La focaccia di Recco
di
Yuko
genere
saffico
La ragazza asiatica affonda con lentezza le dita nella massa morbida e cedevole, assaporando un'inebriante sensazione di possesso e di perdizione, mentre di fronte a lei due occhi sbarrati risaltano grottescamente sul viso color ebano della ragazza africana.
La fronte lucida di sudore trapela l'eccitazione insostenibile della senegalese che sente quelle dita direttamente nel tessuto morbido dei propri seni, grossi e ubertosi.
I capezzoli sembrano voler trapassare il tessuto del reggiseno per lacerare la maglietta ed esporsi direttamente, per implorare un'attenzione che a loro pare ingiustamente negata.
Le scure more bramano quelle dita che lavorano la massa morbida, ora nervose e scattanti, ora lente e inesorabili, come un verdetto fatale e inappellabile. Chiedono baci e carezze, morsi e pizzicotti, una tortura lunga e liberatoria che però tarda a venire, e l'attesa prolunga uno strazio umanamente inaccettabile.
“Jadine? Ciao, sono Yuko!” La voce al cellulare, nel pomeriggio afoso dell'agosto milanese.
“Bonjour mon amour! Ça va?”
Quel modo di parlare in francese degli africani nati nelle regioni occidentali del Sahel; quelle espressioni che fanno rabbrividire i transalpini più ortodossi e che invece in Africa sono così caratterizzanti.
“Stasera sono sola, ti faccio la focaccia di Recco, vieni a cena da me?”
“Putain merde! Bien sur!”
Jadine, una giovane senegalese trapiantata in padania; uno stile impeccabile, una raffinatezza lessicale, una classe superiore, caratteristica dell'amica dei tempi del liceo.
“Ti do una mano? Devo portare qualcosa?”
“Porta te stessa, ho già tutto. Vieni subito, ok?”
“Ça va sans dire, je viens tout de suite!”
“Corri, troietta!”
La giapponese immerge le dita, la pasta sfugge tra le falangi, tramandando sensazioni tattili che sprigionano endorfine nel cervello, dirottate immediatamente agli organi genitali.
Lo sguardo si alterna tra la mole di pasta, molle e oleosa, e lo sguardo atterrito dell'amica, inchiodata sulla sedia di fronte al tavolo, nella piccola cucina che di colpo sembra trasformata nel museo della tortura medievale di San Giminiano.
Una spallina della canotta di Yuko, volutamente troppo larga, le è già scivolata sul braccio, trattenuta da un bicipite contratto, un muscolo tondo e tonico, plasmato da ore di arrampicata su roccia. La spalla nuda e l'ascella della donna orientale convogliano lo sguardo dell'africana verso l'attacco del seno dell'amica, alimentando voglie indicibili. Un evocativo richiamo sessuale che urla appagamento, ma che non può ancora trovare soddisfazione, arma crudele con cui la nipponica sta facendo rosolare l'altra donna, da troppo tempo a digiuno di sesso saffico.
L'afa di Milano e l'intenso sforzo fisico hanno imperlato anche la fronte della nipponica, bagnando la maglietta sopra la rotondità dei seni, facendo aderire il tessuto alle mammelle, in continuo moto ondulatorio nei movimenti dell'impasto. La trasparenza del tessuto bagnato evidenzia i capezzoli scuri, eccitati dal reiterato sfregamento sul cotone.
Jadine è paralizzata sullo scranno, lo sguardo magnetizzato sul seno dell'amica, animato da un ondeggiamento pendolare insostenibile, sui capezzoli che traspaiono, scuri, attraverso il tessuto nadido di sudore, sulla clavicola e verso l'ascella nuda con quella spallina caduta che la trafigge come una dolorosa pugnalata direttamente nella vulva, una tempesta epilettica che la incolla alla sedia peggio che fosse trattenuta da strette cinghie di cuoio.
500 grammi di farina tipo Manitoba, 80 millilitri di olio di oliva, 200 millilitri di acqua tiepida, mezzo cucchiaino di sale: la ricetta suggerita all'asiatica direttamente in una focacceria del noto paese della riviera ligure di levante. L'impasto fatto a mano, sotto gli occhi inconsapevoli della senegalese, e quella canottierina dei New York Yankees, troppo larga, che Yuko utilizza quando il suo corpo deve trasformarsi in arma letale di seduzione. Sì, perchè la sigla NY rappresenta anche le proprie iniziali. Così larga, quella maglietta, che le basta chinarsi un poco in avanti per rapire ogni sguardo nella scollatura e ottenere qualsiasi resa, incondizionatamente.
