Alessia 3

di
genere
sentimentali

Lui aveva appena sussurrato quel “grazie” contro la sua pelle ancora calda, le labbra appoggiate sotto l’orecchio. Lei sorrise, con gli occhi chiusi, le dita che gli sfioravano i capelli come per trattenerlo ancora un istante. Poi si voltò e gli posò un bacio sulle labbra, leggero, ma pieno di una gioia autentica, semplice. Gli sorrise, come una bambina soddisfatta dopo aver combinato una marachella.
Si alzò con un piccolo balzo e si stiracchiò, nuda, senza il minimo imbarazzo. Fece qualche passo nella stanza come se danzasse sul pavimento, i piedi leggeri, le braccia sciolte lungo i fianchi. Poi, con tono giocoso, chiese:
— Posso fare una doccia?
Lui la guardò, ancora sdraiato, la testa affondata nel cuscino, il corpo stanco ma rilassato. Accennò un sorriso e rispose:
— Certo, in fondo a destra.
Lei annuì, sparì nel corridoio con un’andatura saltellante, ma dopo pochi passi si fermò. Si voltò lentamente, il volto improvvisamente serio, quasi accigliato. Le sopracciglia arcuate, gli occhi fissi nei suoi.
— Tu non vieni? — chiese, con un tono che non era più giocoso, ma stranamente intimo, denso.
Come se in quella domanda ci fosse molto più di un invito a lavarsi.
Lui non rispose subito. La osservò per un istante, ferma nel corridoio, nuda e con quel broncio finto sulle labbra. Era così bella, così vera in quell’attimo. Si alzò lentamente, camminò verso di lei senza dire una parola. Quando la raggiunse, le accarezzò una spalla con il dorso delle dita. Lei si voltò e riprese a camminare, guidandolo.
La porta del bagno si chiuse alle loro spalle. Alessia aprì l’acqua e attese che diventasse calda, poi vi si infilò sotto con un piccolo sospiro di piacere. Il getto le scivolò lungo i capelli, sulla schiena, tra i seni, e sembrava volerle lavare via i mesi passati nel buio.
Quando lui la raggiunse sotto il flusso, le passò le mani lungo i fianchi con delicatezza. Lei si girò, gli occhi chiusi, il viso sollevato verso l’alto, l’acqua che le colava dalle labbra. Le mise le mani sui seni e li massaggiò piano, mentre lei appoggiava la fronte al suo petto. Nessuna fretta, nessuna parola. Solo pelle contro pelle.
Poi lo guardò. Un attimo appena, uno di quelli che bastano per accendere tutto di nuovo.
Lui capì, si abbassò, le baciò la pancia e poi il monte di Venere, mentre lei si apriva leggermente per accoglierlo. Le sue dita le accarezzarono l’interno coscia, lente, precise. Il suo sesso era già di nuovo bagnato, ma non era l’acqua. Lo desiderava, ancora. Forse di più.
Lei si voltò di spalle, appoggiò le mani alla parete umida e lo guardò sopra la spalla.
— Fallo di nuovo — sussurrò.
Lui la prese con decisione, ma senza brutalità. Entrò in lei con un solo movimento, profondo, bagnato, caldo. Le mani su quei fianchi piccoli, stretti, che si muovevano incontro a lui. Lei lo sentiva più dentro che mai, come se l’acqua amplificasse tutto: i suoni, il piacere, il battito.
I loro corpi scivolavano, si cercavano, si stringevano. Le sue mani passarono dal bacino ai seni, poi alle spalle, poi tornavano a stringerla sui fianchi mentre il ritmo cresceva. Lei si mordeva un labbro per non gridare, ma gli occhi le si erano chiusi e il respiro diventava affannoso, breve, disordinato.
Quando venne, lo fece tremando, inarcandosi all’indietro, colpita da onde che partivano dal ventre e si irradiavano ovunque. Lui la sentì stringerlo, quel corpo piccolo che lo risucchiava con spasmi profondi. Si lasciò andare subito dopo, con un gemito roco, affondando fino in fondo dentro di lei.
Rimasero così, immobili, solo il rumore dell’acqua a coprire il silenzio. Poi lei lo cercò con una mano, lo tirò verso di sé e si voltò per baciarlo. Un bacio lungo, lento, bagnato, fatto solo di labbra che si sfiorano, di respiro condiviso.
