Mia cugina: Parte 35

di
genere
incesti

L’indomani mattina, esco dall’ascensore per andare nel mio ufficio. Passo lungo il corridoio e incrocio Federica. Lei finge di non vedermi. La supero, m’incammino lungo i cubicoli vuoti ed entro nel mio ufficio. Poso la valigetta sulla scrivania, mi verso un goccio di Whisky e mi volto verso l’ingresso. Sobbalzo. Il liquido straborda dal bicchiere, mi bagna le dita.
— Bevi di prima mattina? — domanda Caterina Savona. — Brutto vizio. Bruttissimo vizio. Poco professionale.
La osservo chiudere la porta e sedersi sul divanetto. La raggiungo. — Che ci fa qui?
Si limita a fissarmi.
È qui per sua figlia? Per il fatto che l’ho quasi schiaffeggiata?
Abbozza un lieve sorriso, indecifrabile. Ancora nessuna parola.
Mi sta studiando? Mi sta prendendo in giro? Oppure ha in mente qualcosa? Poso il bicchiere sul basso tavolino e mi siedo sulla poltrona. La guardo.
Fa un altro sorriso, accavalla le gambe lucide. Delle belle gambe. È una bella donna, dopotutto. Me la farei. Ma che cazzo sto pensando? Porca miseria!
— Ho in mente di fare grandi investimenti — dice, la voce piatta, controllata.
— Nel campo videoludico, giusto?
— Vedo che sei informato.
— È il minimo.
Mi fissa di nuovo. — Mia figlia?
Un colpo al cuore. Deglutisco. — Sua figlia?
— Sembra che abbia deciso di lavorare con me.
Mi acciglio, turbato. Non rispondo. Che sta succedendo?
— Tu sai qualcosa?
— No.
— Non c'entri nulla?
Arriccio le labbra mentre scuoto la testa.
Caterina allunga le mani sui braccioli. — Quindi non sai perché piangeva?
Piangeva? Sarà per quello che è successo l’altra sera? — No.
Annuisce con un sottile sorrisetto. — Mentire non serve a nulla.
— Non le sto mentendo.
— Conosco gli uomini come te — dice con un sottile disprezzo nella voce. — Predatori... Siete predatori. Quando avete per le mani una brava ragazza, la fate a pezzi.
— Credo che lei...
— Smettila di darmi del lei. E non continuare a mentire.
Distolgo lo sguardo, a disagio, il cuore che mi martella nel petto. La sua presenza e il suo tono mi intimoriscono. Emana un'energia strana, oscura, criptica.
— So che hai avuto rapporti con mia figlia — dice, apatica. — E so che lei stravede per te. Stravede talmente tanto che nella sua testa ci sei solo tu.
Dove vuole arrivare?
Sospira. — Ora parla di partire. Stati Uniti. Vuole girare l’intero paese mentre lavorerà da remoto. Non trovi che sia strano? E non è strano, che appena pronuncio il tuo nome, va in panico e scoppia piangere?
Deglutisco di nuovo. Non rispondo.
Si alza e si china, davanti alla mia faccia. Mi fissa dritto negli occhi, le mani poggiate sulla spalliera della poltrona alle mie spalle. — Non te lo ripeterò due volte. — I suoi occhi si serrano, come due abissi. — Cosa le hai fatto?
— Io non...
Mi molla un ceffone in faccia. Forte. Violento. — Cosa le hai fatto?!
Mi massaggio la guancia, dolorante, le dita impresse sulla pelle. — L’ho quasi...
Mi tira un altro ceffone. Più forte. Il colpo risuona secco nella stanza.
— L’ho quasi schiaffeggiata — rispondo di getto.
Il suo sguardo si inietta di sangue. Sento il suo respiro sul viso. Si allontana e torna a sedersi sul divanetto. Accavalla le gambe, gli occhi freddi. — Parliamo di affari, ora.
Abbasso lo sguardo, intimorito, la guancia dolorante. — Sì...