La donna nata nelle distese sub-sahariane ha da tempo dimenticato l'Ichnusa non filtrata, lì, sul pavimento della cucina; i calzoncini da ginnastica che le lasciano le cosce all'aria aperta e le gambe conserte con i piedi nudi sulla sedia, si sta liquefacendo di desiderio mal represso mentre l'amica e amante, il volto sporco di farina, alcune ciocche di capelli appiccicati sulla fronte sudata e gli altri raccolti in una coda che le lascia il collo libero, continua l'impasto crogiolandosi nella consapevole tortura dell'amica.
Con un sospiro di sollievo di entrambe le donne, il tempo dell'impasto termina.
Yuko potrebbe risistemare la spallina, ma resta a osservare lo sguardo compiaciuto della giovane dalla pelle di ebano che l'accarezza con gli occhi con un'intensità che la giapponese percepisce violentemente sulla propria pelle.
La tensione sembra calare quando la padrona di casa distende col mattarello la pasta in sfoglie sottilissime, sistemandola sulle teglie, ma al momento di sistemare la crescenza, lavorata e ammorbidita con un poco di acqua, l'equilibrio si spezza nuovamente.
La pasta del formaggio fresco viene distesa sulla focaccia gialla di olio, con un contrasto quasi accecante, ma sul finire, Yuko abbandona il coltello che usava come spatola per disperdere la bianca distesa direttamente con le mani.
Quelle dita lunghe e affusolate ora si muovono in un lago melmoso di docile crescenza, bagnandosi e affondando con un'enfasi allusiva che immediatamente inalbera l'attenzione dell'africana.
“Cazzo, Yuko!”
Le dita affondano e ricompaiono mentre la molle e fresca distesa di crescenza viene espansa sulla superficie della teglia. Un richiamo non troppo velato a movimenti di molle affondamento che Jadine riverbera tra le proprie cosce con effetti devastanti.
Le seconda spallina della canottierina non tarda a cedere al movimento del busto e delle braccia della figlia del Sol Levante, ma questa volta, Yuko, le mani bagnate dalla crescenza, non può far nulla per risollevarla e l'indumento inesorabilmente le scivola sul seno, trattenuto nel punto più sporgente solo da un alito, un filo di ragnatela, un'effimera resistenza, sotto gli occhi pietrificati dell'amica che sta per vedere comparire, esplicito, il petto nudo dell'orientale.
Una piccola scossa delle spalle, ostentata con piglio e sicurezza, e la canotta decanta tragicamente sull'ombelico dell'asiatica, lasciando scoperto il seno, pieno e tondo, imperiosamente provocante.
“Cazzo, Yuko!!!”
La senegalese si è portata, senza esserne consapevole, una mano tra le cosce e ha iniziato a sfiorarsi il pube con la leggerezza di un'ala di libellula. Una micidiale sensazione di liquefazione le sconvolge i genitali e un rivolo che ha vinto la resistenza delle sue mutandine ormai bagnate, le scivola con lentezza geologica su una coscia, scardinando sensazioni irresistibili.
Yuko ha terminato la spalmatura della crescenza.
Ma invece di lavarsi le mani al lavandino, inizia a fissare uno sguardo di sfida negli occhi dell'amica inerme e ormai succube di sevizie di ancestrale orientalità.
Con sguardo ipnotico la giapponese si prende i capezzoli tra le dita intrise di crema bianca, iniziando a strofinarseli tra pollice e indice.
“Merde...!”
Jadine spalanca la bocca, lentamente. Le pupille si dilatano, una goccia di sudore le cola dalla fronte e le sue dita affondano sui calzoncini da ginnastica cercando di spingersi tra le proprie grandi labbra.
Yuko non molla lo sguardo, anche se ormai l'africana pare sigillata sui movimenti delle dita nipponiche sui capezzoli dove la lattiginosa crema si confonde con la mucosa pigmentata nel lento movimento dei polpastrelli. Poi le punte delle falangi iniziano un simmetrico movimento rotatorio sulle areole provocando uno spasimo nel respiro della giapponese cui risponde una contrazione del ventre della senegalese. Con le dita impiantate nella vulva, in un ulteriore movimento verso il clitoride, Jadine soffoca un rantolo selvaggio, un primo orgasmo liberatorio, capitato all'improvviso, imprevedibile nella sua precocità.
L'africana contrae il ventre, ma resiste con gli occhi socchiusi agganciando lo sguardo dell'asiatica, prima di contorcersi in un nuovo urlo roco e trattenuto.
“Mon dieu, Yuko, tu me fais mourir...”
Un sibilo spento in un sussurro a punta di labbra.
Yuko raddrizza il busto, esponendo il seno, alto e perentorio, i capezzoli imbrattati di crescenza, la sensazione bagnata ancora imperante sul seno, il respiro accelerato nell'eccitazione dopo aver assistito all'orgasmo dell'amica.
Silenziosamente raccoglie un altro strato di pasta e lo depone sulla crescenza.
