In Vetta 3^ Parte

di
genere
etero

Il volo di ritorno fu silenzioso, come se anche l’aria intorno a lei avesse preso atto del cambiamento. Seduta al finestrino, con i capelli raccolti e un tailleur impeccabile, Lorena osservava le nuvole sotto di sé con lo sguardo di chi ha appena varcato una soglia da cui non si può tornare indietro. Non c’era rimpianto, solo consapevolezza.
La settimana riprese come se nulla fosse successo. Sveglia all’alba, dieci chilometri sotto i piedi. Riunioni, call, report. Il passo sicuro sui tacchi, il portatile sotto braccio, i capelli legati in una coda alta, i colleghi che la osservavano con quella vaga deferenza che si riserva a chi è appena tornato da un trionfo. Ma chi la conosceva bene – pochi, a dire il vero – avrebbe notato un dettaglio sottile ma rivelatore: negli occhi di Lorena c’era qualcosa di nuovo. Un lampo calmo, feroce, quasi divertito.
Chris scriveva. Mail su mail. Messaggi criptici, dichiarazioni travestite da battute, inviti mascherati da pretesti lavorativi. Ma lei, con glaciale coerenza, rispondeva sempre nello stesso modo.
What happens in Dublin, stays in Dublin.
E poi tornava a lavorare. Senza tremare, senza cedere. Sapeva di aver vissuto qualcosa di vero, di potente. Ma era stata una sua scelta. Un capitolo perfetto, concluso. Aveva imparato troppo bene quanto sia importante scegliere, anche quando la tentazione è forte, anche quando un ricordo si fa vivo sotto pelle.
La settimana era trascorsa senza scosse. Un susseguirsi di riunioni, numeri, decisioni rapide, sguardi fugaci nei corridoi. Lorena aveva ripreso il suo posto, la sua vita di sempre. Ma sotto la superficie calma, qualcosa si era mosso. Un'energia nuova, sottile, come un fuoco lento che continuava a bruciare, silenzioso ma inarrestabile.
Il venerdì sera era tornato. E con esso, il rito che ormai conosceva a memoria: una doccia lunga, il vapore che avvolgeva il corpo tonico, il vapore che rilassava e allo stesso tempo risvegliava. Poi lo specchio, il trucco steso con calma, gesto dopo gesto, come una pittrice che prepara il proprio volto per l’unica vera uscita di scena che le interessasse davvero. Labbra rosso vino, definite ma carnose. L’eyeliner tracciato con mano ferma, a esaltare quegli occhi verdi che stanotte avrebbero brillato più del solito. I capelli lasciati lisci, fluenti, con la riga centrale: un’eleganza silenziosa, calcolata ma mai ostentata.
Scelse il vestito con lo stesso istinto con cui un tempo firmava contratti milionari: nero, di seta opaca, aderente e scivolato sulle sue forme. Le lasciava la schiena completamente scoperta fino ai lombi, tenuto su solo da un intreccio sottile dietro la nuca. Il tessuto si tendeva in vita, abbracciandole i fianchi e le natiche con una naturalezza sensuale che non chiedeva il permesso. Ai piedi, le sue décolleté nere lucide, tacco sottile e preciso come una lama. Nessuna calza a coprire le gambe, non quella sera: la sua pelle avrebbe ballato libera.
Entrò nel locale attraversando la fila come se non esistesse. Dentro, la musica esplodeva. Battiti profondi, luci pulsanti, corpi già in movimento. Si immerse nella folla come una goccia nell’oceano, lasciandosi travolgere dal ritmo, dal calore, dall'energia. Ballava. E lo sapeva. Lo sapeva perfettamente che gli sguardi si posavano su di lei con insistenza diversa. Che le mani si avvicinavano sempre un po’ troppo. Che i corpi maschili si facevano prossimi, le si stringevano intorno in un’orbita silenziosa, e che ogni sfioramento – la mano sull’anca, il braccio che incrocia la sua schiena nuda, il petto che si fa troppo vicino – era una ricerca.
