Lo stalker parte 5

di
genere
sentimentali

Tre giorni dopo gli recapitò il messaggio. Toccava a lui e non si sentiva pronto. Fu sul punto di desistere. Ma non l'avrebbe fatto. Era forse l’ultima occasione che gli restava per riprendersela, per rimettere insieme quella vita insieme che aveva mandato in frantumi.
Lo chiuse in una stanza. L’appartamento era piccolo. Udì il cliente entrare. Scambio di saluti. Guardò fuori dalla finestra. Dieci di sera. Nei dintorni il silenzio non era disturbato che da qualche perduta presenza. Era un isolato tranquillo. Andò in bagno per lavarsi. Da come provava ad interagire con lei sembrava ingenuo e sprovveduto. Balbettava. La professionista in cui Barbara si era trasformata rispondeva con tono greve, altero, glaciale. Avrebbe spento l’entusiasmo di qualunque amante. Ma forse era questo ad eccitare: la capacità di prevaricazione e dominio. La maggior parte dei suoi clienti erano ragazzini, lei una donna.
Scomparvero in camera da letto. Provò il doppio impulso di fuggire e irrompere nella stanza. Uscì dal nascondiglio. Con passo penoso, lento e strascicato si fece strada nella penombra. La porta era solamente accostata. Una luce ambrata illuminava la scena. Il corpo di sua moglie era steso sul letto, aperto alla conquista dell’amante. La vedeva sussultare ad ogni movimento dell’altro dentro di lei. Ad ogni movimento dell’altro dentro di lei gemeva, ansimava. Si aggrappava alle braccia magre e nervose del maschio, ai tricipiti annodati. Intrecciò i piedi attorno alle gambe che non smettevano di spingere, di spingere. Lo accompagnò con vigore nel movimento, ma prima che fosse troppo tardi gli ordinò di fermarsi. Giacquero a lungo così. Ogni tanto il partner si azzardava a rubare un bacio, ma ogni volta lei si ritraeva, ordinava di no. Lo estromise, uscì dal letto, si appoggiò al muro mostrandosi da dietro in un invito inequivocabile. Non volle assistere ancora. L'unica cosa che lo consolò fu l’assenza di violenza nel rapporto. Se violenza esisteva, rientrava nelle modalità della transazione economica. Lo sconosciuto capitolò subito. L’espressione atroce del suo godimento lo riempì di disgusto. Lo riempì di disprezzo constatare, nella penombra che percorreva al contrario, la presenza di 300 euro sulla scarpiera. Guardò l’ora. Alla fine del suo supplizio mancavano ancora trenta minuti.
“Avevi detto…”, ma non continuò. La frase che pendeva dalla bocca rimase attaccata con durissime spine.
Il cliente si era dileguato. Aveva in ultimo preteso quel bacio che lei negava a tutti, senza ottenerlo. Il negligé nero da cui traspariva il corpo flessuoso si impigliava sui capezzoli ancora turgidi. L’odore del maschio con cui si era mischiata era fuso nella seta, nella pelle.
“Ci sono solo due ragazzi che tratto come se non mi pagassero” iniziò con voce carica di seduzione. Ragazzi, non clienti. “Una sera Matteo” – lo chiamava per nome – “mi ha chiesto un’ora. Si è presentato con dei fiori e dei dolci. Per un’ora siamo rimasti sul divano a parlare, senza fare niente. Appoggiò il capo sul petto per sentire il mio cuore mentre mi confessava il suo amore, il suo desiderio di farmi smettere, di portarmi via con sé. Io gli accarezzavo i capelli. Sentivo i suoi brividi mentre lo facevo. Venivano anche a te, ricordi?
“E mentre parlava ho provato piacere ad ascoltare la sua voce, ad ascoltare quello che diceva. Mi sono sentita come se stessi per innamorarmi. E quando è giunto il momento di separarci l’ho preso nudo, mi sono riempita del suo amore, ho sfiorato l’orgasmo. Prima che potesse accadere mi ha preceduta. Ho sentito calore e vita. Se fossi venuta anch’io, forse non mi avresti mai più ritrovata, ora sarei sua”. Un sorriso dolce e bellissimo come non le aveva più visto le sfiorò le labbra, le trasfigurò il volto. Si fece incontro alla luce dei lampioni che entrava come una polvere d’oro nel chiaroscuro da bordello della stanza. “Il test ha dato esito negativo”.
Aveva voglia di prenderla, di possederla lì in piedi, di farle sentire che il suo amore era più forte di tutti. Nonostante quel tradimento mercificato nulla avrebbe potuto cancellare l’amore che provava. Nonostante avesse dato il suo corpo in cambio di qualche spicciolo per soddisfare le brame dell'uomo in calore usciva dalle spire della lussuria rinnovata come la luce dell’alba. Era in grado di scorgere il vero amore anche nel fondo del barile, e ciò la faceva sentire più forte. Si sentiva escluso da quel triangolo intrigante in cui i due più giovani amanti, folli ed astrusi come solo sanno essere i perdutamente innamorati – qualità che agli occhi di sua moglie aveva perduto – le facevano toccare il cielo.
“Sono in tre ad avermi dichiarato il loro amore” aggiunse poi con voce dolce. Era una tortura. Fissava nel vuoto fuori dalla finestra attraverso uno spiraglio tra le tendine che la proteggevano dall'intrusione del mondo esterno. Aveva uno sguardo trasognato, struggente. Ebbe paura. Era tardi. L’aveva persa.
“E tu?”
Barbara gli gettò un’occhiata enigmatica, atteggiando le labbra in un sorriso appena accennato. “Io ne amo uno soltanto”.
Se gli avesse dato un’unghiata da cavargli gli occhi avrebbe provato meno dolore. Una volta durante un litigio era accaduto. L’allusione a una sberla, la mano contratta, le unghie corte e forti che affettavano la guancia. Mezz’ora in bagno per i medicamenti e il dispiacere che diventava prima commiserazione poi autoaccusa. «Non è successo niente» la rassicurava. Si era ritrovato a fissare la propria immagine con un bel cerotto tondo a nascondere lo sfregio. Poi lo avevano fatto in bagno, e di nuovo sul letto quando ce l’aveva trascinata. Erano diversi, e diverso era il legame che li univa.
“E così che lo dimostri?”, chiese con rabbia.
“Non sono io a doverlo dimostrare”, ribatté.
Era sempre più esterrefatto. Era un continuo batti e ribatti a chi negava l'evidenza. Fece una giravolta sui tacchi, allargò le braccia ad indicare ciò che stava intorno. “Guarda dove siamo, guarda cosa stai facendo, cosa sei diventata…”
“E cosa sono diventata? Dimmelo”.
Mise le mani in tasca, scuotendo la testa e fissando un punto del pavimento in mezzo a loro, dove era sicuro stesse sorgendo un muro invisibile destinato a separarli per sempre. “Non sono io a doverlo dire”.
“Una prostituta?”.
“Lo hai detto tu”.
“Come si chiama una donna che offre sesso a pagamento?”
“Puttana” ringhiò – l’antico piacere di aggredire, di nuovo tutto lì.
Lei si girò di nuovo a guardare dalla finestra. Si stringeva nelle spalle – come se abbracciasse sé stessa. “Ora vattene. Non abbiamo più niente da dire”.
“Abbiamo molto da dire invece”.
“Adesso vuoi parlare, dopo tutto quel silenzio, quelle parole vuote?” I suoi occhi verdi erano come smeraldi: bellissimi, ma freddi, remoti. “Non io”, replicò. “Non io”.
scritto il
2025-12-04
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