Mia cugina: Parte 28

di
genere
incesti

Passa una settimana. Non sento Ilaria da quel giorno. Vorrei mandarle un messaggio o chiamarla, ma non ho le palle. Mi sento in difetto. Alla fine è tutta colpa mia. Ho rovinato tutto. Mi ritrovo a pensarla spesso. Chissà se mi pensa anche lei? Mi piace credere di sì.
In questi giorni ho fatto l’amore con mia cugina innumerevoli volte. Ma quando finiamo, ecco che ritornano i suoi sensi di colpa. Mi parla di Ilaria, mi incoraggia a contattarla. E alla fine se ne esce che non possiamo stare insieme. Insomma, segue un copione preciso. Talmente preciso che anticipo addirittura le sue parole. Io ci scherzo su, ma Sarah non la prende alla leggera. È convinta che io e Ilaria stiamo bene insieme, che dovremmo essere una coppia. Ma quando le dico che amo anche lei, mi alza un muro e se ne va.
In uno di quei giorni, mentre esco dal bagno per mettermi a letto, Sarah mi fissa stesa sul letto.
— Che c'è? — chiedo.
— Oggi sarà l'ultima volta.
— Per cosa?
— Non lo faremo più. Niente sesso.
Mi siedo sul letto di spalle, la luce della luna che entra dalla finestra. — Perché?
— È sbagliato.
— Lo dici sempre, eppure sei qui.
— Proprio per questo dobbiamo smettere. Non possiamo continuare così. Io non posso continuare così.
Mi volto verso di lei. — Perché? Stiamo tanto bene insieme. Perché mettere fine a tutto questo?
I suoi occhi si inumidiscono. — Perché non possiamo stare insieme. E io… — Si zittisce, abbassa lo sguardo. — Mi sto innamorando di te. Ogni giorno che passo con te, mi innamoro sempre di più. Questo… — Alza gli occhi. — Questo mi rovinerà. Tu mi rovinerai. Rovinerà tutto.
Faccio per afferrare la sua mano, ma la ritira. Sorrido. — Sei felice con me?
Mi fissa. Nessuna risposta.
Mi stendo sul letto e avvicino il viso al suo. — Se ti rendo felice, tutto il resto è superfluo. A me basta stare con te.
Allontana la faccia con una smorfia. — E Ilaria? Come la metti con lei?
Sospiro. — Perché pensi sempre a lei? Qui ci siamo solo io e te.
— Tu la ami. E lei pure. Io sono la terza incomoda qui.
— Di nuovo con questa “terza incomoda." Non è così.
Si alza e si riveste.
— Te ne andrai di nuovo senza dire una parola?
Si mette il pantalone e mi guarda. — Non tornerò — dice decisa. Va alla porta della camera da letto.
Mi alzo, scatto verso di lei e la fermo per un braccio. — Aspetta!
Lei mi spinge via, ma le blocco la strada con un braccio piantato sul muro. — Perché non puoi semplicemente restare con me? — domando.
Mi fissa. Non parla.
— Perché non ti godi il momento? Perché non pensi al presente? Perché…
— Perché io non sono come te! E sai perché?
La guardo turbato. Non rispondo.
Mia cugina distoglie lo sguardo lucido. — Quando penso a noi, io sono felice. Ma quando penso al futuro, al nostro futuro… Mi sale l’ansia. Non possiamo stare insieme. Non possiamo mettere su famiglia, avere dei bambini… Possiamo solo… — Mi fissa con gli occhi arrossati per le lacrime trattenute — …scopare. Solo questo. A te potrebbe andare bene, a me no. Non mi va bene. Voglio di più.
Abbasso il braccio un po' provato. — Capisco…
Sarah mi osserva un poco stranita. — Capisci? Allora puoi immaginare come mi sento. Puoi…
La bacio e la spingo con il corpo verso il letto.
Lei volta la testa e mi spinge via. — Fermo! Non voglio.
La stendo sul letto mentre sono su di lei. — Non posso lasciarti andare. Non posso.
Mi molla uno schiaffo in faccia, ma si copre subito scioccata la bocca con una mano. — Scusa…
Mi alzo da lei. — Mi dispiace…
Si mette seduta. — Non volevo.
