Aperto e posseduto
di
Antinoo25
genere
gay
Avevo da poco compiuto diciotto anni e i miei nonni mi proposero, terminata la scuola, di passare un mese al mare con loro. Ero un po’ titubante, temevo di annoiarmi, ma l’idea di fare delle lunghe nuotate e delle belle passeggiate sulla spiaggia mi allettava parecchio, per cui, dopo breve riflessione, decisi di accettare.
Avevamo prenotato, nel solito albergo, due stanze vicine ma separate, per cui, pur passando molto tempo in loro compagnia, avevo la mia indipendenza e la mia libertà. Amavo fare delle lunghe nuotate in mare, in acqua mi sentivo libero e felice, il nuoto era il mio sport. Passeggiavo lungo la spiaggia in cerca di conchiglie o solo per godermi il sole di giugno, caldo ma mai rovente. La sera andavo a guardare i negozi del centro, osservavo le vetrine e i molti turisti che affollavano quella località sulla riviera. Ero un bel ragazzo, non molto sviluppato per la mia età, con poca barba, poco pelo, per giunta biondiccio. Non dimostravo i miei diciotto anni, però avevo un fisico asciutto, sportivo e ben allenato dal nuoto, che catturava l’occhiata di approvazione di qualche ragazza, quando la sera uscivo a passeggio, da solo o coi nonni, e sulla spiaggia anche qualche sguardo più audace. Io non ci facevo caso, le ragazze le guardavo ma non mi interessavano granché, mentre i ragazzi mi piacevano molto, mi attraevano, ma ero troppo timido per espormi con loro. Li guardavo di sottecchi, mi attiravano quelli muscolosi e virili, ma non mi azzardavo a fare il primo passo.
Un pomeriggio, mentre ero in spiaggia a rilassarmi sotto il nostro ombrellone e ascoltavo musica con gli auricolari, notai un gruppo di ragazzi tedeschi della mia età, al massimo di un anno più grandi, forse in gita scolastica. Erano felici ed eccitati di essere al mare, probabilmente facevano una pausa dopo qualche noiosa visita culturale e di certo alloggiavano al nostro albergo, perché quello stabilimento balneare era riservato agli ospiti dell’hotel. Gridavano e si facevano scherzi in riva al mare, ridevano sguaiatamente, cercavano di attirare l’attenzione delle ragazze. Mi incuriosivano e non riuscivo a non guardare le loro prodezze. Poi, quando i loro insegnanti se ne erano andati, avevano comprato delle birre al chiosco della spiaggia, le avevano bevute tutte in men che non si dica ed erano ora anche più sguaiati e chiassosi di prima. Io li osservavo con un misto di curiosità, attrazione e timore: erano belli, con corpi muscolosi, quasi tutti più alti di me, ma i loro modi guasconi mi intimidivano. Dopo un po’, stanchi dei giochi in riva al mare, avevano affittato quattro o cinque pattìni; li vidi allontanarsi dalla riva e, giunti al largo, notai che si toglievano il costume e iniziavano a fare il bagno nudi, con disinvoltura e noncuranza. La vista, anche solo da lontano, del loro fisico atletico e del loro membro, circondato da una nuvoletta di pelo per lo più biondo o castano chiaro, mi eccitava fino al punto da darmi una incontrollabile erezione, ben visibile sotto il mio costume. Mi misi un paio di pantaloncini per mascherare l’erezione e pensai ad altro. Ma sistematicamente lo sguardo mi cadeva su quel gruppo di giovani maschi, che, con cameratismo chiassoso e a tratti sguaiati, si divertivano in acqua e a tuffarsi dai pattìni. Li vidi avvicinarsi a riva ancora nudi, e si rivestirono solo quando furono a poche pedalate dalla riva, senza preoccuparsi troppo di nascondere le parti intime dei loro corpi virili dentro i pantaloncini da mare. Rimasero ancora poco in spiaggia, poi li sentii abbandonare l’arenile per tornarsene in albergo. Pensai che probabilmente li avrei reincontrati al ristorante la sera o alla colazione l’indomani mattina. Stetti ancora un po’ in spiaggia, da solo, coi miei pensieri, dato che i nonni erano già tornati alla loro camera, stanchi del sole e del vociare dei bagnanti. Sulle sei decisi di tornare anch’io alla mia stanza, raggiunsi a piedi l’albergo e salii al terzo piano, dove alloggiavamo, per le scale, non mi andava di usare l’ascensore. Vidi che anche i ragazzi tedeschi erano sistemati al terzo piano, ma nell’ala dell’hotel che occupava un edificio prospiciente al nostro. Un po’ erano sui poggioli che ascoltavano musica ad alto volume e si godevano la brezza di mare, un po’ andavano avanti e indietro dalla stanza, portando birra e roba da mangiare. Ebbi l’irresistibile curiosità di spiare anche dentro alle loro stanze, per cui non mi fermai al terzo piano, dov’erano le nostre camere, ma salii al quarto: dall’alto, da