Silvio & Elena

di
genere
tradimenti

Buongiorno lettori. A differenza dei precendenti racconti quanto andate a leggere è ispirato ad una storia vera raccontatami dalla coppia stessa. Ovviamente per motivi meramente letterari è stata romanzata, ma senza stravolgerne il senso generale dell’accaduto.
Buona lettura.
Davanti allo specchio Elena respirava piano, quasi volesse allungare il tempo che la separava dall’incontro. La stanza era avvolta da una luce calda, che scivolava sulla sua pelle liscia e ancora soda, frutto di cure costanti e di quella disciplina silenziosa che negli anni era diventata parte di lei. Il busto eretto, le spalle nude, il seno ben sostenuto dal corpetto nero dotato di reggicalze: ogni dettaglio era stato scelto per farla sentire irresistibile.
Cominciò dagli occhi, passò il pennello con movimenti misurati, stendendo un’ombra scura che rendeva lo sguardo profondo, tagliente, con quel tocco di mistero che lei stessa amava scorgere quando si osservava riflessa. Poi il mascara, applicato con pazienza fino all’ultima ciglia, capace di aprire l’occhio e renderlo languido. Le sopracciglia erano già perfette, curate con precisione millimetrica. Le labbra vennero per ultime, scolpite dal rossetto rosso cupo che fece vibrare il contrasto con la pelle chiara. Le osservò specchiarsi nel vetro, un sorriso lento che nasceva non dall’insicurezza, ma dalla certezza di piacere.
Abbassò lo sguardo su di sé: la giacca aderente, chiusa con un unico bottone, disegnava il punto vita e lasciava indovinare le curve che sotto la stoffa si muovevano appena. La gonna a tubino abbracciava i fianchi, fasciandoli con una linea pulita, elegante, che finiva poco sopra il ginocchio. Sotto, le calze di seta sostenevano il disegno delle gambe, mentre le décolleté nere, alte e lucide, completavano la figura con quell’allure da donna consapevole. Elena si osservò tutta intera, dalla punta dei piedi fino alla piega del collo, e si riconobbe bella, sensuale, pronta.
Fu allora che la mente la riportò indietro, al rumore del mare, al calore umido di un’estate lontana. Sedici anni prima, in Calabria, Silvio guidava nervoso mentre il piccolo si agitava sul seggiolino. Dopo ore di strada, arrivarono finalmente al campeggio. Il sole era ancora alto, la sabbia già calda sotto le suole. Lei indossava un vestitino leggero che le si appiccicava addosso, i capelli sciolti e spettinati dal viaggio. Silvio cominciò subito a montare la tenda, piantando i picchetti con una determinazione che sfiorava la rabbia. Elena rideva piano, cercando di gestire il bambino che voleva correre ovunque, mentre osservava suo marito armeggiare con quelle corde che sembravano non finire mai.
Quando finalmente la tenda prese forma, con la veranda che dava verso il mare e il telo teso a proteggerli dal sole, sentirono di poter respirare. Elena si tolse i sandali, lasciando che la sabbia le scorresse tra le dita dei piedi, e sollevò il bambino tra le braccia. Silvio sbuffò, asciugandosi la fronte con il dorso della mano, e per la prima volta dopo ore lasciò cadere un sorriso soddisfatto.
Non passò molto che decisero di andare subito in spiaggia. Si incamminarono insieme, lei con il piccolo per mano e Silvio al fianco, attraversando il breve sentiero che portava al mare. E quando arrivarono sulla battigia, davanti a quell’acqua limpida e calma, Elena sentì un’emozione nuova: l’inizio di una vacanza che sarebbe rimasta impressa per sempre.
La sabbia ancora tra i piedi, le mani indolenzite di Silvio dopo aver tirato corde e piantato picchetti, il piccolo già assonnato dopo una corsa sulla spiaggia. Rientrarono in tenda con la luce del tramonto che filtrava dal telo, portando con sé l’odore salmastro dell’aria e il brusio lontano degli altri campeggiatori. Elena sistemò il figlio sul piccolo lettino da campeggio, lo guardò stringere l’orsacchiotto e addormentarsi in pochi istanti, vinto dalla stanchezza. Silvio si stese accanto a lei, spalle larghe rilassate sul materassino, il respiro profondo che lasciava andare la tensione del viaggio.
Fu una notte tranquilla, interrotta solo dal canto dei grilli e dal rombo del mare che arrivava costante, rassicurante. Elena, sdraiata a occhi aperti nel buio, si lasciò cullare da quel suono, con la sensazione di trovarsi all’inizio di qualcosa che non riusciva ancora a nominare. Chiuse gli occhi più tardi degli altri, e il sonno arrivò lento, popolato di immagini confuse di sole, sabbia e libertà.
La mattina dopo, l’aria fresca del mare entrò nella tenda insieme alla luce dell’alba. Il piccolo fu il primo a svegliarsi, con quell’energia incontenibile che li costrinse a muoversi presto. Silvio aprì il telo e lasciò entrare il profumo salmastro, Elena preparò un caffè sul fornelletto e respirò profondamente, con un sorriso. Quella sarebbe stata la loro prima vera giornata di mare.
Il sole del mattino era già alto quando lasciarono la tenda. Elena indossava un copricostume leggero, trasparente quanto bastava a lasciar intravedere le linee del due pezzi sotto. Silvio e il piccolo camminavano accanto a lei, entrambi in boxer da bagno e maglietta, con l’andatura svagata di chi si lascia avvolgere dal calore e dall’odore salmastro dell’aria. Attraversarono il vialetto del campeggio, imboccando il sentiero che portava al mare, e dopo pochi minuti il fruscio della sabbia sotto i piedi annunciò l’inizio della loro prima vera giornata.
Raggiunsero i lettini riservati sulla spiaggia, due sdraio vicine con un ombrellone che disegnava un’ombra sottile sulla sabbia bianca. Elena si lasciò scivolare il copricostume dalle spalle, piegandosi con calma per riporlo sulla sedia. Il tessuto leggero cadde in un soffio, rivelando il bikini che indossava sotto. Silvio sollevò lo sguardo e notò subito il dettaglio: un costume nuovo, molto più audace del solito, con linee minime e un tessuto che brillava sotto il sole. Le sue sopracciglia si inarcarono appena, un’espressione a metà tra sorpresa e compiacimento.
Elena colse quel segnale e il cuore le ebbe un sussulto. Non disse nulla, ma il fatto che lui se ne fosse accorto la lusingava, la faceva sentire più viva. Si sedette sul lettino accanto a lui, e in quel gesto semplice ci fu una scelta precisa: come se nulla fosse, sganciò il reggiseno del bikini e lo sfilò, lasciandolo cadere accanto al telo. Restò così, con il seno libero al sole, indosso soltanto un tanga nero lucido, altissimo sui fianchi e scandalosamente sgambato, che metteva in risalto la curva dei glutei.