— Io… non so nemmeno cosa dire — mormorò lei, sorridendo, le guance arrossate dal calore.
— Non serve — rispose lui. E la strinse più forte sotto il getto caldo.
L’acqua smise di scorrere, lasciando solo il suono leggero delle gocce che cadevano ancora dal soffione. Alessia allungò un braccio per prendere l’asciugamano. Si voltò, i capelli bagnati che le aderivano alla schiena, il viso rilassato, quasi etereo. Marco la osservava come se fosse un’apparizione, con quell’espressione quieta ma vibrante che hanno gli uomini quando capiscono che stanno vivendo qualcosa di raro.
Si asciugarono in silenzio, alternandosi con piccoli gesti. Lei si passava l’asciugamano sulle gambe con lentezza, lui le tamponava i capelli con delicatezza. Nessun imbarazzo. Solo la naturalezza di chi, per qualche strano miracolo, si sente al posto giusto nel momento giusto.
Una volta fuori, lui prese una maglietta dal cassetto e gliela porse. Era grande per lei, ma la infilò con piacere. La maglietta le scendeva fino a metà coscia, lasciando intravedere solo la linea delle gambe nude.
— Ti va di restare a dormire? — chiese lui, quasi sottovoce, mentre si infilava dei pantaloni leggeri.
Lei non rispose subito. Andò verso la sua borsa, prese il telefono e digitò un messaggio veloce, come chi non ha bisogno di spiegazioni. Poi si voltò verso di lui e, guardandolo negli occhi, disse con un sorriso dolce:
— Domani non starò bene. Non mi aspettano al lavoro.
Lui sorrise. Non rispose. L’afferrò con decisione, la sollevò da terra come se pesasse nulla e la portò in braccio lungo il corridoio. Lei si lasciò trasportare, la testa appoggiata alla sua spalla, le braccia che gli stringevano il collo.
Entrarono in camera. La luce era soffusa, il letto ordinato, invitante. Lui la adagiò piano sulle lenzuola, come se fosse qualcosa di fragile e prezioso.
— Aspettami qui — le sussurrò, sfiorandole la guancia con le labbra. — Metto un attimo a posto… e poi torno.
Lei annuì, gli prese una mano e se la portò al viso, chiudendo gli occhi per sentirla meglio.
Poi lo lasciò andare.
Alessia restò sul letto qualche istante, come immersa in un silenzio ovattato, quello che segue i momenti intensi, quando il corpo ancora vibra e la mente comincia appena a rallentare. Ma da dietro la porta socchiusa cominciarono a giungerle i suoni domestici che parlavano di lui.
Lo sentì caricare la lavastoviglie, i piatti rimasti intatti sul tavolo, quelli che non avevano nemmeno toccato. Il rumore del tappo del vino che tornava nella bottiglia, la porta del frigorifero che si chiudeva con un tonfo ovattato. Poi lo scroscio della tovaglia che veniva piegata, riposta.
Un tintinnio più secco le fece aggrottare la fronte. Cocci. Un bicchiere rotto, forse durante la cena, forse dopo. Lo sentì raccogliere i pezzi, gettarli via con attenzione nella raccolta del vetro, ogni gesto preciso, quasi meticoloso.
Poi passi nel corridoio. Un’andatura diversa. Più lenta. Trattenuta. Ma invece di entrare in camera, lo sentì passare oltre. La porta del bagno si aprì, poi il silenzio. Ma non quello sereno. Piuttosto il vuoto denso di un’attesa incerta, come se qualcosa non quadrasse.
Si alzò, preoccupata. Avvolta solo nella maglietta larga, attraversò il corridoio a piedi nudi. Quando spinse leggermente la porta del bagno, lo trovò seduto sul bidet, ancora vestito. Il piede destro poggiato sopra il ginocchio sinistro, la testa china.
Aveva una pinzetta in mano e cercava con pazienza di estrarre qualcosa dalla pianta del piede, ma con espressione tesa, quasi frustrata.
— Ma che fai? — chiese lei, a metà tra la dolcezza e il rimprovero.
Lui alzò appena lo sguardo, un’espressione colpevole e ironica insieme.
— Una scheggia di vetro. Credo mi sia entrata mentre raccoglievo i cocci. Niente di grave… solo fastidiosa.