Un’ora dopo, Caterina Savona va via senza salutare. Ha ascoltato il mio piano d'investimento, in totale silenzio. I suoi occhi sono stati fissi su di me, per tutto il tempo. Non so nemmeno se li sbatteva. Non riuscivo a guardarla in faccia.
Mi verso due dita di whisky, lo mando giù. Devo smettere di bere.
Bussano alla porta.
Poso il bicchiere sulla scrivania. — Sì?
Ilaria entra nel mio ufficio, si chiude la porta alle spalle. — Che ci faceva qui Caterina Savona?
Mi ha preso a schiaffi e poi le ho parlato delle possibilità di investimento mentre mi fissava, come il diavolo fissa un’anima candida. — Voleva conoscere il mio piano d'investimento.
Si siede sulla poltrona. — Quindi?
— Penso sia andata bene.
— È venuta solo per questo?
Annuisco e mi siedo sul divanetto. — Solo per questo.
Ilaria mi scruta. — Non me la bevo. Sei troppo tranquillo.
— Lo sono sempre.
— Non con quella faccia. Cosa ti ha detto?
— Te l’ho detto, le ho parlato del...
Incrocia le braccia sui seni. — Fino a ieri eri paranoico. E adesso sei tranquillo. Pensi che me la beva?
— Appunto. Non dicevi che ero troppo paranoico? Mi hai fatto persino quel paragone con Beatrice Stadio che non c'entrava niente.
Mi fissa male, per un attimo. — Ok, non vuoi dirmelo.
— Perché non c'è niente.
Si alza. — Portami questo “tuo nuovo progetto” nel mio ufficio. Voglio revisionarlo per approvarlo. — Va verso la porta.
— Aspetta.
Si volta. — Sì?
— Riguardo a ieri... Noi due...
— Non pensarci. È capitato.
— Come con il tuo ex?
Mi guarda di traverso. — È diverso.
— Quindi...
— Cosa?
— Abbiamo fatto pace?
Mi raggiunge. Con passo lento. — Vuoi farmi inginocchiare di nuovo?
Il mio pene s'infiamma. Non rispondo.
Ilaria mi afferra l’uccello sotto i pantaloni. — Da me cerchi solo sesso, non è così?
— No. Io...
— Ti amo? — risponde, sarcastica. — Certo, come no. Quando la smetterai di prendermi in giro?
— Non ti ho mai preso in...
Mi stringe il pene con forza. Mi piego in avanti mentre smorzo un grido di dolore. Mi manca il respiro. Si avvicina al mio orecchio. — Ormai ho capito il tuo giochetto. La prossima volta che te ne esci con queste cazzate te lo strappo, capito?
Annuisco, la mascella serrata per il dolore. Lei molla la presa, mi dà un bacio sulla guancia con un finto sorriso e lascia l'ufficio.
Mi massaggio il pene. Poi mi riempio un altro bicchiere di whisky e me lo porto alle labbra. Non lo bevo. Lo lascio sulla scrivania, esco.
Federica è seduta alla sua scrivania. Alza la testa, mi guarda, ma subito l'abbassa sui fogli. I cubicoli sono mezzi vuoti. La maggior parte dei dipendenti sono in sala riunioni. Li scorgo da dietro le pareti di vetro mentre parlano seduti attorno al lungo tavolo. Paula è in piedi e mostra loro delle slide su uno schermo.
Federica si volta di nuovo a guardarmi. — Le serve qualcosa?
— Perché non mi hai avvisato della visita di Caterina Savona?
— Non lo sapevo. È saltata fuori dal nulla. Prima che potessi avvisarla, era già nel suo ufficio.
Non rispondo subito. — Perché mi stai dando di nuovo del lei?
Distoglie lo sguardo. Non parla.
— Ho fatto qualcosa di sbagliato? E per la cena? Oppure...
Solleva lo sguardo su di me. — Posso essere sincera?
— Certo.
— C’è qualcosa tra lei e la vicepresidente Neri?
Sposto lo sguardo verso la sala riunioni. Paula mi sta guardando da dietro la parete di vetro mentre parla agli altri.
— Se non vuole dirmelo...
— Siamo vecchi amici... di scuola. Anche con Paula Magli.
Un breve silenzio.