un punto di osservazione più elevato, sarei riuscito a vedere cosa stavano facendo anche dentro le loro stanze. In effetti potei scorgere qualcuno che si stava vestendo, altri che giravano nudi per la stanza ridendo e facendo baldoria, qualcuno era già pronto per uscire. Mi immaginavo l’atmosfera eccitata e allegra che si doveva respirare in quelle camere, l’odore di giovani maschi, di sapone e shampoo che usciva dai bagni dove si erano fatti la doccia, il puzzo delle scarpe da ginnastica che si apprestavano a rimettersi per uscire misto a quello degli indumenti usati. L’idea della complicità e dell’intimità tra quei ragazzotti mi eccitò tanto che ebbi una vertigine. Li vidi poi uscire uno ad uno, probabilmente andavano a cena o a fare una passeggiata per le vie del centro, in cerca di ragazze con le quali fare amicizia e magari scambiarsi qualche bacio appassionato. Notai che però uno era rimasto steso sul letto in camera, nudo, rilassato, forse addormentato, di sicuro un po’ sbronzo per la molta birra bevuta. Era muscoloso, si notavano due macchie scure sotto le ascelle bene in vista, dal momento che le braccia erano alzate sopra la testa, e le gambe un po’ divaricate mettevano in risalto una mascolinità notevole, anch’essa contornata da un ciuffo generoso di peli biondo scuro, che prima non si era preoccupato di celare ai compagni di stanza. Non sembrava affatto intenzionato a raggiungere gli amici. Non so che cosa mi prese, ma, spinto dall’eccitazione, decisi che avrei ad ogni costo visto da vicino quella creatura divina, quel ragazzo così attraente e virile, che dormiva beato e ignaro su quel letto, mentre i suoi compagni erano tutti già in strada, dove li sentivo ridere e vociare. Scesi di corsa le scale, attraversai l’atrio, imboccai la rampa che portava all’ala dell’albergo in cui avevo visto che alloggiavano i ragazzi e salii al terzo piano. Sapevo più o meno dove era ubicata la sua camera, perché occupava la stessa posizione che, nel nostro corridoio, aveva quella dei nonni, ma cosa avrei detto, se mai, dopo che avevo bussato alla porta, fosse venuto ad aprirmi? Non so, anche niente, forse mi avrebbe mandato al diavolo in malo modo, ma per qualche secondo lo avrei contemplato da vicino, avrei respirato la sua stessa aria, avrei sentito l’odore del suo corpo di giovane maschio. Arrivai alla porta della stanza, esitai, raccolsi le idee: ero confuso, ma avevo pensato di dire che cercavo un’amica e avevo sbagliato stanza. Era una scusa idiota ma non riuscivo a trovare nient’altro di meglio. Bussai energicamente, due volte, sentii dei rumori nella stanza, un tramestio, aspettai un poco, poi la porta si aprì e il dio dei miei desideri apparve: aveva la faccia confusa e assonnata, i capelli biondi spettinati, era nudo, forse non se ne rendeva conto, mi guardava interrogativo. Rimasi per un attimo stupefatto, rapito, estasiato e spaventato. Poi farfugliai qualcosa tipo: “Scusa, devo aver sbagliato stanza!” “What?” chiese lui con la bocca impastata dal sonno e, forse, dalla birra. “Sorry, I was looking for a friend, but probably I did a mistake, this is not the right room”. Dissi che cercavo un amico ma che mi ero confuso e avevo sbagliato stanza. Lui mi guardava interrogativo e cercava di capire cosa volessi, io non mi muovevo e istintivamente, irresistibilmente iniziai a fissare il suo pene, che grosso e un po’ indurito gli pendeva tra le gambe dal folto ciuffo del pube; questo si prolungava sugli addominali in una striscia di peletti più corti e meno densi, che si perdevano attorno all’ombelico. Lui si accorse che ero estasiato da quella visione e si grattò le palle, poi biascicò: “Do you like my dick?” Non sapevo cosa rispondere, probabilmente avrei dovuto scapparmene a gambe levate ed evitare così una scenata o qualche insulto, ma, non so perché, forse il mio desiderio o la mia eccitazione mi spinsero ad annuire docilmente. “Yes, I like it”, risposi timido. Lui mi fissò un attimo, per nulla sorpreso. “Are you a faggot?”, mi chiese secco. Annuii col capo, ma non dissi niente. “You can suck my cock”, mi fece in tono divertito e sfrontato. Poi mi prese per un braccio, mi fece entrare, chiuse la porta, si mise seduto sul letto a gambe aperte e mi disse: “Come suck my dick”. Non sapevo se fosse lucido, se sapesse quello che stava facendo e dicendo, forse era ancora preda della sbornia da birra, ma non potevo stare lì a fissarlo inebetito: o scapavo a gambe levate, evitandomi una figuraccia, o lo assecondavo e gli facevo un pompino. Decisi che avrei giocato il tutto