Ma, a differenza di un tempo, ora non c’era imbarazzo. Non c’era distanza. C’era consapevolezza. E quella consapevolezza la eccitava. Sentiva il suo corpo rispondere, la pelle farsi più calda, le gambe più leggere, il respiro meno regolare. Sentiva il vestito aderirsi ancora di più, come se anche il tessuto volesse partecipare a quella tensione crescente. Era bagnata. Lo sapeva. Non era solo il caldo, non era solo il sudore. Era qualcosa che nasceva dentro, un richiamo antico, finalmente riemerso.
Fu un attimo. Il cambio del ritmo, la musica che rallentava, il basso che si addolciva e la melodia che sembrava venire da un’altra epoca, da una serata lontana, da quando i lenti erano ancora un gesto d’audacia e non un imbarazzo. Lorena si fermò, sospirò, fece per avviarsi fuori dalla pista – come faceva sempre in quei rari casi – quando lo vide comparire davanti a sé, come se fosse uscito dalla musica stessa.
«Posso avere l’onore di questo ballo?» chiese, con un sorriso che non aveva nulla di costruito. Era giovane, ma non troppo. Sicuro, ma non arrogante. Alto, molto più di lei. I tratti marcati e la carnagione olivastra gli donavano un’aria mediterranea, calda. I capelli leggermente mossi, lo sguardo profondo, nero come la notte. Indossava jeans aderenti, che lasciavano poco all’immaginazione quanto alla potenza delle sue gambe, e una camicia chiara lasciata completamente sbottonata, annodata solo in vita. Il petto era muscoloso, liscio, con addominali disegnati da anni di sport o da una genetica benevola. La pelle brillava appena sotto le luci, sudata, viva.
Lorena lo guardò senza rispondere subito. Si chiese se fosse stato Chris a mandarlo, se fosse solo un’altra proiezione dei suoi desideri, ma poi pensò che non aveva importanza. Quella notte era sua. Era libera. Nessun contratto da onorare, nessuna policy da rispettare, nessuna mail da leggere.
«Perché no?» rispose infine, con un sorriso appena accennato, poggiando la mano nella sua.
Lui la condusse al centro della pista. Le sue mani grandi e calde le sfiorarono il fianco mentre la posizionava più vicina a sé. Lorena sentì l’altezza, la forza, la presenza. E si lasciò andare. Le braccia intorno al suo collo, il viso vicino a quel petto che profumava di sapone e sudore, la sua mano ferma sulla schiena nuda, poco sopra i glutei. Ballarono così, stretti, oscillando al ritmo morbido di quella canzone dimenticata da tutti tranne che da chi ne aveva vissuto il tempo.
Cominciò a muoversi con un'armonia quasi innaturale. I fianchi del ragazzo si spostavano in onde lente ma precise, in un movimento ipnotico che sembrava disegnato per aderire al corpo di lei con la precisione di un abbraccio studiato. Si strusciava su di lei come un felino elegante e audace, senza invadenza ma con una padronanza assoluta dello spazio e del corpo. Lorena cercava di seguirlo, ma si accorse presto che era lui a condurre quel ballo silenzioso, quel lento travestito da sfida carnale.
Il suo bacino premeva sul suo ventre, si muoveva con calcolo e sensualità, accarezzando attraverso i tessuti ciò che di lei andava ormai umettandosi a ogni passaggio. Un brivido la attraversò quando lui fece scivolare una gamba tra le sue, insinuandosi con disinvoltura e determinazione, aumentando la pressione là dove il desiderio stava già lievitando da minuti. Non fu solo la posizione a farle trattenere il fiato, ma il modo: lui sapeva perfettamente cosa stava facendo, e lo faceva bene.
Lorena emise un mugolio soffocato che si perse nel frastuono della musica, ma il suo petto vibrava, e lui lo percepì. Lo sentì. Le sue mani, grandi, si chiusero sui suoi fianchi come a volerla ancorare, come a volerle impedire di fuggire da quella danza lenta e sensuale che aveva ormai travalicato i confini di un semplice ballo. Erano due corpi che si esploravano, che si cercavano, che parlavano una lingua fatta di movimento e attrito.