— Ti amo troppo. Il pensiero di perderti… non mi fa ragionare.
Un breve silenzio.
Mi volto verso la finestra. — Se vuoi andartene, non ti fermerò… Ho sbagliato. E ti chiedo scusa. Ma ti capisco quando dici che ti rovinerò la vita. È così… Se rimani, te la rovinerò. Perciò…
Altro silenzio. Più lungo.
Un gatto miagola in strada. Alcuni ragazzi chiacchierano mentre passano lungo il marciapiede.
Sarah si alza e va via. Sento la porta dell’ingresso chiudersi. Mi affaccio alla finestra e la guardo allontanarsi verso la sua macchina. Ci si ferma davanti, solleva lo sguardo verso la mia finestra e ci guardiamo per un momento. Poi sale in auto e si allontana lungo la strada.
Resto affacciato alla finestra per non so quanto tempo. Ho i gomiti che mi fanno male. Ma non m'importa. Il dolore fisico non è nulla paragonato a quello che ho nel cuore. Vorrei urlare, sfasciare tutto, ma rimango tranquillo. Il mio viso sembra la personificazione dell’apatia. Eppure dentro c'è un caos inimmaginabile.



La sera stessa vado a bere con gli amici al solito bar. Oggi il mio amico e la sua fidanzata non ci sono. A quanto pare sono in viaggio in Grecia. Un mio amico mi dice che lei lo ha tradito di nuovo con il suo amico d'infanzia e lui l’ha perdonata. E ora hanno scelto di fare un viaggio per dimenticare tutto e ricominciare daccapo. Come se potesse essere possibile. Farebbe prima a lasciarla. Non c'è futuro tra di loro. Come non c'è futuro tra me e mia cugina. Solo in queste situazioni capisco un po' Sarah. Sono la sua rovina. Eppure non riesco a immaginare il mio futuro senza di lei. La amo così tanto? Non lo so. Quello che so con certezza è che nel mio futuro c'è il suo viso. E quello di Ilaria.
Ed eccola che arriva. Non pensavo di rivederla qui. Ilaria saluta i nostri amici, ma non me. Finge di sistemarsi il vestito lungo con lo spacco di lato. Le fisso il culo. Piccolo e tondo. Il tessuto aderente glielo fa risaltare. Il mio pene diventa duro e distolgo lo sguardo. Me la vorrei scopare di brutto. Mando giù una sorsata di birra e mi guardo intorno. La devo ignorare. Per lei sono morto. Parole sue.
Ilaria si siede accanto a me, sebbene ci sia posto dall’altra parte del tavolo. È solo una coincidenza. Non l’ha fatto per starmi vicino. Comincia a parlare con i nostri amici. Quelli la aggiornano sul nostro amico che è stato tradito. Lei non si mostra sorpresa, ma dà una risposta vaga. Cambiano argomento.
Io non li seguo. Ho la mente altrove, a Sarah. Chissà cosa sta facendo adesso? Sta lavorando, ecco cosa. Oggi è di turno all'azienda vinicola. Vorrei farci un salto, ma ho paura di come la possa prendere. Mi sembra chiaro che voglia chiudere con me. Devo aiutarla. Non posso rovinarla.
Una nostra amica ci fa notare che Ilaria non mi ha salutato. Lei abbozza un sorrisetto, ma non risponde. Io sollevo il boccale birra, dicendo con un sorriso che ero impegnato. La nostra amica non se la beve. Ci conosce da anni e sa che siamo molto legati. Ci domanda cosa succede.
— Non succede niente — rispondo con un sorrisetto. L'alcol sta cominciando a fare effetto.
Ilaria non risponde.
— Voi non me la raccontate giusta — dice la nostra amica.
Metto un braccio attorno alle spalle di Ilaria. Lei si sposta impercettibilmente con un sorrisino nervoso. La stringo a me. — Visto? Non succede niente.
La nostra amica fa per rispondere, ma arriva il suo ragazzo. Si salutano con un bacio, salutano anche noi con la mano e se ne vanno.
Ilaria scaccia il mio braccio dalla sua spalla in modo brusco e mi lancia un'occhiataccia.
Faccio finta di niente, mi scolo la birra e mi alzo. — Io vado.
