Il seme del dubbio. 2

di
genere
corna

Il gioco esplicito

Martina compose il numero con dita tremanti, quasi a indugiare, cercando il mio sguardo come a chiedere conferma. Le feci un sorriso appena accennato e annuii. Quando Rocco rispose, la sua voce era calda, ruvida come sempre.
«Pronto?»
«Ciao… sono Martina, la moglie di Gabriele.»
«Martina… che bella sorpresa. Tutto bene?»
«Sì, tutto bene. Ti disturbo?»
«Mai. Anche se devo ammettere che non mi aspettavo la tua voce.»
Lei fece una risata trattenuta.
«Pensavamo… se ti andasse, potresti venire da noi una sera. Così, per una chiacchierata.»
«Una chiacchierata? Interessante. A cosa devo l’onore?»
«Gabriele mi ha raccontato alcune cose su di te. Dettagli… insoliti. Divertenti.»
«Mmh… ha già iniziato a spifferare, eh? Peccato. Lui ne conosce solo una parte. Il resto va sentito dalla mia voce.»
Martina arrossì appena, abbassando lo sguardo, quasi si trovasse di fronte a Rocco.
«Sabato, se sei libero…»
«Per una serata così, e soprattutto per te, mi libero volentieri.»
Lei esitò un istante, poi mormorò:
«Non portare niente…»
Ci fu una pausa. Poi la sua voce si fece più lenta, quasi un sussurro:
«Vorrò farti… sentire tutto. Nei dettagli. E non solo con le orecchie.»

Il vino era buono, la cena semplice ma curata. Le chiacchiere iniziali erano quasi normali: un po’ di lavoro, battute sul traffico. Ma sotto la superficie ribolliva un’intesa sorda, visibile nei gesti, nei sorrisi, nei silenzi troppo densi. Tutti sapevamo perché eravamo lì.
Rocco raccontava le sue solite storie con dovizia di particolari. Martina rideva più del solito, lanciando sguardi fugaci, sfuggenti ma carichi, prima a lui, poi a me. Le gambe accavallate, il bicchiere tra le dita, la lingua che di tanto in tanto lambiva il bordo. Rocco la osservava senza pudore, con quel sorriso storto da predatore.
Poi si alzò. Lento. Misurato. Si avvicinò a Martina e le mise una mano sulla spalla.
«Siamo persone adulte. E sappiamo bene perché siamo qui stasera, vero collega? Vero, Martina?»
Martina abbassò lo sguardo. Le mani tremavano appena mentre sistemava i bicchieri. Io ero immobile. Trattenevo il respiro.
«Non c’è bisogno di fingere. La cena era solo un pretesto.»
Martina sollevò gli occhi verso di me. Cercava un cenno. Glielo diedi. Lei si voltò verso Rocco. E il suo sguardo smise di nascondersi.
«Gabriele, scusa se mi permetto… ma tua moglie… tua moglie è proprio una gran fica.»
Le si mise dietro. Le mani scivolarono sulle braccia nude, sulla scollatura. Con lentezza le aprì il vestito, lasciando scivolare il tessuto fino a scoprire le spalle, poi il seno, sodo e giovane.
«Accidenti...» sibilò. «Che spettacolo.»
Ero seduto, il bicchiere in mano. Non dicevo nulla. Guardavo. Martina respirava più in fretta, il volto arrossato di eccitazione. Rocco le prese i seni, li accarezzò con dita tozze e decise.
«Guarda qui... capezzoli duri. Perfetti. Guarda come respira, collega. Sta fremendo.»
Martina non si mosse. Le labbra socchiuse, il petto che si sollevava rapido.
«Dai, Martina… facci vedere com’è tutta…» disse con voce roca, scendendo ancora con le mani. Il vestito cadde del tutto, rivelando il ventre, i fianchi, il sesso folto e lucido.
Rocco si chinò. Le dita affondarono tra le cosce.
«Porca puttana… è già bagnata.»
Trattenni il fiato. Sentivo il cuore in gola.
«Guardala bene, Gabriele. Tua moglie è una troia. Una troia bellissima.»
Martina era in piedi, nuda, le cosce leggermente aperte, mentre due uomini la fissavano. Uno ero io. L’altro, il porco che stava per cominciare.
Rocco si inginocchiò davanti a lei. Osservava il sesso folto come un oggetto di culto.
«Che pelo… così si riconosce una donna vera. Niente rasature da rivista patinata. Questa è fica viva.»
Le mani le aprirono le cosce, e la lingua affondò tra le labbra lucide. Rude, famelica, sbavante. La leccava come si lecca una bestia in calore.
Martina gemette subito, la testa riversa all’indietro, le mani sulle spalle di lui, le gambe tremanti.
«Oh Dio… sì… sì…»
Io restavo lì, immobile, con il bicchiere tra le dita. Guardavo. La bocca di lui affondata tra le cosce di mia moglie, i gemiti, il suono umido e osceno della lingua.
«Guarda come mi scopa con la lingua… oh Gabriele… mi fa impazzire…»
Rocco sollevò lo sguardo, il mento lucido.
«Senti come geme, collega. Ce l’ha che gronda. È pronta a farsela spaccare.»
Si alzò, tirò fuori il cazzo, grosso e livido, e la piegò in avanti sul divano.
Martina non si oppose. Si offrì. E lui glielo ficcò dentro con un colpo solo.
«Ohhh sì! Così!» urlò lei.
Guardavo, paralizzato. Il corpo nudo di Martina sballottato a ogni colpo, i seni che rimbalzavano, il viso stravolto.
«Ti piace, eh? Questo cazzo ti piace…»
«Sì! Gabriele… è così grosso… mi fa impazzire…»
«Guarda come urla. Non è più solo tua.»
Le mani di Rocco stringevano forte: i fianchi, i capelli, le tette. Ogni colpo era un possesso e un’offerta. La stanza si riempì del suono della carne.
Martina godeva come mai prima. Lo vedevo. E lo faceva davanti a me. Suo marito.
Ero eccitato, fottutamente eccitato.
«Sto venendo!» urlò lei. «Oh Dio, sto venendo!»
«Vieni,… vieni davanti a lui…»
E lei venne. Urlando. Il corpo che si inarcava. Il grido che spaccava l’aria.
Il ritmo non rallentò. Rocco affondava ancora, con furia. Poi si tirò indietro, afferrò il cazzo, lo portò al suo viso.
«Apri quella bocca.»
Martina obbedì. Le labbra spalancate, rosse, lucide. Il primo spruzzo le esplose in bocca. Ingoiò. Tutto. Senza smettere di guardarmi.
Rimasti soli, al buio, le chiesi:
«Era più grosso del mio?»
Martina sorrise. Gli occhi lucidi, la voce piena di qualcosa di nuovo.
«Sì. Decisamente. E non avevo mai goduto così tanto. Mi ha risvegliata.»
La fissai. Un misto di gelosia e desiderio.
«E adesso?»
Lei si avvicinò, ancora nuda, ancora calda.
«Adesso… inviti tu il prossimo?»
Il silenzio che seguì non aveva più bisogno di parole. Era già una risposta.

scritto il
2025-07-22
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