L & L 3^ Parte

di
genere
tradimenti

Laura stava seduta sul divano con una coperta sulle gambe, un bicchiere di vino bianco ancora mezzo pieno sul tavolino e la televisione accesa, ma senza volume. Scrollava distrattamente il telefono, annoiata, quando lo vide. Una notifica da Leo. Il cuore le fece un piccolo sobbalzo, come se fosse passato un secolo da quella mattina in ufficio.
Aprì il messaggio.
"Ho casa libera per il fine settimana, da venerdì a domenica sera. Vieni da me per il week-end?"
Rimase immobile. Gli occhi fissi sullo schermo.
Lo rilesse.
Poi ancora.
Una scarica calda le si diffuse tra lo stomaco e le cosce, improvvisa. Non c’erano emoji, nessuna frase di circostanza. Solo quell’invito secco, diretto, senza giri di parole. La stava aspettando. E lei sapeva già che sarebbe andata.
Si alzò in piedi. Andò verso la cucina dove suo marito era intento a leggere le ultime notizie sul tablet. Gli appoggiò una mano sulla spalla, con naturalezza.
«Tesoro… questo weekend mi devo assentare.»
Lui la guardò un attimo, senza particolare interesse.
«Ah sì? Dove vai?»
«A trovare una mia amica a Bologna. Le è successa una cosa… niente di grave, ma preferisco esserle vicina.»
Lui annuì, già tornato alle notizie.
«Va bene. Tanto io sono a golf sabato, e domenica c’è il torneo in TV. Mi sa che non mi accorgerei nemmeno se ci fossi.»
Lei gli diede un bacio distratto sulla guancia, poi tornò in salotto. Solo allora si accorse che le mani le tremavano appena.
Si sedette e rispose.
“Arrivo venerdì sera. Spero che tu abbia qualcosa di speciale in mente.”
Spense la TV.
Il vino era rimasto lì, ma non lo toccò.
Pochi minuti dopo che aveva premuto invio, il telefono vibrò di nuovo.
Leo aveva già risposto.
“Molto speciale. Non ho intenzione di farti uscire dal letto per tre giorni.”
Laura restò a fissare lo schermo, le labbra appena socchiuse, le gambe che si strinsero istintivamente. Era breve, semplice, ma quella frase la fece sentire come se qualcuno le avesse soffiato sul collo da dietro, lentamente, con intenzione.
Il letto. Tre giorni.
Con lui.
Con quel corpo, con quella fame, con quelle mani.
Si alzò di nuovo. Andò in camera.
Aprì l’armadio, poi il cassetto della lingerie.
Non sapeva ancora cosa avrebbe messo.
Ma sapeva perfettamente cosa avrebbe voluto togliersi.
Il taxi si fermò ai piedi del palazzo. Laura alzò lo sguardo: l’attico occupava l’ultimo piano di un edificio moderno, vetro e acciaio, linee pulite, un’architettura che non ti aspetteresti da un ragazzo come Leonardo. Solo quando aveva accettato l’invito non si era fatta troppe domande. Ora, davanti a quell’ingresso elegante, si rese conto che sapeva molto meno di lui di quanto avesse immaginato.
Salì in ascensore, il cuore che accelerava a ogni piano.
Quando le porte si aprirono, trovò lui ad attenderla sull’uscio. La porta era già socchiusa.
Leonardo non disse niente subito. La guardò.
Occhi fissi su di lei, ancora vestita con il tailleur da lavoro, la camicia di raso leggermente sbottonata per il caldo, tacchi affilati e quella borsa compatta ma carica di promesse.
Appena varcata la soglia, la porta si richiuse con un tonfo sordo alle sue spalle. Non fece in tempo a voltarsi che lui era già su di lei.
Le mani di Leonardo la afferrarono con decisione, la schiena di Laura finì contro la parete fredda dell’ingresso, e le sue labbra vennero divorate in un bacio improvviso, pieno, quasi violento. Un gemito sorpreso le sfuggì mentre sentiva le mani di lui sulla vita, poi risalire ai lati del seno, sfiorare appena sotto le braccia come per cercare conferma che fosse davvero lì.
Il suo corpo reagì prima della mente: il bacino si arcuò, il petto si tese verso di lui. Ma dopo un istante, con una forza che non era rifiuto ma controllo, lo fermò con le mani sul petto.
«Aspetta… Leo…» ansimò, ancora aggrappata alla sua camicia. «Sei impazzito?»
Lui la fissò, il respiro affannoso, eccitato come un predatore che si era appena lanciato troppo presto.
«Sei arrivata così… bella. Non ho resistito.»
Lei si staccò lentamente, con un sorriso che diceva tutto tranne che “no”.
«Beviamo un bicchiere di vino, va bene?»
Leo annuì, docile, seguendola con lo sguardo mentre si toglieva le scarpe e lasciava la giacca sullo schienale di una sedia.
Si spostarono nella zona giorno. Una bottiglia già aperta sul tavolo, due calici. Laura ne versò uno e glielo porse, poi si servì.
Brindarono senza dire una parola. Un solo sguardo, un solo sorso.