per tutto, mi avvicinai al letto, mi inginocchiai tra le sue gambe, e iniziai a leccargli il cazzo. Di certo lui non aveva ancora fatto la doccia, quel sesso sapeva di piscio e sudore, ma questo lo rendeva ancora più virile ai miei occhi, ancora più maschio e dunque più eccitante. Lo presi in bocca, scoprii la cappella e iniziai a succhiarlo. Sentivo quel membro diventare sempre più duro tra le mie labbra, mentre il tedesco gemeva e si stiracchiava sul letto. L’acre odore di urina e sudore mi riempiva la bocca, mi saliva per il naso e mi eccitava sempre di più. Dopo poco avvertii anche qualcosa di liscio e viscoso impastarmi la lingua e mi accorsi che dalla fessura del suo uccello aveva cominciato a colare una densa bava trasparente. In poco il precum mi rivestì la bocca e io non potevo smettere di mungere quel cazzone duro e venoso come un vitello affamato. A un certo punto mi spinse un po’ indietro, si alzò con una vistosa erezione che faceva risaltare il suo grosso cazzo, venoso e bagnato, e mi disse secco: “I wanna fuck you”. Poi senza ulteriori indugi, mi sfilò la canottiera e mi tirò giù in un sol colpo il costume e i pantaloncini. Rimasi nudo davanti a lui, solo con le scarpe ai piedi, anch’io col cazzo duro. Lo guardò e sorrise. Mi fece girare mi spinse sul letto, mi allargò le gambe e mi puntò il cazzo sul buco, dopo averci sputato sopra. Lo spinse dentro deciso ma senza fretta. Sentii una fitta intensa, che quasi mi fece gridare, ma mi controllai. Respirai a fondo, chiusi gli occhi, spinsi sul buco e mi concentrai. Piano piano il dolore si attenuò e io sentii il suo cazzo entrare sempre più a fondo nel mio retto. Ad un tratto lo sentii fermarsi: doveva essere arrivato a fine corsa, poi lo sentii arretrare e ancora spingersi fino in fondo. Il mio corpo efebico, magro e con poco pelo, fremeva sotto i colpi fermi e sicuri di quella mascolinità prepotente e vogliosa, cedeva, il buco si dilatava e faceva spazio a quell’enorme sesso, duro e deciso a conquistare il mio retto. Iniziai a gemere, mi sfuggirono dei gridolini un po’ striduli e femminei, ma questo sembrò eccitarlo ancora di più, perché sentii il ritmo del suo cazzo accelerare la sua oscillazione avanti e indietro. Dopo un po’ in quella posizione, quando il mio buco ormai era ben dilatato e il dolore quasi del tutto svanito, mi fece girare, mi aprì bene le gambe e mi entrò dentro di colpo, deciso, facendomi sussultare. In quella posizione, con le gambe spalancate, il suo cazzone che si piantava dentro fino alle palle, per poi uscire e rientrare, con la sua faccia sudata ed eccitata a pochi centimetri dalla mia e la sua voce profonda, già da uomo, che mi diceva “You’re a bitch, you’re my bitch”, col mio corpo magro e atletico che si tendeva e si apriva per lasciarlo passare, col mio cazzo duro e bagnato che si strusciava sui suoi addominali, lasciando sulla peluria del suo ventre un liquido scivoloso e appiccicoso, per la prima volta in vita mia mi sentivo femmina, posseduto, aperto, riempito. Aprii le gambe più che potei, spinsi sul buco per dilatarlo e farlo entrare il più a fondo possibile e iniziai ad accarezzargli il petto, muscoloso e con una lieve peluria attorno ai capezzoli e sullo sterno. Sentire quel ragazzo virile, solido, eccitato tra le mie gambe, col suo sesso eretto e grossissimo che mi entrava spavaldo nel retto dilatato e apertissimo, e che mi montava con ritmo incalzante, come fa un toro con la sua vacca in calore, mi mandò in estasi. Era accaldato ed eccitato e l’odore di quel corpo maschio, dei suoi ormoni a mille, del suo sudore che colava su di me riempiva la stanza, mi penetrava nel naso e nella mente, sempre più eccitata. Il suo sesso, spinto a colpi sicuri nella mia cavità anale, produceva un osceno gorgoglìo come di pozzanghera calpestata, tanto il mio buco era bagnato e allentato. Ormai non mi trattenevo più, gridavo come una ragazza, volevo essere la sua ragazza, volevo quel maschio tutto per me. Lui mi spingeva con forza il cazzo in pancia, e considerato che era almeno quindici centimetri più alto di me e che pesava quasi una volta e mezza rispetto a me, non era strano che mi squassasse sotto le sue energiche spinte, facendo ballare di qua e di là il cazzetto eretto che avevo tra le gambe aperte e spalancate e facendomi schizzare precum dappertutto. Continuava a ripetermi “You’re my bitch, my Italian slut”, e io gli dicevo di sì, che ero la sua puttana italiana, e aprivo le gambe sempre di più. A un tratto lo sentii irrigidirsi e ruggire fortissimo, poi un fiotto caldo e denso