Alessia Epilogo
di
Ironwriter2025
genere
sentimentali
La camera era intrisa di una luce dorata e morbida, l’ultima del giorno che si infilava tra le tende mosse dal vento. I vetri tremolavano di riflessi caldi, e nell’aria si sentiva ancora l’odore del mare. Alessia uscì dal bagno con un asciugamano stretto intorno ai capelli e un altro che le avvolgeva il corpo. I piedi nudi, umidi. Gli occhi ancora lucidi di doccia e di felicità.
Marco si stava facendo la barba davanti allo specchio, concentrato. Lei lo guardò un attimo da dietro, poi si avvicinò in silenzio. Appoggiò le mani al bordo del mobile accanto alle sue e, senza dire nulla, si chinò a baciarlo tra le scapole, lì dove la pelle era più calda.
Lui si fermò. «Sai che potresti farmi tagliare…»
«Lo so,» mormorò lei. E gliene diede un altro, sulla spalla stavolta.
Si mosse piano, lo abbracciò da dietro, stringendosi contro la sua schiena nuda. I seni che premevano, il respiro sul suo collo. Lo stava trattenendo, non per impedirgli di andare avanti, ma per condividere ogni secondo.
Quando lui finì e si voltò, lei gli passò una mano sulla mascella liscia. «Molto meglio.»
Lui sorrise, e le baciò la fronte. Ma lei non si mosse.
Lo guardò infilare i pantaloni, e mentre lui tirava su la cerniera, Alessia lo fermò con una carezza sul ventre. Poi abbassò lentamente la testa e gli baciò piano l’ombelico.
Marco si bloccò. «Non vale. Stiamo uscendo.»
Lei lo guardò da sotto in su, con un lampo negli occhi. «Esco con un uomo bellissimo. Dammi un momento.»
Poi si rialzò, lo abbracciò, lo baciò sulla guancia, sulla tempia, sull’attaccatura dei capelli. Ogni bacio era un pensiero non detto.
Mentre lui cercava le scarpe, lei si sedette davanti allo specchio. Stese il fondotinta con gesti leggeri, curati. Un filo di eyeliner, un tocco di blush. Le labbra le accese con un rossetto che lui già amava. Ma ogni tanto si voltava a guardarlo. Non poteva farne a meno. Ogni gesto, ogni dettaglio, era per sé — ma anche per lui.
Quando si alzò, scelse il vestito sabbia: morbido, leggero, senza reggiseno. Glielo mostrò con un’occhiata silenziosa. Lui annuì piano. Poi si avvicinò per chiuderle la zip.
Lei si voltò, gli mise una mano sul petto. «Aspetta. Lo faccio io.»
E quando si girò per chiuderlo da sola, lui le baciò la schiena. Tra le scapole, poi al centro, poi più in basso. «Sei pericolosa.»
«Ti pareva che non lo dicessi.»
Lei si infilò i sandali con la zeppa, lui la aiutò a rialzarsi. Ma non si staccarono.
Le mani si cercavano a ogni passo. Mentre lui si sistemava la camicia, lei lo accarezzava sul fianco. Mentre lei si passava un velo di profumo tra i polsi, lui le baciava il collo. Nessuna parte del corpo era più proibita. Erano diventati una danza, una tensione leggera, sottile, felice.
«Andiamo?» chiese lei, una mano già sulla maniglia.
Lui si avvicinò, le mise una ciocca dietro l’orecchio. «Aspetta.»
E le baciò il cuore, sopra il vestito.
Fuori, il cielo si era fatto pesca e arancio. Ma dentro la stanza c’era una luce più bella. La loro.
Uscirono dall’hotel poco dopo le otto, avvolti dalla luce liquida del tramonto. Il cielo sopra il mare era un miscuglio perfetto di rosa e oro, e il selciato della passeggiata lungomare rifletteva ogni sfumatura come uno specchio antico.
Camminavano piano, senza fretta. Marco aveva le mani in tasca, ma solo per pochi passi: Alessia gli si avvicinò e, senza dire una parola, gliene prese una. Le dita si intrecciarono come se fossero fatte per stare così. Nessuno dei due la lasciò più andare.
Lei guardava davanti a sé, ogni tanto voltava il viso verso il mare. Il vestito sabbia le seguiva i movimenti con leggerezza, i capelli sciolti accarezzavano le spalle. Le gambe nude, i sandali che battevano piano sul pavé. Era bellissima, ma senza sforzo.
Marco guardava solo lei.
Ogni tanto si sfioravano con la spalla, ogni tanto le dita si stringevano di più. Non c’erano parole. Non servivano. Il silenzio tra loro era pieno di senso.
Una coppia che li incrociò li osservò con un mezzo sorriso. Due adulti che si tengono per mano come ragazzini. Ma non c’era niente di infantile in quel gesto. Solo una bellezza pura, senza filtri, senza prove da dare a nessuno.
Alessia si fermò a un certo punto, vicino a una ringhiera che dava sul mare. Guardò l’orizzonte, poi si voltò appena verso di lui. Gli sorrise. Non disse nulla.
Lui le sollevò la mano, gliela baciò piano sul dorso. Un bacio leggero, senza intenzione, ma pieno di tutto. E poi ripresero a camminare.
Il ristorante era ancora qualche curva più in là. Ma non avevano fretta di arrivare.
Perché, forse, erano già dove volevano essere.
Camminavano ancora mano nella mano, il ristorante era ormai vicino. Il cielo si era tinto d’ambra e il profilo delle prime lanterne accese disegnava arabeschi sul marciapiede. La loro ombra allungata danzava sui muri. Ogni tanto Ale si stringeva a lui con un tocco del braccio, e Ma le rispondeva con un lieve sfioramento sulla schiena.
Poi, senza preavviso, qualcosa nella vetrina sulla sinistra catturò lo sguardo di lui.
Era un piccolo negozio di abiti da sera e da discoteca, ancora aperto, con le luci calde e i riflessi metallici che scivolavano sul vetro. In mezzo a tutto, su un manichino illuminato con precisione teatrale, c’era lei: una visione in argento.
L’abito era corto, aderente, liquido. Un tessuto metallizzato color argento, che sembrava vivo, modellato addosso al corpo. Il collo drappeggiato cadeva con eleganza provocante, le spalline ad anello salivano leggere e la schiena era completamente scoperta. Uno spacco netto correva lungo la coscia, suggerendo molto più di quanto mostrasse.
Marco non disse nulla. Solo gli occhi, fermi un istante più del necessario.
Ale non lo guardava, ma lo sentì. Lo percepì.
Cinque passi dopo, sorrise appena, voltando il viso di lato.
«Ma…»
«Mh?»
«Quel vestito… me lo vorresti vedere addosso?»
Marco si fermò. Lei si fermò con lui.
Si voltò lentamente verso di lei. La luce della vetrina le accendeva la pelle, e negli occhi aveva la stessa sfacciata luce argento dell’abito.