Quando la musica cambiò, spezzando il ritmo ipnotico del lento e riportando la sala alla sua solita energia anni Novanta, lui non si staccò. Rimase lì, attaccato a lei, il respiro caldo sul suo collo, le mani ancora sulle sue curve. Lorena avrebbe potuto fare un passo indietro. Ma non lo fece.
Non si mosse. Non cercò di allontanarlo, non provò nemmeno a distogliere lo sguardo. Rimase lì, immobile, sentendo ancora addosso l’eco del lento, come se il suo corpo non volesse accettare la fine della canzone. Lui era ancora troppo vicino, troppo presente. Avvertiva il respiro caldo sulla guancia, la consistenza dei suoi addominali contro il seno, il peso di quelle mani sui suoi fianchi che sembravano volerle ricordare di essere desiderata, in quel momento, solo per quello che era.
La musica cambiò ritmo, ma i loro corpi no. Cominciarono a muoversi insieme, lenti ma presenti, con un’intimità che non apparteneva al contesto del locale. Non era più solo un ballo: era una sfida muta, uno sfiorarsi consapevole, un braccio di ferro tra il lasciarsi andare e il trattenersi ancora un po'. Lui abbassò il volto, sfiorandole l’orecchio con le labbra. Non parlò. Semplicemente rimase lì, così vicino da farle sentire il suo odore, un misto di sudore, colonia e pelle. La sua voce arrivò solo dopo, rauca e controllata.
«Vieni a bere qualcosa con me?»
Lorena non rispose subito. Chiuse gli occhi per un attimo, come per ritrovare un centro che sembrava essersi spostato sempre più in basso, lì dove il tanga era diventato ormai solo un confine bagnato da attraversare. Aprì gli occhi, lo guardò. Era giovane, forse dieci anni meno di lei. Ma quegli occhi neri avevano una sicurezza priva di arroganza. Un invito, non una richiesta.
Fece un cenno appena accennato con la testa, come a dire sì, ma anche a dire: sto solo decidendo di seguirti, non ti appartengo ancora.
Si allontanarono insieme dalla pista, lei davanti, lui dietro. Sentiva il suo sguardo sulla schiena nuda, sulla curva dei fianchi che la gonna aderente non cercava nemmeno di nascondere. A ogni passo i suoi glutei sembravano muoversi per lui. Non era una messa in scena: era solo consapevolezza.
Al bar lui ordinò da bere, le chiese solo “cosa ti piace?”, senza fingere conoscenze che non aveva. Lei scelse qualcosa di fresco, leggero, ma con carattere. Sorseggiò il drink guardandolo negli occhi. Le parole erano poche, i silenzi densi. I corpi non si erano ancora toccati di nuovo, ma l’elettricità tra loro era più viva di prima.
Tornarono in pista, confusi tra le luci stroboscopiche e il ritmo martellante che batteva forte come un secondo cuore. Il tempo di finire il drink e lui l’aveva già presa per mano, con naturalezza, come se avessero solo messo in pausa qualcosa che doveva ricominciare. Lorena si lasciò condurre, quasi senza opporre resistenza, attratta da quell’energia che lui sembrava sprigionare con ogni movimento.
Appena i loro corpi si ritrovarono, lui la prese di nuovo. Ma non era un ballo, era una danza di carne e desiderio. Il bacino cominciò a muoversi con la stessa precisione felina del lento, ma con una forza nuova, più selvaggia. Le sue anche descrivevano cerchi perfetti che si chiudevano su di lei a ogni battito, mentre una gamba, ancora una volta, si insinuava tra le sue, spingendola a divaricare appena per accoglierlo.
Il tessuto sottile della gonna non era più un ostacolo, ma solo una pellicola che amplificava ogni attrito. Il suo basso ventre fu di nuovo premuto, stimolato, stuzzicato da quella coscia dura e viva che si muoveva con sicurezza e ritmo, facendo vibrare ogni fibra sensibile del corpo di Lorena. Non era solo contatto, era frizione, era pressione, era calore che cresceva e si moltiplicava a ogni movimento.
