Morbida carne e dura pietra

di
genere
prime esperienze


Lei parlava col corpo.
Era una calda giornata di maggio. Il sole, alto e deciso sulle rocce del promontorio. Nessun turista, nessun pescatore, nemmeno un’escursione in lontananza. Lo aveva scelto per questo: per scomparire. Per appartenere, almeno per qualche ora, soltanto alla terra e al vento.
Parcheggiò lontano e scese a piedi, seguendo un sentiero sconnesso tra i massi e il ginepro. Trovò una terrazza naturale, incastonata tra due grandi rocce granitiche, e vi stese il telo con calma, come un rito. Indossava jeans chiari, una maglietta leggera e una felpa lasciata aperta. Si tolse prima quella, poi la maglietta. Il sole le accarezzò la pelle. Infine si sfilò i jeans, lentamente, liberando gambe, fianchi e bacino.
Rimase nuda. Solo un cappello le ombreggiava il volto. Il corpo, esposto, sembrava respirare a pieni polmoni. I seni, pieni e rotondi, si sollevavano col respiro. Il capezzolo sinistro si irrigidì al refolo improvviso. Si guardò intorno: nessuno. Sorrise, non per esibizionismo, ma per libertà.
Fece pochi passi tra i cespugli e si accovacciò per urinare, istintiva, animale, senza pudore. Le cosce lisce e dorate si aprirono; la fessura si dischiuse tra i riccioli scuri, mostrando l’umida delicatezza interna. Un piccolo getto prese a scivolare nella sabbia, liberando un odore caldo, salmastro e dolce, di pelle e femmina viva.
E proprio in quell’istante, il ragazzo la vide.
Era arrivato per caso, cercando alcune capre randagie tra i costoni di pietra. Si era fermato, attratto da un movimento: una figura nuda tra le rocce. E poi era rimasto pietrificato. Il corpo accovacciato, vulnerabile e glorioso, lo colpì come un pugno nello stomaco. La fessura esposta, lucida, il profilo dei glutei, l’odore caldo che in quel silenzio sembrava urlare.
Matteo sentì quell’odore arrivargli addosso come una folata invisibile: un misto di sale, sole e pelle bagnata, che gli si infilò nei polmoni e nel sangue.
Un sassolino traditore scivolò sotto la sua scarpa. Lei si voltò di scatto.
Lo vide. Un ragazzo, fermo, imbarazzato. Si tirò su coprendosi d’istinto, ma troppo tardi: lui l’aveva vista tutta.
— Mi dispiace… — balbettò lui. — Non volevo… l’ho vista per caso… stavo cercando gli animali…
Lei lo fissò. Il cuore le batteva forte. Non provava paura: solo un turbamento caldo, umido, difficile da decifrare. Quel viso giovane, quasi impaurito, le fece vibrare le cosce: non c’era arroganza, solo il tremito di chi si trova davanti a qualcosa di meraviglioso.
— Non è colpa tua… — disse piano. — Sei solo capitato in questo posto… forse al momento giusto…
Lui restava immobile, gli occhi pieni di lei. Lei, lentamente, abbassò una mano, poi l’altra.
Fece un passo verso di lui.
— Come ti chiami?
— Matteo…
— Sei giovane, Matteo…
— E lei è bellissima… — disse lui tutto d’un fiato.
La parola “bellissima” le entrò nelle orecchie come un tocco. Sentì il petto aprirsi, i capezzoli indurirsi, il ventre diventare più pesante. Il desiderio aveva già la forma e il calore di quel ragazzo. Lei gli prese le mani e le guidò sui propri fianchi.
— Puoi guardare. Puoi toccare. Se vuoi.
Le dita di lui tremavano sulla pelle, poi scivolarono lungo la curva della vita, fino all’anca.
Ogni sfioramento era come una scintilla che le correva tra le cosce, un richiamo antico: voleva sentire quella mano più a fondo, voleva che quell’inesperienza la toccasse ovunque.
Lei si sedette sul telo, gambe socchiuse. — Vieni.
Lui si inginocchiò davanti, toccandole le ginocchia, le cosce, poi l’attaccatura dei fianchi.
— Posso…?
— Puoi tutto, se lo fai così.
Le dita arrivarono al sesso di lei, aperto e umido. Matteo avvicinò il volto: l’odore caldo lo avvolse e gli fece girare la testa. Avrebbe voluto respirarla per ore.
Poi si alzò, abbassandosi i pantaloni con urgenza. Il sesso, teso e pulsante.
— Ora entra. Prendimi. Come vuoi. Senza paura.
Matteo avanzò, il glande già scoperto, lucido e teso. Appena sfiorò l’apertura calda e pulsante, un brivido violento gli corse lungo la schiena. Quando spinse dentro, il frenulo si tese come una corda, stirato fino al limite: un dolore sottile, acuto, che si mescolava al piacere rovente di sentirsi accolto. Lei lo avvolse subito, morbidissima, un universo caldo e umido che lo serrava da ogni lato, risucchiandolo a fondo. Ogni affondo era un precipitare, un essere inghiottito meravigliosamente.
Il calore lo stordiva, la pelle ardeva, e il dolore del frenulo diventava un filo teso che vibrava di piacere. Non resse: il ventre si contrasse, un’ondata irresistibile lo attraversò. E venne. Scosse di piacere lo piegarono mentre il seme caldo si riversava in quell’abisso vivo, mescolandosi al suo calore, perdendosi in lei.
Lei lo sentì irrompere dentro, un calore giovane e denso che la riempiva come marea improvvisa. Era carne fresca, un piacere ingenuo e irruente che le faceva vibrare ogni fibra. Le contrazioni intime lo accolsero e lo trattennero, come se volessero bere fino all’ultima goccia di quel dono inatteso.
— Mi dispiace… — disse lui.
— Non scusarti. È bellissimo. È vero. È da tanto che non sentivo un uomo tremare così solo a guardarmi.
— È finita, vero? — chiese lui ingenuo.
Lei rise. — No, caro. È appena cominciata.
E si toccò tra le cosce, ancora lucida del suo seme. Il desiderio di lui non era spento. Lei gli baciò la spalla, il petto, poi scese. Lo prese con la bocca, calda, esperta. Lo succhiava lentamente finché tornò duro. Poi si stese sotto di lui.
— Ora entra. Prendimi. Come vuoi. Senza fretta.
Matteo entrò lentamente. Lei gemette, stringendogli le natiche. Lo guidava nel ritmo. Si toccava il clitoride mentre lui affondava sotto la spinta, stavolta durevole, dei suoi potenti lombi. Il suono umido dei loro inguini colmava il silenzio di pietra. Lei si arcuò, un’onda calda le percorse il corpo.
— Vengo… ora…non fermarti ti prego — urlò. E furono insieme: lui esplose dentro, lei gridò, le cosce strette al suo bacino.
Rimasero uniti, tremanti, pelle contro pelle. Lei sorrise. — 
— Da tempo nessuno mi aveva mai presa così… così spontaneo… e profondo — mormorò, accarezzandogli la nuca.
Matteo la baciò, ancora col fiatone, il petto schiacciato contro il seno, perso e appagato. Nell’odore misto dei loro corpi e dei loro umori, lei sentiva un’eco di prime volte, di un’ingenuità che si era creduta perduta e che invece tornava viva, calda, tra le sue cosce.
Il silenzio di pietra li avvolse, custode. Sdraiati, lui col capo sul suo ventre, le dita di lei tra i suoi capelli. Il mare, in lontananza, batteva il tempo. Le ombre si allungavano. Il commiato fu sereno, senza rimpianti.

scritto il
2025-08-26
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