«No,» disse lui piano, avvicinandosi.
Ale strinse le labbra, sorpresa. «No?»
Marco le si piegò vicino all’orecchio, senza toccarla. «Te lo voglio strappare via. Ma prima… sì, lo voglio vedere addosso. Tutto.»
Lei trattenne un brivido, poi rise piano, guardandolo da sotto in su.
Poi si voltò verso la vetrina, guardò il cartello “aperto” appeso alla maniglia. Si voltò di nuovo verso Ma.
«Andiamo a vedere se c’è la mia taglia?»
E lo sguardo che si scambiarono in quel momento era più caldo di qualunque tramonto.
Appena varcata la soglia del negozio, la luce calda li accolse con la morbidezza di un palco illuminato solo per loro. Il vestito era lì, appeso come un invito troppo esplicito per essere ignorato. Ale lo sfiorò con due dita, poi lo staccò dalla gruccia. La commessa si fece subito avanti.
«Taglia S, dovrebbe andare…»
Ma si avvicinò, lo prese delicatamente per il fianco e disse con un sorriso appena percettibile:
«Non avete una XS? Secondo me, a lei… starebbe ancora meglio.»
Ale lo guardò, sorpresa. Poi lo studiò negli occhi.
C’era qualcosa, lì dentro. Un invito. Una provocazione tenera. E forse un desiderio profondo di vederla oltre.
La commessa tornò con la XS tra le mani. Ale la prese e sparì dietro la tenda del camerino.
Quando aprì uno spiraglio e sussurrò: «Ma…?», il suo tono era già diverso.
Marco si avvicinò, lentamente. E quando la vide… trattenne il fiato.
Ale era lì, in piedi, con l’abito color argento addosso. La taglia più piccola aderiva perfettamente, come se il tessuto fosse stato colato sul suo corpo. Il collo drappeggiato lasciava intravedere la nascita dei seni, mentre il tessuto tirato sui capezzoli li evidenziava senza pudore: erano chiaramente eretti, tesi, protesi contro quella sottile barriera, rivelando un’eccitazione impossibile da negare.
Si girò appena. La schiena nuda fino al fondoschiena, lo spacco sulla coscia che saliva alto, quasi vertiginoso. I fianchi marcati, perfetti. Ma qualcosa lo fece restare in silenzio un istante. Poi parlò, con tono basso, calmo, profondo.
«Ale… il tanga si vede. Rovina tutto.»
Lei si girò verso di lui, confusa. «Cosa?»
Lui fece un passo, senza toccarla. «Quel vestito… non vuole l’intimo. Lo rifiuta. È come una pelle nuova. E sotto… non deve esserci niente.»
Lei lo guardò. Il cuore le batteva più forte. Poi si voltò verso lo specchio.
Guardò il proprio riflesso. Il tanga segnava la stoffa, la tirava. Era vero. L’abito sembrava chiedere libertà. Pelle su pelle. Null’altro.
Senza una parola, infilò le mani sotto il bordo dell’abito e lo sfilò. Il tanga scivolò giù. Lei si chinò e lo posò sul ripiano, piegato, come un oggetto che aveva appena smesso di servire.
Poi si rivestì.
Quando si voltò di nuovo, il tessuto era cambiato. Più fluido, più perfetto, più suo. Il drappeggio sul seno si era teso appena, disegnando con chiarezza la forma dei capezzoli, e lo spacco non lasciava spazio al dubbio: sotto quel vestito, c’era solo lei. Nuda, viva, pronta.
Marco le sorrise. Ma non parlò.
Ale uscì dal camerino a testa alta, la commessa si zittì un secondo, colpita da come quel corpo indossava la luce.
«Lo prendo,» disse Ale. Senza esitare.
Quando uscirono dal negozio, la busta con l’abito leggero tra le mani, Marco le passò un braccio attorno alla schiena. Camminarono verso il ristorante, e solo una volta seduti lei si avvicinò, con un sorriso malizioso e un battito in più nel cuore.
«Ma… quando rientriamo in albergo… te lo faccio vedere per bene.»
Lui le lanciò uno sguardo caldo, penetrante.
«Perché vuoi aspettare fino in albergo?»
Lei lo guardò, sorpresa. Arrossì. Balbettò appena.
Non sapeva se stesse scherzando.
Ma Ma era serio.
«Vuoi che lo metta adesso?» sussurrò lei.
Lui le prese la mano, se la portò alle labbra, e senza distogliere lo sguardo rispose:
«Non ha importanza quello che voglio io, Ale. Conta solo quello che desideri tu.»
E in quel momento, tra un sorso d’acqua e un respiro trattenuto, lei capì che il suo desiderio era pronto a fare un altro passo. Forse il più grande.
Ale abbassò lo sguardo appena, stringendo il bordo della tovaglia tra le dita. Il cuore le batteva più forte.
Aveva sussurrato la domanda quasi per gioco: "Vuoi che lo metta adesso?"
Ma la risposta di Ma era arrivata seria. Diretta.
“Non ha importanza quello che voglio io, Ale. Conta solo quello che desideri tu.”
Lo guardò negli occhi. Fissa. A lungo.
In quegli istanti cercava di capire se stesse giocando con lei. Se fosse una provocazione come tante. Ma non c’era ironia nel suo sguardo. Solo calma. Quella calma tipica di chi sa esattamente cosa sta dicendo, e perché.
E allora lo sentì. Un calore interno, quasi improvviso, che partiva dal petto e le saliva al volto.
Lo sguardo le cambiò.
Si illuminò. Si distese.
Un sorriso le affiorò sulle labbra. Caldo, vivo, consapevole.
Non era più un sorriso per lui. Era per sé.
Perché in quel momento, scelse.
«Arrivo subito,» disse, alzandosi con leggerezza.
Prese la busta, si diresse con passo sicuro verso i bagni del ristorante. Non si voltò. Non doveva più farlo.
In bagno si guardò allo specchio. Sfilò lentamente il vestito sabbia.
Poi tolse il tanga.
Infine, con mani ferme, indossò l’abito argento.
Le scivolò addosso come liquido. Il tessuto freddo sulla pelle nuda le fece correre un brivido lungo la schiena.
Lo sistemò con attenzione. Nessun reggiseno, niente a nascondere i capezzoli ormai tesi.
Si legò i capelli in una coda alta, tirata all’indietro, senza cera — non ce l’aveva con sé — ma con le dita li rese ordinati, lucidi, definiti.
Si guardò ancora una volta.
Sorrise.
Poi uscì.
Quando tornò in sala, il ristorante si fece più lento.
L’abito brillava sotto le luci calde, ogni passo disegnava la curva delle sue gambe nude, lo spacco laterale si apriva al ritmo dei fianchi. La coda alta le lasciava il collo completamente esposto.
Non si guardava attorno. Guardava solo lui.