Lei non ballava più, reagiva. Si lasciava muovere, adattava i fianchi, chiudeva le cosce quel tanto che bastava a trattenere quel tocco, a stimolarlo ancora di più. E quando il suo bacino rispondeva con un contraccolpo istintivo, percepiva su di sé la reazione immediata del ragazzo, il rigonfiamento che cresceva e premeva, il respiro più profondo, la stretta più salda sui fianchi.
La musica spariva, il mondo si sfocava. Esistevano solo quei due corpi avvolti nella danza di un desiderio che non faceva rumore, ma urlava forte dentro entrambi.
Era sempre più eccitata. Ogni spinta, ogni strusciamento preciso e costante di quel corpo giovane e sicuro contro il suo, alimentava una tensione che non riusciva più a contenere. Il piacere non era più una promessa: stava arrivando, rapido, inarrestabile. Cercò di resistergli, di respirare più lentamente, di pensare ad altro… ma non ci fu scampo. Il culmine la travolse come un fiume in piena, esplodendo nel basso ventre e irradiandosi con violenza fino al petto, alla testa, fino a farle cedere le ginocchia come se la corrente interna l’avesse svuotata di ogni forza.
Lui se ne accorse all’istante e la sorresse senza sforzo, le mani ferme sui suoi fianchi, la fronte che sfiorava la sua. Lei si abbandonò per un attimo, chiuse gli occhi e lasciò che il piacere la attraversasse ancora in un’onda lunga, profonda, totale. Fu allora che la sua bocca venne invasa da quelle labbra calde, sicure, e da una lingua che cercò subito la sua, con la stessa decisione con cui l’aveva stretta tra le braccia. Lorena rispose con slancio, affamata e ancora scossa, mentre dentro di sé sentiva le gambe tornare forti, la mente ancora satura ma di nuovo lucida, pronta a sostenere l’intensità del momento.
Il bacio si sciolse lentamente. I loro sguardi si incollarono per un istante lungo, pieno, fatto di tutto quello che non era stato detto. Poi lui le prese la mano. Nessuna parola, solo un gesto sicuro. Lorena non esitò. Lo seguì.
Uscirono dalla pista attraversando la folla densa e luminosa. Nessuno dei due si voltò. Appena fuori dal locale, la brezza fresca della notte la colpì sulla pelle umida, facendole rizzare i capezzoli sotto il vestito. Lui la condusse fino al primo albero oltre la siepe che separava l’area esterna dal parcheggio.
La spinse piano contro il tronco, le mani si riattivarono subito, come se non si fossero mai fermate. Le toccò i fianchi, poi scivolò sulla curva dei glutei, li strinse, li accarezzò, li baciò attraverso il tessuto. Lei gli lasciava tutto lo spazio, lo voleva. Aveva ancora negli occhi il ricordo dello specchio di Dublino, del suo corpo svestito, della donna nuova che stava diventando. E ora, tra quelle mani sconosciute e voraci, sentiva che quel cambiamento era reale.
Le sue mani si muovevano decise, risalivano lungo la sua schiena scoperta, tornavano giù a spingere sotto l’orlo del vestito, sfiorandole le cosce, allargandole un poco per tornare a premere proprio lì dove pochi minuti prima lei era esplosa.
Lorena gemeva, le labbra socchiuse mentre con le mani si aggrappava alle spalle del ragazzo. Le sue dita cercavano la pelle sotto la camicia aperta, si insinuavano sul petto caldo e teso, graffiandolo leggermente, provocandolo, stuzzicandolo.
Ogni contatto era una scintilla, ogni tocco un rimando a ciò che sarebbe potuto accadere da lì a poco. Il desiderio era così denso nell’aria che sembrava bagnarla, come una nebbia calda e fragrante che li avvolgeva entrambi.
