Mia cugina: Parte 43
di
Catartico
genere
incesti
Due giorni dopo, di sera, incontro la finta ragazza di mio cugino in un piccolo ristorante. C'è poca gente ai tavoli. Perlopiù coppie. Un leggero chiacchiericcio di fondo accompagna i nostri sguardi.
Il cameriere ci serve le nostre ordinazioni e si allontana con un sorriso.
Inforco la carbonare con una forchetta. — Perché volevi vedermi qui?
— Domani parto — risponde piatta, gli occhi sul piatto di spaghetti al pesto.
— Torni da tua nonna?
— Sì, e penso che ci resterò.
— In modo permanente?
— Penso di sì. Qui ormai non ho nulla da… — Si zittisce per un attimo. — Non ho nulla. Tanto vale tornare a casa.
— E il lavoro?
— Non ho più un lavoro.
— Ti hanno licenziata?
Si rattrista. — Tagli al personale, hanno detto. Ma hanno licenziato solo me.
— Che stronzi…
Cala il silenzio per un momento.
— Mangiamo — dice — non voglio rovinarti l'appetito.
— Sono venuto qui perché volevi parlarmi, non tanto per cenare.
— Ceniamo — risponde di nuovo con voce piatta.
Mangiamo in silenzio. Ogni tanto ci lanciamo degli sguardi, ma nessuno parla. Io non so cosa dire. Mi sembra assai depressa.
Finisco di mangiare e bevo un bicchiere d’acqua. Mi guardo intorno. C'è un'atmosfera romantica nella sala. Le coppie sedute ai tavoli sono innamorate. Risatine, sorrisi. Noi siamo gli unici a non c'entrare niente. Ma è stata lei a scegliere il posto.
— Dario resterà in Sardegna per un altro mese — dice la finta ragazza di mio cugino.
— Sì? Come mai? È così invaghito del suo amico?
— Pare di sì.
— La zia, cioè, sua madre non gli ha detto niente?
— Beh, le solite cose. Ma lui non l’ascolta. Ora non risponde nemmeno alle sue chiamate. Sai com’è sua madre, no?
— Già, lo so.
— Penso che farà coming out.
— Con la zia? Cioè sua madre?
La finta ragazza di mio cugino annuisce. — Sì, Dario sembra fare sul serio. Non l’ho mai visto così preso da un ragazzo. Di solito… si divertiva. Nulla di più.
— Non può essere che sia così anche ora?
— No, stavolta no. Lo sento.
Restiamo in silenzio per un attimo.
Una coppia si alza dal tavolo e se ne va. Il cameriere comincia a sparecchiare la tavola.
Guardo la finta ragazza di mio cugino. — Questo è uno dei motivi per cui stai andando via?
— No… Voglio dire, ne avevo già parlato con Dario qualche settimana fa. A dire il vero, ne abbiamo parlato spesso. Alla fine abbiamo deciso che saremmo partiti insieme. Lui sarebbe rimasto da me per due settimane, poi sarebbe ritornato qui.
— Da solo? — domando.
— Da solo. Avrebbe detto a sua madre la verità sulla nostra falsa relazione e che lui è gay.
— Mia zia sarebbe rimasta scioccata.
— Lo so.
— È troppo all’antica. Non capirà. Per lei essere gay è come… una malattia.
— Ho detto a Dario di non farlo, ma ormai sembra troppo convinto.
Altro silenzio. Più lungo.
Abbasso lo sguardo pensieroso. — E riguardo a te… Cosa hai intenzioni di fare una volta a casa?
— Mio zio è il vicedirettore di un museo. Penso che lavorerò lì.
— Quindi hai intenzioni di… Non tornerai più, giusto?
— Sì, non tornerò più.
Restiamo di nuovo in silenzio per un pezzo, il brusio della gente di sottofondo. So già che non tornerà più, me l’aveva già detto. Ma non so proprio cosa dirle.
Dieci minuti dopo usciamo dal ristorante e ci incamminiamo lungo il viale alberato. Diversi passanti, qualche coppia. Un uomo con un cane al guinzaglio. La luna riflessa nelle acque di una fontana.
— Spero ti vada meglio — dico per rompere il ghiaccio.
— Su cosa?
— Che ti vada meglio una volta a casa.
— Ah, sì… Lo spero anch'io.
— Il museo, eh…? Sembra un lavoro divertente.
Mi lancia un'occhiata perplessa. — Divertente?
— Insomma, dovrai imparare un sacco di cose, no? Tipo fatti storichi sui quadri o…
— È un lavoro come un altro.
Arriccio le labbra in un sorriso. Non rispondo.
Ci fermiamo davanti a un laghetto, la luna riflessa sulle sue acque placide. Diversi grilli cantano sui rami degli alberi.
La guardo. — Quindi... questo è l'ultima volta che ci vedremo?
— Sì, per questo ti ho invitato a cena. Mi sembrava giusto salutarti.
Dopo la mia ex assistente, anche lei se ne sta andando. Qualcosa si sta chiudendo nella mia vita, capitolo dopo capitolo. — Se passerai di nuovo di qui, fammelo sapere. Ti offro qualcosa.
— Non credo succederà. Non ho motivo di venire.
— Lo so, ma… nel caso succeda, fammi sapere.
Annuisce poco convinta. Non risponde.
Sto diventando un disco rotto, ma non so proprio cosa dirle.
Restiamo per un lungo momento in silenzio a osservare le acque scure del laghetto. Sembra una scena da film romantico. La parte finale di una relazione incasinata. Solo che noi due non siamo niente. Solo un uomo e una donna che hanno fatto l’amore. Nulla di più, nulla di meno.
— Dario mi ha parlato vagamente di Ilaria — dice la finta ragazza di mio cugino, senza guardarmi.
— Ilaria Neri? — rispondo stranito.
— Sì, lei. Mi ha detto che ti piace. È vero?
Perché questa domanda? — Beh, non proprio. Diciamo di sì, però…
— Però?
— Non saprei…
— Mi ha detto anche che a lei tu piaci molto.
— Dario come sa che… Insomma, come sa di noi?
— Non lo so. Un giorno me ne ha parlato. È stata quella volta in cui io e lui eravamo alla trattoria e ci siamo presi una stanza.
— Ricordo. Quella volta ho pensato che voi due vi siete chiusi in camera a… Sai, fare l’amore.
Scatta lo sguardo verso di me inorridita al solo pensiero. — No, mai e poi mai. E la cosa è reciproca.
— Sì, lo so. Comunque come è uscito il discorso?
Gira la testa verso il laghetto. — A dire la verità, tuo cugino sospetta che ti piaccia sua sorella.
Mi piace e come. Sarah è il mio inferno e il mio paradiso. Mi acciglio turbato. — Beh…
— Poi mi ha detto che tu e Ilaria siete molto intimi, che eravate amici fin dal liceo e che lui pensava aveste una relazione sessuale.
— Non credevo facesse questi pensieri.
— A volte sorprende anche me.
La guardo. — Tu cosa pensi?
— Non è importante. Se ti piace Ilaria, ok. Se ti piace tua cugina, beh…
— Ora mi viene in mente la frase di tua nonna…
— …non può scegliere chi amare — sorride la finta ragazza di mio cugino.
— Sì, proprio quella.
— Sto tornando anche per lei.
— Sì? Vivrete insieme?
— No, mia nonna non vorrebbe. Voglio dire, le piacerebbe, ma vuole che viva la mia vita.
— Non vuole che ti preoccupi per lei, vero?
Sposta gli occhi su di me, annuisce. — È fatta così. Non vuole disturbarmi.
— Tuo zio non se ne prende cura?
— Sì, lo fa, ma… Anche lui ha la sua vita. Ha una moglie e tre bambini piccoli a cui badare. E poi è spesso in viaggio di lavoro. Da settembre in poi sta via anche per settimane.
Annuisco. — Settembre è alle porte. Immagino che tu abbia deciso di tornare anche per questo. Come dicevo prima, per tua…
— Sì, per mia nonna — risponde e mi guarda. — Ma basta parlare di me. Tu che farai una volta che sarò andata via?
— Beh, continuerò a lavorare e a condurre una vita noiosa, priva di senso.
— Certo che tu butti proprio a terra
— È l'esperienza. La vita.
— Potresti iniziare a essere più ottimista.
Sposto gli occhi su di lei. — A che serve? Se qualcosa andrà male, lo farà. Legge di Murphy.
Scuote la testa con un sorrisino. — Questo Murphy deve somigliarti parecchio. Siete entrambi, come dire, pessimisti.
— Mi piace pensare di essere realista
— Se lo fossi, vedresti entrambe le facce della medaglia.
— Lo faccio. Solo che ormai ho capito da quale lato cade spesso la medaglia.
— Spesso non vuol dire sempre — dice la finta ragazza di mio cugino.
Passo lo sguardo sul laghetto. — Siamo lì.
Restiamo in silenzio per un lungo momento, i grilli che cantano tutt’attorno. Una coppia di adolescenti ci passa alle spalle e si allontana. Un ragazzo su un monopattino elettrico sfreccia dall’altra parte del laghetto.
— Stasera mi sei sembrata depressa — dico. — Invece scopro che sei più ottimista di me.
Mi sorride. — Lo vedi? Sei pessimista.
— Non è vero.
— Lo hai appena ammesso. Sono più ottimista di te, parole tue.
Scuoto la testa con un sorriso divertito. — Sai, ora mi sono ricordato di una frase che ho sentito tempo fa. “Non mi aspetto nulla, ma sono già deluso.”
La finta ragazza di mio cugino scoppia a ridere. — In pratica sei tu. Racchiude in poche parole il tuo pensiero.
— Già, proprio così — rispondo con con un sorriso. — Da quando l’ho sentita la prima volta, non riesco a togliermela dalla testa. È una frase così… vera.
— Ma anche sarcastica — dice lei. — Sembra una di quelle battute comiche e pessimiste, ma che in realtà sono vere. Qualunque cosa ci aspettiamo, alla fine rimaniamo sempre delusi.
Schiocco le dita, gli occhi illuminati. — Ecco dove l’ho sentita. Malcolm, la serie. La conosci?
— L'ho vista in TV quando ero più piccola.
— Anch'io. Mi piaceva parecchio.
— Io la trovavo carina.