— Di già? — rispondo un nostro amico. — Non è nemmeno mezzanotte.
— Sono stanco. Ho sonno.
— Non è che ti vedi con qualcuna, eh? — domanda con un sorrisetto complice. I nostri amici sorridono allo stesso modo.
Guardo di sfuggita Ilaria. Lei sta controllando il cellulare. Mi accarezzo il mento. — No, ma che. Sono solo stanco. Davvero. — Riguardo di sottecchi Ilaria. Mi sta ignorando totalmente. — Beh, io vado.
I miei amici mi salutano e mi allontano. Mi faccio largo tra la calca di gente e la musica house progressive. Sono un po' brillo. Forse troppo. Ho bevuto una birra da un litro. Diciassette percento alcolica. E due ore prima due bicchierini di Whisky. Non bevo quasi mai, ma oggi mi andava. C'è un casino assurdo nella mia testa. Volevo solo stordirmi e dimenticare tutto, ma non funziona. Non funziona mai.
Esco dal bar e comincio a barcollare lungo il marciapiede gremito di gente. Non sono proprio ubriaco, ma non riesco a camminare dritto. Appoggio una mano sul muro e continuo a muovermi così. Nella mia mente mi ronzano ancora Ilaria e Sarah. Sento un nodo alla bocca dello stomaco. È l’ansia. Non la combatto. Non avrebbe senso. Mi schiaccerebbe come un moscerino. Lascio che mi divori.
Arrivo davanti alla mia macchina e guardo il riflesso del mio viso sul finestrino della portiera. Ho il viso strano. Non so dire come, ma si vede che sto di merda. Gli occhi non mentono mai. Appoggio il busto contro la portiera e la testa sul tettuccio. Forse dovrei restare così per un po'. In giro ci sono molti carabinieri e posti di blocco. Se mi fermano, sono fottuto.
Barcollo lontano dalla mia auto e mi stendo su una panchina di legno. Fisso le foglie tra i rami sospesi sopra di me. Il vento le smuove un poco. Ci intravedo anche la mezza luna. È tutto così meraviglioso. Adoro queste cose. Non le faccio da un po', ma le adoro.
Resto a fissare le foglie per un po'. Sarah e Ilaria ancora tra i miei pensieri. Forse il mio non è amore, ma ossessione. Ma se fosse così, non avrei accettato la loro decisione. Mi sarei imposto. Invece le ho lasciate andare. Non è amore questo? Non lo so più. Mi sto facendo così tante seghe mentali che mi ci sto perdendo.
— Fammi posto — dice una voce femminile.
Sposto lo sguardo nella sua direzione e sgrano gli occhi sorpreso. — Tu…
La mia ex assistente mi sorride in modo infantile. — Allora? Vuoi farmi sedere?
— Che ci fai qui?
— Sposta le gambe.
Mi metto a sedere. — Che ci fai qui?
Lei si siede e si guarda attorno. — È proprio una bella serata, non trovi? — Mi alzo per andare via, ma mi trattiene per un polso. — Dove credi di andare?
La fisso negli occhi. — Che vuoi?
— Hai bevuto?
— Rispondi.
— Ero nei paraggi.
— Certo, nei paraggi.
Mi tira verso di sé e mi fa sedere. Molla la presa dal mio polso. — Perché fai così? Che ti ho fatto?
— Cos’è? Hai la memoria corta?
— Sono qui con un’amica.
— Certo.
Si volta e mi indica una ragazza. La guardo. È bellissima. Una bellezza latina, particolare, genuina. Bassa, fianchi larghi, lunghi capelli neri e una seconda abbondante di seno. I suoi occhi tradiscono una sensualità velata.
Distolgo lo sguardo. Dev’essere una ragazzina come la mia ex assistente. Non devo fare certi pensieri.
— Visto? — dice lei. — Ora mi credi
Non rispondo.
La mia ex assistente si fa più vicino a me. — Come stai?
La guardo turbato. — Perché questa domanda?
— Sembri molto triste.
— Sto bene.
— Non ti credo.
— Non credermi.
— E dai.
Sbuffo irritato. — Senti, perché non te ne vai?
— Perché dovrei? Sto bene qui.
— La tua amica ti sta aspettando.
