Oltre la lezione

di
genere
orge

Volevano fotterla da mesi. Non solo scoparla: volevano vedere la professoressa Sara nuda, in ginocchio, accaldata, scossa da gemiti, le cosce aperte, i seni fuori dalla camicetta che lei indossava con quell’aria da signora per bene. Era diventata una fantasia ossessiva, condivisa tra loro come una droga: ogni lezione era un’occasione per fissarle il culo stretto nella gonna a tubino, per immaginarsela mentre godeva urlando con la faccia premuta contro la cattedra.
Ma lei, imperturbabile, non cedeva. Rispondeva con gentilezza, con quel sorriso cortese da donna integerrima. Nessun segnale, nessuna apertura, solo quel modo strano di guardare a volte nel vuoto, quando pensava che nessuno la stesse osservando. Lì dentro, lo sentivano, qualcosa ribolliva.
— Ormai siamo alla fine — disse Tommaso, con una birra in mano e l’erezione che non riusciva più a ignorare. — E ancora non siamo riusciti a farci quella fica.
— Ma la festa di laurea è la nostra ultima possibilità — ribatté Alex. — Stavolta ci giochiamo il tutto per tutto. O si scopa o si dimentica.
— Io ho un buon presentimento — sussurrò Karim, leccandosi le labbra. — Secondo me quella troia elegante sta solo aspettando il momento giusto.
Sara aveva quarantacinque anni, due figli ormai grandi e un marito che amava ma non esauriva il suo desiderio. Sapeva di essere ancora molto attraente: se lo diceva ogni volta che si guardava allo specchio dopo la doccia, osservando i seni ancora pieni, i capezzoli scuri, la figa rifinita con cura, liscia tranne quel piccolo triangolo che si ostinava a mantenere. In ospedale la rispettavano. In aula la temevano. Ma dentro… dentro c’era un bisogno che non confessava a nessuno.
Quando ricevette l’invito alla festa, lo aprì distrattamente. “Festa riservata – solo per chi merita davvero”. Sorrise. Una provocazione, una lusinga. forse qualcosa di più. Ma quella sera, sola in casa, mentre si accingeva a coricarsi e la vestaglia si apriva sui seni nudi, lo sguardo cadde sull’invito di nuovo. Si disse, come in un sussurro:
— Solo per rompere la noia…
Scelse un vestito nero, morbido sulle curve, senza reggiseno. Sotto, solo un paio di mutandine leggere. Tacchi medi, capelli sciolti. Il trucco discreto. Ma lo sguardo, quando si guardò allo specchio, non era quello di una professoressa. Era quello di una femmina in cerca di guai.
—Come mi son conciata! Se io stessa vedessi una così ci farei dei pensieri sconci. — Rise guardandosi allo specchio.
Quando arrivò, la musica era già calda, le luci basse. I tre ragazzi la accolsero con un’eleganza sospetta.
— Professoressa… che onore — disse Alex, sfiorandole la schiena con la mano mentre la accompagnava dentro.
— Non potevamo sperare in meglio — aggiunse Tommaso, fissandole il seno sotto il vestito, dove i capezzoli si intuivano netti.
— Festeggi con noi — disse Karim, riempiendole il calice. Il tono era morbido, ma lo sguardo spudorato.
Sara sorrise, quasi divertita. Bevve. Un primo bicchiere, poi un secondo. Le battute erano sempre al limite, ma mai troppo. E lei rideva, sempre più sciolta, disinvolta. Le risate si fecero più lente, il corpo più morbido. Aveva caldo. E non era solo il vino.
Il locale si stava svuotando: lei lo notò e mostrò l’intenzionedi dirigersi verso l’uscita.
— Oh… si è fatto tardi. Forse… dovrei andare.
— Prof, sinceramente lei è un po’ brilla… — disse Tommaso con tono gentile ma deciso. — Meglio che l’accompagniamo noi. Non vogliamo che le succeda nulla.
Karim le prese la borsa, Alex la giacca. Uscirono come se nulla fosse. Ma nella loro mente, ognuno di loro sapeva che quello era l’inizio.
 