Un colpo di tosse lontano. Il rumore di una fotocopiatrice.
— Capisco...
— Beh, riguardo la cena... È ancora valida. Voglio solo sdebitarmi. Nulla di più.
Federica mi guarda, come se nelle mie parole avesse inteso che non c'è mai stato altro. — La ringrazio, ma...
— Non voglio forzati. E ti prego di darmi del tu. Mi fa strano che di punto in bianco mi dai del lei. È proprio strano. Non creiamoci dei muri, ok?
Annuisce, volta la testa sui fogli sulla scrivania.
Getto un’occhiata verso Paula. Non mi sta guardando più. Ora è seduta mentre ascolta un nostro collega parlare e mostrare altre slide.
Rientro nel mio ufficio, bevo il whisky che ho lasciato sulla scrivania e sospiro. Avevo smesso di bere per poco.


Verso le cinque e mezza, entro nell'ascensore affollato. Comincia a scendere. Sono circondato da donne. La miriade di profumi mi dà alla testa. Acqua di colonia, shampoo e l'ammorbidente dei vestiti. Credo di essere l'unico a puzzare, ma nessuna sembra notarlo. E nessuna di loro parla. Lo trovo assai strano. In ufficio, non fanno che straparlare tutto il giorno.
Le doppie porte si aprono, usciamo fuori. M’incammino nell’atrio e scorgo Ilaria con il suo ex. Ridono. Stanno per uscire dall'edificio. Li ignoro.
Esco e vado verso la mia auto. I parcheggi sono tutti occupati. Accade molto di rado.
Una mano si posa sulla mia spalla.
Mi volto con un sussulto. — Paula.
— Mi offri qualcosa? — domanda con un mezzo sorriso, mellifluo.
Torno a camminare. — Ho da fare.
— Cosa hai da fare? Poltrire sul divano e ubriacarti?
Come fa a saperlo? È davvero acuta. Non rispondo.
— Andiamo a mangiare qualcosa.
— Non ho fame.
— Sei sempre il solito antipatico — dice lei, il tono canzonatorio. — Davvero antipatico...
— Se hai bisogno di compagnia, chiedi a qualcuno dell’ufficio.
— Sono tutti pallosi. Anche più di te. E credimi, c'è ne vuole per esserlo.
Mi fermo davanti alla macchina. — Gentile come al solito.
Lei fa il giro e si ferma davanti la portiera anteriore. — Allora? Che aspetti?
Roteo gli occhi al cielo. — Smettila di prendermi in giro e vattene.
— Dai, apri. Andiamo a mangiare.
— Ma ti ho detto...
Sbuffa, seccata, mentre un auto mi passa alle spalle. — Quanto sei noioso. Andiamo solo a mangiare, mica in guerra. Dai, su.
Poggio un braccio sul tettuccio del veicolo. — Mi ero dimenticato di quanto fossi rompipalle.
Mi fa un sorriso, infantile, da burlona. — Allora? Andiamo?
Apro la macchina, mi siedo al posto di guida. Paula si siede accanto a me. Ingrano la prima, parto. Passo accanto alle auto parcheggiate e mi fermo a un incrocio a T nel parcheggio per far passare un veicolo. È quello di Ilaria. Lei mi fissa malissimo al posto di guida. Accanto c'è il suo ex.
Le faccio segno di passare con la mano, sebbene abbia io la precedenza. Lei sposta lo sguardo da psicopatica assassina su Paula. Questa la saluta con la mano, in modo bambinesco. La sta prendendo in giro? Perché sembra proprio così. Ma non ha senso. Non c'è mai stato cattivo sangue tra di loro. Al liceo, se non ricordo male, erano amiche e lo sono ancora. Forse si stanno un po' antipatiche. Nulla di più.
L’ex di Ilaria le dice qualcosa. Lei gli risponde, in malo modo, mi lancia un'occhiataccia, si allontana.
Svolto a sinistra dietro la sua macchina. Il suo ex le sta ancora parlando. Lei sembra gridargli contro. Forse stanno litigando. Con Ilaria non si è mai sicuri di niente. Per quanto ne so, potrebbe anche stargli facendo dei complimenti.
