L & L 2^ Parte

di
genere
tradimenti

Il lunedì cominciò come se niente fosse accaduto. Niente nella postura, nei toni, nelle email. Ma per Laura, tutto era cambiato. E lo si capiva già dal primo passo con cui entrò in ufficio.
Tacco pieno, deciso. Tailleur nero, aderente ma elegante, la giacca che segnava la vita e lasciava intravedere appena il rosso profondo della camicia in raso, lucida, scivolosa. La minigonna era tagliata perfettamente: troppo corta per una donna distratta, perfetta per una donna consapevole.
Sotto, autoreggenti nere, bordo ricamato. E intimo di pizzo — raffinato, costoso, scelto per lui. Anche se non lo avrebbe visto.
Almeno, non ancora.
Quando arrivò al suo ufficio, si fermò accanto alla responsabile HR, con un sorriso già pronto.
«Avrei bisogno di ridefinire un paio di ruoli operativi. Lavoro a un progetto che richiede concentrazione. E mi serve un supporto… particolare.»
Il tono era neutro. Il linguaggio, formale. Ma gli occhi brillavano.
Nessuno si oppose. Del resto, Laura era Laura. Stimata, precisa, ambiziosa.
Poche ore dopo, Leonardo ricevette la comunicazione:
da quel giorno avrebbe lavorato come assistente diretto della dottoressa Laura De Biasi. Ufficio proprio, porta a vetri, adiacente al suo.
Quando arrivò alla sua nuova scrivania, la trovò già ordinata, con una piantina grassa su un lato e un post-it scritto a mano:
"Benvenuto a bordo. L."
Leonardo impallidì. Ma non disse nulla.
Il resto della giornata fu una danza silenziosa.
Laura passava davanti alla porta a vetri. A volte la lasciava aperta. Si chinava per raccogliere un faldone, lasciava intravedere il bordo della calza. A volte si toglieva la giacca, restando solo con la camicia rossa tesa sul seno. A volte si allungava sulla sua scrivania, per indicare un paragrafo, lasciandogli il profumo del pizzo e della pelle calda.
Ma lui… non cedeva.
Educato. Concentrato. Professionale.
E proprio questo la stava facendo impazzire.
Alle 17:34, Leonardo chiuse il laptop. Si alzò, prese la giacca, e bussò alla porta del suo ufficio.
«Dottoressa, io vado. A domani.»
Laura sollevò lo sguardo, con calma. Si tolse gli occhiali da lettura, si alzò in piedi, facendo scricchiolare appena la sedia in pelle. La gonna si tendeva perfettamente sulle cosce. La camicia sbottonata di un solo bottone in più. Solo quel tanto che bastava.
«Leo…» disse, avvicinandosi.
Lui si bloccò.
«Sai che tra poco saremo soli in tutto il piano, vero?»
Lo guardò fisso negli occhi, con un sorriso lento.
«Sei sicuro di voler andare via proprio adesso?»
Laura lo disse piano, con il tono basso e calmo che aveva imparato a usare solo con lui.
Leonardo si bloccò con la mano sulla maniglia. Si voltò piano. Gli occhi larghi, le labbra dischiuse, la fronte leggermente imperlata. Era chiaro che non se l’aspettava.
«Io… non lo so,» mormorò, e fu sincero.
La guardava, ma non sapeva dove fissare lo sguardo. Il seno sotto la camicetta, le autoreggenti che intravedeva solo con l’immaginazione, la bocca leggermente socchiusa… ogni cosa di lei sembrava fatta per farlo impazzire.
Eppure, restava lì. Fermo. Come se stesse aspettando un semaforo verde in mezzo a una strada deserta.
Laura fece un passo verso di lui, senza toccarlo.
«Tra poco il piano sarà deserto. Tutti andranno via. Io resto ancora un po’...»
Poi sorrise. Quel sorriso sottile, consapevole, che lo aveva fatto impazzire la prima volta.
«Tu fai come credi, Leo.»
E tornò alla scrivania. Non lo guardò più. Non disse altro.
Lo lasciò lì. Con la porta chiusa, il cuore in gola. E una sola domanda addosso: me ne vado davvero?
Leonardo non rispose. Rimase un secondo fermo sulla soglia, lo sguardo perso tra la sua bocca e la scollatura. Poi abbassò gli occhi e disse appena:
«A domani, dottoressa.»
Aprì la porta. E se ne andò.