Lei si inginocchiò senza pensarci, prese la pinzetta dalle sue dita con delicatezza, poi gli sollevò il piede e lo guardò da vicino, appoggiandolo sul suo ginocchio.
— Fammi vedere.
Lui non disse nulla. Lasciò fare.
Le sue mani erano leggere, ma ferme. Trovò la scheggia, sottile, appena visibile, proprio sotto la pelle arrossata.
— Eccola. Ferma un secondo… — sussurrò, concentrata.
Con un piccolo gesto preciso, la estrasse. Un punto appena più scuro, una punta invisibile.
— Presa. — disse con soddisfazione.
Poi si alzò e prese del disinfettante dal mobiletto, un batuffolo di cotone e un cerottino. Soffiò piano sulla pelle come si fa con i bambini, poi tamponò con dolcezza, infine coprì il punto con un gesto che aveva qualcosa di intimo, quasi protettivo.
Lui la guardava da sopra, silenzioso. Nei suoi occhi c’era un’espressione nuova. Di gratitudine, sì, ma anche di stupore. Per quel gesto. Per lei.
— Sei bellissima così, lo sai? — mormorò.
Lei abbassò lo sguardo, sorridendo.
— Così come?
— In ginocchio, per me. Ma non come pensi. Non per desiderio. Per cura.
Lei si alzò lentamente, appoggiando le mani sulle sue cosce per sollevarsi. Poi gli baciò la fronte, senza aggiungere altro.
Vuoi che tornino ora a letto, e che ci sia un momento di quiete profonda tra loro? Oppure immagini un altro scambio, una confidenza?
Lui la guardava ancora, seduto e un po’ vulnerabile, con quel piede appena medicato e l’anima scoperta da quel gesto così semplice ma potente. Aveva parlato con sincerità, senza pensare troppo, come se quelle parole gli fossero scivolate fuori da sole, nate dalla gratitudine e da qualcosa di più profondo che non sapeva ancora nominare.
Ma lei non si era allontanata. Era ancora lì, in piedi davanti a lui, la maglietta che le sfiorava appena le cosce nude, i capelli bagnati raccolti dietro le spalle, gli occhi verdi che lo fissavano con un’intensità improvvisa. E poi lo disse, senza smettere di guardarlo.
— E se invece fossi in ginocchio per desiderio?
La frase lo attraversò come un’onda improvvisa, calda, elettrica. La bocca si piegò in un accenno di sorriso incredulo, ma lo sguardo si fece subito più cupo, più attento, come se stesse cercando di capire se lei stesse scherzando, provocando… o confessando un impulso.
Lei non abbassò lo sguardo. Rimase lì, ferma, la testa leggermente inclinata. Non era una battuta. Non cercava un effetto. Lo desiderava davvero. Forse lo aveva sempre desiderato, fin da quando si erano sfiorati per la prima volta durante quella passeggiata sul lago.
E lui lo capì.
— Allora… — mormorò — forse dovrei cominciare a meritarmelo.
Lei si abbassò lentamente, scivolando di nuovo in ginocchio, questa volta non per prendersi cura del suo piede, ma per restare lì, davanti a lui. Appoggiò le mani sulle sue gambe, poi si chinò e posò la testa sul suo ginocchio sano, in un gesto così carico di significato da fargli mancare per un attimo il respiro.
Rimasero così, immobili. Il respiro di lei caldo contro la sua pelle, la mano di lui che le accarezzava piano i capelli bagnati. Il desiderio c’era, ma era strano, nuovo, impastato di dolcezza e fame, di gratitudine e fame ancora.
Lui non fece in tempo a capire dove stesse andando quella corrente tra loro, che già le sentì le dita sfiorargli l’elastico dei pantaloncini. Le mani di Alessia erano leggere ma sicure, e con un gesto fluido glieli fece scivolare giù, lasciandoli cadere ai suoi piedi. Rimase così, seduto sul bordo del bidet, nudo e vulnerabile, mentre lei restava inginocchiata, il viso sollevato, illuminato da una luce morbida che filtrava dalla lampada accanto allo specchio.
— Ora lasciami fare — mormorò lei, con un sorriso appena piegato all’ironia, ma gli occhi accesi, profondi.