Lei la guardo di sfuggita. — Deve incontrare un amico. Tra poco andrà via.
— Certo…
Incrocia le braccia con il broncio. — Perché non mi credi?
La fisso negli occhi per un attimo. — Perché sei una psicopatica. Potresti dirmi di tutto per restare qui con me.
I suoi occhi si stringono in due strette fessure. — Non ti piace essere amato da me? Perché io ti amo. E ti voglio.
Distolgo lo sguardo con un sospiro. — Ecco che ricominci.
— Ti amo.
Non rispondo. L’effetto dell’alcol sta diminuendo.
Mi afferra una mano, ma la ritraggo. Lei la stringe di nuovo come fa una bambina morbosa con la sua bambola. — Perché non mi ami anche tu? Perché non lo fai? So di piacerti, allora perché…
Allontano la mano dalla sua. — Te l’ho detto un miliardo di volte. Non possiamo stare insieme. Sei troppo piccola. E io amo già… — sbuffo esasperato. — Lascia stare.
— Allora facciamolo — dice con uno sguardo supplichevole. — Facciamo l’amore. Voglio averti dentro di me.
— Smettila.
Mi riafferra la mano. — Ti prego, io ti amo. Non faccio che pensare a te. Sei nella mia testa tutto il giorno.
— Ecco perché dovresti allontanarti da me. Non ti faccio bene.
— Non dire così. Non è vero.
L’amica della mia ex assistente ci raggiunge con un ragazzo. Alto, moro, piazzato e capelli rasati. Sembra uscito da uomini e donne. Quella guarda la mia ex assistente. — Noi andiamo.
L'altra sorride. — Va bene. Divertitevi.
La ragazza latina lancia un'occhiata alla mano della sua amica stretta nella mia, mi guarda di sfuggita e se ne va con il ragazzo.
— Non è il suo fidanzato — dice la mia ex assistente.
— Lo so, è un amico. Me lo hai detto prima.
— Scopano soltanto.
— Si capiva.
— Vuoi vedere il mio nuovo appartamento?
— No.
Lei sospira. — Non vuoi nemmeno fare l'amore con me? Mi odi così tanto?
— Non ti odio. Anzi, se devo essere sincero ti voglio bene. Per questo non voglio incasinarti ancora di più.
Molla la presa dalla mia mano. — Anche tu sei incasinato. E se devo dirla tutta, lo sei anche più di me. Ti sei fatto tua cugina. E scommetto che te la stai facendo tutt'ora, non è così?!
Come lo sa? Ha tirato a indovinare? Sì, dev'essere così. Non penso si sia messa a stalkerarmi. — Pensa quello che vuoi.
— Se è così, allora perché non me? Perché non fai l’amore con me?
— Abbassa la voce.
— Non mi interessa! Che ci sentono tutti!
Mi alzo e attraverso la strada mentre alcuni passanti ci guardano. La mia ex assistente mi segue alle spalle. Cammino lungo il marciapiede e varco l’entrata di un parchetto. Non c'è nessuno. L’odore dei fiori è molto forte. Starnutisco e mi siedo su una panchina di pietra. La luce di un lampione illumina una piccola fontana. Al centro, una piccola statua di una donna dalla cui bocca sgorga l’acqua.
La mia ex assistente non si siede. Resta in piedi con le braccia conserte, gli occhi puntati su di me. Non parla.
La ignoro e alzo lo sguardo al cielo stellato, le braccia buttate lungo lo schienale della panchina. Ora mi farei un altro goccio di birra. L’effetto è sceso ancora di più. Mi ubriaco velocemente, ma altrettanto velocemente si disperde l’effetto.
La mia ex assistente si decide a sedersi. — Quindi ti faccio schifo?
— Non mi va di parlarne.
— Allora ti faccio schifo. Bene.
Tiro un lungo sospiro. — Sei ossessionata e nemmeno te ne rendi conto.
— Amare qualcuno per te è ossessione?
La guardo. — In un certo senso l’amore è un ossessione. Una specie di psicosi.
— Quindi anche tu sei pazzo come me? Ti sei fatto tua cugina...
Sposto lo sguardo sulla fontana. — Ci tieni tanto a venire a letto con me?
— Sì — risponde secca.
— Lo sai che se continui così non uscirai mai da questa situazione?