— Ma avete scopato voi due? — domanda Paula.
— Eh!? Cosa? Come te ne esci?
— Hai visto come mi ha guardata?
— Guarda male tutti.
— Quello non era da “guarda male tutti”. Sai, pensavo che sarebbe uscita dall’auto per picchiarmi.
Scuoto la testa con un sorriso. — Non dire stronzate. Non lo farebbe mai.
— Per questo stavi di merda quando l’hai beccata con il suo ex?
Le lancio un'occhiata di sfuggita. — Certo che ne hai di immaginazione.
— E tu non sai mentire. Che c'è tra di voi?
Giro a destra. L’auto di Ilaria va sinistra. Sta ancora sclerando contro il suo ex. — Non c'è niente. Siamo solo buoni amici.
— Tanto lo so che scopate. Che senso ha negare?
— Non scopiamo.
— Te la sei fatta nel suo ufficio.
Serro le dita sul manubrio, le nocche diventano bianche per lo sforzo. — Dove andiamo a mangiare?
— Non cambiare discorso. Tanto lo sapevo che sareste finiti per scopare. Al liceo ti stava sempre tra i piedi. E ti toccava sempre. Senza contare che parlava male di tutte le ragazze che frequentavi.
— Il liceo era il liceo.
— Lo avete fatto anche lì?
Mi fermo al semaforo, la guardo. — Che ti frega se lo abbiamo fatto o meno?
Sorride, sarcastica. — Ecco che fai l'antipatico.
Scuoto la testa con uno sbuffo, seccato.
Paula guarda fuori dal finestrino. — Elena mi ha detto tutto. Vi ha sentiti dietro la...
— Per questo sai che noi...
Si volta di scatto, il dito puntato contro in un sorriso, compiaciuto. — Lo sapevo! Stava dicendo la verità!
Roteo gli occhi al cielo, irritato. È riuscita a fregarmi. Come sempre. Non rispondo.
Lei se la ride di gusto. — Anche Federica mi ha detto che Ilaria aveva una faccia strana e che tu eri sudato. E poi sentiva uno strano odore. — Indica il mio pene con gli occhi. — Quell'odore.
Quindi Federica l'ha capito. Dalla faccia sembrava proprio di sì. Schiaccio il piede sull'acceleratore, parto.
— Dovevi vedere la faccia di Elena — dice Paula mentre ridacchia, divertita. — All'inizio pensava che Ilaria stesse male. Poi ha iniziato a sentire dei gemiti e dei colpi e si è insospettita. Quando ti ha visto uscire dal suo ufficio, ha capito tutto.
— Perché continui a parlarne? Non c'è niente di speciale.
Mi guarda. — Poco fa negavi. Ora non più?
— Ormai lo sanno tutti.
— Compreso il suo ex.
Le lancio uno sguardo e svolto a sinistra. Non rispondo.
— Forse stanno litigando per questo, in macchina — dice. — Oppure si è incazzato con lui perché ti ha visto con me.
— Non m’interessa.
— Non ti conviene fartela nemica.
— Chi? Ilaria? Non succederà mai.
— Non essere troppo sicuro di te. Lo sai che può essere molto impulsiva e “fisica”.
— Fisica? — chiedo, confuso.
— Sai cosa intendo. La conosci meglio di me.
Mi ha già preso a schiaffi e forse voleva anche uccidermi. — Dove andiamo a mangiare?
— Dove vuoi. Basta che si mangi bene e non si spenda troppo.
— Pensavo che avresti fatto pagare me.
— Perché dovresti pagare tu? Mica sono la tua ragazza.
— Ottima osservazione.
Dieci minuti dopo, entriamo nel Burger King, ordiniamo e ci sediamo con i nostri panini, in un angolo. C'è poca gente. Qualche bambino con i loro genitori. Una coppietta di adolescenti che bevono dalla stessa coca cola con le cannucce.
Paula li indica. — Ti ricordi quando Ilaria ti ha obbligato a fare questo per far ingelosire il suo ex? Com'è che si chiamava... Ah, sì, Riccardo.