Silenzio. Solo il battito nei loro petti.
Poi lui fece un passo verso di lei, deciso a riprendere da dove avevano interrotto.
Ma Laura lo fermò sollevando una mano, accarezzandogli appena il mento con le dita.
«Non adesso. Dammi il tempo per prepararmi per te. Quando torno… voglio che tu non dimentichi mai quello che vedrai.»
Lo lasciò lì, col calice in mano e la voglia incandescente negli occhi.
Raccolse la borsa e sparì nel corridoio, lasciando dietro di sé il profumo del desiderio appena sfiorato.
Il bagno era grande, minimal, illuminato da una luce calda che sembrava ammorbidire ogni linea. Laura poggiò la borsa sul mobile e si osservò nello specchio per qualche secondo, in silenzio.
Le dita si mossero lente sui bottoni della camicia, aprendoli uno a uno con una calma che non era esitazione, ma pura intenzione. Lasciò scivolare il tessuto sulle braccia, poi si chinò a sfilarsi la minigonna, scoprendo le gambe fasciate dalle autoreggenti e il completino che aveva scelto per l’occasione: pizzo nero sottile, provocante come una promessa. Lo tolse. Tutto. Un gesto deciso, come a voler dire: da adesso, comanda solo il mio desiderio.
Aprì l’acqua della doccia.
Il vapore cominciò a salire lieve dai bordi del box, appannando lo specchio.
Laura stava per entrare in doccia quando si fermò di colpo, sorridendo tra sé. L’acqua scorreva già, calda e avvolgente, ma mancava un ultimo dettaglio. Un piccolo, studiato colpo di scena.
Aprì la porta del bagno quel tanto che bastava per infilare fuori la testa, lasciando uno spiraglio generoso che mostrava un frammento della sua nudità. Nulla di esplicito, ma quanto bastava per far salire la temperatura.
«Leo?»
La voce era leggera, vellutata.
Dalla cucina lui rispose subito, come se stesse aspettando proprio quel momento.
«Sì?»
«Non ho portato l’accappatoio… hai qualcosa da prestarmi?»
Leo comparve nel corridoio con passi lenti, e si bloccò davanti alla porta socchiusa.
Dentro, il vapore aveva cominciato ad avvolgere tutto in un alone lattiginoso.
Attraverso l’apertura vide un fianco nudo, l’accenno della curva di un seno, la gamba tesa verso la doccia. I capelli sciolti e umidi le cadevano sulle spalle, lucidi e spettinati.
Era come osservare un’opera d’arte da dietro un velo sottile.
Troppo per non eccitarsi. Troppo poco per sentirsi sazio.
Le porse l’accappatoio bianco. La mano tremava appena.
«Ecco.»
La voce più roca del solito.
«Potevi anche non chiuderla così bene, la porta…»
Lei sorrise, prendendolo dalle sue mani con calma, senza coprirsi troppo.
«E tu potevi bussare prima.»
Chiuse la porta con un clic.
Dentro, il vetro della doccia la attendeva.
Fuori, Leo restò immobile. I pantaloni già troppo stretti.
Ma sapeva che quella sera era solo l’inizio.
Leo si sedette sul divano, ancora incredulo. Il bicchiere vuoto nella mano tremava appena. La porta del bagno si aprì senza fretta, come in un film girato al rallentatore. Laura uscì.
Aveva l’accappatoio perfettamente chiuso, bianco, pulito, in netto contrasto con il fuoco che covava sotto. Ai piedi portava scarpe rosse scamosciate, eleganti, sensuali, con un tacco sottile che alzava il tallone quel tanto da tendere il polpaccio e far guadagnare alla camminata una sinuosità naturale e ipnotica.
Avanzò con calma, ogni passo sembrava calcolato, eppure spontaneo. I capelli sciolti, appena ondulati, le sfioravano le spalle, mentre lo sguardo — quello sguardo — lo fissava dritto, senza pietà.
Si fermò a un metro da lui.
«Mettiti comodo, Leo.»
Lui obbedì, incapace di replicare. Era teso, la bocca leggermente aperta, lo sguardo che cercava di restare composto ma cedeva, affondava nel desiderio.
Lei portò le mani al nodo dell’accappatoio. Lo sciolse lentamente, le dita affusolate che facevano scivolare il laccio in un gesto morbido, fluido, quasi silenzioso. Poi allargò i lembi con lentezza, centimetro dopo centimetro, lasciando apparire il corpo fasciato in un completino color ciliegia profonda.
Il reggiseno era lucido, di seta, a balconcino, che sollevava e raccoglieva il seno in una curva generosa e rotonda. Il tanga era altrettanto lucido, tagliato a V alta, due sottili stringhe ai lati che si posavano alte sui fianchi.
Ma furono le calze a togliergli il fiato. Un voile rosso chiarissimo, quasi trasparente, appena lucido, accarezzava le gambe con una delicatezza che sembrava disegnata. Erano sorrette da un reggicalze scintillante, sottile, leggermente rigido, con gancetti tesi che parevano messi lì solo per far impazzire chi li guardava.