Il piccolo, seduto a terra con secchiello e paletta, iniziò subito a costruire mucchietti di sabbia, ignaro del resto. Silvio si sistemò meglio sul lettino, gettandole un’occhiata rapida e trattenuta, di quelle che dicono molto più delle parole. Elena prese il flacone e versò un nastro bianco di crema sul palmo. Il gesto fu lento, come se ogni movimento dovesse rimanere sospeso a lungo nell’aria. Sfregò le mani per scaldarla e poi iniziò dalle spalle, lasciando che le dita scorressero giù lungo le braccia con un’attenzione studiata. Quando tornò al petto, il respiro le si fece più profondo. Posò i palmi sull’enorme seno nudo e cominciò a massaggiarlo con gesti ampi, la pelle che brillava al sole mentre la crema si assorbiva lentamente. Le mani scivolavano sulle curve abbondanti, sollevandole, stringendole appena, lasciando impronte bianche che poi sparivano mentre il movimento tornava circolare.
Il tessuto nero e lucido del tanga esaltava il contrasto con la pelle chiara, attirando lo sguardo verso l’abbondanza del bacino. Ogni volta che passava le mani dalla base dei seni all’attaccatura del collo, le rotondità si muovevano con un’oscillazione naturale, ipnotica, che non poteva passare inosservata. Elena non fece nulla per nasconderlo, anzi, si prese tutto il tempo necessario, come se stesse accarezzando sé stessa più che proteggendosi dal sole.
Silvio, a pochi centimetri, la osservava in silenzio. Il piccolo era chino sulla sabbia, intento a scavare, ma l’attenzione del marito restava catturata da quella visione: la moglie che per la prima volta, davanti a lui e sotto gli occhi possibili di altri, si concedeva di essere semplicemente donna, sensuale e abbondante, senza più timidezze.
Silvio si mosse appena sul lettino, piegandosi verso di lei con un tono basso, quasi un sussurro che tradiva la tensione. «Elena, rimettiti il reggiseno.»
Lei voltò il viso verso di lui, senza smettere di accarezzarsi. Un sorriso lento le si disegnò sulle labbra, un lampo di malizia che contrastava con l’aria innocente del gesto. «Perché?» chiese piano, e intanto le sue mani continuavano a scivolare sulle rotondità enormi, lasciando scie bianche che poi massaggiava via con calma. Ogni movimento era più lento, più sensuale, come se volesse provocarlo di proposito.
Silvio inspirò forte, poi alzò lo sguardo oltre le spalle della moglie. Li vide subito: due ragazzi giovani, seduti poco distanti, che fingevano di chiacchierare tra loro ma in realtà non staccavano gli occhi dal seno abbondante di Elena. I loro sguardi erano avidi, e l’imbarazzo con cui tenevano le gambe accavallate tradiva la difficoltà a mascherare erezioni ingombranti.
Il contrasto lo investì in pieno: da un lato il fastidio geloso, dall’altro l’impossibilità di non sentire un brivido nel vedere sua moglie, così prorompente, al centro di quell’attenzione. Elena, senza bisogno di voltarsi, parve intuire tutto. Le mani continuarono a massaggiare i seni con più decisione, stringendoli e sollevandoli, mentre il sorriso sulle sue labbra si faceva più sicuro.
Elena avvertì quegli sguardi sulla pelle come una carezza invisibile. Non serviva voltarsi, li sentiva bruciare addosso, insistenti e giovani, due occhi che scivolavano sul suo seno abbondante e non se ne andavano più. Inspirò piano, lasciando che un brivido le percorresse la schiena, e il sorriso sulle labbra si allargò impercettibilmente.
Con un gesto naturale piegò le ginocchia, poi le lasciò cadere all’esterno, spalancando le gambe sul lettino. Il tanga nero lucido mise in risalto l’attaccatura delle cosce, e la mano ancora unta di crema cominciò a scivolare lenta proprio lì, lungo l’interno morbido e sensibile, fino a sfiorare il bordo sottile del tessuto. Non si affrettò: ogni movimento era una carezza languida, studiata, fatta per essere vista.
Silvio la osservava, incapace di articolare parole. La bocca leggermente aperta, gli occhi che correvano dai suoi gesti al volto dei due ragazzi poco più in là. Elena godeva di quella reazione: il marito, disarmato, che non riusciva a credere a ciò che vedeva, e i due giovani che si contorcevano sulle sedie, le mani posate a caso sulle ginocchia per nascondere inutilmente l’evidenza delle loro erezioni.
Lei inclinò il bacino appena, lasciando che il sole illuminasse il lucido del tanga, e scivolò ancora più all’interno con la mano, fermandosi a pochi millimetri dal centro, senza oltrepassare il limite. Si mosse con malizia, piegando la schiena, stringendo i seni con l’altra mano, oscillando appena come se stesse cercando una posizione comoda, ma in realtà era un gioco spietato: li stava provocando, uno per uno, il marito e quei ragazzi sconosciuti, nutrendosi di quei desideri che non restavano più nascosti.
Elena colse al volo quello sguardo scuro di Silvio, la tensione che gli serrava la mascella, e invece di frenarsi sentì crescere dentro di sé un piacere nuovo, pericoloso. Il gioco le piaceva troppo. Con voce calma, come se nulla fosse, inclinò appena il capo verso uno dei ragazzi e chiese: «Scusami, sai che ore sono? E se qui vicino c’è un posto dove si può mangiare qualcosa al volo a pranzo?»
Lui sussultò, colto di sorpresa. L’amico lo guardò di lato, e per un attimo sembrarono due bambini scoperti a fare una marachella. Ma l’occasione era lì, e nessuno dei due ebbe il coraggio di lasciarla cadere. Si alzarono con lentezza forzata, cercando di mascherare l’imbarazzo evidente, le mani che correvano a sistemarsi goffamente i boxer da bagno per nascondere inutilmente la loro erezione. Camminarono verso di lei, e più si avvicinavano, più lo sguardo tradiva la verità: gli occhi correvano senza pudore dal suo seno enorme, lucido di crema e raccolto tra le mani, al triangolo nero e brillante del tanga che le fasciava la vagina.
Silvio li seguiva con lo sguardo fisso, arcigno, come un avvertimento silenzioso, ma non mosse un muscolo. Restava immobile sul lettino, lo sguardo di fuoco che diceva “vi vedo, vi giudico”, ma che non faceva nulla per fermarli. Elena sentiva quella tensione, la gelosia che ribolliva accanto a lei, e se ne inebriava ancora di più. Restava languida, gambe aperte, le dita che ancora giocavano pigre con l’interno coscia, come se fosse un gesto casuale. E intanto sorrideva, maliziosa, vedendo i due giovani stringere i pugni e avanzare, divisi tra il timore del marito e l’attrazione bruciante che non riuscivano più a nascondere.