Con dolcezza, lo prese in mano. Il membro era ancora a riposo, rilassato, ma lei non sembrava voler forzare nulla. Lo accarezzò con gesti ampi e caldi, più come se volesse svegliarlo che conquistarne subito il controllo. Poi si chinò, avvicinando le labbra. Non lo baciò, non ancora. Soffiò appena, un filo d’alito caldo che sfiorò la pelle sensibile di lui.
— Ale, aspetta… — provò a dire lui, con un filo di voce. C’era qualcosa di sacro in quel momento, e una parte di lui non voleva che lei lo facesse per restituire qualcosa, o per compiacere.
Ma lei alzò lo sguardo, e lo zittì con un sussurro appena udibile:
— Shhh.
Non c’era dominio né sottomissione. Solo un’intenzione chiara, decisa, piena.
Le sue labbra si posarono su di lui con infinita delicatezza, un bacio appena, che fece vibrare l’aria. Poi un secondo, più lungo. Poi la punta della lingua, a esplorarlo, lentamente, come se stesse scoprendo qualcosa di nuovo e prezioso.
Lo sentì crescere tra le dita, con naturalezza. Come se fosse l’unica direzione possibile. E lei lo accompagnò in quel risveglio con una grazia disarmante, alternando piccoli baci, carezze con le labbra e un tocco appena umido della lingua. Nessuna fretta. Nessun suono volgare.
Solo il respiro che diventava più denso. Il suo corpo che si rilassava e allo stesso tempo si tendeva. Le mani di lei che gli tenevano i fianchi, ferme, morbide, mentre la sua bocca cominciava ad accoglierlo, un po’ di più, e ancora.
Lo guardava dal basso ogni tanto, solo per vedere quanto fosse perso in lei. E lui lo era. Completamente.
Quando iniziò a muoversi con più ritmo, fu un crescendo lento, elegante, avvolgente. Lo teneva tra le labbra come se fosse parte di un rito, un dono che stava ricevendo, più che offrendo. E quando lo sentì fremere, vibrare, quasi cercare di trattenersi, non lo lasciò andare.
Lo accolse con la stessa naturalezza con cui si accoglie un bacio: profondo, consapevole, pieno.
Lui si lasciò andare con un gemito strozzato, gli occhi chiusi, le mani abbandonate lungo il corpo. Era come se le avesse dato qualcosa che non aveva mai concesso a nessuno.
Lei rimase lì, immobile per un istante, il viso ancora vicino, gli occhi chiusi. Poi si rialzò, gli passò una mano tra i capelli e gli sfiorò le labbra con un bacio dolce, quasi infantile. Nessuna parola.
Perché non servivano davvero.
Lui la guardò in silenzio, il respiro ancora irregolare, il corpo che sembrava dover ritrovare un equilibrio dopo quella tempesta silenziosa che lei gli aveva scatenato dentro. Ma non c’era traccia di turbamento nei suoi occhi. Solo stupore, e un senso di gratitudine così profondo che faceva quasi male.
La sollevò di nuovo senza dire nulla, le braccia che la avvolgevano con naturalezza, il suo corpo nudo che aderiva al suo senza resistenze. Lei gli si aggrappò al collo, il viso appoggiato alla sua spalla, e si lasciò trasportare verso la camera con la stessa leggerezza con cui si cede a un sogno.
Quando la depose sulle lenzuola ancora calde della loro presenza, le sfiorò i capelli e le chiese con un sorriso affettuoso, quasi domestico:
— Vuoi lavarti i denti? Dovrei avere uno spazzolino nuovo da qualche parte…
Lei aprì gli occhi, lo fissò un istante, poi scosse piano la testa, e con un filo di voce, carico di una dolcezza disarmante, rispose:
— No. Questa notte voglio dormire con il tuo sapore in bocca.
Poi si sollevò leggermente e, senza esitare, si sfilò la maglietta. Lo fece con calma, senza volersi mostrare né nascondere. Era semplicemente sé stessa. Nuda, vera, serena. Come se quella pelle, quel corpo, quella bocca che sapeva di lui, fossero parte della stessa verità.
Lui la guardò togliersi l’ultima barriera con un sorriso che si spense per un istante nel desiderio, ma poi tornò luminoso, pieno di quella quiete che segue l’estasi. Si sdraiò accanto a lei, voltandosi su un fianco per guardarla meglio. Lei fece lo stesso, e si cercarono sotto le lenzuola come si cercano due corpi che non hanno più paura.