Infine lasciò cadere l’accappatoio. Non lo tolse: lo lasciò proprio cadere, e il gesto fu come una frustata. Ruzzolò fino ai suoi piedi in un suono ovattato, mentre lei restava lì, in piedi, con le mani sui fianchi e lo sguardo dritto nei suoi occhi.
Leo deglutì a vuoto. Il sangue gli era salito tutto al volto… e altrove. Cercò di dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma la lingua sembrava essersi arresa.
Laura fece un mezzo passo in avanti.
«Cosa ne dici, Leo?»
Lui si portò una mano alla bocca, come per frenarsi, per non fare una pazzia.
Laura rimane immobile per un istante, in piedi davanti a lui, lasciando che i suoi occhi scivolino lentamente su quel viso giovane ma ormai segnato da un desiderio adulto. Leo, seduto sul divano, ha lo sguardo fisso su di lei, come se il tempo si fosse congelato. Le mani appoggiate alle cosce, il respiro appena accelerato.
Poi lei si muove. Con grazia e decisione, gli si avvicina, una gamba dopo l’altra, e gli monta a cavalcioni, il busto eretto, la schiena dritta. La lingerie tesa contro il corpo, le calze che sfiorano il suo pantalone, il profumo di donna carica di voglia che lo investe.
Si avvicina al suo volto, lentamente, finché le labbra sfiorano le sue. Ma non lo bacia subito. Gli parla con voce bassa, vellutata, che sa di gioco e di veleno.
«Dimmi Leo… la tua capa è di tuo gradimento?»
Le dita gli scivolano sulle tempie, poi sul collo, poi si intrecciano dietro la sua nuca. Ora lo bacia. Un bacio pieno, profondo, senza dolcezze né esitazioni. Le lingue si incontrano, si cercano, si afferrano come se volessero strapparsi qualcosa.
Le mani di Leo tremano per un istante. Poi si muovono, lente ma risolute, come se qualcosa dentro di lui avesse rotto gli argini. Le dita si posano sulle cosce di Laura, risalgono seguendo la curva delle calze, accarezzano il bordo del reggicalze, lo tirano appena. I suoi occhi sono spalancati, ma non più impauriti: sono avidi. Affamati.
«Sei…» sussurra tra un respiro e l’altro, «sei meravigliosa.» Le parole gli si spezzano in gola, come se non fossero abbastanza.
Le mani ora le stringono i fianchi, poi si insinuano dietro, accarezzandole i glutei sotto il tanga di seta, ne assaporano la forma. La bacia con foga, ma senza fretta. Succhia le sue labbra, poi si sposta sul collo, lo lecca piano, lo morde leggermente sotto l’orecchio. Lei trattiene il fiato, un brivido le attraversa la schiena.
Con un gesto più audace, Leo abbassa le coppe del reggiseno e si china, prendendo tra le labbra uno dei seni, leccandolo con dedizione, poi mordicchiandolo appena. L’altro lo accarezza con la mano, il palmo caldo contro il capezzolo eretto.
Laura geme, piano, e si lascia andare, inarcando la schiena. Sente la lingua scivolare lenta, dalla base del seno fino al centro dello sterno, come se lui volesse assaporarla centimetro per centimetro.
Poi si ferma, la guarda.
«Non riesco a credere che tu sia qui, sopra di me. Ma ti giuro… ti voglio tutta.»
Con un sorriso lento, malizioso, Laura si solleva dalle sue gambe e lo guarda dall’alto in basso. Poi gli prende le mani e lo fa alzare in piedi, lentamente, senza dire una parola. Gli occhi di Leo sono incollati ai suoi, incerti ma colmi di desiderio. Lei si volta con grazia, si dirige verso la piccola cucina a vista e prende un bicchiere dalla credenza. Lo riempie con un bianco corposo e brillante, che lascia piccoli rivoli di condensa sul vetro. Si gira, torna verso di lui e lo poggia sul mobile accanto. Lo guarda ancora un attimo. Poi beve un sorso, lungo e languido, lasciando che il vino le accarezzi le labbra e le scivoli in gola.
«Fammi vedere quel capolavoro, Leo,» mormora con voce bassa e calda.
Lui, titubante solo per un istante, si slaccia la cintura, poi i pantaloni, e lascia che scivolino a metà coscia. Il boxer tende in avanti, teso come un arco. Laura si morde il labbro, compiaciuta. Con un gesto lento, preciso, gli abbassa l’elastico, e il membro scatta fuori, fiero, lungo, turgido, vivo.
«Mio Dio…» sussurra. «Ogni volta mi sorprendi.»
Poi prende il bicchiere. Si inginocchia davanti a lui, sul morbido tappeto. Solleva il calice, lo inclina con eleganza e fa colare lentamente un filo di vino freddo lungo l’asta calda. Il contrasto di temperatura lo fa fremere. Il liquido scivola sul glande, poi lungo il fusto, fino alla base.
«Ti piace?» chiede, mentre con la lingua raccoglie le prime gocce.
Leo trattiene il respiro. I muscoli delle gambe gli tremano leggermente. Lei lo guarda da sotto in su, gli occhi accesi di desiderio, mentre la lingua danza sulla pelle tesa, alternando lente leccate a piccoli baci umidi.