Elena non attese che i ragazzi si sedessero di nuovo. Li fissò con naturalezza, accennando un sorriso come se nulla fosse, e intanto strinse il flacone di crema tra le mani. Ne lasciò cadere un filo bianco e denso proprio al centro del petto, tra i seni enormi, e con calma iniziò a massaggiarselo. Le dita affondavano appena nella carne morbida e soda, raccoglievano la crema e la spalmavano con movimenti lenti e circolari, che facevano oscillare le rotondità sotto il sole. Parlava con voce leggera, chiedendo se conoscevano un chiosco vicino, come se davvero la sua unica preoccupazione fosse il pranzo.
I due ragazzi non risposero subito. Bocche semiaperte, lo sguardo fisso incollato a quel seno che brillava di luce e crema, non riuscivano a staccarsene. Quando finalmente uno balbettò il nome di una trattoria, Elena inclinò appena il capo, ringraziandolo con un sorriso che non aveva nulla di ingenuo. Continuava a massaggiarsi, e la mano, come per caso, scivolò più in basso.
Divaricò le cosce sul lettino, lasciando che la luce le accarezzasse l’interno coscia, e fece scorrere le dita unte lungo quella pelle liscia, tracciando cerchi pigri che si fermavano sempre un soffio prima del bordo del tanga nero e lucido. Il tessuto si tendeva, lucente, a fasciare la sua intimità, e ogni sfioramento era una lama che tagliava l’aria tra lei e quei due giovani.
Silvio restava immobile sul lettino accanto, lo sguardo duro, le labbra serrate, incapace di dire una parola. Vedeva tutto, sentiva il sangue ribollire, eppure non la fermava. Elena se ne nutriva: il marito impotente nella sua gelosia, e i due ragazzi che ormai non facevano neppure lo sforzo di fingere. Gli occhi di entrambi correvano dal seno lucido alla linea nera che abbracciava la sua vagina, e le erezioni tese sotto i boxer parlavano per loro.
Elena li guardò uno per volta, negli occhi, e nel farlo si mosse appena sul lettino, un’oscillazione lenta del bacino che accese ogni fantasia. Il sorriso che le piegò le labbra era sfacciato, malizioso, un messaggio chiaro: sapeva benissimo quello che stava facendo, e non aveva alcuna intenzione di smettere.
La giornata scivolò via con la lentezza piena delle vacanze. Dopo quell’inizio carico di tensione, Elena si immerse nel mare con il piccolo, giocando tra schizzi e risate, mentre Silvio li osservava dall’ombrellone con un silenzio pensieroso. Le ore passavano tra nuotate, castelli di sabbia e passeggiate lungo la battigia.
Quando rientrarono al campeggio il sole era già sceso dietro la collina, lasciando il cielo intriso di riflessi arancioni. Elena camminava scalza, il copricostume leggero gettato sulle spalle, i capelli ancora umidi di mare. Silvio teneva il bambino per mano, stanco ma sorridente dopo la lunga giornata.
La loro tenda li aspettava, e accanto, a pochi metri, c’era un’altra struttura identica: due ragazzi erano piegati sul fornelletto da campo, intenti a scaldare una pentola. La fiammella tremolava nel vento leggero, illuminando i loro profili giovani e le braccia nude che si muovevano rapide. Alzarono entrambi lo sguardo nello stesso istante, e per un attimo tutto si fermò. Elena sentì il cuore accelerare. Li riconobbe subito: erano i due della spiaggia.
Il saluto fu breve, un cenno della testa, un sorriso accennato. Niente parole di troppo, ma lo scambio fu denso di ciò che non si poteva dire. Silvio annuì appena, rigido, gli occhi che rimasero fissi un secondo di troppo su quei ragazzi prima di tornare alla sua famiglia. Elena, invece, lasciò che un sorriso lento le attraversasse le labbra, un gesto quasi impercettibile che i due colsero immediatamente.
Si sedettero a cenare con il loro cibo semplice: pane fresco, pomodori tagliati, tonno in scatola. Il bambino sbadigliava, giocava distrattamente con un cucchiaio, e presto chiese di coricarsi. Elena lo accompagnò al piccolo lettino dentro la tenda, lo rimboccò con il telo sottile e lo guardò chiudere gli occhi stringendo il suo orsacchiotto. Silvio intanto sparecchiava in silenzio, le mani lente, il volto contratto.
Fuori, i due ragazzi ridevano piano, parlando tra loro con un tono sommesso. Le loro voci attraversavano il telo sottile, diventando parte stessa dell’aria. Elena si stese accanto a Silvio, il materassino che cedeva sotto il loro peso. Il fruscio del mare arrivava in sottofondo, ma ciò che le ronzava dentro era la vicinanza dei loro vicini: sapeva che bastava un passo, un movimento del telo, per trovarsi davanti gli stessi occhi che l’avevano divorata sulla spiaggia.
Silvio fissava il soffitto della tenda, immobile, con le mascelle serrate. Lei lo osservò di sbieco, intuendo la tempesta che ribolliva dentro di lui. Rimase in silenzio un istante, poi si voltò sul fianco, i capelli che le scivolarono sulla spalla, pronta a dire qualcosa.
Silvio rimase a lungo in silenzio, il respiro pesante che rompeva appena la quiete della tenda. Elena pensava che si sarebbe addormentato così, rigido e immobile, ma poi la sua voce si fece spazio nel buio, roca, trattenuta.
«Quello che hai fatto oggi in spiaggia… non so neppure come descriverlo. Ti ho guardata e avrei voluto urlarti di smetterla. E nello stesso tempo non riuscivo a staccare gli occhi da te. Mi facevi impazzire.» Fece una pausa, il pugno stretto contro il materassino. «E loro… quei due… ti stavano mangiando con gli occhi, senza neanche preoccuparsi di nasconderlo. Volevo alzarmi e mandarli via, ma non potevo. Perché era come se stessi guardando uno spettacolo che non volevo perdere.»
Le parole gli uscivano a scatti, mescolando rabbia e desiderio, come se lottassero tra loro per prevalere. «Sei mia moglie, Elena. Mia. E oggi, davanti a tutti, eri… diversa. Non la madre di nostro figlio, non la donna con cui divido la vita, ma un’altra persona. E quella persona mi ha fatto venire voglia di…» Si interruppe, il respiro più veloce, incapace di terminare la frase.
Elena si voltò lentamente verso di lui, il sorriso che si accese sulle sue labbra visibile anche nel buio. Lo fissò negli occhi, vicinissima, e la voce le uscì morbida, tagliente. «Ti sei eccitato, Silvio. E non perché pensavi che io stessi esibendomi. Ti sei eccitato perché sapevi che loro mi stavano guardando.» Lasciò cadere la frase nello spazio tra loro, quasi fosse una carezza e uno schiaffo insieme. Poi si allungò, sfiorandogli il petto con la punta delle dita. «Non negarlo. Io me ne sono accorta.»
Nella penombra della tenda Silvio respirava forte, il petto che si sollevava irregolare accanto a lei. Per un lungo momento non disse nulla, sembrava lottare con le proprie parole, poi si girò verso Elena. La fissava da vicino, gli occhi scuri, lucidi nel buio.
