La direttrice del carcere 8 il filo del rasoio
di
Kyknox
genere
etero
La sala comune era ancora calda dei festeggiamenti della sera precedente. I detenuti avevano deciso che non bastava: volevano “alzare la posta”.
Quando la direttrice Carla Belli entrò, trovò l’ambiente trasformato. Le panche erano state disposte in cerchio, come se l’attendessero per un rituale. Sul pavimento, sparsi qua e là, c’erano profilattici gonfiati e pacchetti aperti.
«Che state combinando adesso?» chiese, alzando un sopracciglio.
«Direttrice,» rispose Gino con voce solenne, «oggi vogliamo metterla alla prova. Non solo teoria, non solo dimostrazioni… ma pratica.»
Tonino le indicò una sedia al centro del cerchio. «Si sieda, è la nostra… ospite d’onore.»
Carla rise piano, ma la sua risata aveva una punta di sfida. «Sapete che non potete permettervi certe libertà.»
«Eppure,» intervenne uno dei più giovani, avvicinandosi con aria maliziosa, «ci ha insegnato che bisogna osare, direttrice. O no?»
Il clima si fece rovente. La donna avanzò e si sedette lentamente sulla sedia, incrociando le gambe con un gesto calcolato. I detenuti trattennero il fiato: l’immaginazione stava correndo più veloce delle sbarre che li trattenevano.
Uno le si avvicinò e, con fare teatrale, le posò un profilattico sulla spalla come se fosse una medaglia. «Premio al coraggio.»
Un altro tentò di appoggiarle il braccio sulla spalliera della sedia, sfiorandole i capelli.
Per un istante sembrò che la direttrice fosse intrappolata davvero nel loro gioco.
Il silenzio era carico, i respiri corti. Tutti aspettavano di vedere fin dove si sarebbe spinta.
Ma fu lei, come sempre, a ribaltare la situazione.
Con un movimento fulmineo si alzò dalla sedia, strappò il profilattico dalla spalla e lo fece scattare come una fionda verso il volto di Tonino, che rimase di sasso.
Poi si voltò verso gli altri, occhi scintillanti e sorriso da femme fatale:
«Credevate di mettermi in trappola? Illusi. Sono io che vi tengo al guinzaglio.»
Si avvicinò al detenuto più giovane, quello che aveva osato sfiorarle i capelli, e gli sussurrò all’orecchio:
«Ricorda… io ti concedo solo quello che decido io. E il resto… lo sogni.»
Il ragazzo arrossì fino alle orecchie, mentre la sala esplose in fischi e risate.
Carla, sistemandosi la camicetta e muovendosi con passo sinuoso verso l’uscita, lasciò dietro di sé un silenzio bollente, carico di desiderio represso.
Quando la direttrice Carla Belli entrò, trovò l’ambiente trasformato. Le panche erano state disposte in cerchio, come se l’attendessero per un rituale. Sul pavimento, sparsi qua e là, c’erano profilattici gonfiati e pacchetti aperti.
«Che state combinando adesso?» chiese, alzando un sopracciglio.
«Direttrice,» rispose Gino con voce solenne, «oggi vogliamo metterla alla prova. Non solo teoria, non solo dimostrazioni… ma pratica.»
Tonino le indicò una sedia al centro del cerchio. «Si sieda, è la nostra… ospite d’onore.»
Carla rise piano, ma la sua risata aveva una punta di sfida. «Sapete che non potete permettervi certe libertà.»
«Eppure,» intervenne uno dei più giovani, avvicinandosi con aria maliziosa, «ci ha insegnato che bisogna osare, direttrice. O no?»
Il clima si fece rovente. La donna avanzò e si sedette lentamente sulla sedia, incrociando le gambe con un gesto calcolato. I detenuti trattennero il fiato: l’immaginazione stava correndo più veloce delle sbarre che li trattenevano.
Uno le si avvicinò e, con fare teatrale, le posò un profilattico sulla spalla come se fosse una medaglia. «Premio al coraggio.»
Un altro tentò di appoggiarle il braccio sulla spalliera della sedia, sfiorandole i capelli.
Per un istante sembrò che la direttrice fosse intrappolata davvero nel loro gioco.
Il silenzio era carico, i respiri corti. Tutti aspettavano di vedere fin dove si sarebbe spinta.
Ma fu lei, come sempre, a ribaltare la situazione.
Con un movimento fulmineo si alzò dalla sedia, strappò il profilattico dalla spalla e lo fece scattare come una fionda verso il volto di Tonino, che rimase di sasso.
Poi si voltò verso gli altri, occhi scintillanti e sorriso da femme fatale:
«Credevate di mettermi in trappola? Illusi. Sono io che vi tengo al guinzaglio.»
Si avvicinò al detenuto più giovane, quello che aveva osato sfiorarle i capelli, e gli sussurrò all’orecchio:
«Ricorda… io ti concedo solo quello che decido io. E il resto… lo sogni.»
Il ragazzo arrossì fino alle orecchie, mentre la sala esplose in fischi e risate.
Carla, sistemandosi la camicetta e muovendosi con passo sinuoso verso l’uscita, lasciò dietro di sé un silenzio bollente, carico di desiderio represso.
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