Arrivò al tavolo. Si chinò. Lo baciò sulla guancia, lasciando un’impronta lieve.
Poi, con un gesto semplice, preciso, gli mise in mano il suo tanga nero piegato.
E gli sussurrò all’orecchio, con voce ferma:
«Hai detto che non ci stava bene sotto.»
Poi si sedette.
Incrociò le gambe.
E sorrise.
La cena scorse senza fretta, tra calici di vino bianco freddo e piatti che arrivavano con grazia.
Parlavano. Ridevano. Si punzecchiavano con quella leggerezza rara che esiste solo quando l’intesa è ormai una certezza.
Ale si muoveva con naturalezza, il vestito argento che le abbracciava il corpo come una seconda pelle. Quando si chinava per prendere il calice o incrociava le gambe, lo spacco si apriva quel tanto che bastava a far voltare più di una testa. I capezzoli si intuivano sotto la luce calda, tesi, vivi. E lei… sembrava non farci caso. O forse sì. Ma se lo godeva.
Ma la osservava. Continuamente. Ogni volta che pensava di concentrarsi su un altro dettaglio — un piatto, un gesto del cameriere — finiva sempre lì. Sul profilo del suo viso. Sulle spalle nude. Su quel piccolo brillare del suo sguardo.
Le si avvicinò, chinandosi leggermente oltre il tavolo.
«Sei bellissima.»
Ale lo guardò con finta severità. «Lo so. Ma da seduta… si vede la fine dei miei glutei.»
«Lo so anche questo,» disse lui, senza spostare lo sguardo. «Il cameriere ti sta mangiando con gli occhi.»
Lei sorrise, tagliente. «Solo il cameriere?»
«No, Ale. Tutti i maschi del ristorante ti stanno mangiando con gli occhi. E io… sono il tuo più acceso estimatore.»
Lei si passò una mano sulla coscia con lentezza teatrale, poi gli sussurrò:
«E il tuo piatto preferito?»
«Quello che ho davanti.»
Risero entrambi. Ma gli occhi — quelli no. Gli occhi erano sempre lì. Fissi.
Quando la cena finì, si alzarono lentamente. Ale camminava con passo sciolto, sicuro. Il vestito le accarezzava i fianchi con ogni passo. Sapeva che la stavano guardando. Lo sentiva bruciare sulla pelle. Ma non si nascondeva. Non più.
Uscirono dal ristorante e si incamminarono sul lungomare.
L’aria era dolce, umida di salsedine, il mare mormorava a pochi metri. I lampioni disegnavano aloni morbidi sulle pietre. Camminavano piano, le dita intrecciate, il silenzio complice di due che non devono più spiegarsi niente.
Ale si fermò un istante davanti a una balaustra. Si appoggiò con le braccia distese, il petto spinto in avanti, il vento che le muoveva la coda alta.
Marco la osservò da dietro.
L’abito le stava aderente, vibrante. Lo spacco mostrava quasi tutta la coscia. I glutei — come aveva detto lei — finivano appena sotto la linea del tessuto. E la schiena nuda, perfetta, sembrava brillare sotto la luna.
«Hai freddo?» le chiese.
«No,» rispose.
Poi si voltò appena, con un sorriso che era già un invito.
«Ho solo voglia di passeggiare ancora un po’. Con te. Così.»
E Ma, mentre la guardava brillare sulla notte, capì che quella donna — la stessa che aveva accompagnato passo dopo passo — stava ormai camminando da sola. Ma lo voleva accanto.
E questo… valeva tutto.
La passeggiata sul lungomare era punteggiata di locali con tende aperte, luci calde e musica che si mescolava al rumore del mare. I loro passi erano lenti, le dita intrecciate come se fossero tornati quindicenni, ma ogni tanto si urtavano lievemente con il fianco, come a cercare conferma di esserci ancora.
Alessia sembrava fluttuare, avvolta in quell’abito d’argento che rifletteva la luce dei lampioni, le gambe nude e la schiena scoperta, i capelli raccolti in alto in una coda tesa e vibrante a ogni passo. Camminava fiera, consapevole, eppure ancora sorridente, morbida, vera.
Passarono accanto a uno stabilimento balneare che la sera si era trasformato in lounge bar. Dall’interno filtrava una musica lenta e sensuale, ritmata quanto bastava a far muovere le teste e le anche degli avventori. Luci soffuse, risate, bicchieri che tintinnavano.
Alessia si fermò.
«Ma… ti va di bere qualcosa?»
Marco si voltò verso di lei. I suoi occhi, sotto la luce morbida, sembravano ancora più chiari.
«Certo,» rispose, stringendole la mano.
Entrarono nel locale tra sguardi che si voltavano già dal primo passo. Il rumore di fondo non copriva del tutto quel mormorio silenzioso che spesso accompagna le presenze che spiccano. E Alessia spiccava. Era diversa.
Non solo per l’abito — che lasciava scoperte curve precise, scolpite, provocanti nella loro naturalezza — ma per come lo indossava. Seduta al bancone, con la gamba accavallata e la schiena dritta, sembrava nata per stare lì. Il tessuto argentato accompagnava ogni movimento del corpo, ogni rotazione di spalla, ogni sorriso accennato.
Rimasero al bancone per un po’, gustando i drink con lentezza, chiacchierando di tutto e di niente.
Attorno a loro, il locale scorreva tranquillo: risate leggere, sorsi di cocktail, gente in sandali e vestiti estivi.
Eppure, quasi senza volerlo, tutti — chi per un secondo, chi con più insistenza — rivolgevano uno sguardo ad Alessia.
Qualcuno si voltava mentre passava, altri lanciavano un’occhiata tra una battuta e l’altra. C’erano sorrisi, cenni d’approvazione appena accennati, sguardi che si fermavano giusto un attimo in più sulle sue gambe nude, sul modo in cui l’abito argentato le si muoveva addosso.
Nulla di invadente, ma abbastanza da far capire a Marco che sì, lei si stava facendo notare.
Non per eccesso, ma per quella nuova luce che sembrava averle acceso dentro.
Lei, seduta con una gamba accavallata e un braccio appoggiato al bancone, parlava con semplicità, sorrideva, si passava le dita tra i capelli raccolti. E ogni gesto, ora, sembrava fatto con consapevolezza. Come se finalmente avesse capito quanto potesse essere bella. E quanto fosse bello esserlo per se stessa.
Marco si voltò verso di lei, lasciando il bicchiere mezzo pieno sul bancone. Il suo sguardo era diverso, fisso su di lei ma senza invaderla, come se la stesse osservando per la prima volta con la luce giusta.
Alessia, seduta accanto, stava sistemando una ciocca sfuggita dalla coda.
Poi si accorse del silenzio. Lo guardò.
«Che c’è?» chiese, accennando un sorriso.
Lui si prese un respiro, breve ma profondo.
«Ale… stasera ho capito una cosa.»
Lei sollevò appena le sopracciglia, incuriosita.
