Il seme del dubbio
di
rotas2sator
genere
corna
Prima parte. L’invito
Eravamo sposati da pochi mesi, ancora frastornati dall'entusiasmo di scoprirci l’uno nell’altra. Ogni gesto aveva il sapore dell’eccitazione dei nostri corpi nudi, dell’esplorazione e della promessa: la nostra sessualità era semplice, primordiale. Eppure, sotto quell’ardore ingenuo, qualcosa premeva — non ne eravamo coscienti — un bisogno inconfessato di qualcosa di nuovo, anche se fosse stato moralmente illecito. Una piccola crepa nel vetro della nostra sessualità, per certi versi casta.
Condividevo l’ufficio con Rocco, un collega più grande di me di almeno quindici anni, burbero e volgare, uno di quelli che parlano a voce alta per dare forza alle proprie argomentazioni. All’inizio mi dava fastidio. Poi cominciai ad ascoltarlo con interesse. Raccontava storie che non avrei mai immaginato potessero accadere davvero: mogli scambiate, segretarie scopate in archivio, giochi fetish e di bondage, rapporti bisex. Era sfrontato, crudo, spesso disgustoso. Ma cresceva in me uno strano fascino, insinuante, evocato da quei racconti: come se tutto ciò che diceva andasse a sollecitare pulsioni profonde e proibite.
All'inizio ridevo, scrollavo la testa incredulo, fingevo superiorità. Ma una parte di me – quella più nascosta – si scaldava. Tornavo a casa e guardavo Martina in modo diverso, le facevo domande più morbose: della sua verginità perduta con Roberto, del vicino che la guardava con occhi bavosi. Mi eccitava sapere che quelle cose esistevano. Che qualcuno le faceva. E che magari, un giorno, anche noi…
Una sera, per gioco, le raccontai uno di quegli aneddoti. E qualcosa nei suoi occhi cambiò. Fu solo un lampo, ma bastò a riscrivere le regole del nostro silenzio.
La luce della lampada filtrava attraverso il paralume ambrato, diffondendo un chiarore caldo nella stanza. Il vecchio giradischi suonava una canzone jazz lenta, con un contrabbasso dominante, il volume sommesso, come a non disturbare i pensieri. Martina era rannicchiata sul divano, la vestaglia annodata in vita, i piedi nudi contro la stoffa. Aveva ancora i capelli leggermente umidi dopo la doccia. Profumava di sapone e di caldo.
Mi sedetti accanto a lei, con un bicchiere tra le dita. Ero agitato, ma cercavo di mascherarlo con un mezzo sorriso.
«Oggi Rocco mi ha raccontato una storia. Una cosa… fuori dal mondo.»
Martina mi guardò incuriosita. «Una delle sue solite porcate?»
«Sì. No. Cioè... sì, ma questa volta era diversa. Più reale. Realizzabile.»
Lei mi fissava, tesa e incuriosita.
«Era stato invitato a cena da una coppia. Lui e loro due, basta. A fine serata gli hanno mostrato un film.»
Martina si irrigidì appena. Non disse nulla.
«Un filmetto amatoriale: la moglie che faceva sesso, mentre il marito riprendeva e parlava fuori campo. Ma la parte più incredibile è che, appena finito il film, il marito gli ha detto: “Ora fallo tu con lei, proprio come nel film.”»
Silenzio. Lungo. Teso.
Martina abbassò lo sguardo sul bicchiere. «E lui…?»
«Lo ha fatto. Tutto. Fino in fondo.»
Lei si morse il labbro. «E... tu? Quando lui ti raccontava… come ti sentivi?»
Era la prima volta che ci aprivamo così apertamente, alterando equilibri, addentrandoci in sentieri sconosciuti. Le riportai le parole di Rocco che più mi avevano colpito.
«'Ci hai mai pensato, Gabriele? A veder tua moglie con un altro?'»
«Ma che cazzo dici…» avevo risposto allora, poco convinto.
«Dico sul serio. Tu sei sposato da poco, no? Martina mi sembra una bella puledrina di razza, dallo sguardo vivace, ardente, che dietro una cortese riservatezza nasconde abissi di lussuria. A letto deve essere fantastica, se si lasciasse andare farebbe emergere la porcella che si nasconde in lei. E tu sei giovane, pulito, di quelli che fanno tutto come si deve. Ma ti sei mai chiesto cosa succederebbe se mollaste un po’ la presa? Se invece di tenertela stretta… la lasciassi andare?»
«Hai una visione un po’ contorta del matrimonio, Rocco.»
«Contorta? Forse. Ma sincera. Noi uomini ci raccontiamo un sacco di balle. Ma quando una donna ti guarda mentre si fa scopare da un altro… e tu lo sai, lo vedi, che lo fa anche per te… quella è roba vera. Roba che ti resta nel sangue.»
Il silenzio era caduto pesante nella stanza. Rocco si era alzato, stiracchiandosi.
«Pensaci, Gabriele. Magari una sera, sotto le lenzuola, butta lì la storia. Vediamo cosa ti risponde.»
Poi era uscito, lasciando dietro di sé l’odore denso del tabacco e una provocazione impossibile da ignorare.
Martina mi guardava con attenzione, le labbra lievemente dischiuse.