Non dissero altro.
Quella notte dormirono stretti, le gambe intrecciate, i respiri accordati. Come non accadeva da anni. Come se avessero trovato, l’uno nell’altra, un luogo dove tornare. E restare.
La luce del mattino filtrava dalle fessure delle tapparelle, morbida e dorata, scivolava sulle lenzuola, disegnava linee irregolari sulla pelle nuda di Alessia. Dormiva ancora profondamente, il viso rilassato, un braccio sotto il cuscino e le labbra appena socchiuse. Non si muoveva, come se il suo corpo non volesse abbandonare quella pace ritrovata.
Il profumo del caffè la raggiunse per primo, dolce e deciso, poi una voce gentile, vicina.
— Buongiorno Ale… dormito bene?
Lei aprì lentamente gli occhi e vide Marco accanto al letto, un vassoio in mano, il sorriso di chi sa di aver fatto qualcosa di bello per qualcuno. Sul vassoio: due tazze fumanti, qualche biscotto, un bicchiere d’acqua.
Si stirò piano, con un sorriso ancora impastato di sonno, e si sollevò leggermente sulle coperte.
— Non dormivo così da anni — disse con voce roca e impastata — dev’essere stato il tuo trattamento di ieri sera.
Lui rise, le porse la tazza, si sedette sul bordo del letto e bevve un sorso dalla sua.
Cominciarono a chiacchierare con leggerezza, le gambe intrecciate sotto le lenzuola, i sorrisi che si facevano più larghi a ogni ricordo della sera prima. Lei gli raccontava com’era scesa quelle scale interne con il cuore in gola, come si fosse sentita bella mentre lui la guardava… e lui le confessò che quando lei gli aveva chiesto “tu non vieni?”, aveva perso del tutto la capacità di resisterle.
Ridevano, veri, complici. Per un attimo il tempo sembrò sospeso.
Poi lui si fece serio. Non bruscamente, ma con una naturalezza che Alessia colse subito.
— Ale… non abbiamo ancora terminato con la tua riscoperta. — disse, posando la tazza sul comodino. — Ieri sera è stato un intermezzo meraviglioso, intenso, ma… è solo una tappa. Non l’arrivo.
Lei smise di sorridere. Lo fissò in silenzio per un momento, poi abbassò lo sguardo, stringendo tra le mani la ceramica calda.
— Non sono abbastanza per te? — chiese piano. — Ancora non ti basta?
Lui le si avvicinò, le prese la tazza dalle mani e la poggiò accanto alla sua. Poi le prese il volto tra le dita, con dolcezza.
— Non è questo, Ale. Non deve bastare a me. Deve bastare a te. Tutto quello che facciamo… è per farti tornare a guardarti e dire “sì, io valgo. Io sono.” Capisci?
Lei annuì, lentamente. Ma non era convinta del tutto. Nei suoi occhi c’era qualcosa di più profondo, un dubbio che covava da prima, forse da sempre.
— Però tu… tu mi piaci. E io… potrei affezionarmi, sai? — mormorò.
Lui la guardò a lungo. Poi le accarezzò i capelli, le sfiorò le labbra con il pollice.
— E io sono già affezionato a te. Ma c’è una cosa che non possiamo ignorare: ho più di cinquant’anni. Tu ne hai meno di quaranta. Siamo in due fasi molto diverse della vita. Vuoi davvero imbarcarti in una relazione con me?
Alessia non rispose subito. Gli prese la mano, la strinse tra le sue. Il suo sguardo era serio, ma non spaventato.
— Non lo so ancora. Ma so che, per la prima volta da mesi… sento di avere voglia di scoprirlo.
Marco la guardava ancora con tenerezza, il viso vicino al suo, le dita che le accarezzavano piano il collo. Poi, quasi senza staccare lo sguardo, con un tono complice e tranquillo, le propose:
— Oggi è giovedì. Che ne dici se andiamo a fare un po’ di shopping… e poi partiamo? Tre giorni al mare, solo io e te. Niente pensieri, niente domande. Quando torniamo domenica sera, decideremo cosa fare, senza fretta. Ma con chiarezza.