Lui continuò.
«Ho capito che non sei solo tornata a sentirti bella. Sei tornata a volerlo. Ma non per farti guardare, o per piacere a me… nemmeno per reagire alla fine di una storia. No. Tu stasera… tu stasera ti sei scelta.»
Alessia lo fissava, immobile. Poi abbassò leggermente lo sguardo. Ma Marco non smise.
«Per settimane ti ho vista combattere. A volte disperata, a volte testarda. Ti sei affidata a me, a questo… gioco che abbiamo inventato insieme. Ma non ero io il punto. Non era l’approvazione degli altri, né i vestiti, né i complimenti. Era tu. Era ritrovare quella voce che avevi nascosto sotto le paure, sotto le rinunce, sotto quel maledetto senso di colpa che ti sei portata dietro troppo a lungo.»
Il locale intorno a loro continuava a vivere. Ma per qualche istante, era come se l’aria si fosse addensata tutta attorno a quel bancone.
Lui le prese la mano, non forte, ma con fermezza.
«Hai ricominciato ad amarti, Ale. Non perché qualcuno ti ha detto che lo meriti. Ma perché ti sei guardata e finalmente hai visto chi sei. Non quella che eri prima, non quella che ti hanno voluto far diventare. Ma questa donna, adesso, qui. Che entra in un negozio e si prova un vestito assurdo. Che si guarda allo specchio e si sorride da sola. Che cammina per strada consapevole di quanto vale. Non solo fuori. Dentro.»
Lei deglutì piano, serrando appena le labbra. Non riusciva a parlare, e forse non voleva.
Ma gli occhi le si inumidirono leggermente, senza bisogno di lacrime.
Marco si avvicinò un po’.
«Io ho solo camminato al tuo fianco. E a volte ti ho messo uno specchio davanti. Ma sei tu che ti ci sei guardata dentro. E non hai più abbassato lo sguardo.»
Alessia si voltò verso il bicchiere. Lo prese, bevve un piccolo sorso, cercando di calmare quel nodo che le si era formato nella gola.
Poi si girò, gli appoggiò una mano sulla coscia e gli disse a bassa voce, con un tono che non lasciava spazio a equivoci:
«Ma… non smettere mai di tenermi lo specchio davanti. Anche quando non ho voglia di guardarmi.»
Marco non rispose. Le strinse le dita tra le sue e si limitò ad annuire, lentamente.
Poi lei si alzò, piano, come se stesse tornando dal centro di se stessa.
Si sistemò l’abito sulle cosce e passò dietro di lui.
Le mani gli scivolarono sulle spalle. Si chinò a dargli un bacio sulla guancia.
Alessia si voltò verso di lui proprio mentre uscivano dal locale, la luce calda delle lanterne alle loro spalle e il mare appena percettibile oltre la strada.
Non c’era più nulla da dire. Marco l’aveva guardata davvero, aveva pronunciato parole che nessun altro le aveva mai detto. E lei non lo avrebbe dimenticato.
Si fermò. Gli prese la mano, intrecciandola con la sua.
Poi, senza guardarlo, con voce bassa ma piena di quella nuova sicurezza che la stava trasformando, disse:
«Quindi il tuo lavoro è finito?»
Marco le lanciò uno sguardo interrogativo, ma non fece in tempo a parlare.
Lei si voltò, sorridendo in modo appena più sfacciato, e aggiunse:
«Andiamo in camera. Ho una gran voglia… di pagarti.»
Gli occhi le brillavano nella notte, colmi di malizia e complicità.
Non stava più interpretando un ruolo: lo stava scrivendo.
Marco non disse nulla. Le strinse la mano e cominciarono a camminare verso l’albergo, passo dopo passo, lasciando che fosse lei, per una volta, a tenerlo per mano e condurlo.
Forte, elegante, sensuale. Sua.
Entrarono in camera senza fretta, senza dirsi una parola. Le luci basse restituivano al silenzio un’intimità morbida, quasi densa. Marco chiuse la porta con un gesto lento, mentre Alessia attraversava la stanza in linea retta, come attratta da qualcosa che solo lei conosceva. Arrivò alla grande porta finestra, la spalancò con entrambe le mani e lasciò entrare l’aria salmastra della sera.
Si voltò appena, restando in controluce, le spalle dritte, lo sguardo fisso su di lui.
«Vieni.»
Marco si avvicinò, in silenzio, rapito. Quando fu abbastanza vicino da vedere i riflessi lucidi della sua pelle sotto la luce del balcone, lei gli voltò di nuovo le spalle. Con un movimento lento, quasi studiato, lasciò scivolare il vestito lungo il corpo. La stoffa argentata scese accarezzandole la schiena, abbracciò le curve dei fianchi e si fermò un attimo sulle cosce, poi scivolò a terra, ammassandosi ai suoi piedi.
Nuda. Totalmente.
Sotto quel vestito non c’era nulla, come lui stesso le aveva suggerito.
Le natiche alte, tonde, scolpite dalla posizione, il profilo della schiena allungata, i seni protesi in avanti, invisibili ma presenti nel suo respiro.
Si appoggiò con le mani alla ringhiera, leggermente inarcata, le gambe appena divaricate.
La testa voltata quel tanto che bastava per far brillare il suo sguardo.
«Ora ti voglio.»
Lo disse senza tremare.
Una dichiarazione che era desiderio puro, ma anche comando.
Marco si fermò. Si tolse la giacca, poi la maglietta dei Led Zeppelin, senza distogliere lo sguardo da lei. I jeans caddero pochi istanti dopo. Non li sfilò nemmeno del tutto. Scalzo, la raggiunse.
Le mani gli tremavano appena mentre si posavano sui suoi fianchi. La pelle di Alessia era calda, tesa, viva. La sfiorò con le dita, lentamente, poi si chinò. Le baciò la spina dorsale, una vertebra dopo l’altra, poi le natiche, la parte più tenera dell’interno coscia. Lei non si mosse. Rimase lì, come un invito vivente, come se quel corpo fosse il suo linguaggio.
Si rialzò e si avvicinò.
La visione che aveva davanti era un richiamo primordiale: Alessia, inarcata contro la ringhiera del terrazzo, nuda, offerta, respirava a fondo come per contenere la tensione che le scaldava il ventre. Marco la raggiunse senza dire nulla, le posò le mani sui fianchi e questa volta la strinse forte.
Il suo bacino premette contro di lei, deciso, mentre con una mano risaliva lungo il busto fino ad afferrare un seno, impastarlo, sentirlo vivo.
Lei emise un gemito profondo, un suono sincero che sembrava nato nella gola e sceso a cercare spazio tra le gambe.
«Così mi piaci» sibilò Marco all’orecchio, senza dolcezza, con fame.
Le spinse le gambe un po’ più divaricate con il ginocchio, e senza smettere di accarezzarla con una mano le entrò dentro, con forza, in un gesto unico, pieno, che fece sobbalzare Alessia in avanti, le mani ancora aggrappate alla ringhiera.
