Passione proibita

di
genere
tradimenti

Lavorare accanto a lui in Radiologia era sempre stato un gioco di sguardi e battute che tutti scambiavano per scherzo. Io coordinatrice, trentaquattro anni , sposata con due figli, lui radiologo brillante e troppo sicuro di sé. Le sue avances plateali divertivano i colleghi, ma dietro le sue parole ridevano altri pensieri. Io lo sapevo. Lui lo sapeva.
Quel pomeriggio d’estate tutto cambiò. Avevo deciso di rubarmi qualche ora di libertà: shorts corti, maglietta bianca leggera, i capelli ancora umidi di mare e crema solare. Seduta con le gambe abbronzate in vista, mi godevo il vento caldo. Quando comparve davanti a me, col suo sorriso inclinato e lo sguardo insolente, capii che non era lì per caso. Si sarebbe presto trasferito, e quell’addio lo rendeva disinibito, quasi feroce.
Si sedette vicino, troppo vicino. Il suo ginocchio sfiorò la mia coscia con una precisione che non lasciava dubbi. — Ora che sto per andarmene, te lo dico chiaro — sussurrò, gli occhi piantati nei miei. — Ogni volta che ti vedevo in reparto pensavo a come sarebbe stato piegarti contro un muro, togliermi la tua divisa di dosso e scoparti finché non avresti gridato. Quei fianchi, quelle gambe, il tuo seno… me li sono immaginati nudi cento volte.
Abbassò la voce ancora di più, il fiato che mi sfiorava l’orecchio. — Sai quante volte ho sognato di toglierti le scarpe? Baciarti, leccarti i piedi accaldati, annusarti, assaggiarti? E quell’inguine… rasato o coperto di seta?
Quelle parole, dette così, senza rete, mi squarciarono dentro. Nessuno mi aveva mai parlato in quel modo. Sentii il cuore accelerare, un calore improvviso nelle viscere. Lo seguii nel suo appartamento senza pensare.
Le finestre aperte lasciavano entrare l’odore del mare, lontanissimo dai monitor e dai suoni della Radiologia. Mi spogliò come se avesse aspettato quel momento da sempre: i suoi gesti erano avidi, bramosi, le mani che scivolavano su ogni centimetro di pelle. Quando prese i miei piedi nudi, baciandoli e succhiandoli con la lingua, rabbrividii: un brivido sporco, segreto, che mi incendiava ancora di più.
Poi le sue labbra risalirono fino all’inguine, sfiorandomi là dove già pulsavo di desiderio. — Sei liscia, vero? — sibilò. Annuii appena, incapace di parlare, e lui mi assaggiò come un uomo assetato, lingua e dita che mi aprivano, succhiando, leccando, fino a farmi vibrare intera. Lo presi in bocca con fame, inghiottendo il suo cazzo duro, il sapore acre che mi faceva gemere.
Mi voltò e mi prese a pecorina, le mani che mi spalancavano con violenza, le cosce tremanti sotto la sua presa. Ogni colpo affondava più profondo, più feroce. Fino a quando, ansimando, mi uscì un sussurro che mi raggelò e mi eccitò nello stesso istante: — Questo mese… non ho preso la pillola…
Il suo sorriso si fece crudele.
— Non me ne frega un cazzo.
Quelle parole mi trafissero. Umilianti, spietate. Eppure mi incendiarono come benzina sul fuoco. Mi ritrovai a gemere, a graffiarlo, a supplicare. — Sì… fammi tua… lasciami il tuo seme dentro…
Ogni affondo era una promessa e una minaccia. L’oscena possibilità che potessi restare incinta mi invadeva come un veleno dolce, un rischio che non avrei mai dovuto accettare ma che mi faceva godere oltre ogni limite. Quando esplose dentro di me, riempiendomi con il suo sperma caldo, il mio orgasmo fu furioso, devastante. Sentii il seme colarmi lento, denso, tra le cosce, un marchio, un sigillo che mi legava a lui.
Restai a terra, gambe aperte, il petto che si sollevava a scatti, la mente stordita. Mi accarezzai il ventre, il cuore impazzito dall’idea sporca che potessi restare incinta. Vertigine e paura insieme.
Quando, facendosi strada il mio timore e cercando un appiglio, mormorai:
— E se restassi incinta? —
— Sono cazzi tuoi.
Quelle parole mi ferirono come una lama. Ma nello stesso istante mi eccitarono più di tutto. Volli percorrere fino in fondo quel degrado in cui ero precipitata. Lo guardai, sfacciata, ed esclamai:
— Allora scopami anche il culo, bastardo!
Mi afferrò, spalancò le mie natiche e ricominciò. La punta del suo cazzo, di nuovo eretto, premette contro il mio ano. Il dolore e l’anticipazione mi squarciarono.
— Stai ferma — ordinò, la voce roca.
Entrò piano, profondo, e il mondo si ridusse a quell’invasione totale. Mi prese con brutalità, colpi feroci, la carne che sbatteva, il suono bagnato che riempiva la stanza. Gemetti, urla, mi persi. Quando venne di nuovo, dentro di me, il suo seme mi marchiò ancora. Restai lì, esausta e arsa, segnata da lui in ogni fibra.
Nei giorni che seguirono l’inquietudine mi rodeva. L’ombra di una gravidanza indesiderata mi accompagnava come un segreto avvelenato, incombeva sulle mie giornate. Lui, distante, mi guardava solo con sarcasmo, lasciando tutto il peso su di me. Eppure, anche quando il timore svanì, la memoria non si dissolse, non cancellò la voglia malata di rivivere quel rischio. Anzi, mi eccitavo pensando a lui che rideva, mentre mi pompava lo sperma dentro senza scrupoli. Quella notte rimase scolpita nella carne. Non un semplice tradimento, ma una scelta oscura: lasciarmi marchiare, sporcare, godere nel rischio estremo. Una passione proibita che nessuno avrebbe mai potuto cancellare.
scritto il
2025-08-23
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