Do un morso al panino con l’hamburger. — Vagamente.
— Vi siete pure presi a botte. Come fai a ricordartelo vagamente?
Sollevo le spalle. Continuo a masticare.
— Quel tipo era proprio ossessionato da Ilaria ed era anche ricco sfondato. All’epoca ci ho fatto un pensierino.
— Sei ancora materialista?
Mi fissa di traverso, per un momento. — Questo però te lo ricordi. E per la cronaca, non sono materialista. Sono una donna passionale e romantica.
— Certo, e io sono Elon Musk.
Serra gli occhi con finta, irritazione. — Riccardo era un bel ragazzo. Molto più bello di te.
Do un altro morso. — Beh, su questo hai ragione.
Paula alza gli occhi in aria con un sospiro. — Alto, atletico, bruno, spalle larghe e...
— Vedi che me lo ricordo. Non c'è bisogno di dirmi anche il suo codice sanitario.
Mi fissa di nuovo di traverso e dà il primo morso al suo panino. — Prima hai detto “vagamente”, perciò...
— Non ricordo il litigio, ma lui sì.
Beve un sorso di aranciata dalla cannuccia. — Comunque Ilaria si metteva con gli altri per farti ingelosire. Lo sapevi?
— No.
— Credeva che così facendo ti saresti dato una svegliata e ti saresti fatto avanti. Ma non è successo.
— Perché stiamo parlando di me? — domando, irritato.
— Sono una ficcanaso. L'hai detto tu, no?
Ingoio l'ultimo pezzo del panino e bevo la coca cola. Distolgo lo sguardo.
— Non fare il bambino imbronciato — dice lei.
Sposto gli occhi su di lei. — Lo finisci o no quel panino?
— Non ho più fame.
Lo prendo dalle sue mani e ci strappo un pezzo con i denti.
— Ehi! — dice, stizzita. — Non ti ho detto che potevi prenderlo tu?!
— Tanto non lo avresti mangiato — rispondo con la bocca piena.
Paula scuote la testa, beve l'aranciata. — Ti ingozzi come un maiale.
— Non sono mica una principessa come te.
— Principessa? — sbuffa, divertita. — Ma fammi il piacere...
Finisco di mangiare il panino e bevo la coca cola mentre osservo un bambino inseguire un altro fuori dall'ampia vetrata del Burger King.
— Perché non vi mettete insieme? — domanda Paula.
— Chi?
— Voi due. Tu e Ilaria.
— Ancora con questa storia.
— Per me, state bene insieme. Lei, una psicopatica di ghiaccio. Tu... Beh, tu sei tu.
La fisso come a dire, “mi prendi per il culo?” — In che senso, tu sei tu?
— Te la scopi addirittura nel suo ufficio. Nemmeno il suo ex è arrivato a tanto.
— Terrazzo o ufficio non cambia nulla. E poi è successo solo una volta.
Sorride, divertita. — Hai violato la sua autorità. Più eccitante di questo, cosa c'è?
Mi alzo. — Dai, andiamo.
— Dove?
— A casa.
— A casa? Cos’è? Vuoi farti anche me?
Sbuffo. — Sei perspicace, ma hai toppato. C'è ne andiamo ognuno a casa propria
— Ah, beh...
— Pensavi davvero che volevo scoparti?
Si alza con un sorrisetto. — Non sei il mio tipo.
— Neanche tu il mio.
Usciamo dal Burger King, entriamo in macchina.
Mi dice l'indirizzo di casa per accompagnarla.
— Come fai a permetterti un appartamento nel centro della città? — domando. — Lì gli affitti sono altissimi.
— Non sono in affitto. L'appartamento è mio.
— Ah...
— Sorpreso?
— Certo. Devi avere un botto di soldi, se sei riuscita a comprartelo.
— Vuoi vederlo?
— No.
Fa un sorrisetto, canzonatorio. — Hai paura di provare troppa invidia?
Le lancio un’occhiata, inespressiva. — Perché dovrei?
— Dai, ti sto solo sfottendo. Quanto sei palloso.
— Quindi sei ricca?