«Hai ragione, Elena…» mormorò con un filo di voce. «Io oggi non riuscivo a controllarmi. Ti guardavo e mi sentivo lacerato… da un lato volevo che smettessi, volevo coprirti, gridarti di rimettere subito quel reggiseno…» si fermò un istante, inghiottendo l’aria, «…ma dall’altro, non potevo staccarmi da te. Non potevo. Quei ragazzi ti stavano divorando con gli occhi e io li odiavo, li odiavo davvero… e nello stesso istante avrei voluto che non smettessero mai di guardarti.»
Il tono si fece più basso, quasi un ringhio, come se le parole gli uscissero da dentro senza più controllo. «Vedevo i loro occhi fissi sul tuo seno, sulle tue gambe spalancate… vedevo il modo in cui cercavano di nascondere quanto fossero eccitati. E ho pensato: che cosa succederebbe se uno dei due si alzasse? Se venisse da te, così, senza più pudore? Ho immaginato le loro mani addosso al tuo corpo, le dita che ti toccavano mentre io ero lì, a guardare.»
Elena trattenne il respiro. Il suo corpo reagiva prima della mente: il capezzolo che si induriva, il calore che le saliva dentro. Socchiuse le labbra e sorrise piano, un sorriso che diceva continua.
Silvio la capì e si lasciò andare ancora. «Sì, ho immaginato di più. Che tu ti lasciassi fare. Che ti piegassi indietro, proprio come oggi sul lettino, e che loro ti prendessero in mano, ti sfiorassero, ti stringessero. Io… io non li avrei fermati. Non subito almeno. Avrei voluto vedere fino a dove ti saresti spinta, fino a che punto ti saresti lasciata guardare, toccare… possedere.» La voce si incrinò sull’ultima parola, eppure non si fermò. «Ero geloso, sì… ma allo stesso tempo ero duro, eccitato come non mi capitava da anni. È questo che mi spaventa: che la mia gelosia non mi abbia frenato, ma mi abbia fatto desiderare che accadesse.»
Elena lo ascoltava con gli occhi accesi, la lingua che si passava lenta sulle labbra, il respiro corto che tradiva l’effetto devastante di quella confessione. Si mosse appena sul materassino, avvicinando il suo corpo al suo, e sussurrò con un filo di voce rotta dall’eccitazione: «E io… ti avrei lasciato guardare.»
Elena si sollevò sul materassino, il respiro caldo, il cuore che le batteva forte. Con un gesto deciso abbassò i boxer del marito fino alle caviglie e il sesso eretto balzò fuori, teso e vivo. Gli occhi di Silvio si spalancarono nel buio, ma non fece in tempo a parlare: lei si era già chinata, stringendo i seni enormi intorno all’asta, avvolgendolo in una morsa morbida e sensuale. Cominciò a muoversi lenta, scivolando su e giù, e intanto lo fissava negli occhi con un sorriso che lo inchiodava al materassino.
«Sai a cosa penso, Silvio?» sussurrò, la voce roca, rotta dall’eccitazione. «Penso a se al posto tuo ci fosse stato uno di quei ragazzi oggi…» Spinse le rotondità verso il basso, stringendo di più il glande che pulsava tra la carne lucida di crema. «Immagino i suoi occhi incollati al mio seno mentre glielo facevo scivolare così, piano, finché non impazziva.»
Silvio serrò i pugni, ansimando, ma non disse nulla. Elena aumentò appena il ritmo, i seni che oscillavano, il sesso che spariva e ricompariva tra le sue curve. «Lo avrei guardato negli occhi, avrei sorriso come sto facendo adesso… e lui avrebbe perso la testa, incapace di resistere.» Scivolò con la lingua sul pollice, lo bagnò, e con quel filo di saliva accarezzò la punta, strofinandola tra le rotondità. «Avrei lasciato che godesse del mio corpo, proprio davanti a te, senza smettere un attimo di guardarti.»
Silvio gemette piano, le vene del collo tese, lo sguardo acceso di desiderio e tormento. Elena si mosse più forte, stringendolo con il petto, e il suo respiro si fece un soffio caldo sulle labbra di lui. «È questo che volevi, vero? Volevi vedermi usarlo così, mentre tu non potevi far nulla. Volevi vedere un ragazzo più giovane impazzire sotto il mio seno, mentre io godevo della sua eccitazione… e della tua.»
Ogni parola era un colpo, ogni movimento un’affermazione. Silvio si inarcava sotto di lei, catturato dalla fantasia che sua moglie stava rendendo reale con il corpo e con la voce, incapace di decidere se fosse più bruciante la gelosia o l’eccitazione.
Elena lasciò scivolare lentamente le mani lungo il sesso teso del marito, le dita che lo accarezzavano con delicatezza prima di chinarsi su di lui. Il respiro caldo gli sfiorò la pelle un attimo prima che le sue labbra si schiudessero e lo accogliessero dentro. La lingua lo avvolse dal basso, morbida e insistente, mentre lo sguardo restava inchiodato nei suoi occhi, come se ogni gesto fosse fatto più per provocarlo che per dargli piacere.
Si mosse piano, la bocca che lo inghiottiva un poco di più a ogni affondo, fino a fargli sentire il calore umido avvolgerlo in profondità. Poi si fermò un istante, mantenendolo tra le labbra, e con voce bassa e roca lasciò scivolare le parole che gli trafissero la mente. «Dimmi, Silvio… ti sarebbe piaciuto vedermi così, ma con il cazzo di uno di quei ragazzi? Avresti voluto che lo succhiassi davanti a te, mentre mi guardavi come mi guardi adesso?»
Riprese il movimento, lenta, sensuale, le labbra che stringevano e rilasciavano con ritmo costante. Ogni volta che si sollevava, un filo di saliva lucida restava a collegarla a lui, e lei lo raccoglieva con la lingua prima di ricominciare. Tra un affondo e l’altro tornò a parlare, la voce velata di eccitazione, un sussurro che lo faceva fremere. «Immaginalo, amore… io inginocchiata davanti a lui, con i miei seni che sfiorano le sue cosce… e tu costretto a guardare mentre la mia bocca gli dà tutto quello che desidera.»
Silvio si contorceva sotto di lei, incapace di rispondere, stretto tra il piacere che lo travolgeva e le immagini che Elena gli stava imprimendo nella mente. Ogni volta che il glande le sfiorava la gola, chiudeva gli occhi per non gemere troppo forte, ma Elena non glielo permetteva: lo guardava fisso, con un lampo malizioso, costringendolo a restare presente in quella fantasia che lo divorava.