Il rumore sordo del bacino che incontrava i suoi glutei rimbalzava nel silenzio della sera.
Lei non trattenne la voce: il piacere le uscì in una lunga esclamazione arrochita, spezzata solo dai colpi che la facevano fremere ad ogni spinta.
I fianchi di Marco si muovevano con ritmo crescente, la prese per i capelli tirandole indietro il capo, la baciò sul collo mentre continuava a possederla con forza.
Il balcone vibrava appena sotto di loro.
Dalla passeggiata poco sotto, qualcuno — forse una coppia, forse un passante — intravide le due figure, le ombre in movimento, il suono, il corpo nudo di lei appoggiato alla ringhiera.
Ma Alessia non si nascose.
Non si coprì.
Non smise.
Anzi, mosse il bacino incontro a lui, affamata, complice.
«Ti piace così, eh Ale?» ansimò Marco, continuando a colpirla, le mani sui fianchi stretti che ora accoglievano ogni sua spinta come un inno al corpo.
Lei annuì più volte, senza riuscire a parlare, il viso stravolto di piacere, le guance arrossate, i seni scossi dal ritmo.
Il mondo era là fuori.
Ma loro erano sopra.
Sopra tutto. Sopra le convenzioni, sopra la vergogna, sopra ogni limite.
Quando rallentò un attimo, sentì il respiro di lei farsi più corto, quasi supplicante, mentre si stringeva ai suoi polsi per farlo ricominciare.
E lui riprese. Ancora. Fino a quando tutto si caricò al massimo.
Alessia si voltò lentamente, ancora appoggiata alla ringhiera con le braccia tese dietro di sé. Il corpo tremava leggermente, le cosce scoperte accarezzate dalla brezza salmastra, il ventre contratto dal piacere interrotto.
Guardò Marco con occhi lucidi di desiderio, le labbra dischiuse come se stesse per sussurrare un segreto.
Lui la fissava.
Non solo con brama, ma con quella fame piena di rispetto e di sete, di uomo che finalmente ha trovato qualcosa per cui valga la pena perdersi.
Lei gli prese la nuca con dolcezza, lo attirò a sé e, senza dire nulla, si sollevò. Le gambe lo avvolsero con naturalezza attorno alla vita, i piedi nudi incrociati dietro la sua schiena.
Marco la sostenne con le mani sui glutei, la spinse dolcemente contro la ringhiera e entrò di nuovo in lei, questa volta lentamente, guardandola negli occhi.
Il primo bacio fu quasi timido.
Il secondo, famelico.
Il terzo, eterno.
Si baciarono mentre si muovevano, a ritmo lento ma profondo, come se volessero scoprirsi attraverso le labbra, scambiarsi l’anima tra una spinta e un gemito.
Le mani di lei si insinuavano tra i capelli di lui, le unghie leggere sulla nuca, mentre le sue si muovevano sul fianco, poi sul seno, poi di nuovo a stringerla a sé.
«Così... così ti voglio», mormorò lei, con la voce impastata, ruvida di piacere.
«Lo so Ale... sei perfetta. Sei mia.»
«No, Ma... sono nostra. Mi hai restituita a me stessa.»
Le parole si mescolavano ai sospiri, e ogni spinta dentro di lei era un giuramento non detto, un ti voglio, un ti sento, un non finire mai.
Alessia si mosse sopra di lui con grazia istintiva, incollandosi al suo petto, i seni strusciati contro la sua maglietta ormai inzuppata di sudore.
Le braccia strette al collo di lui, il collo teso all’indietro per lasciarsi baciare, le cosce strette attorno al suo bacino come una promessa.
Il piacere cresceva, ma non c’era fretta.
Non volevano arrivare — volevano restare lì, dentro quella vertigine.
Poi lo sguardo di Marco si fece più scuro, la voce più profonda:
«Sei così bella… Dio, quanto ti desidero…»
«Tienimi, Ma… portami dove vuoi… ma non lasciarmi mai…»
La ringhiera tremò.
Loro no.
Il ritmo si fece più stretto, più denso. Non più lento, né veloce, ma… giusto.
Le loro bocche si cercavano, ma si mancavano apposta, mordendosi a fior di labbra, scambiandosi respiri, umidità, parole strozzate.
«Ma... io...»
«Sì, Ale... anch’io...»
«Non ti fermare...»
«Mai.»
E non si fermarono.
I muscoli di lei si contrassero attorno a lui come una carezza furiosa, un invito e una richiesta che Marco accolse spalancando la bocca in un gemito roco, piegandosi a baciarla sul collo, sui seni, ovunque riuscisse, mentre la prendeva con tutta l’anima.
Le gambe di Alessia si tesero d’improvviso, i piedi inarcati, i talloni che premevano contro la sua schiena.
Un singhiozzo di piacere le sfuggì dalle labbra, le unghie gli graffiarono la nuca, le braccia si strinsero al suo collo con forza, mentre l’orgasmo la attraversava come un’onda rovente.
Il suo ventre si contraeva, la pelle umida tremava contro quella di lui.
Marco la seguì un istante dopo, venendo dentro di lei, in un gemito profondo, la testa affondata contro la sua spalla, le mani che la stringevano come se temesse di perdersi.
Restarono così, incollati, con il fiato corto e i corpi ancora uniti.
Lei appoggiata alla ringhiera, lui ancora dentro, ancora duro, ancora pieno.
Un primo round, sì. Ma solo un primo.
«Sei incredibile, Ale...»
«Non ho finito con te, Ma...»
E sorridendo, ancora affannati, si baciarono piano, come chi sa che la notte è appena iniziata.
Il silenzio che seguì fu denso di sudore e respiro, rotto solo dallo sciabordio distante delle onde e dal battito impazzito dei cuori.
Marco non si era ancora staccato da lei. Le mani ancora le stringevano i glutei, il naso sfiorava l’incavo del suo collo, e Alessia si era aggrappata a lui come se la terra avesse smesso di girare.
Poi, improvviso, un trillo secco dal comodino.
Si guardarono un istante, ancora abbracciati, un po’ persi.
«Il telefono?» mormorò lui, sollevando appena la testa.
Alessia rise piano. «Forse ci stanno chiamando per congratularsi.»
Marco si mosse a fatica, la prese tra le braccia e la portò in camera, ancora senza staccarsi del tutto. Con una mano libera sollevò la cornetta.
«Pronto?»
Una voce cortese, femminile, con un leggerissimo accento straniero:
«Buonasera signor Marco, mi scusi l’invadenza. Abbiamo ricevuto una segnalazione da alcuni ospiti sul terrazzo... diciamo, sul... ehm... volume delle effusioni. Se poteste continuare... in camera... ve ne saremmo grati.»