Un’altra coppia di adolescenti ci passa alle spalle, seguita poco dopo da un’altra.
— Quando ero bambino volevo diventare grande, — dico nostalgico — ora che sono adulto, voglio tornare bambino.
— Anche per me è così.
— Si era più spensierati. Non c'erano tutti questi casini.
La finta ragazza di mio cugino smorza una risata. — Ora stai parlando come un vecchio.
Faccio finta di guardarla male. — Infatti da domani percepirò la pensione.
Si tappa la bocca con una mano per non ridere. — Sei tutto scemo.
— Già, me lo dicono spesso.
Altro silenzio. Meno lungo.
La finta ragazza di mio cugino guardo l'orario sullo schermo del cellulare. — Si sta facendo tardi.
— Ti accompagno.
— No, non preoccuparti.
— Sei venuta con la metro?
— No, con l’autobus.
— Allora ti accompagno.
— No, davvero.
Sorrido. — Dai, non fare storie. Questa è l'ultima volta che ci vediamo.
Annuisce. — Va bene, allora.
Ci incamminiamo lungo il viale tra l'assordante Cri Cri dei grilli. Ogni tanto ci lanciamo degli sguardi, dei sorrisi. Non credevo che sarebbe nata una bella amicizia tra me e lei. È la prima volta che ho una relazione così con una donna. Vera amicizia, tolto il sesso. Nemmeno con Ilaria riesco a scherzare o a parlare di cose a caso, senza finire per litigare o fare l’amore. Neanche ai tempi del liceo, dove la nostra relazione non è mai stata sessuale.
Superiamo la fine del viale e ci dirigiamo lungo il marciapiede. C'è poca gente. Un gruppetto più folto è davanti a una pizzeria. Parlano e ridono. Una mamma poco distante culla tra le braccia suo figlio di due anni. Un uomo fuma una sigaretta vicino alla porta di servizio della pizzeria.
La finta ragazza di mio cugino mi sorride. — Cosa farai con tua cugina?
Voglio starci insieme. Non mollerò. — Non lo so.
— Dovresti pensarci bene. È tua cugina…
— Perché ti interessa tanto?
— Perché si vede che la ami. Il tuo sguardo parla da sé.
Mi acciglio turbato. — Sì?
Annuisce. — Quando ti ho chiesto di lei, i tuoi occhi si sono illuminati.
Non rispondo.
— E di Ilaria? Cosa mi dici?
— Beh, un tempo mi piaceva. Voglio dire, l'amavo.
— Poi cosa è successo?
— La vita. I casini. Tutto quanto.
— Una risposta un po' troppo riassuntiva. Forse c'è altro.
Corrugo la fronte perplesso. — Altro? Tipo?
— Credo che tu l’ami ancora. La tua risposta… Non so… Anche il tuo tono di voce… Insomma, penso che tu stia cercando di allontanarla. Ti ha fatto soffrire?
La guardo colpito. Come fa a saperlo? Sono così facile da leggere? — Diciamo che ci sono stati degli screzi e poi… litighiamo sempre. È un rapporto incasinato.
— E per via di tua cugina?
Impossibile che sappia dove colpire. Deve sapere già tutto. — Come lo sai?
— Che è per via di tua cugina? Beh, non lo sapevo. Ho usato la logica. Tu ami tua cugina, perciò credo che Ilaria lo sappia. Dopotutto, siete molto amici, no? Quindi ho fatto solo due più due. Chiunque ci sarebbe arrivato.
Ci fermiamo davanti alla mia macchina. Lei fa il giro e aspetta che sblocchi le portiere.
— È davvero così? — chiedo.
— Così come?
— Che l’hai capito da sola.
I suoi occhi si serrano un poco infastiditi. — Pensi che non ne sia capace?
— No, non sto dicendo questo.
— Se mi stai domando se l’ho saputo da tuo cugino, allora la risposta è no. Ci sono arrivata da sola. Puoi crederci o meno.
— Va bene, non volevo insinuare che… Scusa.
Mi sorride. — Non fa niente.
Pigio il tasto del piccolo telecomando e le portiere dell’auto si sbloccano. Salgo al posto di guida. Lei accanto a me.
Metto in moto e mi immetto nella strada deserta. — Ti accompagno a casa di mio cugino, giusto?
Annuisce. Non risponde.
— Hai parlato con mia zia?
— Di cosa? Che andrò via? Sì, gliel’ho detto.
— E come l’ha presa?
— Era delusa, ma non dispiaciuta. Anzi, tua madre invece era più provata di lei.
Le lancio un'occhiata confuso. — Mia madre? C'era anche mia madre?
— Sì, stavano per andare al centro commerciale.
— Perché non hai preso in disparte mia zia per dirglielo?
— Perché tua zia ha detto che potevo parlare anche con tua madre davanti. Le ho detto che era importante, ma ha insistito.
— Così glielo hai detto.
— Si, ma…
— Ma?
La finta ragazza di mio cugino mi fissa. — Tua madre lo sa.
— Cosa? Cosa sa?
— Che quella sera abbiamo fatto l'amore in macchina. Me l'ha tirata fuori. Non so come abbia fatto…
Stringo le dita sul manubrio fino a far diventare le nocche bianche, la mascella serrata. — Mia zia… Lei…
— No, non lo sa. Quando tua madre è tornata dal centro commerciale, abbiamo parlato un po' nel giardino di tua zia. Mi ha fatto un sacco di domande su di me e tuo cugino. Poi a un certo punto ha detto: Te ne vai perché sei andata a letto con mio figlio?
Accosto la macchina accanto al marciapiede, lo sguardo scioccato. — Come ha… Come fa a saperlo…? Come… — Nella mente riaffiora la scena di quella sera. Mio padre e mio zio ubriachi marci. Mia zia e mia madre che ci vengono incontro. Mia madre che mi fissa un modo strano come se sapesse cosa avessi appena fatto. Le sue parole non mi sovvengono, ma il suo sguardo sospettoso me lo ricordo benissimo. — Quella sera… Mia madre l’aveva capito.
— Me lo ha detto lei — risponde la finta ragazza di mio cugino. — Mi ha detto che sapeva cosa avevamo fatto. Inoltre, sapeva anche che tra me e tuo cugino era tutto una farsa e che lui è gay.
La guardo. — Cosa!?
— Anch'io sono rimasta sorpresa come te. Non pensavo sapesse tutto quanto. Lo ha nascosto così bene.
Appoggio le braccia sul manubrio. — Già, ma… Mia madre sa sempre tutto, quindi… — Sospiro frustrato. — Ora mi romperà all'infinito… — Scatto la testa verso la finta ragazza di mio cugino, gli occhi sbarrati da un pensiero scomodo. — E sapesse anche di Sarah!? — Mi porto una mano sulla faccia preoccupato. — Non può saperlo, no?! È impossibile!
— Non mi ha detto niente su Sarah — risponde. — Non credo lo sappia, a meno che non ti abbia colto quasi in flagranza come è successo a noi.
Annuisco per auto convincermi, gli occhi fissi in avanti. — Sì, forse hai ragione. Non sa niente
— Però, se la ami… Se hai intenzioni di starci insieme, beh…
— Lo so, dovrei dirglielo.
— Se lo scopre sarebbe peggio.
— So anche questo.
Cala il silenzio per un momento, accompagnato dal motore della macchina.
Guardo la finta ragazza di mio cugino. — Mia zia non sarà d’accordo. Mi ucciderà…
— Non importa, se tu e tua cugina vi…
— Non è così semplice — dico mentre volto la testa fuori dal finestrino e guardo un gatto nero saltare su un parapetto. — Sarah non starà mai con me. Me l’ha detto un sacco di volte. Siamo cugini, perciò…
Silenzio. Il gatto nero salta giù dall’altra parte del parapetto.
— Credevo che anche lei provasse le stesse cose — dice la finta ragazza di mio cugino.
— Le prova, ma… a lei importa cosa pensano i suoi genitori. A me no.
— Però hai quasi avuto un attacco di panico quando ti ho detto di tua madre. Sicuro che sia come dici?
In effetti, ha ragione. Anch’io sono preoccupato per ciò che penserebbe mia madre. Ho quasi dato di matto poco fa. Non riuscirei a guardarla negli occhi, figuriamoci a parlarle. Allora per tutto questo tempo da dove ho preso la convinzione che non me ne sarebbe fregato niente?
— Riflettici bene, — dice la finta ragazza di mio cugino — perché sembra che tua cugina lo stia facendo.
Sposto lo sguardo su di lei. — Pensi che dovrei mollare tutto?
— Chi può saperlo meglio di te?
Corrugo la fronte. Perché ho esitato? — Già, hai ragione.
Altro silenzio.
Un camion passa lungo la strada, seguito da due auto. Mi immetto di nuovo nella corsia e guido verso la casa di mio cugino. Per un po' non ci parliamo.
— Mia madre non si è arrabbiata con te? — chiedo.
— No — risponde piatta.
— Non so se considerarlo strano o meno.
— Non era né sorpresa né delusa, se vuoi saperlo.
— È ciò mi inquieta non poco.
— Sapeva già tutto, perciò…
— Già…
La finta fidanzata di mio cugino si volta verso di me. — Cosa c'è che non va? Domani sarò su aereo, perciò non dovresti preoccuparti per tua madre. Non credo lo dirà a tua zia.
— Non è questo. È solo che… — Mi zittisco. Mi fermo al semaforo rosso. — Mia madre non sa nulla di me, eppure sa tutto. Mi segui?
Non risponde
— Non mi piace che lei sappia di me — continuo. — Non sono abituato a… Come dire, a parlare di me, a dirle di me. Le poche volte che l’ho fatto… — Mi ammutolisco per un attimo. — Non mi è piaciuto. La sensazione che ho avuto… Non lo so… Sembrava tutto inutile, capisci?
— Non pensi che sia tutto nella tua testa? — domanda.
— In che senso? Che quelle sensazioni siano tipo… illusorie? False?
— Sì, ma questo lo sai solo tu.
Scatta il verde.
Parto. — A dire il vero l’ho pensato anch'io, che sia tutto frutto della mia fervida immaginazione. Ma se non lo fosse?
— E se invece fosse così? Se tu fossi solo abituato a tenerti tutto dentro?