mi riempì il retto e capii che mi era venuto dentro. Esausto si abbandonò sopra di me, si rilassò, io sentivo il suo peso sul mio corpo, col suo pene ancora piantato nella mia vagina anale. Era sudato e aveva addosso un inebriante odore di sesso e sudore, che mi spinse a leccargli il collo imperlato e bagnato, per gustarmi quel sapore sconosciuto. Poi il suo respiro si fece regolare, e fui certo che si era addormentato. Lentamente mi sfilai da sotto il suo corpo pesante e massiccio, sentii il suo cazzo scivolarmi fuori dal buco slabbrato e lasciarmi una strana sensazione di vuoto e di bagnato tra le gambe, mi rivestii in fretta, presi la porta e uscii veloce. Temevo che al risveglio, più cosciente e meno ubriaco, si arrabbiasse con me o mi cacciasse con violenza. Corsi in camera mia, mi spogliai di nuovo, andai in bagno, mi guardai attorno concitato, presi una bottiglietta di deodorante, la lubrificai con della saliva e sapone intimo, me la infilai nel buco. Era abbastanza grossa, ma il tedesco mi aveva a tal punto spanato il buco col suo cazzone e l’aveva così abbondantemente lubrificato col suo sperma che il deodorante entrò senza troppa resistenza, e iniziai a masturbarmi violentemente buco e cazzetto. Chiusi gli occhi, rividi il volto virile e con una barbetta già diffusa del ragazzo, ripensai al suo corpo muscoloso e sudato sul mio, a come mi sentivo pieno e aperto col suo cazzo dentro, conquistato dalla sua mascolinità, alla sensazione di caldo e bagnato che avevo provato quando mi era venuto dentro, e a quel punto sborrai anch’io. Quasi svenni per l’intensità dell’atto e per le forti emozioni provate quel pomeriggio. Mi ci volle quasi mezz’ora per riprendermi, mi feci una doccia, uscii nel terrazzo della mia stanza che era quasi dirimpetto alla sua, ma non lo vidi, a dire il vero non si scorgeva nulla nella stanza: non c’era abbastanza luce, forse era ancora sul letto che dormiva col suo cazzo in bella vista sporco della sua sborra e degli umori del mio culo, o forse era uscito e aveva raggiunto i suoi amici.
La mattina dopo, scesi a fare colazione sulle nove. Il buco del culo si era leggermente gonfiato nella notte, e mi faceva un po’ male; non ero abituato ad essere posseduto in quel modo. Fino ad allora mi ero accontentato di qualche ditalino e di qualche oggetto con la giusta forma rimediato per casa. Mi ero rinfrescato con dell’acqua gelida, ma non era servita a molto, continuavo a sentire un leggero bruciore allo sfintere. Tuttavia, non ero pentito di averlo preso dal tedesco, anzi, mi rammaricavo di essere scappato via subito dopo e non aver aspettato che si risvegliasse e magari mi scopasse di nuovo, come una ragazza, come la sua ragazza.
Lo vidi subito, che mangiava ad un tavolo con tre o quattro dei suoi compagni, e tutti ridevano e scherzavano rumorosamente assieme a lui, senza curarsi troppo di infastidire qualche altro ospite dell’hotel. Mi guardò entrare, mi fissò per un istante, vidi qualcosa scattare nei suoi occhi ma non disse niente. Continuò come nulla fosse a parlare coi suoi amici. Probabilmente non mi aveva riconosciuto, forse si sforzava di ricordare chi fossi, ma la sbornia forse gli toglieva la lucidità necessaria per ricostruire l’accaduto della sera prima. Poi, dopo un po’, mentre io bevevo il mio tè, lo vidi alzarsi, dirigersi verso il bagno e fissarmi con insistenza. Non so cosa mi spinse ad alzarmi a mia volta e a raggiungerlo in bagno. Mi aspettava, appena entrato mi tirò in un gabinetto, chiuse la porta, e mi baciò appassionatamente in bocca. Sentivo la sua lingua che cercava la mia, e il suo alito che si mescolava col mio. Non potevo resistergli, non ne avevo la forza e neppure la voglia, anzi mi avvinghiavo al suo corpo tanto più solido e forte del mio. Lui mi infilò una mano nei pantaloni da dietro e mi spinse un dito nell’ano ancora gonfio e dolorante, continuando a baciarmi. Poi mi sussurrò: “You are such a good bitch, my Italian bitch”. Infine disse: “Danke”, grazie, sfilò il dito dal mio culo, uscì dal bagno, ma io non lo seguii. Aspettai un po’ là dentro, confuso e agitato, pensando all’accaduto, alla sua mano che mi frugava nel buco con impertinente spavalderia. Quando poi ritornai nella sala della colazione, lui e i suoi amici erano già andati via, il tavolo era ancora pieno delle loro tazze e dei loro bicchieri. Presi di nascosto il cucchiaino dalla sua tazzina di caffè, me lo portai al mio posto e lo succhiai avidamente. Mi sembrava di sentire il sapore della sua bocca, del suo sesso, del suo sperma. Non lo rividi più.