Il forno è già caldissimo, pronto a raccogliere l'opera delle sue mani.
Con voce sommessa, in un sospiro, le ultime parole: “Jadine, apri il forno...”
La fronte lucida di sudore trapela l'eccitazione insostenibile della senegalese che sente quelle dita direttamente nel tessuto morbido dei propri seni, grossi e ubertosi.
I capezzoli sembrano voler trapassare il tessuto del reggiseno per lacerare la maglietta ed esporsi direttamente, per implorare un'attenzione che a loro pare ingiustamente negata.
Le scure more bramano quelle dita che lavorano la massa morbida, ora nervose e scattanti, ora lente e inesorabili, come un verdetto fatale e inappellabile. Chiedono baci e carezze, morsi e pizzicotti, una tortura lunga e liberatoria che però tarda a venire, e l'attesa prolunga uno strazio umanamente inaccettabile.
“Jadine? Ciao, sono Yuko!” La voce al cellulare, nel pomeriggio afoso dell'agosto milanese.
“Bonjour mon amour! Ça va?”
Quel modo di parlare in francese degli africani nati nelle regioni occidentali del Sahel; quelle espressioni che fanno rabbrividire i transalpini più ortodossi e che invece in Africa sono così caratterizzanti.
“Stasera sono sola, ti faccio la focaccia di Recco, vieni a cena da me?”
“Putain merde! Bien sur!”
Jadine, una giovane senegalese trapiantata in padania; uno stile impeccabile, una raffinatezza lessicale, una classe superiore, caratteristica dell'amica dei tempi del liceo.
“Ti do una mano? Devo portare qualcosa?”
“Porta te stessa, ho già tutto. Vieni subito, ok?”
“Ça va sans dire, je viens tout de suite!”
“Corri, troietta!”
La giapponese immerge le dita, la pasta sfugge tra le falangi, tramandando sensazioni tattili che sprigionano endorfine nel cervello, dirottate immediatamente agli organi genitali.
Lo sguardo si alterna tra la mole di pasta, molle e oleosa, e lo sguardo atterrito dell'amica, inchiodata sulla sedia di fronte al tavolo, nella piccola cucina che di colpo sembra trasformata nel museo della tortura medievale di San Giminiano.
Una spallina della canotta di Yuko, volutamente troppo larga, le è già scivolata sul braccio, trattenuta da un bicipite contratto, un muscolo tondo e tonico, plasmato da ore di arrampicata su roccia. La spalla nuda e l'ascella della donna orientale convogliano lo sguardo dell'africana verso l'attacco del seno dell'amica, alimentando voglie indicibili. Un evocativo richiamo sessuale che urla appagamento, ma che non può ancora trovare soddisfazione, arma crudele con cui la nipponica sta facendo rosolare l'altra donna, da troppo tempo a digiuno di sesso saffico.
L'afa di Milano e l'intenso sforzo fisico hanno imperlato anche la fronte della nipponica, bagnando la maglietta sopra la rotondità dei seni, facendo aderire il tessuto alle mammelle, in continuo moto ondulatorio nei movimenti dell'impasto. La trasparenza del tessuto bagnato evidenzia i capezzoli scuri, eccitati dal reiterato sfregamento sul cotone.
Jadine è paralizzata sullo scranno, lo sguardo magnetizzato sul seno dell'amica, animato da un ondeggiamento pendolare insostenibile, sui capezzoli che traspaiono, scuri, attraverso il tessuto nadido di sudore, sulla clavicola e verso l'ascella nuda con quella spallina caduta che la trafigge come una dolorosa pugnalata direttamente nella vulva, una tempesta epilettica che la incolla alla sedia peggio che fosse trattenuta da strette cinghie di cuoio.
500 grammi di farina tipo Manitoba, 80 millilitri di olio di oliva, 200 millilitri di acqua tiepida, mezzo cucchiaino di sale: la ricetta suggerita all'asiatica direttamente in una focacceria del noto paese della riviera ligure di levante. L'impasto fatto a mano, sotto gli occhi inconsapevoli della senegalese, e quella canottierina dei New York Yankees, troppo larga, che Yuko utilizza quando il suo corpo deve trasformarsi in arma letale di seduzione. Sì, perchè la sigla NY rappresenta anche le proprie iniziali. Così larga, quella maglietta, che le basta chinarsi un poco in avanti per rapire ogni sguardo nella scollatura e ottenere qualsiasi resa, incondizionatamente.
La donna nata nelle distese sub-sahariane ha da tempo dimenticato l'Ichnusa non filtrata, lì, sul pavimento della cucina; i calzoncini da ginnastica che le lasciano le cosce all'aria aperta e le gambe conserte con i piedi nudi sulla sedia, si sta liquefacendo di desiderio mal represso mentre l'amica e amante, il volto sporco di farina, alcune ciocche di capelli appiccicati sulla fronte sudata e gli altri raccolti in una coda che le lascia il collo libero, continua l'impasto crogiolandosi nella consapevole tortura dell'amica.