— Ma se non lo fosse? Le poche volte che le ho parlato mi sono sentito inascoltato, incompreso. Lo so che mi ascolta e tutto, ma quella sensazione… rimaneva. E non mi piaceva.
La finta ragazza di mio cugino continua a guardarmi. — Sai, non ti facevi così profondo e pensieroso. Ha un bel cervello iperattivo. Dovresti spegnerlo ogni tanto.
— Già, come se fosse possibile — rispondo frustrato. — Nella mia testa ho miliardi di pensieri. Sono così intensi e forti che mi esauriscono. Se non avessi l'autocontrollo o almeno una parvenza di essa, non so che fine avrei fatto.
— Non mi piace quello che stai dicendo — dice lei con tono serio. — Capisco che i tuoi pensieri ti stiano rovinando la vita, ma…
— Tranquilla, non mi butterò sotto un treno appena partirai. Mi sono espresso male.
— Anche se fosse, ho sempre intravisto una sorta di oscurità in te.
Svolto a destra. — Lo stesso vale per me. Anche tu la porti. Forse è per questo che mi capisci, perché sai di cosa parlo. Ed è anche la prima volta che mi apro così con qualcuno, quindi…
Mi sorride sincera. — Ora capisco perché ho voluto fare l’amore con te. Era questa la sensazione che mi spingeva a farlo.
Attraverso un incrocio e svolto a destra. — Che vuoi dire? Non ti seguo.
— Ho avuto una forte attrazione nei tuoi confronti e ce l’ho ancora adesso. Nulla di romantico o cose del genere. È qualcosa di strano, che non so spiegare. Ma quando ti guardo, quando sto vicino a te, la sento. È una specie di… alchimia. E questa alchimia mi fa desiderare di fare l'amore con te, ma allo stesso tempo non provo amore. Non credo di essermi riuscita a spiegare.
Parcheggio la macchina a trenta metri da casa di mio cugino. — Per quel che vale, anch'io provo una cosa del genere. Forse siamo solo due anime affini che si riconoscono in mezzo a tante altre, che riconoscono il dolore di…
La finta ragazza di mio cugino mi dà un bacio a stampo sulle labbra. Un bacio semplice, puro. Niente di sessuale. Si stacca. — Hai ragione. Hai proprio ragione. Anche se ci capiamo, anche se ci basta uno sguardo per capire cosa non va nell’altro, non c'è amore. Solo…
— …un legame — dico con un sorriso. — Un forte legame inspiegabile. Qualcosa che le parole non possono descrivere.
Mi sorride. — Già…
Ci guardiamo per un lungo momento. E ci piace. Non abbiamo bisogno di parole per parlarci. Possiamo rimanere così per sempre e parlare di tutto. Per gli altri potrebbe essere solo un silenzio scomodo, ma per noi è una lunga chiacchierata. Una di quelle che non si ha con chiunque. Una di quelle che lasciano tracce così profonde da ricordarle per tutta la vita. Eppure non c'è amore tra di noi, non ci amiamo. Ci guardiamo solo le anime. Sono loro che si amano dietro gli sguardi, dietro i silenzi.
La finta ragazza di mio cugino allunga una mano e spegne il motore.
— Che fai? — domando confuso.
Mi sorride. — Vieni da me.
— Da te?
Apre la portiera, scende dalla macchina e si dirige verso casa di mio cugino. Io rimango in auto perplesso. Lei apre la porta di casa, mi lancia uno sguardo ed entra.
Esco dalla macchina e mi avvio verso l'edificio mentre tengo sott'occhio il balcone di mia zia. Le luci dietro le finestre e la porta-finestra sono spente. Sicuramente lei e mio zio stanno già dormendo. Lui di sicuro perché la mattina si alza presto per andare a lavorare in officina.
Raggiungo la porta socchiusa della casa di mio cugino, la apro ed entro. Un forte odore di arance mi pervade le narici. Non so se sia il profumo del frutto, oppure di acqua di colonia o di detersivo. Mi guardo intorno. Non sono mai venuto qui. L'arredamento è moderno, così come il mobilio. Alcuni quadri inespressivi alle pareti. Un tappeto verde scuro con ghirigori ai piedi di un divano davanti a un TV a schermo piatto. Le pareti sono pulite, nessun traccia di umidità agli angoli come a casa di mia zia.
Mi fermo davanti a una porta aperta da cui esce un fascio di luce. È il bagno. La finta ragazza di mio cugino è già nuda. L'occhio cade sui suoi seni e poi giù in mezzo alle cosce. Il mio pene diventa di marmo. Lei gira la manovella della doccia, l'acqua scende fitta dal soffione fermo sul muro. Entra nella doccia mentre mi dà le spalle.
Mi spoglio e la seguo dentro. La doccia è spaziosa e ha un forte odore di candeggina.
La finta ragazza di mio cugino mi bacia con la lingua. Un lungo bacio passionale mentre il mio pene duro preme contro il suo inguine. Lo prende in mano e inizia a segarmi. Calo una mano sul suo clitoride e lo massaggio piano finché affondo medio e anulare nella sua vagina calda e bagnata, il palmo che sfrigola sul suo clitoride. Lei continua a baciarmi per un po', la lingua che cerca la mia. Poi comincia a fremere per l’orgasmo, lascia la presa dal mio pene e si aggrappa a me. Si irrigidisce, le braccia strette attorno alle spalle. I suoi liquidi colano lungo la mia mano e poi giù sul pavimento bagnato. Smette di baciarmi e mi fissa per un momento. Si abbassa e si mette il mio uccello in bocca. Lo succhia per un po' mentre tiene gli occhi sollevati nei miei, le mie mani sulla sua testa. Sento il vago rumore della saliva attutito dal suono dell'acqua del soffione.
Tiro fuori il pene e vengo sulla sua faccia. Due schizzi volano sui suoi capelli. — Cazzo, scusa non…
Lei abbozza un sorrisetto, il viso arricciato e macchiato abbondantemente di sperma. — Non fa niente. È la prima volta che qualcuno mi viene sul viso.
— Davvero, non ho fatto in tempo… Ero troppo eccitato…
Si pulisce la faccia con l'acqua del soffione. Non risponde.
— Ti ho sporcato anche i capelli — dico.
Se li tocca. Non sembra prenderla a male. — Dove?
Punto il dito sulla zona ai lati del viso. — Qui… Faccio io…
— Non fa niente. Mi lavo direttamente i capelli.
— Te li lavo io.
Mi osserva indecisa per un attimo. — Sicuro?
— Certo, perché non dovrei?
— Allora prendo lo sgabello.
— Va bene.
Esce dalla doccia, prende il piccolo sgabello di plastica da un angolo e lo posiziona nella doccia. Si siede. — Hai mai lavato i capelli a una donna?
Tolgo con l’acqua lo sperma dalla ciocca dei capelli. — Sì.
Mi passa lo shampoo e il balsamo. — Bene.
Li prendo, li poso ai piedi dello sgabello e inizia a lavare i suoi capelli.
— Aspetta un momento — dice.
Mi fermo. — Qualcosa non va?
Si gira sullo sgabello verso di me. — Ho un’idea.
— Quale?
Prende in mano il mio pene. Ha le mani caldissime. Smorzo un gemito. Sorride. — Mentre tu mi lavi i capelli, io ricambierò in questo modo... — Se lo mette in bocca mentre mi guarda. La sua lingua scivola tutt'attorno al mio uccello. Lo succhia con calma, con gusto.
Ansimo dal piacere e torno a lavare i suoi capelli tra il rumore della saliva e dell'acqua. Non mi sono nemmeno sciacquato il pene. Sicuramente sta ingoiando un po' dei residui del mio sperma. Prendo lo shampoo, lo verso un po' sui suoi capelli e li lavo mentre massaggio la sua testa. Poi li sciacquo e ci metto il balsamo. Faccio un altro massaggio.
La finta ragazza di mio cugino tira fuori il mio pene dalla bocca e comincia a leccarmi i genitali. Mi piego un po' in avanti per il piacere. Me li bacia, li succhia e li lecca mentre mi sega con una mano.
Vengo di nuovo. Poca roba.
Lei si guarda la mano un po' macchiata e la sciacqua sotto il getto d'acqua del soffione. — Ottimo lavaggio.
— Non ho ancora finito.
Annuisce. — Nemmeno io.
— In che senso?
Mi pulisce la punta del pene con la lingua e se lo mette in bocca.
Ansimo. — Stai ingoian…
— Lo so — biascica con il mio uccello in bocca. — Non so perché, ma volevo farlo.
Continuo a lavare i suoi capelli per un paio di minuti, poi li sciacquo.
La finta ragazza di mio cugino si alza, gira la manovella per chiudere l'acqua, mi prende per mano e mi porta nella camera da letto. Mi fa stendere sul materasso e si mette a cavalcioni su di me. C'è un forte odore di ciliegia. Penso sia la sua acqua di colonia che impesta la stanza.
La guardo. — Qui non dorme anche…
— Dario non dorme con me, ma nella camera accanto.
— Ah, ok…
Guida il mio pene nella sua vagina e abbassa il busto su di me, i seni pressati sul mio petto. La ingabbio in un abbraccio e comincio a muovere i fianchi. Anche lei lo fa, perciò andiamo fuori sincrono.
— Aspetta — dico con un sorriso. — O ti muovi tu o mi muovo io.
Lei ricambia il sorriso, i suoi lunghi capelli bagnati sul mio volto. — Lascia fare a me.
Annuisco mentre gocce di acqua mi cadono in faccia. — Dovevi asciugarli.
Scuote la testa e inizia a muoversi su di me. Mi abbraccia affettuosamente la testa con le mani, ansima al mio orecchio. La stringo a me. Sbatte il suo bacino contro il mio inguine per un dozzina di minuti. Non cambiamo posizione. Non ci pensiamo. Le nostre anime stanno facendo l’amore. Sono loro a guidarci. Noi ci fissiamo solo negli occhi. Niente baci. Solo sguardi. Ci siamo solo noi, i nostri corpi, i nostri occhi, i nostri spiriti. Tutto il resto è svanito. Eppure non ci amiamo. Non ci ameremo mai. Lo sappiamo entrambi. La nostra relazione è così profonda da essere atipica. Alla fine dei conti, stiamo solo dando un po' di sollievo alle nostre anime tormentate. Non è una cura o una panacea. Solo un po' di sollievo, prima di tornare al nostro caos primordiale.
