilo la lingua nella figa da dietro mentre tua madre è di là. Poi ti scopo sul tavolo, forte, tappandoti la bocca perché non urli. Tuo padre si sveglia? Peggio per lui, guarderà la figlia che si fa sfondare da un vero uomo.”
Alessia venne due volte leggendolo, le dita affondate fino in fondo, immaginando davvero quella scena. Gli rispose:
“Voglio che succeda davvero. Insegnami a essere la tua puttana.”
Dopo due mesi di questa corrispondenza bollente, Carlo propose l’incontro.
“Vieni a Roma il prossimo weekend. Prenoto un hotel al centro. Ti prendo vergine del cazzo maturo e ti rimando a casa con la figa distrutta.”
Alessia mentì ai genitori: “Vado a Salerno da Claudia a studiare per gli esami.” Prese il Frecciarossa, indossando per la prima volta un vestitino corto nero, senza reggiseno, mutandine di pizzo minuscole. In treno si toccò in bagno pensando a lui.
Lo vide alla stazione Termini: alto, capelli sale e pepe, camicia sbottonata che mostrava il petto peloso, occhi da predatore. La baciò subito in bocca, lingua dentro, mano che le strizzava il culo. “Brava la mia troietta,” le sussurrò.
In taxi, verso l’hotel, le infilò la mano sotto il vestito, trovandola già bagnata. “Sei fradicia, eh?” Le infilò due dita dentro mentre l’autista guardava la strada. Alessia si morse il labbro per non gemere.
In camera non persero tempo. Carlo la spinse contro il muro, le strappò letteralmente le mutandine, si mise in ginocchio e le divorò la figa. Lingua esperta che le leccava il clitoride, poi entrava dentro, succhiava i succhi come un affamato. Alessia gli teneva la testa, urlando: “Papà… sì… leccami tutta…”
Poi la mise in ginocchio. Tirò fuori quel cazzo mostruoso, già duro e lucido. “Succhia, piccola.” Alessia lo prese in bocca a fatica: la cappella le riempiva tutta la bocca, le arrivava in gola. Sbavava, lacrimava, mentre lui le teneva la testa e scopava piano la bocca. “Brava, impari in fretta. Prendilo tutto.”
La scopò per ore. Prima missionario sul letto: le aprì le gambe, le infilò la cappella larga, spingendo piano. Alessia urlò – dolore e piacere insieme – mentre quel tronco la dilatava. “È troppo grosso… ahhh… mi spacca…” Lui rideva: “Devi abituarti, troia. Ora ti sfondo.” Spinse fino in fondo, le palle contro il suo culo. La scopò forte, ritmico, facendole rimbalzare i seni giovani. Alessia venne la prima volta così, stringendolo dentro, schizzando sui suoi peli pubici.
Poi a pecorina: le afferrò i fianchi, la penetrò da dietro, sbattendole le palle sul clitoride. Le dava schiaffi sul culo: “Dimmi chi è il tuo daddy adesso.” “Tu… papà Carlo… scopami più forte…”
La fece cavalcare: Alessia sopra, che impalava se stessa su quel cazzo enorme, su e giù, i succhi che colavano sulle sue cosce. Lui le succhiava i capezzoli duri, le strizzava i seni. “Sei una puttanella nata, lo sapevo.”
La sborrò la prima volta in bocca: la mise in ginocchio, le tenne la testa e le inondò la lingua di sborra densa, calda, salata. Alessia ingoiò tutto, tossendo un po’, ma eccitata da morire.
Passarono il weekend intero a scopare. La prese in doccia, contro il vetro, da dietro mentre l’acqua scorreva. La leccò di nuovo per mezz’ora finché non venne squirtando sulla sua faccia. La scopò nel culo piano piano – prima un dito, poi due, poi la cappella – facendola urlare di dolore iniziale che divenne piacere puro. “Ora hai tutti i buchi usati dal tuo daddy.”
Domenica sera, prima di riportarla in stazione, la scopò un’ultima volta lentamente, guardandola negli occhi. “Sei mia adesso. Tornerai presto, troia.”
Alessia tornò a Napoli con la figa gonfia e dolorante, ma soddisfatta come mai. Continuò a scrivergli ogni giorno, mandandogli foto nuda dal bagno di casa, video di lei che si masturbava con una bottiglia pensando a lui, rischiando di essere scoperta. La brava ragazza era morta: ora era la puttana segreta di un porco superdotato di cinquant’anni, dipendente dal suo cazzo grosso e dalla sua voce autoritaria. E già programmava il prossimo weekend a Roma.
scritto il
2025-12-29
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