Con un sospiro di sollievo di entrambe le donne, il tempo dell'impasto termina.
Yuko potrebbe risistemare la spallina, ma resta a osservare lo sguardo compiaciuto della giovane dalla pelle di ebano che l'accarezza con gli occhi con un'intensità che la giapponese percepisce violentemente sulla propria pelle.
La tensione sembra calare quando la padrona di casa distende col mattarello la pasta in sfoglie sottilissime, sistemandola sulle teglie, ma al momento di sistemare la crescenza, lavorata e ammorbidita con un poco di acqua, l'equilibrio si spezza nuovamente.
La pasta del formaggio fresco viene distesa sulla focaccia gialla di olio, con un contrasto quasi accecante, ma sul finire, Yuko abbandona il coltello che usava come spatola per disperdere la bianca distesa direttamente con le mani.
Quelle dita lunghe e affusolate ora si muovono in un lago melmoso di docile crescenza, bagnandosi e affondando con un'enfasi allusiva che immediatamente inalbera l'attenzione dell'africana.
“Cazzo, Yuko!”
Le dita affondano e ricompaiono mentre la molle e fresca distesa di crescenza viene espansa sulla superficie della teglia. Un richiamo non troppo velato a movimenti di molle affondamento che Jadine riverbera tra le proprie cosce con effetti devastanti.
Le seconda spallina della canottierina non tarda a cedere al movimento del busto e delle braccia della figlia del Sol Levante, ma questa volta, Yuko, le mani bagnate dalla crescenza, non può far nulla per risollevarla e l'indumento inesorabilmente le scivola sul seno, trattenuto nel punto più sporgente solo da un alito, un filo di ragnatela, un'effimera resistenza, sotto gli occhi pietrificati dell'amica che sta per vedere comparire, esplicito, il petto nudo dell'orientale.
Una piccola scossa delle spalle, ostentata con piglio e sicurezza, e la canotta decanta tragicamente sull'ombelico dell'asiatica, lasciando scoperto il seno, pieno e tondo, imperiosamente provocante.
“Cazzo, Yuko!!!”
La senegalese si è portata, senza esserne consapevole, una mano tra le cosce e ha iniziato a sfiorarsi il pube con la leggerezza di un'ala di libellula. Una micidiale sensazione di liquefazione le sconvolge i genitali e un rivolo che ha vinto la resistenza delle sue mutandine ormai bagnate, le scivola con lentezza geologica su una coscia, scardinando sensazioni irresistibili.
Yuko ha terminato la spalmatura della crescenza.
Ma invece di lavarsi le mani al lavandino, inizia a fissare uno sguardo di sfida negli occhi dell'amica inerme e ormai succube di sevizie di ancestrale orientalità.
Con sguardo ipnotico la giapponese si prende i capezzoli tra le dita intrise di crema bianca, iniziando a strofinarseli tra pollice e indice.
“Merde...!”
Jadine spalanca la bocca, lentamente. Le pupille si dilatano, una goccia di sudore le cola dalla fronte e le sue dita affondano sui calzoncini da ginnastica cercando di spingersi tra le proprie grandi labbra.
Yuko non molla lo sguardo, anche se ormai l'africana pare sigillata sui movimenti delle dita nipponiche sui capezzoli dove la lattiginosa crema si confonde con la mucosa pigmentata nel lento movimento dei polpastrelli. Poi le punte delle falangi iniziano un simmetrico movimento rotatorio sulle areole provocando uno spasimo nel respiro della giapponese cui risponde una contrazione del ventre della senegalese. Con le dita impiantate nella vulva, in un ulteriore movimento verso il clitoride, Jadine soffoca un rantolo selvaggio, un primo orgasmo liberatorio, capitato all'improvviso, imprevedibile nella sua precocità.
L'africana contrae il ventre, ma resiste con gli occhi socchiusi agganciando lo sguardo dell'asiatica, prima di contorcersi in un nuovo urlo roco e trattenuto.
“Mon dieu, Yuko, tu me fais mourir...”
Un sibilo spento in un sussurro a punta di labbra.
Yuko raddrizza il busto, esponendo il seno, alto e perentorio, i capezzoli imbrattati di crescenza, la sensazione bagnata ancora imperante sul seno, il respiro accelerato nell'eccitazione dopo aver assistito all'orgasmo dell'amica.
Silenziosamente raccoglie un altro strato di pasta e lo depone sulla crescenza.
Il forno è già caldissimo, pronto a raccogliere l'opera delle sue mani.
Con voce sommessa, in un sospiro, le ultime parole: “Jadine, apri il forno...”
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