La finta ragazza di mio cugino si irrigidisce di colpo e comincia a tremare in modo intenso. Mi stringe con forza mentre i suoi liquidi scivolano lungo il mio pene, sul mio inguine e sui miei genitali. Mi bacia il collo e si affloscia su di me, i fianchi che sussultano ancora per l’orgasmo.
Muovo il bacino contro il suo inguine. Prima lentamente, poi sempre più intensamente. Lei geme al mio orecchio mentre affonda le dita nei miei capelli. Poi mi fissa negli occhi, le gocce d’acqua che cadono sul mio viso dai suoi capelli. Mi pulisce la faccia con una mano e mi bacia il viso. Lo fa con affetto, ma non è amore. Le sue labbra sono gentili, dolci. È quasi come un bacio d’addio. Un ricordo da tenere stretto, da non dimenticare.
Le vengo dentro, ma non esce quasi niente. Smetto di muovermi.
Lei mi stringe ancora di più, la testa sul mio petto un po' peloso, i suoi capelli bagnati sulla pelle, le gocce d'acqua che rivolano ai lati del mio petto.
Restiamo così per un pezzo. Forse per un’ora. E mi piace. C'è una sorta di quiete tutt'attorno. Una pace impossibile da descrivere a parole. Qualcosa di magico, di etereo. I nostri corpi sono appiccicati per il caldo, le nostre anime stanno ancora facendo l’amore. Non ne hanno abbastanza. Lo sappiamo entrambi. E sono così rilassato, così in pace con me stesso che non voglio alzarmi dal letto per nulla al mondo.
Chiudo gli occhi.
La pace dei sensi.
Mi addormento.
Mi sveglio di soprassalto. Gli occhi di mia madre penetrano i miei. Sobbalzo. — Che… Cosa…
Mia madre passa lo sguardo sulla finta ragazza di mio cugino. Sta ancora dormendo accanto a me. La guardo, poi riguardo mia madre.
Lei se ne sta accanto al letto con le braccia incrociate, gli occhi severi, la luce del sole che filtra dalle tende della finestra. — Sveglia, Marta. La zia sarà qui tra tre quarti d’ora.
— Io…
— Parleremo dopo.
— Ma…
Si gira ed esce dalla stanza. Cosa ci faceva mia madre qui?
Mi volto verso Marta. Lei mi guarda con gli occhi assonnati e un po’ spaventati. Si è appena svegliata. Non ci diciamo niente per un momento. Siamo stati beccati, sebbene mia madre lo sapesse. Ma è diverso dal venire colti in flagranza. — Mia madre…
Scuote la testa, i capelli che le cadono davanti al viso. Si mette una mano in faccia. — Ci siamo addormentati…
— Lo so, ma…
— Tua madre doveva venire a svegliarmi.
— Cosa? Perché?
— Non lo so. Mi ha detto che sarebbe venuto a salutarmi prima di partire e che mi avrebbe preparato la colazione.
— Scusa, ma lo trovo assurdo — dico confuso. — Mia madre che ti prepara la colazione? È assurdo.
La finta ragazza di mio cugino si sistema i capelli da davanti agli occhi. — Ha detto così.
Mi acciglio ancora più confuso. Che fosse una scusa per vedere me e Marta a letto? Per averne la certezza? No, non ha senso. Perché dovrebbe?
Marta si mette seduta sul bordo del letto, le spalle nude rivolte verso di me. — Ora come farò a guardarla in faccia? Se prima mi vergognavo, ora… — Sospira affranta. — Non dovevamo addormentarci.
— Ehi — dico piano. — Non è successo niente. Mia madre sa che tu e mio cugino non state insieme. E poi non dirà niente a mia zia di noi due.
Volta la testa di scatto su di me come se si fosse ricordato di qualcosa. — Tua zia! Sarà qui a momenti! — Scatta in piedi, si precipita in bagno e sbatte la porta alle sue spalle. La riapre un attimo dopo. — Vestiti e vai via! — La sbatte di nuovo e sento scorrere l'acqua della doccia.
Mi alzo, mi rivesto e vado nel soggiorno per uscire da casa.
Mia madre è seduta sul divano, le braccia incrociate, le gambe accavallate. — È una cosa seria?
Mi fermo. — No.
Il vento entra dalle due finestre aperte, smuove le tende.
— Dario lo sa? — mi domanda.
— Sì, ma questo già lo sai.
— Se lo scoprisse tua zia…
— Perché dovrebbe?
— La verità viene sempre a galla.
— Non stavamo nemmeno insieme. Erano come due amici che convivevano.
— Tua zia la penserebbe diversamente — dice con disappunto.
— Ma sa già che si sono lasciati.
— Ma spera che si rimettano insieme.
— Non accadrà mai.
Cala il silenzio.
Mia madre distoglie lo sguardo. Non l'è piaciuto sorprenderci insieme. Anche se lo sapeva, ora ha capito che è reale. Forse pensa di aver tradito sua sorella. Suo figlio ha fatto l’amore con la sua cognata, sebbene lei non lo sia mai stata.
— Perché sei qui? — chiedo.
Mia madre sposta lo sguardo su di me per un momento. Guarda verso la finestra aperta, le tende che svolazzano al vento. — Perché sapevo che ti avrei trovato qui.
Aggrotto la fronte pensieroso. — In che senso?
— Toccava a tua zia svegliare Marta, ma l’ho convinta ad andare al supermercato a comprarle qualcosa da mangiare per il viaggio. Così mi sono proposta di svegliarla al posto suo.
— Non è mica una bambina — rispondo un po' irritato.
— Non è questo il punto.
— No? Allora qual è?
Mia madre non risponde subito. — Tua zia... Se non mi fossi messa in mezzo, oggi vi avrebbe scoperto. E sai com’è? Avrebbe messo in piedi un bel teatrino per i vicini. E non mi va di ricevere occhiate o che mi parlino male alle spalle.
Faccio una smorfia divertita e un po' amara. — Quindi l’hai fatto per te?
— E anche per te. La tua scappatella ci avrebbe messo tutti in ridicolo.
Altra smorfia divertita, ma più delusa. — Per te è più importante cosa pensano gli altri che di tuo figlio.
Devia il mio sguardo, le labbra imbronciate. — Non è nemmeno una storia seria. Non prendere tutto sul personale.
— Come faccio a non prenderla sul personale?! Non fai altro che pensare a cosa dicono gli altri. Non t'importa niente di me!
Pianta i suoi occhi severi sui miei. — Non esagerare. Ora va via. Sta arrivando tua zia.
Incrocio le braccia con aria di sfida. — Sai che c'è? Resto qui.
Mia madre sbarra gli occhi. — Sei impazzito?! Esci!
Sorrido sprezzante e mi siedo sulla poltrona. Non rispondo.
— Tommaso! — dice mia madre con tono che non promette nulla di buono. Lo stesso tono di rimprovero che usava quando non facevo i compiti, rompevo qualcosa a casa o quando mi cacciavo nei guai.
— Non mi muovo di qui.
Lei mi fissa in malo modo. Si alza, mi prende per un braccio e cerca di farmi alzarmi. — Tommaso! Alzati! Ti ho detto di alzarti.
Pianto i piedi, tiro indietro il corpo sullo schienale della poltrona. Non rispondo.
— Tommaso! — dice mia madre a voce alta. — Ti ho detto di…
— Che succede? — domanda Marta mentre ci raggiunge.
Mia madre molla la presa dal mio braccio e si volta verso di lei con un sorriso forzato. — Niente.
La finta ragazza di mia cugina sembra turbata. Lo sono anch'io. Perché mia madre ha risposto così? Non vuole farsi vedere come una strega che è? Sì, molto probabile. Ha sempre mostrato una maschera da brava donna gentile e premurosa davanti agli altri. Poi a casa si trasforma. Diventa un’altra, una persona ansiogena, paranoica, giudicante e che teme il giudizio altrui.
Mia madre si avvicina a Marta con un falso sorriso gentile. — Puoi dire a Tommaso di andare via? Sua zia sta arrivando. Sai, si sta comportando come un bambino capriccioso e non mi ascolta.
La finta ragazza di mio cugino mi guarda seria. Mi fa segno con gli occhi di andare.
Mi alzo e guardo mia madre. — L’hai preparata la colazione?
Lei sposta lo sguardo su Marta con un sorriso imbarazzato. — Stavo per farlo, ma il mio Tommaso mi ha trattenuta. — Mi lancia un'occhiataccia, poi la riguarda con un sorriso. — Ora vado in cucina.
— Non fa niente — dice Marta. — Non ho fame. Mangerò qualcosa sull'aereo.
Mia madre agita le mani. — No, no, no, no, non posso farti partire a stomaco vuoto. Non me lo perdonerei mai. Vado subito in cucina.
Scuoto la testa disgustato dal suo essere lecchina. Mia madre mi supera mentre mi guarda arcigna e sparisce in cucina.
La finta ragazza di mio cugino mi prende per un braccio e mi conduce alla porta. — Vai, prima che…
— Mia madre…
— Lo so.
— Cosa?
— Ho sentito tutto poca fa.
— Quindi sai chi è in realtà?
Mi sorride, una mano posata sulla mia spalla. — Pensi troppo. Sforzati di non farlo.
— Più facile a dirsi che a farsi.
— Lo so, ma tu provaci.
— Ci proverò.
— Posso abbracciarti?
Mi acciglio perplesso. — Abbiamo fatto l’amore. Non credo che tu debba chiedermi il permesso.
Mi abbraccia, le sue braccia si serrano con forza attorno alle mie spalle, la testa affonda nel mio petto. Restiamo così per una manciata di secondi. Poi si stacca. — È stato bello.
— Già, è stato bello.
Abbassa lo sguardo. — Quindi…
— Sì…
Sollevo gli occhi su di me. — Addio, allora.
— Arrivederci.
— Arrivederci?
— Non credo negli addii.
— Ah… Ma non tornerò più qui, lo sai.
— Mai dire mai nella vita.
Marta annuisce in modo lieve. — Allora, arrivederci.
Sorrido. — Arrivederci. E fai buon viaggio.
Ci fissiamo per altri secondi che sembrano interminabili.
Lei mi sorride, si volta e si allontana verso la cucina. Mia madre ci sta guardando sulla soglia, i suoi occhi grevi si spostano su di me.