— Chi ti dice che voglia uscirne?
— Vuoi restare così per sempre? Vuoi soltanto fare l’amore con me e basta? — Scuoto la testa. — No, non ti credo. Il tuo è solo un modo per farmi avvicinare a te. Pensi che facendo l’amore con te io possa innamorarmi. Beh, non accadrà. E lo sai benissimo.
La mia ex assistente mi stringe il pene dietro i pantaloni. Non risponde.
— Che stai facendo? — domando confuso.
I suoi occhi mi fissano intensamente. — Tu mi ami già. Solo che non lo vuoi ammettere. Ma se ti piace giocare al gatto e al topo, allora mi va bene. Farò il gatto.
— Ma che stai dicendo?!
Mi abbassa la patta dei pantaloni e si stende sul fianco, la testa poggiata sul mio stomaco.
— Ferma — dico poco convinto.
Lei prende in mano il mio pene turgido e lecca il glande con la punta della lingua.
Fingo di spostarla. — Smettila. Possono vederci.
— Non mi interessa — risponde.
Metto una mano tra i suoi capelli. Lei me la stringe con la sua e si mette in bocca il mio uccello. Comincia a succhiarlo lentamente come se lo stesse gustando. Gemo e guardo il cielo punteggiato di stelle. Anche a me non frega niente se ci becca qualcuno. Farsi fare un pompino sotto le stelle credo sia il massimo.
Muovo i fianchi e glielo affondo tutto in bocca. Lei tiene ferma la testa finché lo sputa fuori. Poi ricomincia a succhiarlo per un paio di minuti.
Sposto la sua testa e vengo. Lo sperma schizza per terra e sui pantaloni. — Merda… mi sono sporcato.
— Ma sei scemo!? — domanda arrabbiata.
— Che c'è?
— Perché non mi sei venuto in bocca?
— Volevi che ti venissi in bocca?
I suoi occhi si restringono. — Secondo te?
— E che ne so. Non ho la sfera magica.
Sospira, prende un fazzoletto dalla borsetta e mi pulisce le macchie sui pantaloni.
— Dammene un altro. Mi pulisco l’uccello.
— Che linguaggio volgare...
Tendo una mano. — Mmmh?
— Non serve. Faccio io.
— In che senso?
Si inginocchia davanti a me e si mette in bocca l'uccello bagnato di sperma e saliva.
Le metto una mano sulla testa per allontanarla, ma non lo faccio. — Ma che fai!?
Sollevo lo sguardo su di me. Mi sto arrapando di brutto. Mi sorride con il mio uccello in bocca. — Te lo pulisco — biascica.
Le accarezzo i capelli. Cosa? Perché l'ho fatto? Devo stare attento a questi gesti. Potrebbe pensare chissà cosa.
Lei mi stringe la mano e muove la lingua sull’asta del pene fino a raggiungere l’inizio dei genitali. Lo pulisce con la lingua per tre minuti. Poi si alza e si siede. — Vorrei baciarti, ma non credo sia una buona idea.
— Perché lo hai fatto?
— Perché mi andava. E perché sei tu.
Faccio per rimettere il pene ancora duro nelle mutande, ma la mia ex assistente mi ferma per un braccio. Scuote la testa. — Non ho ancora finito.
— Ah, credo che tu abbia finito e come — dice una voce acida alla nostra destra.
Mi volto. — Ilaria…
— Certo che sei proprio un maiale! Ti fai fare un pompino anche all'aperto.
Mi rimetto il pene nelle mutande e mi alzo la patta. — Che ci fai qui?
— Non posso lasciarti solo per un momento, che ficchi l’uccello ovunque!
Mi alzo.
Lei mi viene incontro, mi spinge sulla panchina e lancia un'occhiataccia alla mia ex assistente. — Sei sempre tra i piedi, tu!
L’altra abbozza un sorrisino. Non parla.
— Ti sei liberata dal guinzaglio di tua madre!?
Nessuna risposta.
— Che c'è? Hai perso la voce? Hai ingoiato troppo?
— Ilaria… — dico.
— Stai zitto tu! — urla. Pianta lo sguardo sulla mia ex assistente. — Cos’è che non capisci? Lui non ti vuole. Non gli piaci!
