Viaggio in Germania: parte I

di
genere
gay

A diciotto anni me ne andai di casa: ero stanco delle prediche di mio padre e dei ricatti di mia madre. Misi il necessario nello zainone da trekking, presi i mei risparmi e lasciai la casa dei miei genitori mentre loro erano al lavoro. Sul tavolo della cucina un biglietto: li informava che me ne andavo per un po’, che non si preoccupassero, sapevo badare a me stesso. D’altronde lo facevo da tanto, visto che loro, troppo preoccupati delle carriere e dei mille impegni, mi lasciavano spesso da solo tutto il giorno fin dalle elementari. Mi diressi verso la strada principale, e cominciai a camminare in una direzione qualsiasi, sporgendo il dito pollice quando sentivo avvicinarsi il rumore di un motore, nella speranza che qualcuno mi desse un passaggio per chissà dove. Molti mi ignorarono, un camionista si fermò dopo una mezzoretta che ero sulla strada. Salii e mi presentai, lui fece altrettanto: si chiamava Hans, era tedesco. Non parlava quasi l’inglese, io parlavo poco il tedesco, giusto quelle quattro parole imparate a scuola, grazie alla professoressa Palmanova, che si disperava perché non imbroccavo mai il caso giusto previsto da verbi impronunciabili. Comunque, capii che era diretto a Monaco di Baviera, e gli chiesi se mi potesse dare un passaggio fino a lì, che anch’io ci dovevo andare. Mi guardò un po’ sorpreso e scettico, comunque finse di crederci e si rimise in marcia. Mi chiese quanti anni avevo, mentii e dissi venti, anche in quel caso credo abbia finto di crederci: ero piuttosto magro, poca barba, poco pelo, pochi muscoli. Disse che era bello avere compagnia durante il viaggio, poi fece un lungo discorso che non capii affatto, ma annuii e sorrisi educatamente. Per un po’ non parlò, poi mi mise una mano sulla gamba, senza dire niente. Io lo guardai ma lasciai fare. Dimostrava una quarantina d’anni, pelle chiara, capelli biondo scuro, più alto di me e di certo più massiccio. Non mi dispiaceva nell’insieme, ma rimasi comunque sorpreso da quel gesto. A poco a poco risalì lungo la mia coscia e si fermò sul pacco. Ogni tanto mi dava un’occhiata veloce, distogliendo lo sguardo dalla strada, ma io lasciavo fare, fissavo il paesaggio dal finestrino. Sentivo la sua mano che mi tastava il cazzo e le palle, ma non dicevo niente, non dissi niente neppure quando si abbassò la zip dei pantaloni e tirò fuori il cazzo. Mi prese la mano e la portò all’uccello. Aveva capito subito, lui, che ero un frocetto voglioso, io invece non avevo capito che a lui piacessero i ragazzi, pensavo ad un passaggio disinteressato. Cominciai a segargli l’uccello, vedevo espressioni di piacere dipingerglisi sul volto, mentre il membro gli diventava sempre più duro e cominciava a colare un liquido trasparente e viscido dalla punta. Si fermò in un’area di sosta tranquilla, mi prese la testa e la spinse sul suo cazzo. Mi piegai senza alcuna resistenza, mi trovai con la testa tra le sue gambe e il suo grosso cazzo duro in bocca. Aveva un sapore forte, di piscio e sudore, non era la prima volta che facevo un pompino, avevo succhiato qualche amico e un paio di compagni di classe, ma il sapore di quel cazzo era più deciso, più maschio. Dopo un po’ mi ci abituai, o magari dipendeva dal fatto che la mia saliva aveva lavato via un po’ di quel forte afrore. Mi chiesi se mi sarebbe venuto in bocca, oppure mi avrebbe scansato prima di sborrare. Mentre succhiavo lo sentii irrigidirsi, emettere qualche grugnito, poi più getti caldi mi riempirono la bocca e la gola. Prima di lui, solo il mio amico Davide mi aveva sborrato in bocca, ma lo sperma di Hans aveva il sapore forte e deciso del suo cazzo.