Mi giro e vado via.
Marta, è stato bello. Spero che troverai la tua felicità. Lo spero davvero.
Il cameriere ci serve le nostre ordinazioni e si allontana con un sorriso.
Inforco la carbonare con una forchetta. — Perché volevi vedermi qui?
— Domani parto — risponde piatta, gli occhi sul piatto di spaghetti al pesto.
— Torni da tua nonna?
— Sì, e penso che ci resterò.
— In modo permanente?
— Penso di sì. Qui ormai non ho nulla da… — Si zittisce per un attimo. — Non ho nulla. Tanto vale tornare a casa.
— E il lavoro?
— Non ho più un lavoro.
— Ti hanno licenziata?
Si rattrista. — Tagli al personale, hanno detto. Ma hanno licenziato solo me.
— Che stronzi…
Cala il silenzio per un momento.
— Mangiamo — dice — non voglio rovinarti l'appetito.
— Sono venuto qui perché volevi parlarmi, non tanto per cenare.
— Ceniamo — risponde di nuovo con voce piatta.
Mangiamo in silenzio. Ogni tanto ci lanciamo degli sguardi, ma nessuno parla. Io non so cosa dire. Mi sembra assai depressa.
Finisco di mangiare e bevo un bicchiere d’acqua. Mi guardo intorno. C'è un'atmosfera romantica nella sala. Le coppie sedute ai tavoli sono innamorate. Risatine, sorrisi. Noi siamo gli unici a non c'entrare niente. Ma è stata lei a scegliere il posto.
— Dario resterà in Sardegna per un altro mese — dice la finta ragazza di mio cugino.
— Sì? Come mai? È così invaghito del suo amico?
— Pare di sì.
— La zia, cioè, sua madre non gli ha detto niente?
— Beh, le solite cose. Ma lui non l’ascolta. Ora non risponde nemmeno alle sue chiamate. Sai com’è sua madre, no?
— Già, lo so.
— Penso che farà coming out.
— Con la zia? Cioè sua madre?
La finta ragazza di mio cugino annuisce. — Sì, Dario sembra fare sul serio. Non l’ho mai visto così preso da un ragazzo. Di solito… si divertiva. Nulla di più.
— Non può essere che sia così anche ora?
— No, stavolta no. Lo sento.
Restiamo in silenzio per un attimo.
Una coppia si alza dal tavolo e se ne va. Il cameriere comincia a sparecchiare la tavola.
Guardo la finta ragazza di mio cugino. — Questo è uno dei motivi per cui stai andando via?
— No… Voglio dire, ne avevo già parlato con Dario qualche settimana fa. A dire il vero, ne abbiamo parlato spesso. Alla fine abbiamo deciso che saremmo partiti insieme. Lui sarebbe rimasto da me per due settimane, poi sarebbe ritornato qui.
— Da solo? — domando.
— Da solo. Avrebbe detto a sua madre la verità sulla nostra falsa relazione e che lui è gay.
— Mia zia sarebbe rimasta scioccata.
— Lo so.
— È troppo all’antica. Non capirà. Per lei essere gay è come… una malattia.
— Ho detto a Dario di non farlo, ma ormai sembra troppo convinto.
Altro silenzio. Più lungo.
Abbasso lo sguardo pensieroso. — E riguardo a te… Cosa hai intenzioni di fare una volta a casa?
— Mio zio è il vicedirettore di un museo. Penso che lavorerò lì.
— Quindi hai intenzioni di… Non tornerai più, giusto?
— Sì, non tornerò più.
Restiamo di nuovo in silenzio per un pezzo, il brusio della gente di sottofondo. So già che non tornerà più, me l’aveva già detto. Ma non so proprio cosa dirle.
Dieci minuti dopo usciamo dal ristorante e ci incamminiamo lungo il viale alberato. Diversi passanti, qualche coppia. Un uomo con un cane al guinzaglio. La luna riflessa nelle acque di una fontana.
— Spero ti vada meglio — dico per rompere il ghiaccio.
— Su cosa?
— Che ti vada meglio una volta a casa.
— Ah, sì… Lo spero anch'io.
— Il museo, eh…? Sembra un lavoro divertente.
Mi lancia un'occhiata perplessa. — Divertente?
— Insomma, dovrai imparare un sacco di cose, no? Tipo fatti storichi sui quadri o…
— È un lavoro come un altro.
Arriccio le labbra in un sorriso. Non rispondo.
Ci fermiamo davanti a un laghetto, la luna riflessa sulle sue acque placide. Diversi grilli cantano sui rami degli alberi.
La guardo. — Quindi... questo è l'ultima volta che ci vedremo?
— Sì, per questo ti ho invitato a cena. Mi sembrava giusto salutarti.
Dopo la mia ex assistente, anche lei se ne sta andando. Qualcosa si sta chiudendo nella mia vita, capitolo dopo capitolo. — Se passerai di nuovo di qui, fammelo sapere. Ti offro qualcosa.
— Non credo succederà. Non ho motivo di venire.
— Lo so, ma… nel caso succeda, fammi sapere.
Annuisce poco convinta. Non risponde.
Sto diventando un disco rotto, ma non so proprio cosa dirle.
Restiamo per un lungo momento in silenzio a osservare le acque scure del laghetto. Sembra una scena da film romantico. La parte finale di una relazione incasinata. Solo che noi due non siamo niente. Solo un uomo e una donna che hanno fatto l’amore. Nulla di più, nulla di meno.
— Dario mi ha parlato vagamente di Ilaria — dice la finta ragazza di mio cugino, senza guardarmi.
— Ilaria Neri? — rispondo stranito.
— Sì, lei. Mi ha detto che ti piace. È vero?
Perché questa domanda? — Beh, non proprio. Diciamo di sì, però…
— Però?
— Non saprei…
— Mi ha detto anche che a lei tu piaci molto.
— Dario come sa che… Insomma, come sa di noi?
— Non lo so. Un giorno me ne ha parlato. È stata quella volta in cui io e lui eravamo alla trattoria e ci siamo presi una stanza.
— Ricordo. Quella volta ho pensato che voi due vi siete chiusi in camera a… Sai, fare l’amore.
Scatta lo sguardo verso di me inorridita al solo pensiero. — No, mai e poi mai. E la cosa è reciproca.
— Sì, lo so. Comunque come è uscito il discorso?
Gira la testa verso il laghetto. — A dire la verità, tuo cugino sospetta che ti piaccia sua sorella.
Mi piace e come. Sarah è il mio inferno e il mio paradiso. Mi acciglio turbato. — Beh…
— Poi mi ha detto che tu e Ilaria siete molto intimi, che eravate amici fin dal liceo e che lui pensava aveste una relazione sessuale.
— Non credevo facesse questi pensieri.
— A volte sorprende anche me.
La guardo. — Tu cosa pensi?
— Non è importante. Se ti piace Ilaria, ok. Se ti piace tua cugina, beh…
— Ora mi viene in mente la frase di tua nonna…
— …non può scegliere chi amare — sorride la finta ragazza di mio cugino.
— Sì, proprio quella.
— Sto tornando anche per lei.
— Sì? Vivrete insieme?
— No, mia nonna non vorrebbe. Voglio dire, le piacerebbe, ma vuole che viva la mia vita.
— Non vuole che ti preoccupi per lei, vero?
Sposta gli occhi su di me, annuisce. — È fatta così. Non vuole disturbarmi.
— Tuo zio non se ne prende cura?
— Sì, lo fa, ma… Anche lui ha la sua vita. Ha una moglie e tre bambini piccoli a cui badare. E poi è spesso in viaggio di lavoro. Da settembre in poi sta via anche per settimane.
Annuisco. — Settembre è alle porte. Immagino che tu abbia deciso di tornare anche per questo. Come dicevo prima, per tua…
— Sì, per mia nonna — risponde e mi guarda. — Ma basta parlare di me. Tu che farai una volta che sarò andata via?
— Beh, continuerò a lavorare e a condurre una vita noiosa, priva di senso.
— Certo che tu butti proprio a terra
— È l'esperienza. La vita.
— Potresti iniziare a essere più ottimista.
Sposto gli occhi su di lei. — A che serve? Se qualcosa andrà male, lo farà. Legge di Murphy.
Scuote la testa con un sorrisino. — Questo Murphy deve somigliarti parecchio. Siete entrambi, come dire, pessimisti.
— Mi piace pensare di essere realista
— Se lo fossi, vedresti entrambe le facce della medaglia.
— Lo faccio. Solo che ormai ho capito da quale lato cade spesso la medaglia.
— Spesso non vuol dire sempre — dice la finta ragazza di mio cugino.
Passo lo sguardo sul laghetto. — Siamo lì.
Restiamo in silenzio per un lungo momento, i grilli che cantano tutt’attorno. Una coppia di adolescenti ci passa alle spalle e si allontana. Un ragazzo su un monopattino elettrico sfreccia dall’altra parte del laghetto.
— Stasera mi sei sembrata depressa — dico. — Invece scopro che sei più ottimista di me.
Mi sorride. — Lo vedi? Sei pessimista.
— Non è vero.
— Lo hai appena ammesso. Sono più ottimista di te, parole tue.
Scuoto la testa con un sorriso divertito. — Sai, ora mi sono ricordato di una frase che ho sentito tempo fa. “Non mi aspetto nulla, ma sono già deluso.”
La finta ragazza di mio cugino scoppia a ridere. — In pratica sei tu. Racchiude in poche parole il tuo pensiero.
— Già, proprio così — rispondo con con un sorriso. — Da quando l’ho sentita la prima volta, non riesco a togliermela dalla testa. È una frase così… vera.
— Ma anche sarcastica — dice lei. — Sembra una di quelle battute comiche e pessimiste, ma che in realtà sono vere. Qualunque cosa ci aspettiamo, alla fine rimaniamo sempre delusi.
Schiocco le dita, gli occhi illuminati. — Ecco dove l’ho sentita. Malcolm, la serie. La conosci?
— L'ho vista in TV quando ero più piccola.
— Anch'io. Mi piaceva parecchio.
— Io la trovavo carina.
Un’altra coppia di adolescenti ci passa alle spalle, seguita poco dopo da un’altra.
— Quando ero bambino volevo diventare grande, — dico nostalgico — ora che sono adulto, voglio tornare bambino.