La mia ex assistente si lascia andare sullo schienale della panchina e incrocia le braccia con un sorrisetto. — Tu sei con me. Solo che… Come dire, forse te lo scopi più di me. Ma siamo sulla stessa barca.
— Che cazzo stai dicendo?! — domanda Ilaria infuriata.
Guardo la mia ex assistente. — Ok, ora basta.
Lei fissa Ilaria. — Non ti ama. Per lui sei solo una scopata.
Ilaria le punta il dito. — Attenta a come parli, ragazzina, sennò…
— Non è così?! Non è forse vero che ama sua cugina? Pensi davvero che ci sia posto anche per te?
Afferro il polso della mia assistente e lo stringo. — Non dire puttanate!
Lei cerca di liberarsi. — Ahia! Mi fai male!
Mollo la presa e osservo il suo polso arrossato.
Lei se lo massaggia, ci guarda entrambi in cagnesco e va via con le lacrime agli occhi. Non volevo farle del male. È stato istintivo. Stava dicendo una marea di cazzate.
— Ci hai scopato? — chiede Ilaria di getto, il viso arrossato per la rabbia.
— No.
Si siede alla punta della panchina. — Un pompino vale come una scopata.
— Perché stai parlando così? Non è da te.
— Perché sono incazzata!
Cala un silenzio pesante.
Il gorgoglio dell'acqua della fontana. Il fruscio del vento tra le foglie. Il chiacchiericcio lontano della gente.
— L’ho incontrata per caso — dico.
— E non hai perso tempo, vedo.
— Non eri arrabbiata con me?
— Già, è così.
— Per te sono morto, no?
Sbuffa irritata. Non risponde.
— Perché sei qui? — chiedo.
— Volevo parlarti.
— Di cosa?
— Non lo so — dice seccata. — Volevo solo parlarti.
Restiamo in silenzio per un momento.
— Non vuoi ripensarci? — domando, lo sguardo fisso sul cielo tempestato di stelle.
— Non sarò mai la tua seconda scelta. Mai!
— Ma non lo sei.
Si volta a guardarmi. — Invece sì. Mi pare ovvio che ami tua cugina più di me. Io sono solo… — Getta uno sguardo nella direzione in cui si è allontanata la mia ex assistente. — Sono solo come quella là. Una scopata. Nulla di più.
Poso una mano sulla sua coscia. — Ehi, non dire così. Non è affatto vero. Io ti amo.
Si alza in piedi. — Comunque non ti ho licenziato. Domani presentati. Ci sono un sacco di arretrati.
Mi acciglio. — Ma non avevi detto che…
Mi guarda. — Mi sono lasciata andare. Ho permesso ai miei sentimenti di interferire con il lavoro. Non accadrà più. Sei troppo importante per la compagnia.
Mi alzo e la guardo negli occhi. — E riguardo a noi?
— Non c'è nessuno noi.
— Perché non ci provi? Ti chiedo solo questo.
— Se fossi al posto mio, lo faresti?
— Sì, lo farei — rispondo senza esitazione.
— Non ti credo.
— Ti sembra che stia mentendo? Guardami bene.
Mi fissa per un momento. Distoglie lo sguardo. — Non ci riesco. Mi dispiace.
La prendo per mano. — Sei disposta a lasciarmi andare?
Sposta gli occhi su di me. — No.
— Allora resta con me.
— Non posso. Io… — Si ammutolisce. — Vorrei avere una famiglia con te. Avere dei bambini. Vivere in una casa nostra e… — Si zittisce di nuovo. — Scusa, ma… Sono patetica.
Ha detto le stesse parole di Sarah. Alla fine tutto converge lì.
Una coppia ci passa accanto mano nella mano.
Ilaria ritrae la mano dalla mia. La coppia si allontana. Lei abbassa lo sguardo. — Hai visto che reazione esagerata ho avuto poco fa, no? E anche nel tuo appartamento è stata la stessa cosa.
— Che vuoi dire?
— Non potrei vivere insieme a Sarah. Noi tre. Tutto insieme... Mi sentirei una concubina. La seconda scelta. La seconda moglie. Non posso.
Faccio un sorriso agrodolce. — È tutto nella tua testa. Per me non è così. Sei importante. Se non lo fossi…
— Mi sento come quella ragazzina... Un ripiego.