Elena si sollevò lentamente, lasciando scivolare il sesso di Silvio dalle labbra ancora umide. I suoi occhi brillavano nel buio della tenda, carichi di malizia. Si voltò senza dire una parola, si mise a quattro zampe davanti a lui, il corpo che oscillava appena, il seno pesante che pendeva libero. Con un gesto lento, deciso, scostò il tanga nero lungo il fianco, lasciando la fessura lucida e gonfia esposta alla sua vista. Poi girò il viso verso di lui, un sorriso sfacciato sulle labbra.
«Immaginalo, Silvio…» sussurrò, la voce roca, mentre muoveva piano il bacino. «Uno di quei ragazzi dietro di me, che mi prende così, senza esitazioni… e io con l’altro in bocca, mentre succhio forte, davanti ai tuoi occhi.»
Qualcosa scattò dentro di lui. Senza più ragionare, come un automa, Silvio si posizionò alle sue spalle e la penetrò con un affondo secco, profondo. Un gemito gli sfuggì dalle labbra, misto a rabbia e desiderio. Le mani le afferrarono i fianchi con violenza, trascinandola contro di sé a ogni spinta.
«Ecco cosa sei…» ringhiò contro il suo collo, spingendo ancora più forte. «Una troia… la mia troia…» Il ritmo si fece martellante, il rumore dei loro corpi che sbattevano riempiva la tenda. «Ti piace, vero? Farti scopare come una puttana… e immaginare che siano loro a farlo?»
Elena gemeva, la voce spezzata, il seno enorme che ondeggiava a ogni colpo. Si voltò appena per intercettare il suo sguardo, le labbra aperte in un sorriso eccitato. «Sì, Silvio…» ansimò, spingendo indietro il bacino per accoglierlo più a fondo. «Mi piace… e ancora di più mi eccita sapere che tu lo vuoi… che tu sogni di vedermi con loro.»
Le parole si mescolarono ai colpi sempre più furiosi, finché Silvio non si piegò su di lei, i denti stretti, ripetendo ossessivamente quelle parole, “troia” e “puttana”, mentre la possedeva con tutta la forza accumulata in anni di desideri mai confessati.
Silvio la prese con una violenza che non gli apparteneva, come se fino a quel momento avesse trattenuto un mare intero di rabbia e desiderio. La teneva a quattro zampe davanti a sé, il corpo di Elena esposto, il tanga scostato quel tanto che bastava per lasciarla spalancata, pronta a riceverlo. Con un colpo secco la penetrò di nuovo, affondando fino in fondo, e un grido le sfuggì dalle labbra, un misto di dolore e piacere. Non le concesse tregua: i suoi fianchi martellavano contro i glutei pieni di lei, colpo dopo colpo, in un ritmo selvaggio che faceva tremare la tenda.
Si piegò in avanti, le mani che scivolarono sul davanti a ghermire il seno enorme che pendeva libero. Li afferrò con ferocia, stringendo e impastando quella carne morbida, stritolandola fino a lasciare le impronte delle dita. Elena gemette ancora più forte, il volto premuto contro il materassino, la bocca socchiusa che lasciava uscire respiri spezzati. Lui spingeva con forza crescente, come se volesse punirla, come se ogni affondo fosse un marchio sul suo corpo, la condanna e il premio della sua sensualità senza freni.
«Troia…» ringhiò all’orecchio, stringendole i capezzoli tra le dita mentre continuava a sbatterla. «Guarda come ti piace… sei nata per essere scopata così, come una puttana…» Ogni parola era accompagnata da un colpo più duro, i seni che sobbalzavano sotto la sua stretta, la pelle che si arrossava sotto le sue mani.
Elena gemeva senza più vergogna, il bacino che si muoveva per incontrare le sue spinte, come se volesse ancora di più. Si sentiva punita e posseduta, e quella brutalità la eccitava come nient’altro. «Sì, Silvio… sì…» ansimava, voltando appena il viso per cercare i suoi occhi. «Fammi tua… fammi la tua troia…»
Lui affondava senza pietà, le braccia tese a stringerle il seno, le mani che la stritolavano con rabbia e godimento, il corpo che martellava il suo con una furia che non sembrava finire mai. La monta diventò una cavalcata senza pause, ogni colpo più profondo, più feroce, come se volesse scavarle dentro l’impronta del suo possesso.
Elena gemeva e rideva nello stesso tempo, ebbra di piacere, avvolta da quella marea che la scuoteva in ogni fibra. Era lì, esattamente dove voleva: schiacciata sotto l’uomo che l’aveva desiderata, che l’aveva gelosamente sognata con altri, e che adesso la prendeva come nessun altro aveva mai fatto.
Silvio continuava a sbatterla con colpi feroci, le mani piantate sui suoi seni enormi che stritolava come se volesse impastarli fino a farli esplodere. Ogni affondo la spingeva in avanti, le ginocchia che slittavano sul materassino, il seno che sobbalzava a ogni impatto. Elena gemeva senza più controllo, la bocca spalancata che lasciava uscire urla spezzate, la pelle lucida di sudore e di eccitazione.
«Così, sì!» gridava, voltando appena il viso per lanciargli uno sguardo che bruciava. «Scopami più forte, non fermarti! Nessuno mi ha mai presa così, neanche mio marito! Solo tu… solo tu sai farmi godere così!» Le parole erano veleno e miele, e Silvio, accecato, le rispondeva con spinte ancora più profonde, i fianchi che martellavano senza tregua, la voce roca che le ringhiava addosso.
«Troia… sei la mia troia…» le ripeteva, e intanto stringeva i suoi seni, li sollevava e li impastava con furia, pizzicando i capezzoli tesi finché lei non urlava di piacere e dolore mescolati. Il ritmo si fece devastante, i colpi secchi, veloci, come una cavalcata che non voleva finire.
Elena sentì il piacere montare, incontrollabile, le viscere che si stringevano, il calore che le saliva dalla pancia fino al petto. Il respiro si fece un rantolo, gli occhi persi nel vuoto, le mani che graffiavano il materassino. «Sì, sì, sì…» urlava, con la voce rotta dall’estasi. «Scopami! Fammi venire! Fammi esplodere, Silvio!»
E poi accadde. Con un grido gutturale, il corpo le si inarcò e un getto caldo le sfuggì di colpo, schizzando fuori con violenza, bagnando il materassino e le cosce di lui. Squirtò tremando, scossa da spasmi che le attraversavano tutto il corpo, la schiena piegata, i seni che sobbalzavano ancora tra le sue mani. L’urlo riempì la tenda, sovrastando per un attimo perfino il rumore del mare in lontananza.
Silvio la montava ancora, senza pietà, spingendola oltre l’orgasmo, mentre lei rideva e gemeva, devastata dal piacere, completamente distrutta e rinata tra quelle spinte furiose e tra quelle parole che la marchiavano come ciò che più desiderava essere in quell’istante.
Silvio la strappò a sé con un gesto brusco, ancora ansimante, e la fece rotolare sul dorso. Elena cadde supina sul materassino, il respiro spezzato, i seni enormi che si muovevano ancora al ritmo dei tremiti che le scuotevano il corpo dopo lo squirt devastante. Non ebbe il tempo di riprendersi: lui si issò sopra, il cazzo duro e gonfio che le sfiorava la pelle, e con le mani le prese i seni, li strinse insieme con forza, schiacciando quella massa abbondante intorno all’asta.