 
L’auto si fermò davanti a un palazzo anonimo, con l’androne sporco e le finestre buie. Sara sollevò lo sguardo, ancora annebbiato dall’alcol.
— Dove siamo?
— Da noi — disse Alex. — Solo un caffè, così si riprende un attimo. Poi la riaccompagniamo.
— No, non credo… non mi sembra…
— Solo dieci minuti — intervenne Karim. — E poi… si sentirà meglio.
Tommaso la prese sottobraccio con gentilezza, ma con un tocco che si fece subito più saldo, quasi possessivo. Lei si lasciò guidare. L’ascensore puzzava di fumo e umido. Ogni suono era attutito, irreale. Il cuore le batteva forte, ma non era paura. Era un’ebbrezza confusa. Una vertigine.
Entrarono. La porta si richiuse con un clac secco alle sue spalle.
Dentro c’era disordine, odore di maschi, di birra e corpi vissuti. Un appartamento da studenti, sì, ma carico di una strana energia. Divani scomposti, cuscini per terra, una luce fioca accesa in cucina. Sara si lasciò cadere sul divano, le gambe leggermente aperte, le cosce che tradivano la tensione.
Alex le tolse le scarpe, lentamente, sfiorandole il collo del piede con un dito.
— Ha piedi bellissimi, prof… li guardo ogni volta che li fa ondeggiare sotto la cattedra. Lei non ha idea di quanto mi faccia duro.
— Non dovreste parlare così… — mormorò Sara, ma la voce era già bassa, meno convinta.
Tommaso si chinò e le sfiorò il collo con le labbra. Sara non si mosse. Karim si accovacciò davanti a lei, le prese il viso fra le mani.
— Si spogli per noi. Una volta sola. Un regalo per la nostra laurea. Ce lo meritiamo, no?
— Ragazzi… — sussurrò lei, arrossendo, — io sono vostra professoressa… sono sposata…
— Lo sappiamo — disse Alex. — Ma stasera sei solo una bellissima femmina che ha voglia di essere guardata. Di lasciarsi andare, almeno per una notte.
Sara abbassò lo sguardo. Le labbra tremarono. Le mani si chiusero sul bordo del vestito, come per trattenersi.
Poi, come se qualcosa dentro di lei si spezzasse — o si liberasse — 
Sara si alzò in piedi lentamente, davanti agli occhi fissi dei ragazzi. Era scalza, le mani tremavano leggermente, ma nello sguardo c’era una sfida sporca. Sapeva di essere osservata. E voleva esserlo.

— Volete che mi spogli? Davanti a voi? Come una puttana in vetrina?

Karim sorrise, si appoggiò allo schienale, allargando le gambe.

— No, non vogliamo. Te lo ordiniamo.

Un brivido. Sara deglutì. Poi si voltò, lentamente, di spalle e fece scorrere la zip lungo la schiena. Poi esitò.
— Non son troppo vecchia per voi?
—Sei una grandissima figa.

Languidamente lasciò scivolare il vestito a terra; i seni balzarono liberi, tondi, alti, con i capezzoli già duri, esposti all’aria e allo sguardo.

— Mettiti più vicina — ordinò Tommaso. — A quattro zampe. Fai dondolare le tette.

Sara obbedì. Si mise in ginocchio, poi sui gomiti. I seni pendevano sotto di lei, sfiorando quasi il tappeto. Karim si sporse e le diede un buffetto su un capezzolo. Quello si indurì ancora di più.

— Hai i capezzoli da porca, lo sai? — le sussurrò. — Chiedono di essere presi, succhiati, morsi.

Sara tremò. Poi si rialzò.

— Non hai finito. Continua.

Sotto, portava solo un paio di mutandine trasparenti, umide al centro. Le dita le sfiorarono il bordo, poi si fermarono.

— Dillo tu, Karim. Vuoi che mi tolga anche queste?

— Non penso che a questo.

Se le sfilò: divaricò le gambe, la figa apparve liscia, gonfia, lucida. Solo un piccolo triangolo scuro sopra il clitoride.
— E ora?

— Ora girati. Mostraci il culo. Piega il busto. Voglio vedere se sei già bagnata.

Sara si voltò, lentamente. Le chiappe nude, sode, pallide e segnate da una lieve fossetta sulla schiena, si offrirono alla vista; si piegò lentamente, e con due dita si allargò da sola.

I due buchi del piacere si aprirono davanti agli sguardi avidi degli uomini: la figa lucida, intenerita, gonfia e ansiosa di essere leccata; il buchino posteriore stretto, umido, sfacciato, pulsante, pronto a essere preso come una confidenza oscena.