Avevamo prenotato, nel solito albergo, due stanze vicine ma separate, per cui, pur passando molto tempo in loro compagnia, avevo la mia indipendenza e la mia libertà. Amavo fare delle lunghe nuotate in mare, in acqua mi sentivo libero e felice, il nuoto era il mio sport. Passeggiavo lungo la spiaggia in cerca di conchiglie o solo per godermi il sole di giugno, caldo ma mai rovente. La sera andavo a guardare i negozi del centro, osservavo le vetrine e i molti turisti che affollavano quella località sulla riviera. Ero un bel ragazzo, non molto sviluppato per la mia età, con poca barba, poco pelo, per giunta biondiccio. Non dimostravo i miei diciotto anni, però avevo un fisico asciutto, sportivo e ben allenato dal nuoto, che catturava l’occhiata di approvazione di qualche ragazza, quando la sera uscivo a passeggio, da solo o coi nonni, e sulla spiaggia anche qualche sguardo più audace. Io non ci facevo caso, le ragazze le guardavo ma non mi interessavano granché, mentre i ragazzi mi piacevano molto, mi attraevano, ma ero troppo timido per espormi con loro. Li guardavo di sottecchi, mi attiravano quelli muscolosi e virili, ma non mi azzardavo a fare il primo passo.
Un pomeriggio, mentre ero in spiaggia a rilassarmi sotto il nostro ombrellone e ascoltavo musica con gli auricolari, notai un gruppo di ragazzi tedeschi della mia età, al massimo di un anno più grandi, forse in gita scolastica. Erano felici ed eccitati di essere al mare, probabilmente facevano una pausa dopo qualche noiosa visita culturale e di certo alloggiavano al nostro albergo, perché quello stabilimento balneare era riservato agli ospiti dell’hotel. Gridavano e si facevano scherzi in riva al mare, ridevano sguaiatamente, cercavano di attirare l’attenzione delle ragazze. Mi incuriosivano e non riuscivo a non guardare le loro prodezze. Poi, quando i loro insegnanti se ne erano andati, avevano comprato delle birre al chiosco della spiaggia, le avevano bevute tutte in men che non si dica ed erano ora anche più sguaiati e chiassosi di prima. Io li osservavo con un misto di curiosità, attrazione e timore: erano belli, con corpi muscolosi, quasi tutti più alti di me, ma i loro modi guasconi mi intimidivano. Dopo un po’, stanchi dei giochi in riva al mare, avevano affittato quattro o cinque pattìni; li vidi allontanarsi dalla riva e, giunti al largo, notai che si toglievano il costume e iniziavano a fare il bagno nudi, con disinvoltura e noncuranza. La vista, anche solo da lontano, del loro fisico atletico e del loro membro, circondato da una nuvoletta di pelo per lo più biondo o castano chiaro, mi eccitava fino al punto da darmi una incontrollabile erezione, ben visibile sotto il mio costume. Mi misi un paio di pantaloncini per mascherare l’erezione e pensai ad altro. Ma sistematicamente lo sguardo mi cadeva su quel gruppo di giovani maschi, che, con cameratismo chiassoso e a tratti sguaiati, si divertivano in acqua e a tuffarsi dai pattìni. Li vidi avvicinarsi a riva ancora nudi, e si rivestirono solo quando furono a poche pedalate dalla riva, senza preoccuparsi troppo di nascondere le parti intime dei loro corpi virili dentro i pantaloncini da mare. Rimasero ancora poco in spiaggia, poi li sentii abbandonare l’arenile per tornarsene in albergo. Pensai che probabilmente li avrei reincontrati al ristorante la sera o alla colazione l’indomani mattina. Stetti ancora un po’ in spiaggia, da solo, coi miei pensieri, dato che i nonni erano già tornati alla loro camera, stanchi del sole e del vociare dei bagnanti. Sulle sei decisi di tornare anch’io alla mia stanza, raggiunsi a piedi l’albergo e salii al terzo piano, dove alloggiavamo, per le scale, non mi andava di usare l’ascensore. Vidi che anche i ragazzi tedeschi erano sistemati al terzo piano, ma nell’ala dell’hotel che occupava un edificio prospiciente al nostro. Un po’ erano sui poggioli che ascoltavano musica ad alto volume e si godevano la brezza di mare, un po’ andavano avanti e indietro dalla stanza, portando birra e roba da mangiare. Ebbi l’irresistibile curiosità di spiare anche dentro alle loro stanze, per cui non mi fermai al terzo piano, dov’erano le nostre camere, ma salii al quarto: dall’alto, da un punto di osservazione più elevato, sarei riuscito a vedere cosa stavano facendo anche dentro le loro stanze. In effetti potei scorgere qualcuno che si stava vestendo, altri che giravano nudi per la stanza ridendo e facendo baldoria, qualcuno era già pronto per uscire. Mi immaginavo l’atmosfera eccitata