Poi prende un altro piccolo sorso, lo trattiene in bocca, e avvolge il membro tra le labbra. Il vino bagna il glande, lo scalda, lo lubrifica. Il contrasto tra il calore della sua bocca e il freddo del liquido lo manda fuori di testa. Lei comincia a muoversi con lentezza, facendogli sentire ogni centimetro, ogni vibrazione, ogni gorgoglio di piacere.
La lingua scivola lenta lungo il fusto, poi giù fino alla base. Laura prende un altro piccolo sorso di vino e lo lascia colare lungo le sue labbra, inumidendole, mentre le dita sfiorano con delicatezza le sue enormi palle. Le accarezza, le solleva, le stuzzica con il pollice, poi le lecca, una alla volta, raccogliendo ogni residuo di vino che vi è scivolato sopra. Leo ansima, gli occhi fissi sul suo viso, il torace che si solleva a scatti, come se non sapesse dove fuggire da tanto piacere.
«Ti stai godendo tutto questo, eh?» mormora lei, passandogli la lingua sulla pelle sensibile appena sotto il glande. «Dovresti.»
Poi lo prende in bocca di nuovo, più a fondo. Si lascia scivolare lentamente sul suo membro, lo avvolge, lo massaggia con la lingua, stringe le labbra e comincia un ritmo lento e sensuale, mentre con la mano libera continua a giocare sotto. Leo si lascia andare, la testa leggermente all'indietro, una mano che si posa incerta sullo schienale del divano.
Laura si ferma un istante, lo guarda da sotto in su con uno sguardo famelico, poi prende fiato e si lascia andare. Una seconda, una terza volta. La gola si apre poco a poco. Prova ad accoglierlo tutto, centimetro dopo centimetro, sfidando se stessa, ingoiandolo come non faceva da tempo. Un filo di saliva le scende dall’angolo della bocca, le ciglia tremano, ma non si ferma. Spinge ancora, finché il naso non sfiora la pelle del suo basso ventre e il glande le pulsa in fondo alla gola.
Lui sussulta. La mano scivola tra i suoi capelli, tremante, ma non guida: si aggrappa, cerca un appiglio nel piacere che lo sta travolgendo.
La sua bocca si muove con una maestria lenta e ipnotica, accompagnata da un suono bagnato, sensuale, che rimbomba tra le pareti silenziose dell’attico. Le mani lo accarezzano con movimenti alternati: una gioca con il fondo del suo membro, l’altra continua a massaggiare le palle, premendole con la giusta intensità. Ogni tanto si ferma, lo guarda da sotto, le labbra lucide e socchiuse, il respiro caldo che gli sfiora la pelle. Poi riprende, ancora più affamata.
Leo non regge. Lo sente arrivare, come un’onda crescente che non può più trattenere. Prova a dirlo, ma esce solo un sussurro spezzato: «Laura… sto…»
Lei non si ferma. Anzi, accelera. Afferra la base con più decisione, si abbassa fino in fondo, poi di nuovo, poi ancora. Gli occhi fissi nei suoi. E quando esplode, lo accoglie tutto. Le pulsazioni lo attraversano come scariche, profonde e incontrollabili. Lei resta lì, immobile, con il naso premuto contro di lui e la gola che si stringe attorno alla sua lunghezza. Inghiotte tutto, senza staccarsi, senza lasciargli tregua.
Leo è ancora ansimante, incredulo, quasi frastornato. Ma negli occhi ha una luce nuova, accesa, viva. E mentre lei gli sistema i capelli con un gesto affettuoso, lui le sfiora la coscia e la guarda come se non volesse mai smettere di toccarla.
Laura si rialzò lentamente, lasciando scivolare dalle labbra l’ultimo tratto del suo corpo ancora duro, mentre le dita gli accarezzavano dolcemente l’asta umida. Leo era immobile, gli occhi socchiusi, il petto che si alzava e si abbassava rapido. Lei lo guardò con un sorriso pieno di soddisfazione, poi prese il bicchiere di vino lasciato sul tavolino e ne sorseggiò un po', le labbra ancora umide del suo sapore.
«Che c’è?» chiese piano, «sei diventato muto?»
Leo si scosse, si rimise lentamente i boxer, quasi intimidito, e si lasciò andare sul divano con lo sguardo perso, mentre lei restava lì, seduta di fianco, ancora bellissima e in lingerie: il reggiseno ciliegia sollevava il seno generoso con grazia, il tanga a V lasciava scoperti i fianchi, e le calze rosso chiaro trattenute dal reggicalze disegnavano le gambe come un sogno a occhi aperti.
«Non so nemmeno da dove cominciare...» disse lui, a bassa voce.
Laura si voltò verso di lui, si avvicinò fino quasi a toccarlo con la spalla e, sfiorandogli la coscia, gli sussurrò all’orecchio: «Allora comincia da quello che pensi ogni volta che mi guardi... dai, Leo. Dimmelo. Raccontamelo tutto.»