— Anche per me è così.
— Si era più spensierati. Non c'erano tutti questi casini.
La finta ragazza di mio cugino smorza una risata. — Ora stai parlando come un vecchio.
Faccio finta di guardarla male. — Infatti da domani percepirò la pensione.
Si tappa la bocca con una mano per non ridere. — Sei tutto scemo.
— Già, me lo dicono spesso.
Altro silenzio. Meno lungo.
La finta ragazza di mio cugino guardo l'orario sullo schermo del cellulare. — Si sta facendo tardi.
— Ti accompagno.
— No, non preoccuparti.
— Sei venuta con la metro?
— No, con l’autobus.
— Allora ti accompagno.
— No, davvero.
Sorrido. — Dai, non fare storie. Questa è l'ultima volta che ci vediamo.
Annuisce. — Va bene, allora.
Ci incamminiamo lungo il viale tra l'assordante Cri Cri dei grilli. Ogni tanto ci lanciamo degli sguardi, dei sorrisi. Non credevo che sarebbe nata una bella amicizia tra me e lei. È la prima volta che ho una relazione così con una donna. Vera amicizia, tolto il sesso. Nemmeno con Ilaria riesco a scherzare o a parlare di cose a caso, senza finire per litigare o fare l’amore. Neanche ai tempi del liceo, dove la nostra relazione non è mai stata sessuale.
Superiamo la fine del viale e ci dirigiamo lungo il marciapiede. C'è poca gente. Un gruppetto più folto è davanti a una pizzeria. Parlano e ridono. Una mamma poco distante culla tra le braccia suo figlio di due anni. Un uomo fuma una sigaretta vicino alla porta di servizio della pizzeria.
La finta ragazza di mio cugino mi sorride. — Cosa farai con tua cugina?
Voglio starci insieme. Non mollerò. — Non lo so.
— Dovresti pensarci bene. È tua cugina…
— Perché ti interessa tanto?
— Perché si vede che la ami. Il tuo sguardo parla da sé.
Mi acciglio turbato. — Sì?
Annuisce. — Quando ti ho chiesto di lei, i tuoi occhi si sono illuminati.
Non rispondo.
— E di Ilaria? Cosa mi dici?
— Beh, un tempo mi piaceva. Voglio dire, l'amavo.
— Poi cosa è successo?
— La vita. I casini. Tutto quanto.
— Una risposta un po' troppo riassuntiva. Forse c'è altro.
Corrugo la fronte perplesso. — Altro? Tipo?
— Credo che tu l’ami ancora. La tua risposta… Non so… Anche il tuo tono di voce… Insomma, penso che tu stia cercando di allontanarla. Ti ha fatto soffrire?
La guardo colpito. Come fa a saperlo? Sono così facile da leggere? — Diciamo che ci sono stati degli screzi e poi… litighiamo sempre. È un rapporto incasinato.
— E per via di tua cugina?
Impossibile che sappia dove colpire. Deve sapere già tutto. — Come lo sai?
— Che è per via di tua cugina? Beh, non lo sapevo. Ho usato la logica. Tu ami tua cugina, perciò credo che Ilaria lo sappia. Dopotutto, siete molto amici, no? Quindi ho fatto solo due più due. Chiunque ci sarebbe arrivato.
Ci fermiamo davanti alla mia macchina. Lei fa il giro e aspetta che sblocchi le portiere.
— È davvero così? — chiedo.
— Così come?
— Che l’hai capito da sola.
I suoi occhi si serrano un poco infastiditi. — Pensi che non ne sia capace?
— No, non sto dicendo questo.
— Se mi stai domando se l’ho saputo da tuo cugino, allora la risposta è no. Ci sono arrivata da sola. Puoi crederci o meno.
— Va bene, non volevo insinuare che… Scusa.
Mi sorride. — Non fa niente.
Pigio il tasto del piccolo telecomando e le portiere dell’auto si sbloccano. Salgo al posto di guida. Lei accanto a me.
Metto in moto e mi immetto nella strada deserta. — Ti accompagno a casa di mio cugino, giusto?
Annuisce. Non risponde.
— Hai parlato con mia zia?
— Di cosa? Che andrò via? Sì, gliel’ho detto.
— E come l’ha presa?
— Era delusa, ma non dispiaciuta. Anzi, tua madre invece era più provata di lei.
Le lancio un'occhiata confuso. — Mia madre? C'era anche mia madre?
— Sì, stavano per andare al centro commerciale.
— Perché non hai preso in disparte mia zia per dirglielo?
— Perché tua zia ha detto che potevo parlare anche con tua madre davanti. Le ho detto che era importante, ma ha insistito.
— Così glielo hai detto.
— Si, ma…
— Ma?
La finta ragazza di mio cugino mi fissa. — Tua madre lo sa.
— Cosa? Cosa sa?
— Che quella sera abbiamo fatto l'amore in macchina. Me l'ha tirata fuori. Non so come abbia fatto…
Stringo le dita sul manubrio fino a far diventare le nocche bianche, la mascella serrata. — Mia zia… Lei…
— No, non lo sa. Quando tua madre è tornata dal centro commerciale, abbiamo parlato un po' nel giardino di tua zia. Mi ha fatto un sacco di domande su di me e tuo cugino. Poi a un certo punto ha detto: Te ne vai perché sei andata a letto con mio figlio?
Accosto la macchina accanto al marciapiede, lo sguardo scioccato. — Come ha… Come fa a saperlo…? Come… — Nella mente riaffiora la scena di quella sera. Mio padre e mio zio ubriachi marci. Mia zia e mia madre che ci vengono incontro. Mia madre che mi fissa un modo strano come se sapesse cosa avessi appena fatto. Le sue parole non mi sovvengono, ma il suo sguardo sospettoso me lo ricordo benissimo. — Quella sera… Mia madre l’aveva capito.
— Me lo ha detto lei — risponde la finta ragazza di mio cugino. — Mi ha detto che sapeva cosa avevamo fatto. Inoltre, sapeva anche che tra me e tuo cugino era tutto una farsa e che lui è gay.
La guardo. — Cosa!?
— Anch'io sono rimasta sorpresa come te. Non pensavo sapesse tutto quanto. Lo ha nascosto così bene.
Appoggio le braccia sul manubrio. — Già, ma… Mia madre sa sempre tutto, quindi… — Sospiro frustrato. — Ora mi romperà all'infinito… — Scatto la testa verso la finta ragazza di mio cugino, gli occhi sbarrati da un pensiero scomodo. — E sapesse anche di Sarah!? — Mi porto una mano sulla faccia preoccupato. — Non può saperlo, no?! È impossibile!
— Non mi ha detto niente su Sarah — risponde. — Non credo lo sappia, a meno che non ti abbia colto quasi in flagranza come è successo a noi.
Annuisco per auto convincermi, gli occhi fissi in avanti. — Sì, forse hai ragione. Non sa niente
— Però, se la ami… Se hai intenzioni di starci insieme, beh…
— Lo so, dovrei dirglielo.
— Se lo scopre sarebbe peggio.
— So anche questo.
Cala il silenzio per un momento, accompagnato dal motore della macchina.
Guardo la finta ragazza di mio cugino. — Mia zia non sarà d’accordo. Mi ucciderà…
— Non importa, se tu e tua cugina vi…
— Non è così semplice — dico mentre volto la testa fuori dal finestrino e guardo un gatto nero saltare su un parapetto. — Sarah non starà mai con me. Me l’ha detto un sacco di volte. Siamo cugini, perciò…
Silenzio. Il gatto nero salta giù dall’altra parte del parapetto.
— Credevo che anche lei provasse le stesse cose — dice la finta ragazza di mio cugino.
— Le prova, ma… a lei importa cosa pensano i suoi genitori. A me no.
— Però hai quasi avuto un attacco di panico quando ti ho detto di tua madre. Sicuro che sia come dici?
In effetti, ha ragione. Anch’io sono preoccupato per ciò che penserebbe mia madre. Ho quasi dato di matto poco fa. Non riuscirei a guardarla negli occhi, figuriamoci a parlarle. Allora per tutto questo tempo da dove ho preso la convinzione che non me ne sarebbe fregato niente?
— Riflettici bene, — dice la finta ragazza di mio cugino — perché sembra che tua cugina lo stia facendo.
Sposto lo sguardo su di lei. — Pensi che dovrei mollare tutto?
— Chi può saperlo meglio di te?
Corrugo la fronte. Perché ho esitato? — Già, hai ragione.
Altro silenzio.
Un camion passa lungo la strada, seguito da due auto. Mi immetto di nuovo nella corsia e guido verso la casa di mio cugino. Per un po' non ci parliamo.
— Mia madre non si è arrabbiata con te? — chiedo.
— No — risponde piatta.
— Non so se considerarlo strano o meno.
— Non era né sorpresa né delusa, se vuoi saperlo.
— È ciò mi inquieta non poco.
— Sapeva già tutto, perciò…
— Già…
La finta fidanzata di mio cugino si volta verso di me. — Cosa c'è che non va? Domani sarò su aereo, perciò non dovresti preoccuparti per tua madre. Non credo lo dirà a tua zia.
— Non è questo. È solo che… — Mi zittisco. Mi fermo al semaforo rosso. — Mia madre non sa nulla di me, eppure sa tutto. Mi segui?
Non risponde
— Non mi piace che lei sappia di me — continuo. — Non sono abituato a… Come dire, a parlare di me, a dirle di me. Le poche volte che l’ho fatto… — Mi ammutolisco per un attimo. — Non mi è piaciuto. La sensazione che ho avuto… Non lo so… Sembrava tutto inutile, capisci?
— Non pensi che sia tutto nella tua testa? — domanda.
— In che senso? Che quelle sensazioni siano tipo… illusorie? False?
— Sì, ma questo lo sai solo tu.
Scatta il verde.
Parto. — A dire il vero l’ho pensato anch'io, che sia tutto frutto della mia fervida immaginazione. Ma se non lo fosse?
— E se invece fosse così? Se tu fossi solo abituato a tenerti tutto dentro?
— Ma se non lo fosse? Le poche volte che le ho parlato mi sono sentito inascoltato, incompreso. Lo so che mi ascolta e tutto, ma quella sensazione… rimaneva. E non mi piaceva.