— Ora ti interessa quanto sono ricca?
— Non mi sei mai sembrata una che ha vissuto nell'agio. Non al liceo. Immagino che tu abbia fatto i soldi di recente.
Un breve silenzio.
— Lo sono sempre stata — dice. — Mio padre è un imprenditore. E mia madre è un giudice.
— Ah, beh...
— Tutto qui?
— Che vuoi che ti dica? Buon per te.
— Mi hai messo gli occhi addosso, ora?
Getto uno sguardo su di lei. — No.
Mette una mano sulla mia coscia con un sorriso, malizioso. — Oppure hai in mente altro?
Il mio inguine si incendia mentre il mio pene si indurisce. — Smettila di scherzare.
La sua mano sale fino a sfiorare i miei genitali. — Chi ti dice che stia scherzando?
Fermo l’auto al semaforo e scaccio la sua mano. Lei mi fa un sorrisetto, divertito. Durante il resto del tragitto, non ci parliamo. Ora non so se stesse scherzando. Di solito non sta mai zitta. Ma scopare con Paula non mi ci vedo proprio. Non che non me la farei, lo trovo solo strano.
Dopo un po’, mi fermo davanti a un palazzo di venti piani. La ricchezza straborda da ogni pietra. Lungo la strada pulita sono parcheggiate Lamborghini, Maserati, BMW e una Jaguar. Gli stessi passanti odorano di soldi.
— Posso farti una domanda? — chiedo.
Lei si acciglia. — Ora mi chiedi il permesso di farmi una domanda? La mia mano ti ha messo così a disagio, oppure è ciò che vedi intorno?
Sollevo gli occhi al cielo con un sospiro. — Perché lavori?
— Come perché? Mi piace.
— Potresti anche non farlo.
— Anche se sono nata nel lusso, non vuol dire che me ne starò tra gli allori a non fare niente.
— Non c'è qualcosa che vorresti fare più del lavoro?
Mi fissa, per un attimo. — No.
Silenzio.
— Bene — dico. — Ci vediamo domani in ufficio.
Paula arriccia la labbra con fare bambinesco. — Non vuoi salire?
— Non fare la spiritosa.
— E se fossi seria?
— Vuoi solo prendermi in giro. Lo hai sempre fatto fin dal liceo.
— Al liceo non facevo così. Ti parlavo poco o nulla.
— E in quelle poche volte lo facevi.
Sospira, esasperata. — Antipatico e palloso.
— Ok, ora scendi.
— Dai, vieni su da me.
— Scendi.
— Dai.
— Ma non ti stanchi mai di scherzare?
— Non sto scherzando.
— Certo.
— Vuoi una prova?
— Che prova?
Mette una mano sul mio pene, lo stringe leggermente con un sorriso, eccitato.
Gliela scaccio bruscamente. — Ma che cazzo fai?
Il suo viso si fa serio. — Non sto scherzando. Vieni su.
— Piantala!
— Perché fai tutte queste storie?
La fisso, per un momento. Non rispondo.
— Voglio solo divertirmi — dice Paula con un sorrisetto. — Non ti va?
— Sei proprio strana.
— Anche al liceo ti ho chiesto la stessa cosa.
Mi acciglio, turbato. Non mi ricordo.
— L’hai dimenticato? Forse non sono stata diretta come ora, ma ero solo curiosa. Quando ci vedevamo dietro al parco era per… — Smorza un sorrisino. — Non avevo il coraggio di fare il primo passo, ma vedevo come mi guardavi. — I suoi occhi si serrano, stizziti. — Solo che sei rimasto antipatico, come lo eri allora.
— Ma di che diavolo stai parlando?
— Dei nostri incontri. Al parco. Ti sei dimenticato pure questo?!
— No, però... Voglio dire, ricordo che ci vedevamo, ma non ricordo che avevi quelle intenzioni.
Sbuffa, esasperata. — Ma se te l’ho detto poco fa che non avevo il coraggio di fare il primo passo!
— Sì, ma non ti incazzare.
— Sei stupido?!
— Ok, ho capito. Ora scendi.