Lui deglutì. Si girò verso di lei. «Penso... a tutte le volte che ti ho vista in ufficio, con quei vestiti che ti fasciano il corpo... e io lì, fermo, zitto, impietrito. Volevo... volevo mettermi in ginocchio e...»
Lei sorrise, un po' sorpresa dalla piega che prendeva quel dialogo.
«E?» lo incalzò, passandogli un’unghia sulla pelle della spalla.
«Volevo leccarti. Sotto la scrivania. Senza farmi vedere. Solo sentire il tuo odore... e leccarti finché non ti avessi sentita tremare.»
Lei si morse il labbro. Le gambe si strinsero istintivamente.
«Altro?»
Leo la guardò, stavolta con più sicurezza.
«Voglio prenderti in tutti i modi che ho solo visto nei video. Voglio vederti con la bocca piena, con le gambe aperte, con la schiena contro il vetro del tuo ufficio… voglio che urli il mio nome mentre ti vengo dentro.»
Lei lo fissava seria, il respiro appena più veloce.
«Non male per uno timido» disse, prendendo un altro sorso di vino. «Hai finito?»
Leo scosse la testa. «Ho appena cominciato.»
Leo si passò la mano tra i capelli, ancora ansante. Poi la guardò con quegli occhi accesi che Laura ormai conosceva bene. Si schiarì la voce, ma non c'era nessun dubbio nel suo tono. Solo fame.
«Vuoi sapere cosa ti farò questo weekend? Tutto, Laura. Voglio scoparti la bocca finché non riesci più a parlare. Tenerti in ginocchio davanti a me, mentre te lo infilo in gola e ti sento ansimare con la lingua sotto. Ti voglio con la schiena contro il muro, le gambe sulle mie spalle, mentre ti sfondo con ogni spinta. E quando non starai più in piedi, ti voglio piegata sul tavolo, con il culo alto e pronto per prenderti anche da dietro.»
Lei lo guardava seria, stretta nelle sue calze, il seno alto che si alzava piano al ritmo del respiro.
«Poi voglio che mi cavalchi con le mani dietro la schiena, mentre ti guardo rimbalzare su di me e mi spalmi addosso ogni singola goccia del tuo godimento. Mi farai una spagnola, e voglio vedere il mio cazzo scivolare tra quelle tette bellissime finché ti vengo in faccia. Oppure sulla pancia. O in bocca. O sul culo. O tutte e quattro, una dopo l’altra. Voglio riempirti, ovunque, senza sosta. Fino a domenica sera.»
Una pausa. Un respiro.
«E se ti sentirai stanca... allora vorrà dire che sarà il momento giusto per ricominciare.»
Laura non si scompone. Rimane un istante in silenzio, poi alza il bicchiere e lo svuota con un solo sorso, gli occhi fissi nei suoi. Le labbra si piegano in un sorriso lento, spudorato. Si lecca il bordo inferiore del labbro, poi si solleva, nuda, elegante e predatoria, e si mette a cavalcioni su di lui ancora una volta. Ma non lo bacia. Gli afferra il viso e gli sussurra all’orecchio con un tono basso, arrochito dal desiderio:
«Allora datti da fare, Leo. Ho solo un limite per questo weekend: non finire troppo presto.»
Poi si rialza, cammina lentamente verso il centro del soggiorno, dove c’è il tavolo. Ogni passo è un invito. La schiena perfettamente dritta, il sedere in perfetto equilibrio sulle scarpe col tacco, le calze che avvolgono le gambe come una seconda pelle. Quando arriva al tavolo si ferma, piega leggermente le ginocchia e si inclina in avanti, appoggiando le mani sul ripiano in vetro. Le scapole si aprono, le natiche si sollevano, la schiena forma una linea perfetta. Poi si gira appena con il viso, giusto quanto basta per incrociare il suo sguardo.
«Voglio vedere se sei davvero pronto per farmi urlare in tutte le stanze di questa casa.»
Leonardo si alza dal divano con uno scatto che non aveva mai fatto. L’aria è diventata densa, elettrica. Si avvicina a lei da dietro con passo deciso, il respiro già pesante, il membro ancora duro come pietra. Laura sente la sua presenza alle spalle, la massa del corpo che si avvicina, la fame negli occhi. Lui non dice una parola. Solo le mani che scorrono sulle sue anche, poi afferrano con forza il bordo del minuscolo tanga, lo tirano da un lato scoprendo la curva perfetta di una natica e l’accesso al suo sesso già bagnato.
Un attimo dopo, lo sentì muoversi dietro di lei, le mani calde e forti che risalivano lungo i fianchi fino a trovare il tanga. Con un gesto deciso lo spostò appena di lato, lasciando scoperta una sola natica, e poi si abbassò abbastanza per sfiorarla con il respiro. Laura era piegata in avanti, le mani aggrappate al bordo del divano, il cuore che le batteva ovunque: nel petto, nella gola, tra le gambe. E quando lo sentì premere contro di lei, si tese d’istinto, ma fu inutile.
La penetrazione fu un unico, profondo colpo. La sua bocca si aprì in un grido muto, il fiato spezzato dal dolore che si mescolava, in modo inconfondibile, a un piacere quasi osceno. Era enorme, troppo lungo, troppo dentro. Le pareti del suo ventre si spalancarono come mai prima, e per un istante sentì il corpo reagire come per respingerlo — ma poi, subito dopo, lo accolse, si adattò, si arrese.