Cominciò a scoparle i seni con furia, il sesso che scivolava tra la carne morbida e calda, ogni affondo accompagnato da un gemito strozzato. Elena lo guardava con gli occhi socchiusi, le labbra dischiuse in un sorriso complice e osceno, mentre il suo petto veniva usato come fossa di piacere. Sentiva il glande che emergeva e ricadeva tra le rotondità, sentiva il calore che cresceva, e gemeva più forte, eccitata da quella brutalità.
«Troia…» le ringhiava addosso Silvio, piegandosi sopra di lei, il sudore che colava dalle tempie. «Sei la mia troia…» Ogni parola era uno strappo, ogni colpo più violento. Elena rise, la voce roca, e inarcò il petto verso di lui, stringendo con le proprie mani i seni intorno al suo cazzo. «Sì… fammi tua… fammi la tua troia!» gridò, e il ritmo si fece ancora più serrato.
Silvio non resse oltre. Con un ultimo affondo si ritirò appena e il piacere esplose con furia. Getti caldi e densi le schizzarono sul petto, tra i seni strizzati, e subito dopo sul volto, sulle labbra e sugli zigomi. Elena chiuse gli occhi, la bocca socchiusa, lasciando che il suo seme la marchiasse come un sigillo. Le colava lungo il seno, scivolava sul collo, la pelle lucida e profanata, mentre lei ansimava, godendo della sua stessa sporcizia.
«Troia…» ripeté lui, ancora tremando, guardandola sotto di sé con gli occhi rossi di desiderio. E in quell’istante Elena si sentì completa, devastata e gloriosa insieme, il corpo bagnato e il cuore che batteva impazzito sotto l’insulto che ormai era diventato il loro grido di piacere.
Il respiro era ancora pesante nella tenda, impregnato dell’odore acre del seme e del sudore. Elena si passò lentamente una mano tra i capelli umidi, poi lasciò cadere il capo all’indietro, osservando Silvio che ancora ansimava a pochi centimetri da lei. Con un sorriso malizioso gli sfiorò il petto, quasi a calmarlo, e sussurrò: «Vai tu a farti una doccia, amore… poi ci vado io.»
Lui annuì piano, ancora scosso, come se non avesse neppure la forza di ribattere. Si rivestì a metà, infilando solo i boxer, e si avvicinò all’ingresso della tenda. Quando abbassò la zip e uscì, l’aria fresca della sera entrò per un istante, portando dentro con sé un brivido salmastro.
Ed Elena lo vide. Proprio lì accanto, nella penombra della tenda vicina, due sagome immobili. Gli occhi dei ragazzi brillavano appena, fissi su di lei. Erano stati lì per tutto il tempo, ad ascoltare i gemiti, a immaginare ogni dettaglio, e ora la guardavano nuda, distesa sul materassino, con i seni ancora lucidi del seme di suo marito e il tanga scostato lungo il fianco.
Silvio si allontanò verso i bagni, ignaro. Elena rimase qualche secondo immobile, il cuore che batteva all’impazzata. Poi, lentamente, si sollevò sul gomito e voltò il viso verso l’apertura. Il suo sguardo catturò quello dei due ragazzi. Il sorriso le si allargò sulle labbra.
Con un gesto appena accennato, quasi pigro, sollevò la mano e la mosse verso di sé, un cenno inequivocabile. Invitava uno di loro a entrare.
Elena non distolse lo sguardo un solo istante mentre la zip della tenda accanto si apriva appena. Una sagoma snella si fece avanti, esitante, poi un passo deciso lo portò dentro. Il respiro gli tremava, gli occhi fissi sul corpo di lei disteso davanti, nudo, segnato dall’amplesso appena consumato.
«Dobbiamo fare in fretta,» mormorò Elena, la voce bassa, roca, come un ordine che non lasciava spazio a esitazioni. Si sollevò leggermente e lo tirò verso di sé. Il ragazzo abbassò i boxer in fretta, il cazzo teso e gonfio che scattò fuori, pulsante. Non fece in tempo a dire nulla: lei lo prese subito in mano e lo portò alla bocca.
Le labbra si aprirono, calde, fameliche, inghiottendolo fino in fondo. La lingua lo avvolse, scivolando lenta lungo l’asta mentre il respiro le si faceva greve, un gorgoglio profondo che tradiva quanto fosse già immersa in quell’atto proibito. Il ragazzo gemette piano, piegandosi su di lei, le mani che afferrarono con avidità i seni enormi. Li strinse con forza, li sollevò, li impastò come se non potesse crederci davvero, mentre lei continuava a succhiargli il cazzo con movimenti decisi, sempre più affamati.
Ogni spinta della testa faceva sobbalzare le rotondità tra le sue dita, e il ragazzo ansimava più forte, incapace di trattenersi. Elena non smise, anzi: aumentò il ritmo, lo prese più a fondo, succhiando con voracità, gli occhi sollevati verso di lui in uno sguardo carico di malizia e sfida.
Un gemito strozzato, un colpo di fianchi, e il piacere lo travolse. Il sesso pulsò forte tra le sue labbra e subito getti caldi le riempirono la bocca. Elena non si ritrasse: lo accolse tutto, bevendolo fino all’ultima goccia, la gola che deglutiva rapida, senza lasciarne uscire nulla.
Quando si staccò, lentamente, le labbra lucide di saliva e sperma, sollevò il volto verso di lui, un sorriso sfrontato ancora sulle labbra. «Così,» sussurrò, con la voce roca, «bravo ragazzo.»
Elena si leccò piano le labbra, asciugandosi con il dorso della mano, mentre il ragazzo restava lì, in piedi, il respiro ancora spezzato e gli occhi spalancati per l’incredulità di ciò che aveva appena vissuto. Gli sorrise con un cenno deciso, quasi autoritario. «Vai…» mormorò, muovendo la mano verso l’uscita. Lui obbedì in fretta, richiudendo la zip alle sue spalle, e sparì nella penombra della notte.
Pochi istanti dopo, Silvio tornò dalla doccia. La trovò distesa sul materassino, ancora avvolta dal sudore, i capelli sparsi sul cuscino, come se si fosse semplicemente rilassata in sua assenza. Elena gli rivolse uno sguardo caldo, innocente, e con voce morbida gli disse: «Adesso vado io a lavarmi.» Si sollevò, scostò il telo della tenda e uscì nella notte tiepida, lasciando che la brezza marina le accarezzasse la pelle.
Non si accorse che, dall’altra tenda, una seconda sagoma si era mossa subito dopo. L’altro ragazzo, rimasto tutto il tempo a osservare e a desiderare, non resistette più. Aspettò che Elena si fosse incamminata verso i bagni, poi la seguì a distanza, silenzioso, il cuore in gola, lo sguardo rapito dalle curve che ondeggiavano sotto il tessuto leggero del copricostume ancora aperto sul fianco.