— Le brave professoresse non si mostrano così, non si toccano davanti agli studenti, — la irrise Tommaso.

— Io non sono più la vostra insegnante, — sussurrò Sara. — ora sono la vostra troia.
I ragazzi trattennero il fiato.
— Accidenti… — mormorò Tommaso, — queste tette sono arte. Ce le sogniamo da anni, cazzo.
Alex si avvicinò. Le sfiorò un capezzolo con la lingua, lento, preciso. Sara gemette, le gambe tremarono. Karim le prese la mano e gliela portò sul proprio inguine.
— Senti quanto ci fai effetto, guarda cosa ci combini.
Sara sentì il cazzo duro sotto i jeans, gonfio, caldo. Era come toccare il peccato stesso. Ma non si tirò indietro.
— Cazzo… — disse Alex. — È perfetta.
Karim si inginocchiò e le baciò l’interno coscia. Tommaso si chinò a baciarle i piedi. Alex, dietro, le apriva i capelli, le sussurrava parole sporche all’orecchio.
— Ti guardavamo da mesi… ogni mattina con quell’aria così formale. Ma adesso sei qui, nuda, tra noi. Sei il nostro premio di laurea, vero?
Sara ansimava. La testa reclinata, le gambe aperte, il sesso esposto. Non diceva niente. Ma non faceva nulla per fermarli.
Il gioco era cominciato.
La stesero sul tappeto come si fa con una preda, il branco famelico attorno. Sara non oppose resistenza: i suoi occhi, lucidi e sfocati, sembravano chiedere solo una cosa — continuate.
Alex le aprì le cosce con lentezza, tenendole ferme le ginocchia. Le dita di Karim già scorrevano tra le labbra gonfie della sua figa, che brillava di umori densi, caldi, colanti.
— Guardate che pozza ha… — mormorò. — La nostra professoressa è una troia bagnata fradicia.
Tommaso le si mise alle spalle, le baciava il collo.
— Diccelo… diccelo che ti piace, che volevi essere scopata così, da tre cazzi giovani, duri, affamati.
Sara gemeva, le labbra dischiuse, le pupille dilatate.
— Sì… sì, fate di me quello che volete… — sussurrò disponibile. — Non fermatevi.
Karim affondò la lingua nella sua figa come in un frutto maturo, succhiandola con forza, mentre le dita di Alex le tiravano i capezzoli verso l’alto, li torcevano con cattiveria dosata.
— Guarda come gode, la porcella — disse Alex. — Sta tremando tutta.
— Ha le gambe che le si spalancano da sole — rise Tommaso, mentre con la mano le esplorava l’ano, passandoci sopra il dito bagnato. — Sta chiedendo di essere presa anche qui. Non è vero, troia? Vuoi il cazzo anche nel culo?
— Sì… — gemette lei, con un filo di voce. — Dentro… ovunque… non abbiate alcun rispetto.
Le parole avevano perso ogni decenza. Il corpo era tutto. I ragazzi si denudarono rapidamente: tre cazzi duri, giovani, spavaldi. Uno la prese in bocca. Sara lo ingoiò fino alla radice, con avidità disperata. Gorgogliava, affamata.
— Succhia bene… — grugnì Alex, tenendole i capelli. — Te la sei tenuta stretta per anni, quella bocca. Ma ora ce la godiamo noi.
Tommaso intanto la penetrava da dietro. Il suo cazzo le entrava in figa con forza, le sbatteva le chiappe con colpi secchi, umidi, mentre Karim le allargava l’ano con due dita.
— La prepariamo bene — disse. — Questa cagna deve imparare a farselo mettere anche lì.
Sara era senza più freni. Il suo corpo sobbalzava tra le spinte, tra le dita che le scavavano il culo e la lingua che le leccava le mammelle morbide.
— Sentite come ansima… — disse Alex, tirando fuori il cazzo dalla sua bocca. — Sta per venire da femmina in calore.
— Fatemela succhiare — disse Karim. — E poi glielo ficco nel culo.
Le cambiarono posizione come una bambola: a quattro zampe, con la figa gocciolante e il culo ben esposto. Le mani la tenevano aperta, le dita le spalancavano gli orifizi. Tommaso le si mise davanti, le infilò il cazzo in bocca. Karim si posizionò dietro.
— Ora ti scopo il culo, professoressa — sibilò. — Come non te l’ha mai fatto nessuno.
Lei pensò : —Non esagerare, non sei certo il primo e se sapessi….
Entrò con lentezza, poi affondò con violenza. Sara urlò. Di dolore? No. Di piacere puro, animalesco. Il culo le veniva allargato a forza, e lei spingeva indietro, per prenderlo tutto.
— Siii, lo sento… sei bravo… — gemette, con la bocca piena.
— Sei magnifica, — grugnì Karim.
Continuarono così, alternandosi. Culo, bocca, figa. A turno. A coppie. Tutti insieme. La riempivano, la riaprivano, la travolgevano.
Le mani sulle sue tette, sulla gola, sulla pancia. Le sborra sulla lingua, sul culo, sul ventre. Ma lei, persa ogni inibizione, non diceva mai “basta”, anzi incitava.
— Ancora… voglio tutto… non fermatevi…
Venne più volte, con il corpo scosso da spasmi profondi. Le cosce bagnate, la bocca impastata di saliva e liquido seminale.
Alla fine, la lasciarono distesa, le gambe aperte, il ventre cosparso di gocce bianche e calde, il culo arrossato, la figa pulsante, usata e distrutta. 
Epilogo