Laura rimase immobile. La mano ancora a mezz’aria. Il respiro sospeso.
Non se l’aspettava.
Era convinta che sarebbe rimasto, che bastasse poco — uno sguardo, una frase — per tenerlo lì. E invece… se n’era andato.
Non con spavalderia. Ma con un confine. Con una scelta.
Scrollò appena le spalle, si voltò verso il monitor, cercando di scacciare la delusione.
Si ributtò nel lavoro. Toccò qualche mail, scrisse tre righe, rise amaramente tra sé quando si accorse che stava fissando da cinque minuti la stessa slide.
Poi, dopo poco più di mezz’ora, sentì la porta aprirsi. Senza bussare.
Si voltò di scatto. Leonardo era lì. Lo stesso viso. Lo stesso sguardo. Ma qualcosa era cambiato.
Si avvicinò. Chiuse la porta alle sue spalle con calma. Poi parlò.
Sottovoce. Ma senza esitazioni.
«Questo piano è vuoto. E anche i due sopra e sotto. Ho appena controllato.»
Si fermò accanto alla scrivania. La guardò.
«Ci siamo solo io e te.»
Laura non disse nulla.
Lo guardò. Poi sorrise. Lentamente. Senza alzarsi dalla sedia.
Incrociò le gambe. La minigonna si sollevò appena. La camicia rossa brillava alla luce fioca del tramonto.
Leonardo non disse altro. Si voltò verso la porta. Chiuse lentamente la serratura con un clic secco, quasi cerimoniale. Poi si diresse verso le finestre. Girò la bacchetta delle veneziane fino a farle chiudere del tutto, lasciando filtrare solo strisce sottili di luce dorata tra le fessure.
L’ufficio si fece ovattato. Intimo. Caldo.
Quando tornò verso di lei, la guardò in silenzio.
«Cosa avevi in mente, Laura?»
La voce era più bassa del solito. Un po’ incrinata. Ma carica. Di aspettativa, di fame, di quella tensione che non si sa più se trattenere o lasciare esplodere.
Lei non rispose subito. Si alzò lentamente dalla sedia. La minigonna tirata perfettamente sulle cosce, la camicia in raso che rifletteva la luce come pelle viva.
Fece un passo verso di lui. Poi un altro.
E si fermò.
Cominciò a sbottonare la camicia.
Uno. Due. Tre bottoni. Lentamente. Senza parlare. Lo guardava fisso negli occhi, mentre le mani si muovevano sul proprio corpo con la precisione sensuale di chi sa esattamente quanto potere ha.
La camicia si aprì. Il raso scivolò sulle spalle, poi lungo le braccia, e infine cadde sul pavimento con un fruscio dolce. Restava il reggiseno in pizzo nero, aderente, profondo. Le curve sollevate, la pelle tesa, viva.
Poi fu la volta della minigonna. Si voltò leggermente di lato. Un pollice sotto l’elastico. Un gesto breve, ma studiato. Il tessuto scivolò lungo i fianchi, poi sulle gambe, poi a terra, rivelando il tanga coordinato e le autoreggenti perfettamente ancorate alla pelle liscia.
Non disse nulla.
La guardò, per un solo secondo. Ma bastò.
Quel corpo davanti a lui, offerto con naturalezza e decisione, fu la scintilla. Leonardo non era più il ragazzo timido e impacciato di prima. Adesso agiva.
In due passi le fu addosso. Le mani le presero il volto, la bocca si incollò alla sua in un bacio violento, pieno, urgente. Le lingue si cercarono, si strinsero, si afferrarono. La sollevò leggermente dai fianchi e la spinse indietro, fino alla scrivania.
Laura cercò di dire qualcosa, ma non ne ebbe il tempo.
Fu sdraiata di schiena, con la schiena contro il legno, i capelli sparsi, il seno che tremava sotto il pizzo. Leonardo non perse un secondo: abbassò lo slip con un gesto, poi liberò se stesso dai pantaloni.
Lei lo vide, o meglio, lo sentì.
E fu un attimo. Senza una parola, senza esitazioni, entrò in lei.
Profondamente.
Così a fondo che le mancò il respiro.
Toccava il fondo, letteralmente. Eppure sentiva che una parte di lui era rimasta fuori.
Era troppo. Troppo lungo. Troppo pieno.
La riempiva. La spingeva. La tendeva fino a farle tremare le gambe.
«Oh Dio…» gemette, con le mani tese sul piano per cercare un appiglio.