Sospira ancora più, esasperata. — Tu ora vieni con me.
— Non credo proprio.
— Mi stai facendo sudare.
— Perché sei troppo agitata.
Mi afferra il polso, lo stringe leggermente. — Ti faccio così schifo?
— No, è solo che...
— È solo una scopata, mica un matrimonio. Andiamo.
— Ho già dato, ricordi?
— E che me ne frega. Ora hai finito di fare la "preziosa?"
— Preziosa?
— Ti comporti come una che c'è l’ha d’oro.
— Sono un uomo.
— Non si direbbe da quante storie stai facendo per una botta e via.
— Ok, basta che dopo non mi rompi le palle.
Paula sbuffa di gioia. — Santo cielo, era ora.
Usciamo dalla mia macchina e mi prende per mano. Mi acciglio, stranito. Che diavolo sta facendo?
Entriamo nell'edificio e saliamo all'ultimo piano, tramite l'ascensore.
Vive in un attico enorme. Dall’ampia finestra, si vede il fiume e le verdi colline. Un panorama mozzafiato. L'ambiente profuma di Paula, della sua acqua di colonia. Mobili costosi, sedie strane e quadri altrettanto strani alle pareti.
Mi conduce in camera da letto, poi in doccia.
— Spogliati — dice mentre si toglie la camicetta.
Mi svesto, pantaloni, boxer e camicia.
Mi guarda il pene turgido. — È grosso. Però lo immaginavo più lungo.
— Sei una critica dei cazzi?
Fa un sorrisetto. — Potrebbe diventare il mio giocattolo preferito. Sembra così carino.
— Certo.
Si toglie la camicetta e il reggiseno. Una seconda importante. Ha delle belle aureole rosa, attorniate da vene. È arrapante. Si abbassa pantaloni e mutandine, firmate Victoria Secret. Ha la vagina glabra. Sembra anche stretta.
— Mi piace il tuo petto un po' peloso — dice Paula. — Dai, entriamo in doccia.
— Tutta ‘sta scena mi sembra surreale — rispondo.
Lei gira la manopola della doccia. L’acqua tiepida ci scivola addosso.
Prende in mano il mio pene duro e comincia a lavarlo con il bagno schiuma. Sto quasi per venire. Non sapevo di essere così eccitato. Poi mi lava la schiena, le cosce, il petto e sotto i genitali. Li palpa mentre mi guarda negli occhi.
— Ce li hai ancora belli pieni — dice. Poi molla la presa. — Ora tocca a te.
Parto dalle sue tette. Sono morbide e sode. Calo la mano destra sulla sua vagina e gliela lavo mentre massaggio con il palmo il suo clitoride. È bello tosto. È la prima volta che sento un clitoride così pieno.
— Devi lavarmi, non masturbarmi — dice lei un po', stizzita.
— Ho il mio metodo.
— Il tuo metodo mi sta facendo venire.
— Ah, sì? Non sembra dal tuo viso.
— Ho il mio modo per godere.
— Capisco.
Continuo a lavare la sua vagina. Con l'altra mano, le lavo l'addome, le cosce, il sedere, le spalle e di nuovo il seno.
Paula posa una mano sulla mia spalla, trema un po' per l’orgasmo, gli occhi che ruotano all'indietro.
Ho le dita tutta appiccicose. La guardo. — Devo lavarti di nuovo.
— Usa la lingua.
— Saliamo di livello, eh?
Mi mette una mano nei capelli, mi fa inginocchiare e mi preme la faccia contro la sua vagina. Lecco le sue grandi labbra fino a salire sul clitoride gonfio. Lei spalanca leggermente le cosce, ricomincia a tremare, le dita che affondano ancora di più nei miei capelli. Un liquido appiccicoso le cola dalla vagina lungo l'interno coscia. Un po' mi va sulle labbra.
— Anche a Ilaria la lecchi così? — chiede mentre ansima.
— Gelosa?
Mi affonda la faccia nella sua vagina. Le lecco il clitoride, lo succhio. Le sue gambe cedono per il forte orgasmo e si afferra alle mie spalle per non cadere. — Come fai...