Sara era al convegno da meno di mezz’ora quando lo vide.
Completo grigio, camicia sbottonata sul collo, l’aria sicura di chi sa esattamente che effetto fa. Karim. Bastò uno sguardo, e il sangue le si fece caldo tra le gambe.
Cercò di ignorarlo. Si voltò verso un’altra collega, sorrise, bevve un sorso d’acqua. Ma lui si muoveva lento, preciso, come un cacciatore che sa di avere la preda già nella rete. Aspettò. Non le disse nulla. Fino al coffee break.
La raggiunse in silenzio, con una tazzina in mano.
— Professoressa.
Sara trasalì appena. Poi si voltò.
— Karim… non pensavo…
— È un caso. O forse no — rispose, guardandola dritta negli occhi. — Ma sono contento di rivederla. È sempre splendida.
— Sono qui per lavoro. Mi occupo di gestione, insegno ancora. Niente di nuovo.
— Davvero? Io invece non riesco a dimenticare.
— Dimenticare cosa?
— Quella notte.
Lei arrossì, fece per voltarsi, ma lui la seguì, continuò sottovoce, con tono roco.
— Lei in ginocchio. La sua bocca sporca della nostra sborra. I suoi capezzoli duri, così tesi che sembravano implorare di essere morsi.
— Karim… non dovresti…
— E quando le abbiamo allargato le gambe e le abbiamo leccato la figa finché non ha squirtato in faccia a Tommaso? Lo ricorda, prof? Il modo in cui si è lasciata fare il culo mentre succhiava, con gli occhi pieni di lacrime e godimento?
Lei deglutì. Le mani tremavano. Il sesso, sotto la gonna elegante, pulsava, caldo.
— Basta… — sussurrò. — Non puoi…
— Oh, posso. Perché so che le piace. — La incalzò il giovane uomo —Perché vedo come mi guarda. Perché sento il suo profumo, e so che ha già bagnato le mutandine.
Lo fissò. Lunghi secondi. Poi si arrese.
— Non pensavo che tu fossi anche uno stronzo.
— Solo con le donne che vogliono essere trattate da troie. E tu, professoressa… sei nata per essere scopata come l’altra volta.
Un silenzio.
— Dopo cena… hai impegni?
Lei non rispose. Si allontanò lentamente, le chiappe strette ondeggiavano sotto il tailleur scuro. Ma mentre prendeva un pasticcino dal buffet, il telefono vibrò.
Un messaggio. Karim.
“Ho ancora nelle narici il profumo della tua figa. Ho ancora in gola il sapore delle tue tette. Devo rinfrescarmi la memoria.”
Il cuore le batteva come se fosse una ragazzina al primo incontro. Guardò attorno, nessuno faceva caso a lei.
Poi scrisse, con dita veloci:
“Stanza 161. Porta socchiusa. Sarò nuda, sotto le lenzuola.”
Invio.
di
scritto il
2025-07-29
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