Leonardo non rallentò. Spingeva con forza, quasi cieco, il viso contratto, i muscoli tesi. I fianchi che battevano contro i suoi con ritmo crescente, ossessivo. Ogni colpo era un’ondata di pressione, un misto di dolore acuto e piacere abissale, che la faceva urlare a bocca chiusa, con la testa piegata all’indietro.
Le spinte si fecero più rapide, più profonde, più rabbiose. Leonardo era un fiume in piena. Non parlava quasi, ma ogni movimento, ogni colpo che affondava in lei, parlava per lui. Laura era distesa sulla scrivania, il volto girato di lato, i seni che sussultavano a ogni impatto. Lo sentiva tutto. E sapeva che non era ancora tutto. Una parte di lui premeva ancora fuori, mentre il resto la spaccava in due.
Ansimava, affamata, sorpresa, spalancata.
«Ti voglio… tutto» sussurrò con voce rotta.
Leonardo la prese in parola.
La fece alzare di scatto, senza staccarsi. La girò con decisione, la piegò in avanti contro il bordo della scrivania, le mani ben salde sul legno. Il busto si inclinò, il sedere si alzò, e lui tornò dentro di lei con uno slancio ancora più violento.
La nuova angolazione gli permise di affondare ancora. Più a fondo. Ancora.
Laura sussultò, lanciò un gemito lungo, rauco, rotto. Non c’era più nulla di contenuto in quel momento. Era tutta sua. E lui era diventato un’altra persona.
Le sue mani le strinsero i fianchi, poi i glutei, poi la schiena. Si muoveva con una fame nuova, ogni colpo era uno strappo, un impatto pieno, possente. Lei tremava, ma non voleva che finisse.
Anzi. Lo voleva ancora più forte.
«Non ti fermare…» mormorò, tra un gemito e l’altro.
«Non ti fermare.»
Le spinte si fecero ancora più rapide, ancora più profonde. Leonardo affondava dentro di lei con una foga crescente, il respiro spezzato, le mani ben salde sui suoi fianchi nudi. Ogni colpo sembrava strappare un nuovo gemito, un nuovo spasmo, un nuovo confine superato.
Laura era piegata a novanta, completamente in balia di quel corpo che non avrebbe mai immaginato così potente. Sentiva ogni centimetro, ogni colpo come un’esplosione, ogni affondo come un’onda che si frangeva contro le sue pareti tese e inondate.
E poi, tutto cambiò.
Sentì un brivido salire dal basso ventre. Le gambe iniziarono a cedere, la bocca si aprì senza riuscire a emettere un suono. Il corpo fu attraversato da uno scatto improvviso, una vibrazione assoluta che si impossessò di lei.
Veniva.
Con tutta sé stessa.
E non riusciva a fermarlo.
Leonardo lo capì. Lo sentì. E fu quel momento, quel gemito strozzato, quella stretta improvvisa e bagnata a farlo esplodere.
Si sfilò da lei con un gesto d’istinto, veloce, affamato. Le mani le aprirono le natiche mentre il suo corpo tremava.
E poi si liberò.
Con violenza.
Con rabbia.
Con sollievo.
Un fiotto caldo, abbondante, le colpì la schiena, poi un altro, e un altro ancora. Le righe di piacere scivolarono lungo la colonna vertebrale, si raccolsero sul fondo schiena e più giù, tra i glutei, fino a lambirle la pelle ancora arrossata dalle sue mani.
Restò un momento ferma, piegata sulla scrivania, il respiro ancora affannoso e la pelle bagnata dalla sua essenza. Poi lentamente si raddrizzò, si voltò verso di lui.
Il viso era arrossato, gli occhi lucidi di piacere e sorpresa.
Lo guardò.
E sorrise.
Lo baciò a lungo. Un bacio pieno, umido, caldo, fatto di riconoscenza e desiderio, dove le parole non servivano più. Le sue mani scivolarono lungo le braccia di lui, poi sulle spalle, sul collo, infine lo avvolsero completamente.
Lo abbracciò.
Fu allora che lo sentì.
Ancora lì.
Duro.
Incredibilmente duro.
Il membro le premeva sul ventre, pulsante, vivo, come se il corpo di lui non avesse avuto alcun bisogno di riposo.
Si staccò appena dal bacio, gli occhi ancora appannati.
Scese con lo sguardo, poi lo risollevò su di lui, sorpresa e affamata allo stesso tempo.