Elena camminava ignara, il flacone di shampoo stretto in mano, con la mente che correva veloce tra ciò che era appena accaduto e il brivido che ancora le scaldava il ventre. Non sapeva che alle sue spalle il desiderio stava prendendo forma, deciso a raggiungerla.
Elena lasciò scivolare il copricostume dal corpo, lo appese in fretta al gancio e, senza esitare, spinse la porta della doccia. L’acqua cadde subito su di lei in un getto costante, scivolando sui capelli e lungo la pelle ancora calda dell’amplesso di poco prima. Chiuse gli occhi, offrendo il volto al flusso, mentre il tanga nero le si incollava addosso, bagnato, lucido, disegnando con precisione ogni curva. Il tessuto sottile segnava le labbra del sesso, tirato sui fianchi, più provocante di qualsiasi nudità.
Stava per passarsi le mani tra i capelli quando una spinta improvvisa le fece urtare la schiena contro la piastrella. Un corpo giovane, bagnato, la incalzò con forza. Il secondo ragazzo, quello che non aveva ancora avuto il coraggio di farsi avanti, era lì, con lo sguardo febbrile. Senza darle tempo di parlare, premette le labbra sulle sue. Un bacio famelico, disordinato, che le rubò il respiro e la costrinse ad aprirsi.
Elena gemette contro la sua bocca, sorpresa e travolta, mentre le mani di lui esploravano senza tregua. Una si chiuse subito intorno a un seno, lo afferrò con forza, lo strinse, lo impastò come se non ne avesse mai sentito uno prima, l’altra le scivolò sui fianchi bagnati, giù fino alle natiche, stringendole con avidità. Il getto della doccia scorreva sui loro corpi incollati, amplificando ogni sensazione.
Il cazzo duro del ragazzo premeva già contro di lei attraverso il tessuto sottile, spingendo contro il suo ventre, contro la piega delle cosce. Elena sentì quel contatto e il cuore le esplose in gola. Il tanga, lucido e trasparente sotto l’acqua, faceva da barriera fragile, e ogni pressione le incendiava la carne. Non disse nulla, non lo respinse: restò schiacciata al muro, il respiro spezzato, le mani che si serravano sulle spalle di lui, incapace di fermarlo, incapace di volersi fermare.
Elena gemeva ancora nel bacio quando il ragazzo le afferrò i polsi e con un gesto brusco la girò, premendole il corpo contro la parete umida. La pelle calda incontrò il freddo delle piastrelle bagnate, e il seno enorme si schiacciò contro la superficie liscia, spandendosi ai lati sotto la pressione del suo petto. Il getto della doccia scendeva dall’alto, bagnando entrambi, facendo colare rivoli lungo la curva dei seni e tra le cosce già tremanti.
Le mani del giovane si serrarono sui suoi fianchi, forti, impazienti, e con un movimento deciso le spinse le gambe più aperte. Il tanga nero, ormai trasparente sotto l’acqua, segnava con crudele precisione le labbra gonfie del suo sesso. Elena sentì un colpo secco: il tessuto venne scostato da dietro e all’improvviso il glande duro e caldo le premette contro l’ingresso. Trattenne il fiato un istante, sorpresa dall’audacia, e subito dopo lo sentì spingerle dentro.
Un gemito le esplose dalla gola, soffocato contro le piastrelle. Il cazzo del ragazzo era grosso, lungo, riempiva ogni spazio, più di quanto avesse mai sentito con Silvio. La invase con violenza, affondando in profondità finché il suo ventre non si tese per accoglierlo. Elena spalancò gli occhi, le mani aperte contro il muro bagnato, il seno che oscillava schiacciato contro la superficie lucida a ogni colpo.
Il ritmo fu subito feroce: il giovane la montava da dietro con spinte rapide, tese, e ogni affondo la costringeva a premere i seni ancora più forte contro le piastrelle, che le graffiavano appena i capezzoli tesi. L’acqua cadeva su di loro, mischiandosi al rumore dei loro corpi che sbattevano, amplificando l’eco del piacere.
Elena ansimava senza più controllo, il respiro che si mescolava a gemiti gutturali. Ogni volta che lo sentiva affondare, un pensiero la attraversava come una scarica elettrica: è più grande, più duro, più potente di Silvio. E invece di spaventarla, quell’idea la eccitava fino a farle tremare le gambe. Si spinse indietro con il bacino, cercando ancora più profondità, e gridò nel rumore dell’acqua, la voce spezzata: «Sì… così… prendimi!»
Le mani del ragazzo le stringevano i fianchi con una forza quasi dolorosa, e a ogni spinta la trascinava contro di sé, facendola sobbalzare. Le sue cosce sbattevano contro le sue natiche bagnate, e il sesso pulsante la penetrava sempre più a fondo, strappandole urla che non riusciva a contenere. Il piacere cresceva vorticoso, un fuoco che si accendeva in basso e risaliva fino al petto, facendole ondeggiare il seno enorme, schiacciato e scivoloso contro la parete.
Il ragazzo la teneva schiacciata contro le piastrelle bagnate, i seni enormi che si spandevano e scivolavano sotto l’acqua, il capezzoli duri che strusciavano sulla superficie fredda. Ogni colpo la faceva sobbalzare, e il cazzo lungo e duro la penetrava con una forza animalesca, riempiendola fino in fondo. Elena urlava senza più freni, la voce rotta che si perdeva tra lo scroscio dell’acqua.
«Sì! Così! Più forte!» gridava, premendo i palmi contro il muro per reggere l’urto. «Sei uno stallone, mi stai scopando come nessuno ha mai fatto! Dio… mi fai godere da impazzire!»
Il giovane ringhiava piano, col fiato corto, i fianchi che martellavano senza sosta. Le mani le stringevano i fianchi con una presa feroce, le dita che scavavano nella carne mentre la trascinava indietro a ogni affondo, come se volesse conficcarsi dentro di lei sempre di più. L’acqua li inzuppava entrambi, il tanga nero incollato tra le cosce che si spostava a ogni colpo, scoprendo la carne gonfia e lucida.
Elena si piegò di più, il culo alto e le gambe divaricate, offrendo tutto. «Ancora! Non fermarti! Voglio sentire quanto sei grosso… sei più duro di mio marito… sei uno stallone vero!» La voce si fece roca, spezzata da gemiti che si trasformavano in grida di piacere. «Scopami! Scopami forte, fammi venire ancora!»
Il ragazzo obbediva senza più controllo, la prendeva con spinte sempre più lunghe e violente, i colpi che risuonavano nello stanzino umido. Ogni affondo la scuoteva, il seno che sbatteva contro il muro, la figa che lo inghiottiva con un suono bagnato, e il piacere la travolgeva sempre più forte, trasformando ogni suo grido in un’esplosione di perversione.