Le gambe tremarono. Un brivido le attraversò la schiena fino alla nuca.
«Oddio… Leo…» sussurrò, con voce spezzata. «Non… non mi è mai entrato nessuno così… dentro...»
Si sentiva invasa. Riempita oltre ogni misura. Ma era quello che voleva.
Ogni spinta era una fitta profonda che le strappava un gemito. Lui le afferrò i fianchi come a volerla inchiodare, a tenerla aperta per sé, mentre lei restava lì, piegata, a prendere ogni colpo, ogni affondo sempre più deciso, più brutale. Sentiva la pelle dei seni strusciare contro il tessuto del divano a ogni movimento, e i capezzoli tesi rispondere, gonfi, desiderosi di essere stretti, presi, posseduti anche loro.
Non riusciva più a pensare. Solo a sentire. Sentire lui che le faceva sua, lì, in quella posizione umiliante e potente. Sentire ogni centimetro di quel sesso smisurato che le stava riscrivendo dentro qualcosa. E il desiderio, violento e famelico, che saliva ancora.
Lei è ancora piegata sul divano, il respiro corto, le gambe tremanti, le mani che stringono i cuscini. Il corpo ondeggia ancora lievemente, seguendo il ritmo che lui le ha imposto fino a pochi secondi prima. È ancora dentro di lei, profondamente, mentre le tiene i fianchi con una presa ferma, possessiva. Il tanga non è più al suo posto: spostato con decisione, ora si tende su una natica lasciando libero l’accesso al suo sesso arrossato, umido, spalancato.
Con un grugnito basso e affamato, Leo la afferra da sotto le ascelle, la solleva quel tanto che basta per sbilanciarla, poi la sbatte in avanti, verso il muro. Il viso di lei ci finisce contro, le mani si appoggiano per non cadere, e prima ancora che riesca a capire cosa sta succedendo, lui la penetra di nuovo. Con violenza. Con foga. Con quella lunghezza smisurata che torna a premere fin dentro le profondità mai esplorate prima.
Il colpo la fa gemere, piegare le ginocchia. Il ventre si tende, il respiro si blocca in gola. Le mani cercano un appiglio sul muro, ma è lui a tenerla ferma, solida, con le braccia attorno al suo busto. Le mani le stringono i seni attraverso il reggiseno, le dita che affondano nei lembi di pizzo e carne, impastando, accarezzando, reclamando.
«Dio, così... così mi fai impazzire…» mugola Laura, mentre la sua fronte tocca l’intonaco fresco.
Leo non risponde. Respira forte. Spinge. Ogni colpo è profondo, quasi brutale. Ogni volta che affonda, la forza lo spinge fino al limite, eppure una parte di lui resta fuori: troppo, troppo lungo per entrare tutto, anche se ci prova. Anche se lei, con le labbra socchiuse e i seni pressati nelle sue mani, glielo chiede. Lo vuole dentro. Tutto.
Leo sente il momento, lo annusa. Il modo in cui lei geme, come si tende contro di lui, come i suoi fianchi si piegano appena a ogni spinta, lo fa impazzire. Le mani le stringono i seni con più forza, quasi a volerli scolpire, e poi scivolano in avanti, una sul ventre a tenerla ferma, l’altra sale alla gola, sfiorandola con dolce minaccia. Ma è solo un istante, poi le afferra i polsi, glieli porta in alto contro il muro, incollandola lì, mentre con il bacino comincia a spingerla davvero.
Martella. Come un ossesso. Senza tregua.
La sua lunghezza impatta ogni volta con un rumore umido e profondo. È feroce, animalesco, come se volesse annientarla con ogni colpo. Lei è lì, stretta tra il muro e il suo corpo, incapace di fuggire, ma senza alcun desiderio di farlo. I seni premuti sul muro, le braccia sollevate, i polsi trattenuti in alto. Le cosce le tremano, le ginocchia quasi cedono.
«Oh Dio... Leo... sì… ancora… così…» geme in un soffio, sentendo quel membro infinito scavare dentro di lei, riempirla come mai nessuno aveva fatto.
E poi succede.
Un lampo bianco, improvviso, assoluto. Le si blocca il respiro, si inarca quanto può, un urlo strozzato le esce dalle labbra mentre il corpo si tende e poi si spezza. L’orgasmo esplode violento, incontrollabile. Le contrazioni le scuotono il ventre, le gambe, la gola. Si bagna tutta, grondante di piacere e di sottomissione. E Leo non si ferma. Continua. Le dà tutto. Le dà ancora.
Un attimo dopo, Laura si inginocchiò lentamente davanti a lui, senza distogliere mai lo sguardo dai suoi occhi. Le mani, sicure e tremanti allo stesso tempo, gli circondarono il sesso imponente, ancora bagnato di lei, ancora gonfio e teso come se tutto ciò che fosse accaduto fino a quel momento non avesse fatto che alimentarlo.