«Mi sono eccitato, devo ammetterlo. Non so perché. Forse per la libertà. O perché… era come entrare in un film, con la sceneggiatura scritta da noi.»
«Davvero ha detto... quelle cose? E soprattutto ti ha detto quelle cose su di me?» sussurrò. La voce le tremava, ma non era solo imbarazzo: c’era una curiosità viva, fisica, in quel tremito. Le sue labbra, piene e rosate, si mordicchiarono da sole.
Confermai. Le raccontai il resto, come Rocco lo aveva raccontato a me. Martina sembrava accendersi a ogni parola. Si muoveva appena sul divano, come se qualcosa la stringesse dentro. Lo sguardo basso, ma sognante. La vestaglia si aprì leggermente sulle cosce. Le dita giocherellavano con l’orlo.
«E tu... lo faresti?»
La fissai.
«Cosa?»
«Invitare qualcuno. Farlo guardare. Oppure... lasciarmi a qualcun altro. Come nel film.»
La voce era lieve, ma limpida. Come se avesse attraversato una soglia.
Non risposi subito. Il cuore batteva forte. Il disco cambiò traccia. Un sax malinconico accompagnava quel momento irreale.
«Non lo so. Forse sì. Se lo volessi anche tu.»
Martina arrossì, ma non distolse lo sguardo.
«Non lo so nemmeno io. Ma... quando me l’hai raccontato, qualcosa dentro è scattato.» Sorrise piano, come se stesse decidendo se giocare o no. «Vorresti che Rocco mi toccasse?»
Abbassai lo sguardo.
«Siamo sempre così misurati, Martina. Così prudenti. Forse ci servirebbe un’esperienza che ci apra. Che ci tolga quel peso di fare tutto come si deve.»
Dopo una pausa:
«Gabriele, abbiamo deciso di aspettare un paio d’anni prima di pensare a un figlio, no?»
«Sì, certo. Quindi?»
«Nel frattempo…»
Martina si alzò. La vestaglia scivolò fino all’orlo dei glutei. Si voltò appena, il volto a metà nell’ombra.
«Nel frattempo… qualche evasione non ci farebbe male.»
Mi leccai le labbra, deglutendo piano.
«Dici davvero, Martina?»
Si girò lentamente, nuda sotto la seta. Il capezzolo disegnava una piccola punta contro la stoffa. All’inguine, la trama del tessuto rivelava un triangolo scuro, invitante. Si sedette a cavalcioni su di me, lo sguardo serio, profondo.
«Ma perché no? Forse ci servirà. A conoscerci meglio. A perderci un po’... prima di tornare.»
Ci stendemmo sul letto, fianco a fianco. Il suo corpo ancora caldo, la pelle vibrante. I suoi occhi brillavano di una nuova consapevolezza.
«Raccontami,» sussurrai. «Fammi vedere cosa vorresti.»
Martina si voltò su un fianco, una gamba gettata su di me.
«Me lo chiedi davvero? Senza censure?»
«Senza censure.»
Lei sorrise, la voce più bassa, più affilata.
«Vorrei che Rocco venisse qui. Che mi guardasse senza dire nulla. Che tu fossi lì… seduto dove sei ora. Solo a guardare. E che io gli aprissi le gambe senza pudore. Come una troia.»
Deglutii. Colpito dalla dolce brutalità con cui lo diceva.
Martina proseguì, con calma:
«Vorrei che lui mi guardasse l’inguine, quel cespuglio che ti piace tanto, e dicesse qualcosa di sporco, tipo: “Non la depili? Meglio così. Mi piace infilarci la faccia.”»
«Cazzo…» sussurrai, già duro.
«Poi vorrei mettermelo in bocca. Perché è volgare. Perché ha un odore che mi confonde. Vorrei che mi tenesse i capelli. Che si muovesse senza chiedere.»
«E io?»
«Tu guarderesti. E quando io mi voltassi verso di te, vedrei quanto sei eccitato. Tanto, forse più di me.»
Fece una pausa, avvicinandosi a me con naturalezza.
«Poi lui mi girerebbe. Mi scoperebbe forte. Io griderei. Ti chiamerei. Implorerei la tua approvazione. In quel gioco sporco, complice.»
Mi mossi sopra di lei, cercando le sue labbra. Ma Martina mi fermò con una mano.
«Aspetta. Non è finita.»
La sua voce si fece più cupa, più densa.
«Vorrei che mi venisse in bocca. Che io restassi lì, con le labbra sporche, la faccia calda. E poi vorrei baciarti. Così. Sentirmi piena. Usata. Impastata del suo odore. Solo allora. Per eccitarti. Per lasciarti entrare in quello spazio dove non esistono più confini. Tra mio e tuo. Tra possesso e offerta. Vorrei che tu vedessi ogni mia espressione, ogni fremito.»
Il silenzio che seguì era carico. Un vuoto denso, dove il desiderio nudo respirava.
Martina, a cavalcioni, inclinò appena il bacino. Il contatto con la mia erezione ci fece tremare entrambi.
«Ti spaventa?» sussurrò, passandomi un dito sulle labbra.
«No. Mi eccita. Ma è come camminare su un crinale. E sotto... c’è qualcosa che mi attira. Che mi divora.»
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