«Leo…» sussurrò, quasi incredula.
Poi sorrise, un sorriso lento, umido, che sapeva già di vendetta dolcissima.
«Ancora?»
Le dita scesero sul suo torace, poi sulla cintura.
Lo guardò dritto negli occhi.
«Sai che non posso lasciarti andare via così, vero?»
«Vieni con me.»
Non glielo chiese. Lo ordinò. Lo trascinò al divanetto come se non potesse aspettare un secondo in più, come se il bisogno di sentirlo dentro la stesse dilaniando.
Leonardo si lasciò cadere sulla seduta, ancora incredulo di quel corpo nudo, perfetto, che si piegava su di lui con movimenti febbrili. Laura non perse tempo: si accovacciò, guidò il membro ancora incredibilmente duro tra le sue cosce, e lo ingoiò con la vagina in un solo colpo, con un gemito strozzato che si trasformò in un ringhio.
«Dio… sì!»
Lo cavalcava come se volesse schiacciarlo, il bacino che batteva con forza, le mani sui suoi pettorali, le unghie che affondavano nella pelle. Gli occhi fissi nei suoi. Era posseduta dal desiderio.
Lui l’afferrava con forza, i muscoli tesi, la bocca aperta sul seno che gli ballava davanti. Quando lo afferrò con i denti, mordendole un capezzolo, lei esplose la prima volta, urlando come un animale ferito, una scossa profonda che la percorse tutta e la lasciò ancora più bagnata, più stretta, più ingorda.
Non si fermarono.
Non si diedero respiro.
Il ritmo si fece ancora più violento. I colpi rimbombavano nel silenzio ovattato dell’ufficio. Il divanetto scricchiolava. L’aria puzzava di pelle, umori e sesso.
Lei si contorceva sopra di lui, il viso deformato dal piacere, i capelli incollati alla fronte.
Poi un altro orgasmo. Più potente. La gola aperta in un grido strozzato, le cosce che lo stringevano, le unghie che gli rigavano la schiena.
Leonardo la tenne ferma, in alto, e poi la abbassò con forza, con rabbia, sbattendola sul suo cazzo come se volesse romperle il bacino.
«Ti spacco, Laura… ti apro in due…» ansimò.
«Sì… sì cazzo, fammi tua… fammi a pezzi…» gridò lei, totalmente fuori controllo.
E mentre lo sentiva tremare sotto di lei, sentì la punta calda e tesa che si gonfiava ancora. Un attimo dopo, il secondo orgasmo esplose come una bomba. La riempì, denso, caldo, così tanto da farle quasi male.
Non si staccarono.
Restarono così, ansimanti, appiccicati, ancora contratti.
Le mani tremanti. Le gambe intorpidite.
Le lingue si cercarono, stavolta mangiandosi davvero. Niente baci. Solo fame.
Restarono fermi, fusi, il suo corpo ancora adagiato sul suo, tremante, madido di sudore e piacere.
Leonardo non era ancora uscito da lei. Le mani le scorrevano addosso, lente, ma non tenere. Esploravano. Marcavano.
Poi, come a suggellare qualcosa di più profondo, un dito scivolò sul solco tra le natiche. Lo fece con naturalezza, senza fretta. Sfiorò l’ano con la punta, lo accarezzò appena, sentendo la stretta nervosa della pelle che si tendeva. Lei sussultò.
Il respiro le si spezzò un attimo.
Ma non disse nulla.
Lui la guardò da sotto, lo sguardo velato da una fame ancora viva.
«Preparati,» le sussurrò, con voce roca, «perché la prossima volta… ti voglio tutta.»
Lei sorrise, mordendosi il labbro inferiore. Poi si alzò lentamente, lasciando colare da sé l’ultima scia calda di piacere. Si asciugò con un fazzoletto, raccolse i vestiti e cominciò a rivestirsi in silenzio. Lui la osservava. Stordito. Ma ancora pronto.
In pochi minuti erano entrambi di nuovo in ordine. Nessuno avrebbe potuto immaginare cos’era successo tra quelle pareti.
Sulla porta, prima di uscire, lei si voltò.
Non sorrideva. Ma gli occhi brillavano.
«A domani, Leo.»
«A domani, Laura.»
Se avete commenti, suggerimenti e critiche potete lasciarli qua sotto o scrivere a mogliemonella2024@gmail.com
scritto il
2025-08-09
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