Lo sollevò leggermente e, con un movimento morbido, se lo fece scivolare tra i seni, afferrandoli con forza per incanalarlo tra le sue curve. Il contatto con quella pelle calda e tesa fece sussultare Leonardo. Le venature turgide del membro sfregavano ritmicamente sul suo petto, mentre la punta, enorme e lucida, le scivolava sul collo, sul mento, sfiorando a tratti le labbra.
Ogni tanto si abbassava, con una lentezza voluta, e faceva sparire tra le labbra solo la cappella, succhiandola con devozione.
— Ti piace guardarmi così? — mormorò tra una spinta e l'altra, baciandogli il glande e lasciando un filo di saliva scendere sullo sterno. — Ti piace vedere la tua capa in ginocchio, con le tette piene del tuo cazzo?
Leo non rispose. Gli occhi sbarrati, la testa appena reclinata all’indietro, le mani che le stringevano i capelli e poi i fianchi, come se non sapesse se fermarla o spingerla ancora di più. Ma era troppo tardi per ogni controllo: le spinte si fecero più rapide, più violente, mentre Laura aumentava il ritmo della stretta tra i seni e quello delle leccate, fino a che sentì il respiro di lui farsi irregolare, i gemiti più bassi e rauchi.
— Vienimi in faccia, Leo… voglio sentire tutto. —
Fu un’esplosione. Un primo getto caldo le colpì lo zigomo, poi la fronte, e poi la bocca, dove Laura accolse quel sapore salato con la lingua ancora tesa e viva. Si lasciò coprire, senza arretrare di un millimetro, continuando a stringere i seni intorno a lui, con le labbra aperte e gli occhi chiusi. Solo quando lo sentì tremare e svuotarsi del tutto si passò lentamente una mano sul viso, raccogliendo i residui e portandoli alla lingua.
— Non male come aperitivo, dottor Leonardo. — sussurrò, guardandolo dal basso, ancora inginocchiata. — Hai qualcos’altro da offrirmi, adesso che ho stuzzicato il palato?
Lo guarda dal basso, con un sorriso stanco ma eccitato, mentre la lingua indugia sui residui del suo piacere. Lo ripulisce con lentezza, con devozione quasi sacrale, assaporando ogni goccia, come se fosse un dono. Quando si solleva, le dita gli sfiorano il petto, poi le spalle, poi le mani. Si accorge solo in quel momento che lui è ancora incredibilmente duro.
«Ancora così…?» sussurra.
Laura era ancora inginocchiata, le labbra umide e il sapore di lui ancora vivo sulla lingua. I suoi occhi si alzano lenti, lo guardano con una complicità feroce, come se tra loro si fosse spezzato ogni filtro. Poi si alza con grazia, con potere, con una sicurezza che nasce dalla lussuria e dal dominio sottile che esercita su di lui.
Gli afferra il membro con fermezza, ancora duro, pulsante, grondante del proprio piacere, e lo conduce con sé mentre si sposta sul divano. Non dice nulla: basta lo sguardo, quel sorriso maledettamente sensuale, e il modo in cui lo spinge all’indietro per farlo sedere. Leo obbedisce, stordito dall’eccitazione, dal profumo della pelle di lei, dai suoi occhi che brillano di desiderio e prepotenza.
Lei si mette sopra di lui, lo guarda mentre con una mano tiene il sesso in posizione e lo accoglie dentro di sé lentamente, con una lentezza studiata, maliziosa, penetrante quanto il gesto stesso. Ogni centimetro di quella carne calda che scivola in lei la fa fremere, mentre gli occhi si chiudono per un istante e la bocca si apre in un respiro profondo.
“Così…” sussurra, con la voce rotta dal piacere. “Mi piace quando mi segui senza dire una parola, Leo.”
Ma non fa in tempo a terminare la frase. Lui esplode, non con l’orgasmo, ma con la furia. La stringe, si solleva con i fianchi e inizia a spingerla giù su di lui con una forza che la fa tremare, rimbalzare, gemere.
Leo la tiene stretta contro di sé mentre le anche si sollevano a ritmo sempre più brutale, facendola saltare sulle sue cosce. Ogni affondo è una martellata, un colpo deciso che le strappa un gemito sempre più alto, sempre più roco, sempre più porco. Le mani la stringono come fossero artigli, affondano nei fianchi, poi salgono al seno, li strizzano, li mordono con la bocca, li succhiano fino a lasciare segni. Le sue dita si insinuano sotto il reggicalze, tirano con foga, lo rompono quasi.
“Sei mia adesso,” le ringhia all’orecchio. “Mi cavalchi come una vacca in calore e non riesci neanche a fingere di voler smettere. Lo senti, vero, quanto sono profondo? Non ti ha mai scopata nessuno così, ammettilo.”
Lei grida sì, si aggrappa alle sue spalle, si piega all’indietro per prenderlo ancora più dentro. Lui la solleva con una forza che la fa fremere e la ribalta con uno scatto. Adesso è sopra di lei, la prende per i polsi e glieli blocca sopra la testa mentre comincia a spingerle dentro col peso di tutto il corpo.