Lorena si staccò lentamente dalla presa di lui, i respiri ancora corti, il corpo scosso da fremiti che sembravano non volerla lasciare. Si guardò intorno, poi lo vide: un’auto parcheggiata poco più in là, nell’ombra discreta di una siepe alta. Si mosse verso quella direzione con passo sicuro, il vestito che seguiva onde morbide sulle cosce nude.
Si fermò proprio lì, davanti al cofano ancora tiepido, e vi si appoggiò con i glutei, le mani che si ancoravano al bordo metallico. Sollevò lo sguardo verso di lui, gli occhi lucenti, sfidandolo apertamente. Poi, con un gesto fluido, allargò leggermente le gambe. Il vestito si sollevò appena, rivelando il triangolo scarlatto del suo tanga. La voce le uscì bassa, roca, carica di desiderio:
«Forza... prendimi.»
Lui non esitò. Si avvicinò deciso, tirando fuori dal portafoglio una protezione che indossò con movimenti rapidi, esperti. Un attimo dopo era lì, tra le sue gambe, a scostare con dolce brutalità il sottile tessuto, e a spingere dentro di lei con una lentezza iniziale che si fece subito potente. Lorena spalancò gli occhi. Era grosso, molto più di quanto si fosse aspettata, e quella prima, profonda penetrazione le strappò un sussulto carico di piacere.
Il ragazzo iniziò a muoversi, affondando con ritmo crescente, ogni spinta era decisa, precisa, affamata. Lorena si aggrappava al bordo del cofano, le mani tese a cercare ancoraggio mentre il suo corpo veniva scosso da un movimento anca-bacino che sembrava pensato per farla impazzire. Il suono dei loro respiri si univa al lieve cigolio delle sospensioni, alla notte silenziosa intorno.
Il piacere montava in ondate, come se lei stessa fosse diventata mare, carne liquida sotto la marea di quei colpi. L’orgasmo le esplose dentro con forza, le gambe che tremavano e i gemiti che si mescolavano a respiri rotti. Ma lui non si fermò, proseguì con una determinazione che la costrinse a cedere ancora, e ancora.
Solo quando anche il suo corpo si tese in un ultimo, potente affondo, Lorena sentì il momento in cui lo raggiunse, l’orgasmo che li prese entrambi in un nodo quasi doloroso di piacere condiviso.
Mentre lui si sfilava da lei con lentezza, il respiro ancora affannoso e le mani che scorrevano brevemente sulle sue cosce, Lorena lo osservava con sguardo velato di piacere e confusione. Avvolse la protezione in un fazzoletto e, con un gesto rapido ma attento, se la mise in tasca. Le regalò un ultimo bacio caldo e sfacciato, e con un sorriso sfrontato sussurrò:
«Sei una gran figa… e una stupenda scopata. Spero di rivederti presto.»
Poi si voltò e si perse nella notte, la sua figura inghiottita dall’oscurità del parcheggio. Lei rimase qualche secondo appoggiata al cofano, a cercare un respiro regolare, a comprendere se tutto quello fosse davvero accaduto. Si sistemò alla meglio, raddrizzò il vestito, salì in macchina e partì, le mani ancora tremanti sul volante.
Il tragitto verso casa fu silenzioso, ma la sua mente era un turbine. Si sentiva viva come non accadeva da tempo, ma al tempo stesso vulnerabile, esposta. Si chiese se stava perdendo il controllo, o forse finalmente lo stava prendendo in mano. La risposta si fece strada con la stessa lentezza con cui le dita le avevano risvegliato i sensi: era ora di vivere.
Aveva passato troppi anni a reprimere, a contenere, a rimandare. Ora era una dirigente, una donna rispettata, e proprio per questo poteva — e doveva — imparare a delegare. A lasciare che la vita scorresse, che le emozioni emergessero, che il desiderio trovasse il suo spazio.
Lorena non era più solo una professionista. Era una donna. E quella donna, finalmente, si stava prendendo tutto ciò che si era negata troppo a lungo.

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scritto il
2025-07-16
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