La finta ragazza di mio cugino continua a guardarmi. — Sai, non ti facevi così profondo e pensieroso. Ha un bel cervello iperattivo. Dovresti spegnerlo ogni tanto.
— Già, come se fosse possibile — rispondo frustrato. — Nella mia testa ho miliardi di pensieri. Sono così intensi e forti che mi esauriscono. Se non avessi l'autocontrollo o almeno una parvenza di essa, non so che fine avrei fatto.
— Non mi piace quello che stai dicendo — dice lei con tono serio. — Capisco che i tuoi pensieri ti stiano rovinando la vita, ma…
— Tranquilla, non mi butterò sotto un treno appena partirai. Mi sono espresso male.
— Anche se fosse, ho sempre intravisto una sorta di oscurità in te.
Svolto a destra. — Lo stesso vale per me. Anche tu la porti. Forse è per questo che mi capisci, perché sai di cosa parlo. Ed è anche la prima volta che mi apro così con qualcuno, quindi…
Mi sorride sincera. — Ora capisco perché ho voluto fare l’amore con te. Era questa la sensazione che mi spingeva a farlo.
Attraverso un incrocio e svolto a destra. — Che vuoi dire? Non ti seguo.
— Ho avuto una forte attrazione nei tuoi confronti e ce l’ho ancora adesso. Nulla di romantico o cose del genere. È qualcosa di strano, che non so spiegare. Ma quando ti guardo, quando sto vicino a te, la sento. È una specie di… alchimia. E questa alchimia mi fa desiderare di fare l'amore con te, ma allo stesso tempo non provo amore. Non credo di essermi riuscita a spiegare.
Parcheggio la macchina a trenta metri da casa di mio cugino. — Per quel che vale, anch'io provo una cosa del genere. Forse siamo solo due anime affini che si riconoscono in mezzo a tante altre, che riconoscono il dolore di…
La finta ragazza di mio cugino mi dà un bacio a stampo sulle labbra. Un bacio semplice, puro. Niente di sessuale. Si stacca. — Hai ragione. Hai proprio ragione. Anche se ci capiamo, anche se ci basta uno sguardo per capire cosa non va nell’altro, non c'è amore. Solo…
— …un legame — dico con un sorriso. — Un forte legame inspiegabile. Qualcosa che le parole non possono descrivere.
Mi sorride. — Già…
Ci guardiamo per un lungo momento. E ci piace. Non abbiamo bisogno di parole per parlarci. Possiamo rimanere così per sempre e parlare di tutto. Per gli altri potrebbe essere solo un silenzio scomodo, ma per noi è una lunga chiacchierata. Una di quelle che non si ha con chiunque. Una di quelle che lasciano tracce così profonde da ricordarle per tutta la vita. Eppure non c'è amore tra di noi, non ci amiamo. Ci guardiamo solo le anime. Sono loro che si amano dietro gli sguardi, dietro i silenzi.
La finta ragazza di mio cugino allunga una mano e spegne il motore.
— Che fai? — domando confuso.
Mi sorride. — Vieni da me.
— Da te?
Apre la portiera, scende dalla macchina e si dirige verso casa di mio cugino. Io rimango in auto perplesso. Lei apre la porta di casa, mi lancia uno sguardo ed entra.
Esco dalla macchina e mi avvio verso l'edificio mentre tengo sott'occhio il balcone di mia zia. Le luci dietro le finestre e la porta-finestra sono spente. Sicuramente lei e mio zio stanno già dormendo. Lui di sicuro perché la mattina si alza presto per andare a lavorare in officina.
Raggiungo la porta socchiusa della casa di mio cugino, la apro ed entro. Un forte odore di arance mi pervade le narici. Non so se sia il profumo del frutto, oppure di acqua di colonia o di detersivo. Mi guardo intorno. Non sono mai venuto qui. L'arredamento è moderno, così come il mobilio. Alcuni quadri inespressivi alle pareti. Un tappeto verde scuro con ghirigori ai piedi di un divano davanti a un TV a schermo piatto. Le pareti sono pulite, nessun traccia di umidità agli angoli come a casa di mia zia.
Mi fermo davanti a una porta aperta da cui esce un fascio di luce. È il bagno. La finta ragazza di mio cugino è già nuda. L'occhio cade sui suoi seni e poi giù in mezzo alle cosce. Il mio pene diventa di marmo. Lei gira la manovella della doccia, l'acqua scende fitta dal soffione fermo sul muro. Entra nella doccia mentre mi dà le spalle.
Mi spoglio e la seguo dentro. La doccia è spaziosa e ha un forte odore di candeggina.
La finta ragazza di mio cugino mi bacia con la lingua. Un lungo bacio passionale mentre il mio pene duro preme contro il suo inguine. Lo prende in mano e inizia a segarmi. Calo una mano sul suo clitoride e lo massaggio piano finché affondo medio e anulare nella sua vagina calda e bagnata, il palmo che sfrigola sul suo clitoride. Lei continua a baciarmi per un po', la lingua che cerca la mia. Poi comincia a fremere per l’orgasmo, lascia la presa dal mio pene e si aggrappa a me. Si irrigidisce, le braccia strette attorno alle spalle. I suoi liquidi colano lungo la mia mano e poi giù sul pavimento bagnato. Smette di baciarmi e mi fissa per un momento. Si abbassa e si mette il mio uccello in bocca. Lo succhia per un po' mentre tiene gli occhi sollevati nei miei, le mie mani sulla sua testa. Sento il vago rumore della saliva attutito dal suono dell'acqua del soffione.
Tiro fuori il pene e vengo sulla sua faccia. Due schizzi volano sui suoi capelli. — Cazzo, scusa non…
Lei abbozza un sorrisetto, il viso arricciato e macchiato abbondantemente di sperma. — Non fa niente. È la prima volta che qualcuno mi viene sul viso.
— Davvero, non ho fatto in tempo… Ero troppo eccitato…
Si pulisce la faccia con l'acqua del soffione. Non risponde.
— Ti ho sporcato anche i capelli — dico.
Se li tocca. Non sembra prenderla a male. — Dove?
Punto il dito sulla zona ai lati del viso. — Qui… Faccio io…
— Non fa niente. Mi lavo direttamente i capelli.
— Te li lavo io.
Mi osserva indecisa per un attimo. — Sicuro?
— Certo, perché non dovrei?
— Allora prendo lo sgabello.
— Va bene.
Esce dalla doccia, prende il piccolo sgabello di plastica da un angolo e lo posiziona nella doccia. Si siede. — Hai mai lavato i capelli a una donna?
Tolgo con l’acqua lo sperma dalla ciocca dei capelli. — Sì.
Mi passa lo shampoo e il balsamo. — Bene.
Li prendo, li poso ai piedi dello sgabello e inizia a lavare i suoi capelli.
— Aspetta un momento — dice.
Mi fermo. — Qualcosa non va?
Si gira sullo sgabello verso di me. — Ho un’idea.
— Quale?
Prende in mano il mio pene. Ha le mani caldissime. Smorzo un gemito. Sorride. — Mentre tu mi lavi i capelli, io ricambierò in questo modo... — Se lo mette in bocca mentre mi guarda. La sua lingua scivola tutt'attorno al mio uccello. Lo succhia con calma, con gusto.
Ansimo dal piacere e torno a lavare i suoi capelli tra il rumore della saliva e dell'acqua. Non mi sono nemmeno sciacquato il pene. Sicuramente sta ingoiando un po' dei residui del mio sperma. Prendo lo shampoo, lo verso un po' sui suoi capelli e li lavo mentre massaggio la sua testa. Poi li sciacquo e ci metto il balsamo. Faccio un altro massaggio.
La finta ragazza di mio cugino tira fuori il mio pene dalla bocca e comincia a leccarmi i genitali. Mi piego un po' in avanti per il piacere. Me li bacia, li succhia e li lecca mentre mi sega con una mano.
Vengo di nuovo. Poca roba.
Lei si guarda la mano un po' macchiata e la sciacqua sotto il getto d'acqua del soffione. — Ottimo lavaggio.
— Non ho ancora finito.
Annuisce. — Nemmeno io.
— In che senso?
Mi pulisce la punta del pene con la lingua e se lo mette in bocca.
Ansimo. — Stai ingoian…
— Lo so — biascica con il mio uccello in bocca. — Non so perché, ma volevo farlo.
Continuo a lavare i suoi capelli per un paio di minuti, poi li sciacquo.
La finta ragazza di mio cugino si alza, gira la manovella per chiudere l'acqua, mi prende per mano e mi porta nella camera da letto. Mi fa stendere sul materasso e si mette a cavalcioni su di me. C'è un forte odore di ciliegia. Penso sia la sua acqua di colonia che impesta la stanza.
La guardo. — Qui non dorme anche…
— Dario non dorme con me, ma nella camera accanto.
— Ah, ok…
Guida il mio pene nella sua vagina e abbassa il busto su di me, i seni pressati sul mio petto. La ingabbio in un abbraccio e comincio a muovere i fianchi. Anche lei lo fa, perciò andiamo fuori sincrono.
— Aspetta — dico con un sorriso. — O ti muovi tu o mi muovo io.
Lei ricambia il sorriso, i suoi lunghi capelli bagnati sul mio volto. — Lascia fare a me.
Annuisco mentre gocce di acqua mi cadono in faccia. — Dovevi asciugarli.
Scuote la testa e inizia a muoversi su di me. Mi abbraccia affettuosamente la testa con le mani, ansima al mio orecchio. La stringo a me. Sbatte il suo bacino contro il mio inguine per un dozzina di minuti. Non cambiamo posizione. Non ci pensiamo. Le nostre anime stanno facendo l’amore. Sono loro a guidarci. Noi ci fissiamo solo negli occhi. Niente baci. Solo sguardi. Ci siamo solo noi, i nostri corpi, i nostri occhi, i nostri spiriti. Tutto il resto è svanito. Eppure non ci amiamo. Non ci ameremo mai. Lo sappiamo entrambi. La nostra relazione è così profonda da essere atipica. Alla fine dei conti, stiamo solo dando un po' di sollievo alle nostre anime tormentate. Non è una cura o una panacea. Solo un po' di sollievo, prima di tornare al nostro caos primordiale.