— Non è un ripiego.
Ilaria aggrotta la fronte turbata. — Non lo è? Ami anche lei.
— No, non lo amo. Mi hai frainteso.
— No? Allora cos’è?
— Ehi, non ti agitare.
— Non sono agitata!
Sospiro. — È lei che mi cerca… che mi insegue, capisci? Ho cercato di cacciarla, ma torna sempre. È ossessionata.
— E quindi hai pensato bene di ficcare il tuo uccello nella bocca di quella ragazzina. Ti sembra sensato?
— No.
Ilaria incrocia le braccia. — Appunto. Non lo è. Non dovresti nemmeno sfiorarla.
— Lo so, ma… Mi ha solo fatto un pompino.
Scuote la testa irritata e rotea gli occhi al cielo. — Non è questo il punto. Non devi proprio toccarla. Non devi farci niente.
— Ma è lei che…
Getta le mani in aria esasperata. — Con te è come parlare a un muro. Non capisci. Non ci arrivi proprio.
— Ho capito cosa vuoi dire, ma… — Pianto le mani sui fianchi. — Perché stiamo parlando di lei? Non sono interessato a quella là, ma a te.
Ilaria sospira seccata. — Se vuoi stare con me, tronca con tua cugina. Definitivamente.
La guardo perplesso. — Non posso.
— Allora la questione è chiusa.
— Non lo è.
— Non starò mai con te e lei. Lo vuoi capire, sì o no?!
Mi siedo sulla panchina di pietra. — Quando ti dico che ti amo, lo penso davvero. Se tu mi chiedessi di condividerti con un altro uomo, lo farei. Tempo fa ti avrei risposto di no, ma ora… — Alzo lo sguardo su di lei. — Ora lo farei. Ti amo troppo.
Lei mi fissa per un momento. — Non ti chiederei mai una cosa del genere. Mai.
— Lo so.
— Se lo sai, allora non dovresti chiedermelo nemmeno tu.
— Sembra che alla fine ci giriamo in tondo e basta.
Sospira. — Già, proprio così.
— Non chiuderò mai con te.
— Lo so.
— Tu sei disposta a farlo veramente?
Non risponde.
Batto la mano sulla panchina. — Siediti.
— Sto bene qui.
— Ora come ora voglio fare l’amore con te.
Ilaria si acciglia confusa. — È questo cosa c'entra, adesso?
Le sorrido. Un sorriso un po' triste, stanco. — È quello che sto pensando.
— Beh, io no. Sono troppo incazzata.
— Vuoi sederti?
— No.
Un ragazzo ci passa davanti con lo sguardo fisso sul cellulare e sparisce in lontananza.
— Dai, siediti — le dico. — Non ti fanno male i piedi con quei tacchi?
— Sto bene. Non mi siederò.
Mi alzo e la prendo per mano. Lei la ritrae, ma la riprendo di nuovo. — Ti va un gelato?
Ilaria guarda la mia mano nella sua, poi alza lo sguardo su di me. — È tardi. La gelateria sarà chiusa.
Guardo l'orologio al polso. — Sono ancora l’una e venti. Chiude alle due. Siamo ancora in tempo. Andiamo.
— Aspetta! Lasciami la mano.
— No.
— Non voglio tenerti la mano. Non stiamo insieme.
— Per me sì.
Mi carbonizza con lo sguardo e ritrae la mano bruscamente. Non parla.
— Va bene, come vuoi — dico.
— Se vuoi tenermi la mano, sai cosa fare.
Non rispondo.
Lasciamo il parchetto, attraversiamo la strada e raggiungiamo la gelateria. Non c'è molta gente. Perlopiù coppiette sui vent'anni. Noi siamo gli unici trentenni. Mentre aspettiamo, Ilaria mi ignora totalmente. Si mette a messaggiare con chissà chi mentre smorza qualche risatina. Amiche? Probabile. Un uomo? Mmmh, non lo so. Se fosse così, non starebbe qui con me. Oppure sì? E poi ha tutto il diritto di sentirsi con un altro. Tutti sono meglio di me.
La gelataia mi guarda. È il nostro turno.
scritto il
2025-07-13
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