Lui impietrito, poi un sorriso lento gli si aprì sul volto. Guardò Alessia — che, dietro di lui, lo fissava interrogativa, ancora nuda e bellissima, i capelli spettinati, il sorriso pronto a scoppiare.
«Sì, certo, assolutamente. Ci scusiamo.
Ah… già che ci siamo, potremmo ordinare una bottiglia di bianco ghiacciato in camera? Magari... un Lugana se ce l’avete.»
«Subito, signor Marco. Arriva tra dieci minuti.»
Riattaccò. Si voltò.
Alessia lo aspettava con le braccia incrociate, finta severa. «Cos’hanno detto?»
«Che ci hanno sentiti.»
Lei si portò una mano alla bocca, gli occhi sbarrati e pieni di luce, poi esplose in una risata cristallina, sincera, libera.
Marco la seguì, raggiungendola sul letto, tirandola giù con sé tra le lenzuola ancora fresche, nudi entrambi, nudi davvero, non solo nei corpi ma in tutto il resto.
«Siamo due adolescenti in ritardo, Ma...»
«No Ale... siamo due adulti che si sono trovati.»
Si abbracciarono, tra baci lievi sulle spalle, sulle tempie, sulla pancia. Si rotolarono ridendo, senza smettere di toccarsi, di cercarsi.
Quando bussarono alla porta, Marco indossò solo il boxer e andò ad aprire. Tornò col secchiello e la bottiglia, la sistemò sul comodino e riempì i due calici.
«A cosa brindiamo?»
Alessia si mise seduta sul letto, avvolta solo in un lenzuolo.
Lo guardò con quegli occhi verdi che ora brillavano di una nuova consapevolezza.
«A noi. E a chi ha avuto il coraggio di chiamare la reception.»
Risero di nuovo.
I calici tintinnarono. Il vino era freddissimo, quasi pungente.
Il contatto con la lingua accese un nuovo desiderio. Ma questa volta niente fretta, niente pose da film. Solo due corpi stanchi e felici, due persone che si erano trovate, davvero.
Alessia sparisce un attimo in bagno, lasciandolo a letto con il sorriso ancora appeso alle labbra e la pelle segnata dai loro abbracci.
Marco sente solo l’acqua scorrere, il phon per pochi secondi. Poi silenzio.
La porta si apre lentamente.
E lì, in controluce, lei.
Ha ripescato dal borsone un top nero lucido, di quelli microscopici, probabilmente mai indossato prima.
Una minigonna in jeans sfilacciata che lascia intravedere il solco delle natiche ogni volta che si muove.
Niente reggiseno, ovviamente.
Ai piedi, solo le décolleté nere col tacco alto che aveva messo alla cena della sera precedente.
Ma è il viso a raccontare tutto.
Capelli raccolti in una coda altissima, gli occhi truccati con una linea di eyeliner esagerata, le labbra rosso fuoco.
Sembra un’altra. Sembra se stessa. Sembra quella che aveva sempre voluto essere e che ora ha deciso di mostrare.
Avanza piano, si ferma davanti allo specchio dell’armadio, lo apre con un gesto secco.
Si siede sulla sedia, a cavalcioni, il seno che quasi esce dal top, i capezzoli ormai duri sotto il tessuto sottile.
Lo guarda dallo specchio.
«Ma… resta lì. Tocca solo te stesso. Io ho voglia di guardarmi. E di vederti mentre mi guardi.»
Marco resta sul letto, a schiena nuda, con le lenzuola scivolate sui fianchi. Il respiro si è fatto più lento, non per la calma, ma per contenere il fuoco che gli si è riacceso dentro. È nuda potenza, quella donna davanti a lui, una carezza e una minaccia allo stesso tempo.
Alessia non si muove. È seduta sulla sedia, a cavalcioni, le mani appoggiate allo schienale, le braccia che spingono il seno in avanti. Gli occhi non si staccano dallo specchio, dallo sguardo riflesso di Marco che è rimasto incantato.
«Ti piace?» chiede con voce roca, ma controllata.
Lui annuisce appena, come se ogni parola rischiasse di rompere qualcosa di sacro.
Lei sorride, appena. Poi scivola con la lingua sul labbro superiore, molto lentamente.
Solleva una gamba, poi l’altra, e si sistema meglio sulla sedia, facendola stridere appena sul pavimento. La minigonna si solleva, le cosce si aprono quel tanto che basta per lasciar intravedere che non indossa nulla sotto.
Marco si morde un labbro.
«Hai detto che dovevo cominciare a osare, no?»
E intanto, una mano si infila tra le cosce. Prima un accenno. Poi un gesto più deciso. Le dita che si sfiorano il ventre, che si muovono lente, come a disegnare cerchi invisibili.
Ma non è Marco lo spettatore.
È Alessia.
È lei che guarda se stessa nello specchio, che si morde il labbro, che geme piano per la propria immagine, per quella femmina che ora riconosce.
«Voglio vederti anche tu... Ma. Fallo per me.»
Marco scivola con una mano sotto le lenzuola. Il membro è già duro, teso, e ogni suo gesto è per lei.
Lei che si accarezza il seno sopra il top, poi lo alza con entrambe le mani, lasciando i capezzoli liberi di spingere contro l’aria.
Alessia si osserva nello specchio, con una calma che sa di controllo, ma anche di sfida. Il top le fascia il seno, i capezzoli tesi ne disegnano il contorno sotto il tessuto. I fianchi sono nudi, la minigonna è ormai a terra, e i tacchi la slanciano come una visione irreale.
Si accarezza lentamente, con due dita che si muovono tra le cosce, indugiando, giocando. Poi le solleva, le porta alla bocca e le lecca con lentezza, ad occhi chiusi, assaporandosi davvero.
Lo guarda, lo fissa negli occhi riflessi.
«Sono proprio buona…»
Un attimo di silenzio, poi un sussurro più roco, più basso.
«Perché non vieni ad assaggiarmi?»
Marco non dice nulla. Non ne ha bisogno. Si alza con lentezza, quasi avesse paura di rompere l’incantesimo. I suoi passi sono decisi, ma carichi di una tensione elettrica che vibra nell’aria. Si ferma davanti a lei, proprio dietro la sedia. Alessia è ancora seduta a cavalcioni, le spalle dritte, il collo allungato in avanti verso lo specchio. Lo guarda, lo aspetta.
Lui si inginocchia.
Le mani le scorrono sulle cosce, le dita si insinuano tra le sue cosce, nuda, tranne che per i tacchi. Resta così, davanti a lei, tra le sue gambe, il respiro che si fa più corto.
Poi la bacia, lì dove ha origine il suo sapore.
Non ha fretta. La esplora con la bocca come si esplora un mistero, con cura, con dedizione, con un desiderio antico che torna nuovo. Le sue mani le stringono le cosce, la sua lingua la accarezza, la gusta, la avvolge, affondando e ritraendosi in un ritmo che diventa ipnotico.