La finta ragazza di mio cugino si irrigidisce di colpo e comincia a tremare in modo intenso. Mi stringe con forza mentre i suoi liquidi scivolano lungo il mio pene, sul mio inguine e sui miei genitali. Mi bacia il collo e si affloscia su di me, i fianchi che sussultano ancora per l’orgasmo.
Muovo il bacino contro il suo inguine. Prima lentamente, poi sempre più intensamente. Lei geme al mio orecchio mentre affonda le dita nei miei capelli. Poi mi fissa negli occhi, le gocce d’acqua che cadono sul mio viso dai suoi capelli. Mi pulisce la faccia con una mano e mi bacia il viso. Lo fa con affetto, ma non è amore. Le sue labbra sono gentili, dolci. È quasi come un bacio d’addio. Un ricordo da tenere stretto, da non dimenticare.
Le vengo dentro, ma non esce quasi niente. Smetto di muovermi.
Lei mi stringe ancora di più, la testa sul mio petto un po' peloso, i suoi capelli bagnati sulla pelle, le gocce d'acqua che rivolano ai lati del mio petto.
Restiamo così per un pezzo. Forse per un’ora. E mi piace. C'è una sorta di quiete tutt'attorno. Una pace impossibile da descrivere a parole. Qualcosa di magico, di etereo. I nostri corpi sono appiccicati per il caldo, le nostre anime stanno ancora facendo l’amore. Non ne hanno abbastanza. Lo sappiamo entrambi. E sono così rilassato, così in pace con me stesso che non voglio alzarmi dal letto per nulla al mondo.
Chiudo gli occhi.
La pace dei sensi.
Mi addormento.
Mi sveglio di soprassalto. Gli occhi di mia madre penetrano i miei. Sobbalzo. — Che… Cosa…
Mia madre passa lo sguardo sulla finta ragazza di mio cugino. Sta ancora dormendo accanto a me. La guardo, poi riguardo mia madre.
Lei se ne sta accanto al letto con le braccia incrociate, gli occhi severi, la luce del sole che filtra dalle tende della finestra. — Sveglia, Marta. La zia sarà qui tra tre quarti d’ora.
— Io…
— Parleremo dopo.
— Ma…
Si gira ed esce dalla stanza. Cosa ci faceva mia madre qui?
Mi volto verso Marta. Lei mi guarda con gli occhi assonnati e un po’ spaventati. Si è appena svegliata. Non ci diciamo niente per un momento. Siamo stati beccati, sebbene mia madre lo sapesse. Ma è diverso dal venire colti in flagranza. — Mia madre…
Scuote la testa, i capelli che le cadono davanti al viso. Si mette una mano in faccia. — Ci siamo addormentati…
— Lo so, ma…
— Tua madre doveva venire a svegliarmi.
— Cosa? Perché?
— Non lo so. Mi ha detto che sarebbe venuto a salutarmi prima di partire e che mi avrebbe preparato la colazione.
— Scusa, ma lo trovo assurdo — dico confuso. — Mia madre che ti prepara la colazione? È assurdo.
La finta ragazza di mio cugino si sistema i capelli da davanti agli occhi. — Ha detto così.
Mi acciglio ancora più confuso. Che fosse una scusa per vedere me e Marta a letto? Per averne la certezza? No, non ha senso. Perché dovrebbe?
Marta si mette seduta sul bordo del letto, le spalle nude rivolte verso di me. — Ora come farò a guardarla in faccia? Se prima mi vergognavo, ora… — Sospira affranta. — Non dovevamo addormentarci.
— Ehi — dico piano. — Non è successo niente. Mia madre sa che tu e mio cugino non state insieme. E poi non dirà niente a mia zia di noi due.
Volta la testa di scatto su di me come se si fosse ricordato di qualcosa. — Tua zia! Sarà qui a momenti! — Scatta in piedi, si precipita in bagno e sbatte la porta alle sue spalle. La riapre un attimo dopo. — Vestiti e vai via! — La sbatte di nuovo e sento scorrere l'acqua della doccia.
Mi alzo, mi rivesto e vado nel soggiorno per uscire da casa.
Mia madre è seduta sul divano, le braccia incrociate, le gambe accavallate. — È una cosa seria?
Mi fermo. — No.
Il vento entra dalle due finestre aperte, smuove le tende.
— Dario lo sa? — mi domanda.
— Sì, ma questo già lo sai.
— Se lo scoprisse tua zia…
— Perché dovrebbe?
— La verità viene sempre a galla.
— Non stavamo nemmeno insieme. Erano come due amici che convivevano.
— Tua zia la penserebbe diversamente — dice con disappunto.
— Ma sa già che si sono lasciati.
— Ma spera che si rimettano insieme.
— Non accadrà mai.
Cala il silenzio.
Mia madre distoglie lo sguardo. Non l'è piaciuto sorprenderci insieme. Anche se lo sapeva, ora ha capito che è reale. Forse pensa di aver tradito sua sorella. Suo figlio ha fatto l’amore con la sua cognata, sebbene lei non lo sia mai stata.
— Perché sei qui? — chiedo.
Mia madre sposta lo sguardo su di me per un momento. Guarda verso la finestra aperta, le tende che svolazzano al vento. — Perché sapevo che ti avrei trovato qui.
Aggrotto la fronte pensieroso. — In che senso?
— Toccava a tua zia svegliare Marta, ma l’ho convinta ad andare al supermercato a comprarle qualcosa da mangiare per il viaggio. Così mi sono proposta di svegliarla al posto suo.
— Non è mica una bambina — rispondo un po' irritato.
— Non è questo il punto.
— No? Allora qual è?
Mia madre non risponde subito. — Tua zia... Se non mi fossi messa in mezzo, oggi vi avrebbe scoperto. E sai com’è? Avrebbe messo in piedi un bel teatrino per i vicini. E non mi va di ricevere occhiate o che mi parlino male alle spalle.
Faccio una smorfia divertita e un po' amara. — Quindi l’hai fatto per te?
— E anche per te. La tua scappatella ci avrebbe messo tutti in ridicolo.
Altra smorfia divertita, ma più delusa. — Per te è più importante cosa pensano gli altri che di tuo figlio.
Devia il mio sguardo, le labbra imbronciate. — Non è nemmeno una storia seria. Non prendere tutto sul personale.
— Come faccio a non prenderla sul personale?! Non fai altro che pensare a cosa dicono gli altri. Non t'importa niente di me!
Pianta i suoi occhi severi sui miei. — Non esagerare. Ora va via. Sta arrivando tua zia.
Incrocio le braccia con aria di sfida. — Sai che c'è? Resto qui.
Mia madre sbarra gli occhi. — Sei impazzito?! Esci!
Sorrido sprezzante e mi siedo sulla poltrona. Non rispondo.
— Tommaso! — dice mia madre con tono che non promette nulla di buono. Lo stesso tono di rimprovero che usava quando non facevo i compiti, rompevo qualcosa a casa o quando mi cacciavo nei guai.
— Non mi muovo di qui.
Lei mi fissa in malo modo. Si alza, mi prende per un braccio e cerca di farmi alzarmi. — Tommaso! Alzati! Ti ho detto di alzarti.
Pianto i piedi, tiro indietro il corpo sullo schienale della poltrona. Non rispondo.
— Tommaso! — dice mia madre a voce alta. — Ti ho detto di…
— Che succede? — domanda Marta mentre ci raggiunge.
Mia madre molla la presa dal mio braccio e si volta verso di lei con un sorriso forzato. — Niente.
La finta ragazza di mia cugina sembra turbata. Lo sono anch'io. Perché mia madre ha risposto così? Non vuole farsi vedere come una strega che è? Sì, molto probabile. Ha sempre mostrato una maschera da brava donna gentile e premurosa davanti agli altri. Poi a casa si trasforma. Diventa un’altra, una persona ansiogena, paranoica, giudicante e che teme il giudizio altrui.
Mia madre si avvicina a Marta con un falso sorriso gentile. — Puoi dire a Tommaso di andare via? Sua zia sta arrivando. Sai, si sta comportando come un bambino capriccioso e non mi ascolta.
La finta ragazza di mio cugino mi guarda seria. Mi fa segno con gli occhi di andare.
Mi alzo e guardo mia madre. — L’hai preparata la colazione?
Lei sposta lo sguardo su Marta con un sorriso imbarazzato. — Stavo per farlo, ma il mio Tommaso mi ha trattenuta. — Mi lancia un'occhiataccia, poi la riguarda con un sorriso. — Ora vado in cucina.
— Non fa niente — dice Marta. — Non ho fame. Mangerò qualcosa sull'aereo.
Mia madre agita le mani. — No, no, no, no, non posso farti partire a stomaco vuoto. Non me lo perdonerei mai. Vado subito in cucina.
Scuoto la testa disgustato dal suo essere lecchina. Mia madre mi supera mentre mi guarda arcigna e sparisce in cucina.
La finta ragazza di mio cugino mi prende per un braccio e mi conduce alla porta. — Vai, prima che…
— Mia madre…
— Lo so.
— Cosa?
— Ho sentito tutto poca fa.
— Quindi sai chi è in realtà?
Mi sorride, una mano posata sulla mia spalla. — Pensi troppo. Sforzati di non farlo.
— Più facile a dirsi che a farsi.
— Lo so, ma tu provaci.
— Ci proverò.
— Posso abbracciarti?
Mi acciglio perplesso. — Abbiamo fatto l’amore. Non credo che tu debba chiedermi il permesso.
Mi abbraccia, le sue braccia si serrano con forza attorno alle mie spalle, la testa affonda nel mio petto. Restiamo così per una manciata di secondi. Poi si stacca. — È stato bello.
— Già, è stato bello.
Abbassa lo sguardo. — Quindi…
— Sì…
Sollevo gli occhi su di me. — Addio, allora.
— Arrivederci.
— Arrivederci?
— Non credo negli addii.
— Ah… Ma non tornerò più qui, lo sai.
— Mai dire mai nella vita.
Marta annuisce in modo lieve. — Allora, arrivederci.
Sorrido. — Arrivederci. E fai buon viaggio.
Ci fissiamo per altri secondi che sembrano interminabili.
Lei mi sorride, si volta e si allontana verso la cucina. Mia madre ci sta guardando sulla soglia, i suoi occhi grevi si spostano su di me.
Mi giro e vado via.
Marta, è stato bello. Spero che troverai la tua felicità. Lo spero davvero.
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