— Come fai?
— Come fai a farmi venire sia con la lingua, che con le dita?
— Forse sei troppo sensibile.
— Non è la prima volta... Tu sai come farmi godere.
— Se lo dici tu.
— Alzati — dice tutta eccitata. Si abbassa e si mette in bocca il mio pene, la lingua che ruota attorno al glande
Gemo di piacere mentre le sposto una ciocca di capelli dal viso.
Lei mi prende la mano, la stringe dolcemente.
Spalanco gli occhi. Merda, no. Cazzo, no. Mi sono appena infilato in un altro casino. Quel tocco, quella stretta è qualcosa di più.
Paula mi lecca lungo l'asta dell’uccello fino ai genitali. Li prende in bocca, li succhia, li bacia mentre mi sega con una mano.
Le vengo sul viso.
Due gocce di sperma schizzano i suoi capelli.
Lei rimane, sorpresa. Si pulisce il liquido dal viso, lo guarda e si lava la mano sotto il getto del soffione. — Potevi anche avvisarmi. — Faccio per togliere le macchie di sperma dai suoi capelli, ma lei fraintende e mi stringe anche l’altra mano. — Che fai? Sei passato alle carezze, adesso?
— No, è che…
Si porta una mano sul viso con un sorriso da bambina. Cazzo, adesso mi ricorda la mia ex assistente. Gli stessi occhi e lo stesso modo di guardarmi. Ma almeno non è pazza, almeno credo. Il suo sguardo si indurisce di colpo. — Non fraintendere. Mi piacciono le coccole post-sesso. Ma non vuol dire niente, ok?
— Ok.
Si alza, mi abbraccia. — Scopami — bisbiglia al mio orecchio.
Il cazzo mi pulsa. Le sollevo una gamba e infilo il mio uccello nella sua vagina. È stretta, bagnata. Lei lancia un gridolino eccitato e serra le braccia attorno alle mie spalle. La metto schiena al muro e me la scopo di brutto. Colpi forti e veloci, per un po'. Poi aumento e diminuisco l'intensità.
Paula si contrae per l’orgasmo diverse volte. — Non fermarti...
Picchio i miei fianchi contro il suo inguine, il rumore secco che risuona nel bagno mentre l’acqua ci scivola addosso. Guardo la macchia di sperma nei suoi capelli. Non c'è più. L'acqua l'ha lavata via.
Tiro fuori il pene e le vengo sull’addome. Poca roba. L’uccello comincia a farmi un po' male.
Paula se lo toglie via con un dito. — Ha un odore forte...
— Già...
— Mi piace.
Mi acciglio, turbato. — Ok...
— Ora laviamoci. Dopo devo uscire con uno.
— Va bene.
Dopo un po', usciamo dalla doccia e dal bagno. Seguo Paula in camera da letto e mi siedo su una poltrona. Sul letto, c'è un lungo vestito nero con una spaccatura su un lato. Lo indossa. — Come sto?
— Bene.
— Sicuro? — Mi mostra il sedere aderente al vestito. — Mi fa un bel culo?
— Sì.
— Lo vuoi?
— Cosa? Il vestito?
Fa una risatina. — Il mio didietro.
Il mio uccello si indurisce. Un formicolio di eccitamento mi risale dai piedi alla testa. — Non dire certe cose.
— Perché no? Non lo vorresti? Saresti il primo.
— Ah, che onore.
— Per ora, ho solo usato dei giocattoli. Ma non credo sia la stessa cosa con... — Fa un accenno con gli occhi, verso il mio pene. — Non lo vuoi?
Il suo cellulare squilla.
Ci guardiamo, per un momento.
Il telefono continua a suonare.
Paula distoglie lo sguardo, lo prende da sopra il letto e se lo porta all'orecchio. — Sì? Certo... Mezz’ora... Va bene... Passa a prendermi. — Riattacca, mi guarda. — Non mi hai risposto.
Mi alzo, la raggiungo e le do uno schiaffo sul culo. Lei sussulta eccitata mentre si morde il labbro. Sorrido. — Ora vado
scritto il
2025-08-03
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