«Sì! Così! Sei il mio stallone! Non ti fermare!» lo incitava, i capelli incollati al viso, le cosce che tremavano. «Scopami come una troia, fammi godere ancora, più forte, più dentro!»
Il ragazzo non conosceva misura. Ogni colpo era più profondo, più violento del precedente, e l’acqua che scrosciava dall’alto sembrava alimentare il ritmo invece di raffreddarlo. Elena era incollata al muro, le mani aperte sulle piastrelle fredde, il seno enorme che sobbalzava a ogni affondo, schiacciandosi e rimbalzando sotto la pressione dei suoi fianchi. Il rumore dei corpi che si scontravano riempiva lo spazio stretto della doccia, mescolandosi agli schizzi e ai gemiti senza freno.
«Troia…» le ringhiava alle spalle, la voce bassa e roca, spezzata dal fiato corto. Le afferrava i fianchi con una presa feroce, trascinandola contro di sé con colpi secchi, spietati. «Sei una puttana… una puttana che ama farsi scopare così!»
Ogni insulto le entrava dentro come un colpo in più, e invece di ferirla la eccitava fino a farle piegare le gambe. Elena urlava, la voce che rimbombava tra le piastrelle. «Sì! Sono la tua troia! Fammi tua, fammi godere ancora! Non ti fermare, stallone!» Le cosce le tremavano, ma lei spingeva indietro il bacino, cercando ogni volta di prenderselo più a fondo, più duro, più violento.
Il ritmo divenne insostenibile. Le spinte erano martellanti, rapide, senza respiro. Ogni affondo la sbatteva in avanti, le tette che ballavano impazzite, rimbalzando contro il muro bagnato, la pelle che bruciava sotto la pressione. L’acqua colava giù dal suo viso, mescolandosi alle lacrime di piacere che le rigavano le guance. «Scopami! Scopami come una puttana! Voglio venire, voglio esplodere con te!»
Il ragazzo ringhiava, il respiro spezzato, e affondava ancora più a fondo, la infilava tutta, fino a farle gridare. Le mani le serravano i seni da dietro, li impastavano mentre continuava a montarla come un animale, e i capezzoli duri sfregavano sulle piastrelle rendendo ogni colpo più accecante.
Elena sentì l’onda montare dentro, irresistibile, un calore che le incendiava il ventre e le cosce, un brivido che la faceva urlare prima ancora di esplodere. «Dio, sì! Sto venendo! Scopami! Vieni dentro di me!» La sua voce si trasformò in un grido gutturale mentre il corpo le si inarcava, il sesso che si strinse intorno al cazzo del ragazzo con contrazioni violente.
Lui non resse più. Con un ultimo affondo si spinse fino in fondo, gemendo forte, e il suo seme esplose dentro di lei, caldo, denso, riversato in profondità mentre continuava a spingerla contro il muro con colpi brevi e disperati. Elena urlava, gli spasmi del suo orgasmo che lo stritolavano, il piacere che le esplodeva addosso in ondate successive, facendola tremare tutta.
Rimasero così, incollati, l’acqua che continuava a cadere sui loro corpi stremati, il respiro ansimante che si mescolava. Elena schiacciata contro la parete, i seni enormi che colavano acqua e sudore, il ragazzo piegato su di lei, ancora dentro, ancora stretto, incapace di lasciarla andare.
Il ragazzo si staccò da lei con un ultimo gemito, il respiro ancora spezzato, e senza dire nulla si tirò su i boxer, aprì la porta della doccia ed uscì di corsa nella notte, lasciandola sola. Elena rimase piegata contro le piastrelle, il sesso che ancora pulsava, le gambe che le tremavano. L’acqua continuava a cadere su di lei, scrosciando sui seni enormi che ondeggiavano ancora per i tremiti, scivolando lungo le cosce fino ai piedi.
Restò lì a lungo, immobile, a riprendere fiato. Poi si voltò lentamente sotto il getto, offrendo il viso e il petto all’acqua fresca. Con le mani si lavò i capelli, il collo, i seni ancora gonfi e dolenti, lasciando che ogni rivolo portasse via il sudore, lo sperma, il peccato consumato in silenzio. Ma più si lavava, più sentiva quel bruciore interno che non l’acqua non poteva spegnere: il desiderio, la trasgressione, l’eco delle spinte che l’avevano devastata.
Quando chiuse il rubinetto il silenzio le sembrò assordante. Prese un asciugamano, si strofinò lentamente il corpo, curando ogni curva, come a voler cancellare ogni traccia, pur sapendo che nulla avrebbe davvero potuto. Indossò di nuovo il copricostume e tornò verso la tenda.
Sollevò piano la zip ed entrò. L’interno era immerso nell’oscurità, rischiarato solo dal respiro profondo di Silvio. Lui dormiva già, steso di lato, il volto disteso e ignaro. Elena si fermò un istante a guardarlo, il cuore che ancora batteva all’impazzata, un sorriso lento e segreto che le si accese sulle labbra. Poi si sdraiò accanto a lui, avvicinò il corpo bagnato al suo, chiuse gli occhi e lasciò che il ricordo di ciò che aveva appena vissuto le restasse inciso dentro come un marchio.
Elena si riscosse dal vortice dei ricordi con un battito di ciglia. Davanti a sé non c’era più la parete umida della doccia del campeggio o Silvio addormentato sul materassino, ma lo specchio grande della sua camera. La luce calda della lampada metteva in risalto ogni curva del suo corpo maturo, fasciato nell’abito che aveva scelto con cura. Si osservò a lungo, scorrendo lo sguardo dai capelli raccolti al trucco deciso, dalle labbra carnose e segnate di rosso scuro al seno che ancora, nonostante gli anni, esplodeva fiero dal corpetto.
Un sorriso le increspò le labbra. Non era solo vanità: erano i ricordi che ancora le pulsavano dentro, vivi, intensi, pronti a farsi carne nella serata che l’aspettava. Allungò una mano per sistemarsi un orecchino, l’altra che già stringeva la borsetta. Poi, lentamente, scivolò con i piedi nei tacchi a spillo: il suono secco dei tacchi sul parquet le fece vibrare la schiena come una promessa.
Con un respiro profondo uscì dalla stanza, attraversò il corridoio e trovò Silvio sul divano. Lui sollevò appena lo sguardo, e lei chinò il viso per posargli un bacio casto sulle labbra. Un gesto lieve, quotidiano, che però ardeva dentro di lei di un sottotesto segreto. Gli sorrise ancora, e senza aggiungere nulla aprì la porta di casa.
Il freddo della sera le avvolse le gambe nude, i tacchi scandirono il suo passo deciso. Nel riflesso del vetro, per un attimo, rivide sé stessa da ragazza, con la pelle bagnata e il cuore che batteva troppo forte. Poi sorrise, stavolta solo per sé, pronta a vivere la sua nuova notte.

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2025-08-25
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