Ogni spinta è un affondo che le apre la carne, che le risucchia l’anima. Il respiro di Laura diventa irregolare, le urla si mescolano al suono sordo dei colpi, al rumore bagnato dei loro corpi che si scontrano. Leo sputa sul suo petto e ci affonda la bocca, mordendola, succhiandola come un ossesso.
“Ti voglio distrutta, Laura. Due giorni così, voglio vederti crollare, voglio vederti piangere per il piacere. Hai capito? Ti faccio mia in ogni modo, in ogni buco. Ti sfondo e poi ti riprendo ancora, e ancora.”
La voce è roca, cattiva, maschia. Il membro di Leo è una furia che la penetra come un ariete. E lei non si ferma, non si tira indietro, urla più forte, lo incita, lo prega: “Non fermarti Leo, fammelo tutto, fino in fondo, Dio mio, sììì…”
Laura ha appena raggiunto l’orgasmo, ancora piegata sul divano, le gambe molli, il respiro spezzato, la pelle accaldata. Leo è ancora dentro di lei, saldo, teso come una corda, il corpo contratto e la mente offuscata dalla brama. La sua presa sui fianchi si fa più ferma, quasi feroce. Le dita affondano nella pelle come a volerla marchiare.
Si sfila da lei con un ringhio sommesso, un istinto animalesco che lo guida. Le si piazza davanti, la obbliga ad alzare il volto, le tiene il mento con forza. Gli occhi di lui brillano, annebbiati da un fuoco incontrollabile. Lei capisce, e non si ritrae. Lo guarda. Lo accetta.
La mano maschile si avvolge attorno alla propria virilità pulsante, lucida, imponente. Comincia a muoversi con ritmo deciso, lo sguardo fisso su di lei, che rimane in ginocchio, il viso arrossato e il petto che ancora si solleva con affanno. Il respiro di Leo si fa più corto, più grezzo. Il suo addome si tende, le vene sulle braccia si gonfiano, e nell’aria si percepisce una tensione che vibra, carica d'elettricità.
Il momento arriva come un tuono: una scarica che lo attraversa tutto, un piacere che lo stravolge e lo libera. Laura chiude gli occhi d’istinto, ma non si scansa. Sente il calore esplodere su di lei, con forza, con intensità. Ogni colpo è un segno. Ogni impatto sulla sua pelle è un sigillo. L’odore è acre, intenso, maschile. Lo sente su di sé come una verità ineluttabile.
Leo resta immobile, svuotato ma ancora in tensione, lo sguardo fisso su di lei, sul disegno disordinato che ha lasciato sul suo corpo.
Un istante dopo, Laura si lasciò cadere sul divano, le gambe abbandonate, il respiro rotto da singhiozzi di piacere che ancora le sfuggivano dalle labbra. Lo sperma caldo le macchiava il viso, la gola, perfino una spalla, come se Leo avesse voluto segnarla, prenderla tutta, anche fuori. E lei non aveva fatto nulla per evitarlo. Anzi. Non si era pulita, non ne aveva avuto la forza né la volontà. Voleva sentirlo lì, sulla pelle, colarne lentamente mentre il corpo si assestava, mentre la mente rincorreva l’onda che l’aveva travolta.
Leo non parlò. Si sedette piano accanto a lei, ancora nudo, ancora duro. Per un attimo restarono in silenzio. Lui le prese la mano, le intrecciò le dita con le sue. La guardò di profilo, con quella traccia bianca che le segnava la guancia e quell’aria persa, distrutta, appagata.
Lei socchiuse gli occhi e sorrise, appena. Una curva sulle labbra stanche, disidratate, ma colme.
— Non pensavo fosse possibile godere così — sussurrò.
Lui restò zitto. Ma il suo pollice, sul dorso della mano di lei, disegnò un lento cerchio.
Passarono così diversi minuti. Non c’era fretta, solo quel silenzio saturo che segue le tempeste più violente. A un certo punto lei aprì gli occhi, lo guardò con la testa ancora reclinata sullo schienale, e mormorò con un filo di voce:
— Se mi tocchi ancora così… finisce che svengo.
Lui sorrise. — Allora è meglio che ti porti sotto la doccia, prima che io cambi idea.
Laura si lasciò aiutare ad alzarsi. Aveva le gambe molli, come dopo una corsa in salita. Camminò nuda fino al bagno, preceduta dallo sguardo di lui che non smetteva di percorrerla. Si lavarono insieme, ridendo piano ogni volta che i loro corpi si sfioravano, ma nessuno dei due prese l’iniziativa.
Lei lo fermò, lo baciò sulle labbra mentre l’acqua le cadeva sulla testa come una pioggia dolce, e disse:
— Mi fai ancora una cosa così e non esco viva da questo weekend. Dammi un po’ di tregua.
— Solo perché te lo chiedo io — rispose lui, mordendole piano il labbro inferiore.
Poi la lasciò finire di lavarsi in pace, sedendosi sul bordo della vasca. Per quella sera, la furia si era placata. Ma sotto la pelle, in entrambi, restava quella tensione liquida che non li avrebbe abbandonati a lungo.
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scritto il
2025-08-09
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