e allegra che si doveva respirare in quelle camere, l’odore di giovani maschi, di sapone e shampoo che usciva dai bagni dove si erano fatti la doccia, il puzzo delle scarpe da ginnastica che si apprestavano a rimettersi per uscire misto a quello degli indumenti usati. L’idea della complicità e dell’intimità tra quei ragazzotti mi eccitò tanto che ebbi una vertigine. Li vidi poi uscire uno ad uno, probabilmente andavano a cena o a fare una passeggiata per le vie del centro, in cerca di ragazze con le quali fare amicizia e magari scambiarsi qualche bacio appassionato. Notai che però uno era rimasto steso sul letto in camera, nudo, rilassato, forse addormentato, di sicuro un po’ sbronzo per la molta birra bevuta. Era muscoloso, si notavano due macchie scure sotto le ascelle bene in vista, dal momento che le braccia erano alzate sopra la testa, e le gambe un po’ divaricate mettevano in risalto una mascolinità notevole, anch’essa contornata da un ciuffo generoso di peli biondo scuro, che prima non si era preoccupato di celare ai compagni di stanza. Non sembrava affatto intenzionato a raggiungere gli amici. Non so che cosa mi prese, ma, spinto dall’eccitazione, decisi che avrei ad ogni costo visto da vicino quella creatura divina, quel ragazzo così attraente e virile, che dormiva beato e ignaro su quel letto, mentre i suoi compagni erano tutti già in strada, dove li sentivo ridere e vociare. Scesi di corsa le scale, attraversai l’atrio, imboccai la rampa che portava all’ala dell’albergo in cui avevo visto che alloggiavano i ragazzi e salii al terzo piano. Sapevo più o meno dove era ubicata la sua camera, perché occupava la stessa posizione che, nel nostro corridoio, aveva quella dei nonni, ma cosa avrei detto, se mai, dopo che avevo bussato alla porta, fosse venuto ad aprirmi? Non so, anche niente, forse mi avrebbe mandato al diavolo in malo modo, ma per qualche secondo lo avrei contemplato da vicino, avrei respirato la sua stessa aria, avrei sentito l’odore del suo corpo di giovane maschio. Arrivai alla porta della stanza, esitai, raccolsi le idee: ero confuso, ma avevo pensato di dire che cercavo un’amica e avevo sbagliato stanza. Era una scusa idiota ma non riuscivo a trovare nient’altro di meglio. Bussai energicamente, due volte, sentii dei rumori nella stanza, un tramestio, aspettai un poco, poi la porta si aprì e il dio dei miei desideri apparve: aveva la faccia confusa e assonnata, i capelli biondi spettinati, era nudo, forse non se ne rendeva conto, mi guardava interrogativo. Rimasi per un attimo stupefatto, rapito, estasiato e spaventato. Poi farfugliai qualcosa tipo: “Scusa, devo aver sbagliato stanza!” “What?” chiese lui con la bocca impastata dal sonno e, forse, dalla birra. “Sorry, I was looking for a friend, but probably I did a mistake, this is not the right room”. Dissi che cercavo un amico ma che mi ero confuso e avevo sbagliato stanza. Lui mi guardava interrogativo e cercava di capire cosa volessi, io non mi muovevo e istintivamente, irresistibilmente iniziai a fissare il suo pene, che grosso e un po’ indurito gli pendeva tra le gambe dal folto ciuffo del pube; questo si prolungava sugli addominali in una striscia di peletti più corti e meno densi, che si perdevano attorno all’ombelico. Lui si accorse che ero estasiato da quella visione e si grattò le palle, poi biascicò: “Do you like my dick?” Non sapevo cosa rispondere, probabilmente avrei dovuto scapparmene a gambe levate ed evitare così una scenata o qualche insulto, ma, non so perché, forse il mio desiderio o la mia eccitazione mi spinsero ad annuire docilmente. “Yes, I like it”, risposi timido. Lui mi fissò un attimo, per nulla sorpreso. “Are you a faggot?”, mi chiese secco. Annuii col capo, ma non dissi niente. “You can suck my cock”, mi fece in tono divertito e sfrontato. Poi mi prese per un braccio, mi fece entrare, chiuse la porta, si mise seduto sul letto a gambe aperte e mi disse: “Come suck my dick”. Non sapevo se fosse lucido, se sapesse quello che stava facendo e dicendo, forse era ancora preda della sbornia da birra, ma non potevo stare lì a fissarlo inebetito: o scapavo a gambe levate, evitandomi una figuraccia, o lo assecondavo e gli facevo un pompino. Decisi che avrei giocato il tutto per tutto, mi avvicinai al letto, mi inginocchiai tra le sue gambe, e iniziai a leccargli il cazzo. Di certo lui non aveva ancora fatto la doccia, quel sesso sapeva di piscio e sudore, ma questo lo rendeva ancora più virile ai miei occhi, ancora più