Marchiata

di
genere
dominazione

 
 Il venerdì sera aveva un che di liberatorio. L’ufficio si stava svuotando, e il sole ancora alto prometteva un fine settimana caldo, luminoso, fatto per stare nudi. Ero pronta a uscire quando il telefono squillò.
«Sandra?»
Non lo riconobbi subito. Roberto. Il mio primo uomo. L’uomo che, tanti anni fa, aveva fatto scivolare il suo cazzo dentro di me per la prima volta. Era stato impacciato, frettoloso… ma anche eccitante, sporco, indimenticabile. Mi aveva lasciata con il sangue tra le cosce e un nodo nello stomaco, a metà tra la vergogna e la gioia. Non l’avevo mai raccontato davvero a nessuno. E non l’avevo mai dimenticato.
La sua voce ora era più profonda. Mi disse che mi aveva rivista da lontano. Che gli ero rimasta dentro. Che si trovava in zona, e gli avrebbe fatto piacere vedermi.
Accettai quasi subito. Non feci finta con me stessa.
Non era solo curiosità. Volevo rivederlo. Ma più di tutto volevo scoparlo. Rivivere quella scena, ma stavolta da donna, non da ragazza inesperta. Ero maturata. Più bella, più consapevole, più sporca dentro.
Mi domandavo come fosse il suo corpo oggi, il suo odore, il suo modo di toccare. Mi chiedevo se avrebbe ricordato quanto avevo stretto le gambe quella prima volta, o quanto avevo tremato sotto di lui.
E poi c’era quella mia parte che cercava sempre il rischio. Che si eccitava nell’oltrepassare i limiti. L’idea di farmi scopare di nuovo da lui — da un uomo del mio passato, da uno che avevo lasciato a metà — mi faceva salire un calore tra le cosce.
Appuntamento fissato per martedì. Lui mi mandò l’indirizzo. Una casa in collina. Pensai che fosse la sua.
Scelsi le ballerine senza calze. Nessun reggiseno. Mutandine leggere. Profumo appena, tra le cosce.
Non sapevo ancora che quel martedì avrei attraversato un confine da cui non si torna.

La sorpresa
La casa era una colonica immersa nel verde. Quando arrivai, sentii subito un leggero disorientamento. Non era esattamente quello che mi aspettavo: niente fotografie, né libri, né disordine. Solo silenzio, ombra, odore di legno. Una casa neutra. Impersonale.
Roberto mi accolse con un sorriso caldo, ma strano. Era come se dovesse recitare una parte. Accanto a lui c’era un uomo che non conoscevo.
«Lui è Tano.»
Tano era più giovane, ma largo, compatto. Aveva il petto villoso visibile sotto la camicia sbottonata, la pelle scura, lo sguardo lento e torvo. Quando mi strinse la mano, lo fece con intenzione: la sua stretta era troppo forte, il tocco troppo lento. Mi studiava già.
Mi sedetti. Cercai di non mostrare nervosismo. Vino bianco, chiacchiere vaghe. Ma la conversazione prese subito una piega strana. Tano parlava troppo, si prendeva confidenza. Le sue battute avevano un sottotesto sessuale costante. E Roberto taceva. Rideva a vuoto, sembrava non sapere dove guardare.
Poi, senza preamboli, Tano parlò.
«Roberto mi doveva un favore. Mi ha parlato di te. Mi ha detto che eri una donna vera. Non una delle solite. Una che sa cosa vuole, anche quando fa finta di non saperlo.»
Mi voltai verso Roberto. Ma lui abbassò lo sguardo, in silenzio.
Mi si gelò il sangue. Il viso mi bruciava. Le ascelle erano madide, gocciolanti. Un sudore acre, rabbioso, di vergogna.
Mi ero preparata per un incontro erotico con un uomo che conoscevo… e invece ero stata offerta. Come un favore. Come un oggetto. Ero stata ceduta.
Scattai in piedi.
«Io me ne vado!» sputai, con una voce che non mi sembrava nemmeno mia. «Ma che cazzo credete di fare? Io non sono una cosa vostra!»
Tano non si mosse.
«Nessuno ti ha costretta, Sandra. Sei venuta tu. Con le tue gambe. Con le tue intenzioni.»
«Sì, per Roberto! Non per… questa roba!»
Mi girai verso la porta. Ma rimasi ferma. I piedi bloccati.
Una voce dentro di me, lucida e spietata, sussurrò:
“Ricordati che sei qui a tradire tuo marito. Cambia poco. Cambia solo il nome di chi ti scoperà.”
Mi sentii in trappola. E avevo paura.
Paura di Tano. Del suo sguardo oscuro e feroce, della violenza nascosta in lui..
Stavo sudando, un sudore dall’odore acre che io stessa percepivo con disagio, frutto del mio imbarazzo ma soprattutto del mio timore.
Lui annusava tutto questo e capiva di avermi in pugno.
Non ero più lì per Roberto. E non ero più una moglie.
Ero una donna con la figa bagnata. Con le cosce che pulsavano.
Con una paura che si mischiava al desiderio.
Tano fece un passo verso di me.
«Hai già scelto, Sandra. Ora lo stai solo capendo.»