Alessia si piega in avanti. Le mani si aggrappano allo schienale della sedia, le dita lo artigliano. Un gemito le sfugge, sottile, tremante. Poi un altro, più profondo. Il suo respiro si fa irregolare, i fianchi si muovono contro il viso di lui, come se cercasse ancora più contatto, ancora più profondità.
«Ma…» mormora tra un ansito e l’altro, «non fermarti… ti prego…»
Marco obbedisce. Anzi, intensifica. La sua lingua è ovunque, presente, implacabile. La bocca si fa più famelica, come se volesse assorbirla dentro di sé, fino all’ultimo battito, all’ultimo spasmo. E quando le sente tremare le cosce, quando il suo corpo si tende come una corda pronta a spezzarsi, lui stringe, accoglie, accompagna.
Il piacere di lei esplode nella sua bocca, in onde che la scuotono tutta. Il suo viso si contrae, si abbandona, il capo ricade all’indietro mentre il corpo si arrende.
Silenzio. Solo i respiri. Solo loro due.
Poi lei abbassa gli occhi, lo guarda da sopra la spalla, ancora ansimante.
«Quello era… pazzesco.»
Lui sorride, ancora in ginocchio.
«Non ho ancora finito.»
Lo guarda per un lungo istante. Lui è ancora in ginocchio, con le labbra umide e il respiro corto. Lei si solleva lentamente dalla sedia, con una grazia felina, le gambe che ancora tremano un poco, ma lo sguardo che non vacilla. Gli prende il viso tra le mani, lo solleva verso di sé.
«Adesso tocca a me…» sussurra con un sorriso appena accennato.
Lo guida dolcemente verso il letto, facendolo sedere sul bordo. Gli slaccia i pantaloni senza fretta, lo libera, lo accarezza. Lo guarda, lo osserva attentamente. Poi, con una naturalezza disarmante, si inginocchia tra le sue gambe e lo prende nella bocca, senza mai abbassare lo sguardo.
Ma non è solo sesso. È la sua scelta, la sua voce, il suo potere. Gli regala piacere come se fosse un dono che ha deciso di offrirgli, sapendo esattamente l’effetto che avrà su di lui. E quando lui comincia a tremare, lei si ferma, si alza in piedi e lo fa stendere.
«Ora stai fermo, Ma. Lascia fare a me.»
Gli monta sopra con lentezza, tenendo gli occhi nei suoi. Il suo corpo lo accoglie con un sussulto, ma non si muove subito. Appoggia le mani sul suo petto, lo accarezza, lo bacia sulla fronte.
«Voglio guardarti mentre vengo di nuovo…»
E comincia a muoversi, lentamente, con un ritmo profondo, ipnotico, pieno. Non è una corsa, è una danza. I capelli sciolti le ricadono sulle spalle, i seni oscillano, il ventre vibra. Marco non ha più il controllo, ma non lo rimpiange: è lei che lo porta con sé, ed è il viaggio più bello che abbia mai fatto.
Alessia è ancora sopra di lui, il respiro incerto, le labbra socchiuse in un sorriso che non ha più nulla di timido. Si muove con lentezza, assaporando ogni secondo, poi sente il corpo di Marco tendersi sotto di lei. Gli occhi socchiusi, le mani che si aggrappano ai suoi fianchi. Sta per venire.
Ma lei non vuole.
Si ferma. Gli prende il volto tra le mani, lo guarda.
«No… non adesso.»
Le sue dita gli sfiorano le labbra, poi il petto, poi scendono sul ventre. Lo tiene lì, sospeso, in un limbo di desiderio.
«Mi servi ancora.»
E si solleva, sfilandosi con dolcezza. Marco resta sdraiato, il petto che si alza e si abbassa, gli occhi che la seguono.
Lei si gira e gli dà le spalle. Lo guarda da sopra la spalla mentre si inginocchia sopra di lui al contrario, le mani sulle sue cosce, il busto dritto. La schiena liscia e nuda, i capelli sciolti a scivolarle lungo i fianchi. Lo guida dentro di sé con un movimento lento, preciso. Poi si abbassa fino a toccarlo con le mani, si solleva, lo tiene completamente in pugno.
Ogni suo movimento è un messaggio.
“Guarda cosa ti sto facendo. Guarda chi sono diventata.”
Il ritmo cresce, poi si spezza. Riprende. Si arresta di nuovo. Lui geme. Lei lo domina col piacere. Il suo.
E quando decide che è il momento, lo dice solo con un movimento. Un affondo più profondo, un fremito nel ventre, e il piacere ricomincia a montare.
Alessia continua a muoversi sopra di lui, lenta e sensuale, lo sguardo incollato al suo. Ogni affondo è un messaggio di potere e passione, un trionfo della loro complicità rinata.
Poi qualcosa cambia. Lei si ferma. Si blocca in equilibrio, il corpo teso come un filo. Lo spazio tra loro si fa un ponte di desiderio silenzioso.
Senza spostarsi, si contrae. I muscoli vaginali si tendono, si stringono, lo guidano dentro di sé in un impulso sottile, potente. Marco sente ogni movimento, ogni reazione, come un'onda che cresce.
La mano di lui si infila tra le sue, le accarezza i fianchi, cerca sicurezza. Alessia non risponde con le parole. Risponde con il corpo. Con ogni contrazione:
**lui sente la profondità del suo piacere
la sua energia che sale
il suo respiro che diventa più rapido**
Lei chiude gli occhi, la testa indietro, i capelli che le scivolano lungo la schiena, e sembra spinta da una forza invisibile che la travolge.
Marco stringe la presa, la mano sulla sua schiena increspata, mentre il suo orgasmo esplode dentro di lui, guidato da quella danza intensa, intima, autentica. Lo segue, la sua voce si perde in un respiro profondo, mentre il piacere gli travolge ogni centro.
Si fermano insieme nell’abbraccio, i corpi tremano, i loro battiti si fondono. Rimangono un istante, soldati del piacere, vinti e trionfanti insieme.
Marco le prende il viso tra le mani, con le dita che le accarezzano piano le guance, ansimante, ancora immerso nell’eco del piacere che li ha travolti.
I suoi occhi sono fissi nei suoi, aperti, nudi, sinceri.
E poi, in un soffio che non lascia spazio a dubbi, le dice:
“Ti amo.”
Lei non risponde. Non ce n’è bisogno.
Per un istante sembra trattenere il respiro, poi i suoi occhi si velano, si illuminano, e si riempiono di lacrime silenziose, dolci, calde, che scivolano lungo il viso senza fretta.
Lacrime di felicità.
Di verità.
Di qualcosa che non sperava più di provare.
Chiude gli occhi e appoggia la fronte alla sua, tremante, lasciandosi cullare da quell’abbraccio. Le sue braccia lo stringono piano, non per desiderio, ma per amore.
Perché, anche se non l’ha detto…
lo ha sentito. Lo ha capito. E lo ha ricambiato.