Alessia lo fissò per un attimo, sorpresa. Poi si illuminò. Gli occhi le brillarono come se si fosse accesa una luce dentro, qualcosa di improvviso e puro.
— Davvero? — chiese, come una bambina che fatica a credere che il regalo sia proprio per lei.
— Davvero — ripeté lui, sorridendo.
Lei scoppiò a ridere, si gettò all’indietro sul letto e si coprì il viso con le mani, travolta dall’euforia. Poi si tirò su di scatto e, fingendo serietà, gli disse:
— Allora facciamo shopping. Mi aiuti a scegliere vestiti e costumi per il weekend… ma sappi una cosa. Se scegli, paghi. Lo sai, vero?
Lui alzò un sopracciglio, rilassato.
— Se vuoi, non c’è problema. Anche per il pagare. Ben volentieri.
Alessia annuì, soddisfatta. Poi si alzò dal letto con la sua solita grazia un po’ scomposta, prese al volo la maglietta che aveva abbandonato la sera prima e se la infilò. Marco la seguì con lo sguardo mentre si muoveva per la stanza cercando le sue cose, con la leggerezza di chi ha appena ritrovato una parte dimenticata di sé.
Si vestirono con calma, tra sorrisi e baci rubati. Passarono prima a casa di lei: aveva bisogno di una borsa, di un cambio comodo — ma soprattutto voleva guardarsi di nuovo allo specchio prima di partire, con occhi nuovi. Ci mise poco, ma bastò.
Poi salirono in macchina. La Mini Cooper li attendeva sotto casa, pronta a macinare chilometri e libertà. Direzione Bergamo, il centro commerciale.
Le vetrine avrebbero visto una donna risorgere. E un uomo, forse, iniziare a pensare che quella rinascita potesse trasformarsi anche in qualcosa di più.
Il parcheggio era già pieno, ma Marco trovò posto abbastanza vicino all’ingresso. Alessia scese dalla Mini con gli occhiali da sole ancora calati sul naso, i capelli sciolti e appena asciugati al volo prima di uscire. Indossava una t-shirt nera, corta, infilata dentro un paio di jeans chiari che mettevano in risalto la vita stretta e le gambe affusolate. Sotto, niente reggiseno: un dettaglio che Marco notò subito, anche se fece finta di nulla. Gli occhi non erano quelli della sera prima, ma qualcosa dentro di lei brillava con la stessa forza.
Entrarono nel centro commerciale mano nella mano. Alessia non sapeva nemmeno da dove cominciare.
— Costumi? Intimo? Vestiti da sera? — chiese sorridendo.
— Tutto. Ma andiamo in un negozio giusto, e ti seguo. Ti guardo. E se serve… ti provoco. — le rispose Marco, con un tono che era una promessa.
Si fermarono davanti a una boutique dall’insegna sobria ma le vetrine sfacciate: corpi di manichini femminili con costumi sgambatissimi, body trasparenti, abiti che sembravano colare addosso come vernice lucida. Alessia strinse le labbra.
— Questo è perfetto. — disse. E lo trascinò dentro.
Nel negozio, una commessa giovane e molto truccata li accolse con un sorriso professionale.
— Cerchiamo qualcosa per il mare. E per la sera. Molto… audace. — disse Alessia, senza esitare. Marco la guardava come si guarda un’evoluzione in tempo reale.
La giornata stava scivolando verso il pomeriggio quando rientrarono in città. L’aria si era fatta più calda, il sole più basso, ma ancora pieno. Marco accostò la Mini sotto casa di Alessia e spense il motore, lasciando che nel silenzio rimanesse solo il suono lieve del motore che si spegneva e quello più impercettibile di ciò che stava nascendo tra loro.
— Fai con calma — le disse, girandosi verso di lei con un sorriso morbido. — Hai un’ora per fare la valigia. Poi si parte.
Alessia annuì, scese dall’auto con leggerezza e si voltò un attimo prima di salire.
— Vado rapida, promesso.
— Non ho dubbi — rispose lui, già pregustando il seguito.
Tornò a casa. Il tempo sembrò volare. Aprì l’armadio, scelse con attenzione: pochi abiti, solo quelli che la facevano sentire viva. Mise via i costumi nuovi, la lingerie scelta con cura, un paio di sandali eleganti, e qualche camicia leggera. Infine il beauty. Poi si fermò un attimo davanti allo specchio, studiandosi.