maschio e dunque più eccitante. Lo presi in bocca, scoprii la cappella e iniziai a succhiarlo. Sentivo quel membro diventare sempre più duro tra le mie labbra, mentre il tedesco gemeva e si stiracchiava sul letto. L’acre odore di urina e sudore mi riempiva la bocca, mi saliva per il naso e mi eccitava sempre di più. Dopo poco avvertii anche qualcosa di liscio e viscoso impastarmi la lingua e mi accorsi che dalla fessura del suo uccello aveva cominciato a colare una densa bava trasparente. In poco il precum mi rivestì la bocca e io non potevo smettere di mungere quel cazzone duro e venoso come un vitello affamato. A un certo punto mi spinse un po’ indietro, si alzò con una vistosa erezione che faceva risaltare il suo grosso cazzo, venoso e bagnato, e mi disse secco: “I wanna fuck you”. Poi senza ulteriori indugi, mi sfilò la canottiera e mi tirò giù in un sol colpo il costume e i pantaloncini. Rimasi nudo davanti a lui, solo con le scarpe ai piedi, anch’io col cazzo duro. Lo guardò e sorrise. Mi fece girare mi spinse sul letto, mi allargò le gambe e mi puntò il cazzo sul buco, dopo averci sputato sopra. Lo spinse dentro deciso ma senza fretta. Sentii una fitta intensa, che quasi mi fece gridare, ma mi controllai. Respirai a fondo, chiusi gli occhi, spinsi sul buco e mi concentrai. Piano piano il dolore si attenuò e io sentii il suo cazzo entrare sempre più a fondo nel mio retto. Ad un tratto lo sentii fermarsi: doveva essere arrivato a fine corsa, poi lo sentii arretrare e ancora spingersi fino in fondo. Il mio corpo efebico, magro e con poco pelo, fremeva sotto i colpi fermi e sicuri di quella mascolinità prepotente e vogliosa, cedeva, il buco si dilatava e faceva spazio a quell’enorme sesso, duro e deciso a conquistare il mio retto. Iniziai a gemere, mi sfuggirono dei gridolini un po’ striduli e femminei, ma questo sembrò eccitarlo ancora di più, perché sentii il ritmo del suo cazzo accelerare la sua oscillazione avanti e indietro. Dopo un po’ in quella posizione, quando il mio buco ormai era ben dilatato e il dolore quasi del tutto svanito, mi fece girare, mi aprì bene le gambe e mi entrò dentro di colpo, deciso, facendomi sussultare. In quella posizione, con le gambe spalancate, il suo cazzone che si piantava dentro fino alle palle, per poi uscire e rientrare, con la sua faccia sudata ed eccitata a pochi centimetri dalla mia e la sua voce profonda, già da uomo, che mi diceva “You’re a bitch, you’re my bitch”, col mio corpo magro e atletico che si tendeva e si apriva per lasciarlo passare, col mio cazzo duro e bagnato che si strusciava sui suoi addominali, lasciando sulla peluria del suo ventre un liquido scivoloso e appiccicoso, per la prima volta in vita mia mi sentivo femmina, posseduto, aperto, riempito. Aprii le gambe più che potei, spinsi sul buco per dilatarlo e farlo entrare il più a fondo possibile e iniziai ad accarezzargli il petto, muscoloso e con una lieve peluria attorno ai capezzoli e sullo sterno. Sentire quel ragazzo virile, solido, eccitato tra le mie gambe, col suo sesso eretto e grossissimo che mi entrava spavaldo nel retto dilatato e apertissimo, e che mi montava con ritmo incalzante, come fa un toro con la sua vacca in calore, mi mandò in estasi. Era accaldato ed eccitato e l’odore di quel corpo maschio, dei suoi ormoni a mille, del suo sudore che colava su di me riempiva la stanza, mi penetrava nel naso e nella mente, sempre più eccitata. Il suo sesso, spinto a colpi sicuri nella mia cavità anale, produceva un osceno gorgoglìo come di pozzanghera calpestata, tanto il mio buco era bagnato e allentato. Ormai non mi trattenevo più, gridavo come una ragazza, volevo essere la sua ragazza, volevo quel maschio tutto per me. Lui mi spingeva con forza il cazzo in pancia, e considerato che era almeno quindici centimetri più alto di me e che pesava quasi una volta e mezza rispetto a me, non era strano che mi squassasse sotto le sue energiche spinte, facendo ballare di qua e di là il cazzetto eretto che avevo tra le gambe aperte e spalancate e facendomi schizzare precum dappertutto. Continuava a ripetermi “You’re my bitch, my Italian slut”, e io gli dicevo di sì, che ero la sua puttana italiana, e aprivo le gambe sempre di più. A un tratto lo sentii irrigidirsi e ruggire fortissimo, poi un fiotto caldo e denso mi riempì il retto e capii che mi era venuto dentro. Esausto si abbandonò sopra di me, si rilassò, io sentivo il suo peso sul mio corpo, col suo pene ancora piantato nella mia vagina anale. Era