Il gioco
Mi baciò con forza. Le sue mani erano già sul mio corpo. Il suo odore addosso. Mi portò dentro, senza chiedere altro. Mi spinse al muro, sollevò il vestito, mi prese in piedi. Il suo cazzo mi entrò con brutalità, mentre io lo stringevo con le gambe, affondata tra spavento e godimento.
«Hai paura. E questo ti rende ancora più vera.»
Mi fece inginocchiare. Mi spinse la testa sul suo cazzo. Lo presi in bocca, affamata. Le sue mani mi stringevano la nuca, guidandomi, facendomi sentire piccola, usata. Quando mi tolse la bocca, ero bagnata di saliva e desiderio.
Mi voltò di scatto.
Con gesti rapidi, sicuri, mi legò i polsi dietro la schiena con cinghie di cuoio. Poi mi spinse sul tappeto, a quattro zampe. Il petto nudo contro la lana ruvida, le natiche sollevate, completamente offerte. Sentivo l’aria fresca passarmi sulla fessura, sulle labbra aperte, pulsanti. Tremavo.
Tano si inginocchiò dietro di me.
Con una mano afferrò le mie natiche, le divaricò con forza. L’altra mano si infilò tra le mie cosce. Due dita umide scivolarono dentro la mia vagina, poi uscirono e risalirono, untando l’orifizio più segreto.
Lo sentii premere. Il glande sfiorò l’anello teso del mio ano. Un punto caldo, pulsante, serrato, che cercava di chiudersi, ma tremava al contatto.
«Ti apro. Ti voglio dentro così, stretta. Dove solo i più veri possono entrare.»
Mi morse una natica, poi premette ancora.
Il cazzo spinse. Forte.
Sentii l’orifizio cedere, una fitta bruciante, come se il corpo protestasse. Poi una scivolata improvvisa.
Il suo cazzo mi entrò nell’ano con un gemito sordo da parte mia. Le pareti si tendevano, si adattavano, si aprivano lentamente.
Un fuoco. Uno squarcio dolce. Un’estasi dolorosa.
Mi sentii invasa, completamente.
Come se non ci fosse più nulla da proteggere.
Tano affondò ancora. Spingeva piano, ma deciso. Ogni movimento era una morsa. Lo sentivo scivolare a fondo, fino al limite, laddove il respiro si spezza e il piacere raschia.
La sua mano mi afferrò i capelli. Mi tirò indietro la testa.
«Stai sentendo? Questo è il tuo vero punto G. Lo trovi solo lì, se hai il coraggio.»
Spingeva e tirava.
Ogni colpo era pieno, carnale. Il suo bacino batteva contro il mio culo, e io gemevo, rantolavo, mentre il mio corpo si adattava a lui come mai prima.
Sentivo l’intestino flettersi attorno al suo cazzo. Ogni centimetro era una scossa. Il piacere cominciava a dominare il dolore. Ero piena. Piena come non ero mai stata.
Infilò due dita nella mia figa mentre continuava a scoparmi in culo.
«Così ti voglio: doppia, gonfia, sfondata.»
Mi strinse i seni, poi mi morse una spalla. Le sue spinte diventarono più rapide, più forti.
Mi ritrovai a spingere indietro, a cercarlo.
A volerne ancora.
Sentii l’orgasmo montare dal basso ventre, dalla schiena, dall’ano. Un’onda oscena, incontrollabile, che mi travolse.
«Sì! Sì, scopami! Rompimi!»
Tano gemette.
Il cazzo si spinse in fondo, e riversò il suo seme dentro di me. Sentii il calore colarmi dentro. Gocce dense e vive, nelle profondità che nessuno aveva mai raggiunto.
Rimase dentro. Fermò il respiro.
Poi si ritrasse lentamente. Sentii il cazzo uscire dal mio culo, umido, allargando l’orifizio che restò aperto, pulsante, tremante.
Mi crollai a terra, legata, stordita.
Non sapevo più chi ero. Ma sapevo di essere cambiata.

Il marchio
La stanza era illuminata da una sola lampada. Mi stese su una coperta, le gambe piegate, i piedi nudi sui cuscini. Il sesso arrossato, gonfio, bagnato.
Tano aprì un astuccio metallico. Dentro, uno strumento per tatuaggi.
Mi guardò. Non parlò.
Si inginocchiò tra le mie cosce. Aprì la mia fessura con due dita guantate. Poi indicò un punto.
«Lo metto qui. Dove solo chi si inginocchia per leccarti potrà vederlo.»
Il ronzio iniziò.
Il dolore fu acuto, bruciante. Le dita dei piedi si contrassero. Il corpo si tese.
«Ti prego…»
Mi afferrò un capezzolo e lo strinse.
«Zitta. Ora ti marchio. Perché tu non possa dimenticare.»
Ogni linea incisa era una fitta. Piangevo. Eppure sentivo le cosce inumidirsi di nuovo.


Quando finì, mi prese la testa e me la fece chinare.
Due lettere.
My.
«Ogni volta che qualcuno ti leccherà qui… penserai a me.»
Chiusi gli occhi.
Non avrei raccontato nulla a nessuno.
Ma non avrei dimenticato.
Mi sentivo marchiata, invasa, posseduta.
Quel tatuaggio non era solo un segno.
Era una promessa oscena incisa nella pelle, un'impronta nella carne viva del mio sesso.
Un ricordo ineliminabile, che mi avrebbe seguito ogni volta che mi sarei lasciata toccare.
Sapevo che quel segno avrebbe parlato per me.
Che chiunque mi avesse avuta, avrebbe dovuto condividermi con quell’uomo.
Tano non era più lì. Ma c’era il suo odore sulla mia pelle, la sua voce nella testa, la sua ombra tra le cosce.
E ogni volta che avrei fatto l’amore, o sesso, o semplicemente mi fossi spogliata davanti a uno specchio,
quel piccolo segno mi avrebbe ricordato.
Mi avrebbe acceso.
Una vergogna dolce.
Una schiavitù erotica.
Un’eccitazione che non avrei mai più potuto ignorare.

 
 
 
 
 
 
di
scritto il
2025-07-27
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