Sapeva già cosa avrebbe indossato per farsi vedere da lui. Non era una mossa da ragazzina. Era un atto consapevole. E scelse bene.
Quando Marco arrivò, in anticipo rispetto all’ora pattuita, parcheggiò nello stesso punto di prima, ma stavolta il cuore gli batteva più forte. E quando la vide uscire dal portone, per poco non mancò un battito.
Lei spuntò con passo deciso, trascinando un trolley nero lucido. I capelli raccolti nella solita coda alta, tirata e lucidata come la sera della cena. Gli occhiali da sole le nascondevano lo sguardo ma non l’atteggiamento. Sapeva di essere guardata. E voleva esserlo.
Indossava il vestito traforato nero che avevano scelto “per andare in spiaggia”. La maglia ampia disegnava motivi geometrici, lasciando filtrare la luce tra i fili, ma sotto non si vedeva nulla. Il completo color carne che aveva scelto con attenzione annullava ogni trasparenza, nascondeva i dettagli, e proprio per questo alimentava la fantasia.
Ai piedi, un paio di sandali con tacco largo, altissimi. La facevano sembrare più alta, le gambe ancora più slanciate, il passo più lento, più pieno. Trascinava il trolley con una mano, mentre con l’altra si sistemava gli occhiali. Quando arrivò davanti all’auto, sollevò un sopracciglio.
— Sono in anticipo. Che dici, ti sembro pronta?
Marco aprì la portiera con un gesto lento, quasi cerimoniale.
— Tu sei oltre il pronto. Sei devastante.
— Allora andiamo a devastare il mare — rispose lei, salendo in auto.
Lui chiuse la portiera e fece il giro. Quando si sedette al posto di guida, le lanciò uno sguardo rapido, lungo le gambe, le cosce, la silhouette disegnata sotto la maglia.
Non si vedeva nulla. Ed era questo a distruggerlo.
— Ale… se arriviamo vivi, sarà un miracolo.
Lei rise, si sistemò sul sedile, alzando una gamba e accavallandola con lentezza.
— Io sono pronta. E tu?
Marco aveva appena chiuso la portiera e acceso il motore. Le mani sul volante, lo sguardo ancora rivolto verso di lei, che sedeva composta ma luminosa, l’aria fiera e giocosa. Si piegò un poco verso di lei, le sfiorò la guancia con un bacio lento, pieno di quella gratitudine che ancora non sapeva esprimere a parole.
Poi le sussurrò, con un sorriso che voleva essere controllo, ma era già bruciato dal desiderio:
— Bellissimo l’abbinamento dell’intimo color carne sotto questo abito… incredibilmente seducente.
Lei lo guardò. Solo un attimo. Ma bastò.
— Perché vedi dell’intimo sotto?
Lui si fermò. Letteralmente. La frase lo fece restare sospeso a mezz’aria, con le dita a mezzavia sul cambio, il piede ancora sul freno. La fissò, gli occhi che si muovevano lentamente lungo la trama del vestito traforato. Cercò i contorni di un reggiseno, di una spallina invisibile. Nulla. Scese con lo sguardo verso la vita, verso il ventre. Cercò una cucitura, una curva, un’ombra che denunciasse lo slip. Ma anche lì… niente.
— Ma… si vedrebbe. — mormorò, più a se stesso che a lei, ancora incerto, ancora in cerca di una conferma.
Lei si voltò completamente verso di lui, una gamba piegata sul sedile, il ginocchio che quasi lo sfiorava, il viso a pochi centimetri dal suo. Sorrise con un’aria di complicità disarmante, e inclinando appena la testa rispose:
— Ho tolto tutto, Marco. Non si può vedere quello che non c’è più.
Rimase lì, un secondo, a guardarlo negli occhi. Poi tornò a sedersi composta, si allacciò lentamente la cintura, e si girò verso il parabrezza.
— Andiamo?
Marco deglutì, mise la prima e partì.
Non disse più nulla per diversi chilometri. Ma ogni tanto la guardava, il piede che si muoveva sul pedale del gas con una tensione nuova. Alessia guardava fuori dal finestrino, serena. Ma sul viso aveva quel mezzo sorriso di chi sa esattamente cosa sta facendo.

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scritto il
2025-07-24
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