sudato e aveva addosso un inebriante odore di sesso e sudore, che mi spinse a leccargli il collo imperlato e bagnato, per gustarmi quel sapore sconosciuto. Poi il suo respiro si fece regolare, e fui certo che si era addormentato. Lentamente mi sfilai da sotto il suo corpo pesante e massiccio, sentii il suo cazzo scivolarmi fuori dal buco slabbrato e lasciarmi una strana sensazione di vuoto e di bagnato tra le gambe, mi rivestii in fretta, presi la porta e uscii veloce. Temevo che al risveglio, più cosciente e meno ubriaco, si arrabbiasse con me o mi cacciasse con violenza. Corsi in camera mia, mi spogliai di nuovo, andai in bagno, mi guardai attorno concitato, presi una bottiglietta di deodorante, la lubrificai con della saliva e sapone intimo, me la infilai nel buco. Era abbastanza grossa, ma il tedesco mi aveva a tal punto spanato il buco col suo cazzone e l’aveva così abbondantemente lubrificato col suo sperma che il deodorante entrò senza troppa resistenza, e iniziai a masturbarmi violentemente buco e cazzetto. Chiusi gli occhi, rividi il volto virile e con una barbetta già diffusa del ragazzo, ripensai al suo corpo muscoloso e sudato sul mio, a come mi sentivo pieno e aperto col suo cazzo dentro, conquistato dalla sua mascolinità, alla sensazione di caldo e bagnato che avevo provato quando mi era venuto dentro, e a quel punto sborrai anch’io. Quasi svenni per l’intensità dell’atto e per le forti emozioni provate quel pomeriggio. Mi ci volle quasi mezz’ora per riprendermi, mi feci una doccia, uscii nel terrazzo della mia stanza che era quasi dirimpetto alla sua, ma non lo vidi, a dire il vero non si scorgeva nulla nella stanza: non c’era abbastanza luce, forse era ancora sul letto che dormiva col suo cazzo in bella vista sporco della sua sborra e degli umori del mio culo, o forse era uscito e aveva raggiunto i suoi amici.
La mattina dopo, scesi a fare colazione sulle nove. Il buco del culo si era leggermente gonfiato nella notte, e mi faceva un po’ male; non ero abituato ad essere posseduto in quel modo. Fino ad allora mi ero accontentato di qualche ditalino e di qualche oggetto con la giusta forma rimediato per casa. Mi ero rinfrescato con dell’acqua gelida, ma non era servita a molto, continuavo a sentire un leggero bruciore allo sfintere. Tuttavia, non ero pentito di averlo preso dal tedesco, anzi, mi rammaricavo di essere scappato via subito dopo e non aver aspettato che si risvegliasse e magari mi scopasse di nuovo, come una ragazza, come la sua ragazza.
Lo vidi subito, che mangiava ad un tavolo con tre o quattro dei suoi compagni, e tutti ridevano e scherzavano rumorosamente assieme a lui, senza curarsi troppo di infastidire qualche altro ospite dell’hotel. Mi guardò entrare, mi fissò per un istante, vidi qualcosa scattare nei suoi occhi ma non disse niente. Continuò come nulla fosse a parlare coi suoi amici. Probabilmente non mi aveva riconosciuto, forse si sforzava di ricordare chi fossi, ma la sbornia forse gli toglieva la lucidità necessaria per ricostruire l’accaduto della sera prima. Poi, dopo un po’, mentre io bevevo il mio tè, lo vidi alzarsi, dirigersi verso il bagno e fissarmi con insistenza. Non so cosa mi spinse ad alzarmi a mia volta e a raggiungerlo in bagno. Mi aspettava, appena entrato mi tirò in un gabinetto, chiuse la porta, e mi baciò appassionatamente in bocca. Sentivo la sua lingua che cercava la mia, e il suo alito che si mescolava col mio. Non potevo resistergli, non ne avevo la forza e neppure la voglia, anzi mi avvinghiavo al suo corpo tanto più solido e forte del mio. Lui mi infilò una mano nei pantaloni da dietro e mi spinse un dito nell’ano ancora gonfio e dolorante, continuando a baciarmi. Poi mi sussurrò: “You are such a good bitch, my Italian bitch”. Infine disse: “Danke”, grazie, sfilò il dito dal mio culo, uscì dal bagno, ma io non lo seguii. Aspettai un po’ là dentro, confuso e agitato, pensando all’accaduto, alla sua mano che mi frugava nel buco con impertinente spavalderia. Quando poi ritornai nella sala della colazione, lui e i suoi amici erano già andati via, il tavolo era ancora pieno delle loro tazze e dei loro bicchieri. Presi di nascosto il cucchiaino dalla sua tazzina di caffè, me lo portai al mio posto e lo succhiai avidamente. Mi sembrava di sentire il sapore della sua bocca, del suo sesso, del suo sperma. Non lo rividi più.
3
voti
voti
valutazione
8.3
8.3
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Risvegli
Commenti dei lettori al racconto erotico