Dopo il pompino era allegro e rilassato, chiacchierava e faceva battute, che però non capivo, ridevo per cortesia. Mi chiese se a Monaco avevo prenotato un albergo, risposi che no, non l’avevo ancora fatto. Mi propose di fermarmi quella notte a casa sua, alla periferia della città, io esitai ma finii per accettare. Dopo il Brennero ci fermammo a mangiare in un Autogrill, mi offrì la cena e ripartimmo. A mezzanotte eravamo da lui. Abitava da solo, in un appartamento in un quartiere popolare, un grande condominio anonimo ma pulito e curato. Sistemò la mia roba nella sua camera e mi accompagnò in bagno. Mentre mi spogliavo suonò il cellulare, era mia mamma, più sorpresa che arrabbiata. Le spiegai che ero in Germania, a Monaco, a trovare Hans, il ragazzo tedesco della scuola gemellata con la nostra. Lei non ricordava che in realtà il mio corrispondente si chiamava Michael e abitava ad Amburgo, ma aveva fretta di crederci e ci credette. Io non avevo voglia di darle spiegazioni e la salutai in fretta, ci demmo appuntamento per l’indomani. Hans era già in doccia e mi fece segno di raggiungerlo. Mi spogliai e mi ficcai con lui sotto l’acqua calda. Era molto eccitato, aveva una vistosa erezione e cominciò subito a toccarmi tra le natiche, a massaggiarmi il buco, e spingere la punta del suo medio dentro. Lo lasciavo fare, anche se era una strana sensazione: avevo fatto dei pompini, ma non ero mai stato inculato. Me lo chiese e gli dissi che non l’avevo mai preso prima. Allora mi spiegò in tedesco che dovevo pulirmi, mi passò un clistere e mi disse che dovevo farlo fino a quando l’acqua non usciva bella trasparente. Annuii e mi lasciò da solo in bagno a sciacquarmi l’intestino. Dopo un quarto d’ora uscii dal bagno, nudo e coi capelli umidi. Hans era sul divano che si segava mentre guardava un porno, mi attirò a sé e mi cominciò a leccare il buco. Lo vidi soddisfatto del suo sapore, evidentemente avevo fatto un buon lavoro in bagno, l’avevo pulito come si deve. Mi piaceva sentire la sua lingua che mi bagnava l’orifizio e spingeva per entrare, senza riuscirci. Ci riuscì invece il suo indice, dopo essere stato lubrificato, lo sentii allargarmi il buco e salire in profondità. Un po’ faceva male, un po’ mi piaceva e gemevo di eccitazione. Quando infilò anche il secondo, il dolore fu più forte del piacere, e gridai, ma durò poco. Lui sfilò per un attimo le dita e, quando le rimise dentro, il fastidio era diminuito, mentre la goduria era al massimo. Mi chiesa ancora se l’avevo mai preso dentro, gli dissi di nuovo di no. “Willst du es wirklich?”, lo vuoi davvero, mi chiese. “Sì, lo voglio”. Allora mi mise a pecora sul divano, con il busto appoggiato allo schienale, mi allargò bene le gambe, lubrificò il buco, mi puntò il cazzo bello duro, e piano piano entrò dentro. Se le due dita avevano fatto male, il cazzo grosso e duro sembrò spaccarmi il buco. Cercai di rimanere calmo, respirai a fondo, rilassai i muscoli dello sfintere e a poco a poco il dolore diminuì. Il buco aveva ceduto, si stava aprendo, Hans lo sentiva e cominciò a pomparmi il cazzo nella pancia, con movimenti lenti e regolari dapprincipio, poi sempre più rapidi ed energici. Mi stava sbattendo adesso con foga ed eccitazione, gridando frasi piene di “Schlampe” e di “Hure”, ma la prof. Pamanova mi aveva insegnato a parlare del tempo o del cibo, non come si diceva “Troia” e “Puttana” in tedesco. Hans gemeva e ruggiva sempre più forte, ora spingeva sul culo con colpi secchi e decisi, piuttosto rumorosi per giunta, mentre il mio buco, bagnato di lubrificante e pre sborra, gorgogliava oscenamente. Sentii Hans bloccarsi dentro, col cazzo spinto fino in fondo nella mia pancia che mi pulsava dentro, mentre lui cercava di controllare un forte urlo di piacere. Mi aveva sborrato in culo. Era la prima volta che un uomo mi montava e mi schizzava dentro il suo sperma.

scritto il
2025-12-08
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