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Marco si stava facendo la barba davanti allo specchio, concentrato. Lei lo guardò un attimo da dietro, poi si avvicinò in silenzio. Appoggiò le mani al bordo del mobile accanto alle sue e, senza dire nulla, si chinò a baciarlo tra le scapole, lì dove la pelle era più calda.
Lui si fermò. «Sai che potresti farmi tagliare…»
«Lo so,» mormorò lei. E gliene diede un altro, sulla spalla stavolta.
Si mosse piano, lo abbracciò da dietro, stringendosi contro la sua schiena nuda. I seni che premevano, il respiro sul suo collo. Lo stava trattenendo, non per impedirgli di andare avanti, ma per condividere ogni secondo.
Quando lui finì e si voltò, lei gli passò una mano sulla mascella liscia. «Molto meglio.»
Lui sorrise, e le baciò la fronte. Ma lei non si mosse.
Lo guardò infilare i pantaloni, e mentre lui tirava su la cerniera, Alessia lo fermò con una carezza sul ventre. Poi abbassò lentamente la testa e gli baciò piano l’ombelico.
Marco si bloccò. «Non vale. Stiamo uscendo.»
Lei lo guardò da sotto in su, con un lampo negli occhi. «Esco con un uomo bellissimo. Dammi un momento.»
Poi si rialzò, lo abbracciò, lo baciò sulla guancia, sulla tempia, sull’attaccatura dei capelli. Ogni bacio era un pensiero non detto.
Mentre lui cercava le scarpe, lei si sedette davanti allo specchio. Stese il fondotinta con gesti leggeri, curati. Un filo di eyeliner, un tocco di blush. Le labbra le accese con un rossetto che lui già amava. Ma ogni tanto si voltava a guardarlo. Non poteva farne a meno. Ogni gesto, ogni dettaglio, era per sé — ma anche per lui.
Quando si alzò, scelse il vestito sabbia: morbido, leggero, senza reggiseno. Glielo mostrò con un’occhiata silenziosa. Lui annuì piano. Poi si avvicinò per chiuderle la zip.
Lei si voltò, gli mise una mano sul petto. «Aspetta. Lo faccio io.»
E quando si girò per chiuderlo da sola, lui le baciò la schiena. Tra le scapole, poi al centro, poi più in basso. «Sei pericolosa.»
«Ti pareva che non lo dicessi.»
Lei si infilò i sandali con la zeppa, lui la aiutò a rialzarsi. Ma non si staccarono.
Le mani si cercavano a ogni passo. Mentre lui si sistemava la camicia, lei lo accarezzava sul fianco. Mentre lei si passava un velo di profumo tra i polsi, lui le baciava il collo. Nessuna parte del corpo era più proibita. Erano diventati una danza, una tensione leggera, sottile, felice.
«Andiamo?» chiese lei, una mano già sulla maniglia.
Lui si avvicinò, le mise una ciocca dietro l’orecchio. «Aspetta.»
E le baciò il cuore, sopra il vestito.
Fuori, il cielo si era fatto pesca e arancio. Ma dentro la stanza c’era una luce più bella. La loro.
Uscirono dall’hotel poco dopo le otto, avvolti dalla luce liquida del tramonto. Il cielo sopra il mare era un miscuglio perfetto di rosa e oro, e il selciato della passeggiata lungomare rifletteva ogni sfumatura come uno specchio antico.
Camminavano piano, senza fretta. Marco aveva le mani in tasca, ma solo per pochi passi: Alessia gli si avvicinò e, senza dire una parola, gliene prese una. Le dita si intrecciarono come se fossero fatte per stare così. Nessuno dei due la lasciò più andare.
Lei guardava davanti a sé, ogni tanto voltava il viso verso il mare. Il vestito sabbia le seguiva i movimenti con leggerezza, i capelli sciolti accarezzavano le spalle. Le gambe nude, i sandali che battevano piano sul pavé. Era bellissima, ma senza sforzo.
Marco guardava solo lei.
Ogni tanto si sfioravano con la spalla, ogni tanto le dita si stringevano di più. Non c’erano parole. Non servivano. Il silenzio tra loro era pieno di senso.
Una coppia che li incrociò li osservò con un mezzo sorriso. Due adulti che si tengono per mano come ragazzini. Ma non c’era niente di infantile in quel gesto. Solo una bellezza pura, senza filtri, senza prove da dare a nessuno.
Alessia si fermò a un certo punto, vicino a una ringhiera che dava sul mare. Guardò l’orizzonte, poi si voltò appena verso di lui. Gli sorrise. Non disse nulla.
Lui le sollevò la mano, gliela baciò piano sul dorso. Un bacio leggero, senza intenzione, ma pieno di tutto. E poi ripresero a camminare.
Il ristorante era ancora qualche curva più in là. Ma non avevano fretta di arrivare.
Perché, forse, erano già dove volevano essere.
Camminavano ancora mano nella mano, il ristorante era ormai vicino. Il cielo si era tinto d’ambra e il profilo delle prime lanterne accese disegnava arabeschi sul marciapiede. La loro ombra allungata danzava sui muri. Ogni tanto Ale si stringeva a lui con un tocco del braccio, e Ma le rispondeva con un lieve sfioramento sulla schiena.
Poi, senza preavviso, qualcosa nella vetrina sulla sinistra catturò lo sguardo di lui.
Era un piccolo negozio di abiti da sera e da discoteca, ancora aperto, con le luci calde e i riflessi metallici che scivolavano sul vetro. In mezzo a tutto, su un manichino illuminato con precisione teatrale, c’era lei: una visione in argento.
L’abito era corto, aderente, liquido. Un tessuto metallizzato color argento, che sembrava vivo, modellato addosso al corpo. Il collo drappeggiato cadeva con eleganza provocante, le spalline ad anello salivano leggere e la schiena era completamente scoperta. Uno spacco netto correva lungo la coscia, suggerendo molto più di quanto mostrasse.
Marco non disse nulla. Solo gli occhi, fermi un istante più del necessario.
Ale non lo guardava, ma lo sentì. Lo percepì.
Cinque passi dopo, sorrise appena, voltando il viso di lato.
«Ma…»
«Mh?»
«Quel vestito… me lo vorresti vedere addosso?»
Marco si fermò. Lei si fermò con lui.
Si voltò lentamente verso di lei. La luce della vetrina le accendeva la pelle, e negli occhi aveva la stessa sfacciata luce argento dell’abito.
«No,» disse lui piano, avvicinandosi.
Ale strinse le labbra, sorpresa. «No?»
Marco le si piegò vicino all’orecchio, senza toccarla. «Te lo voglio strappare via. Ma prima… sì, lo voglio vedere addosso. Tutto.»
Lei trattenne un brivido, poi rise piano, guardandolo da sotto in su.
Poi si voltò verso la vetrina, guardò il cartello “aperto” appeso alla maniglia. Si voltò di nuovo verso Ma.
«Andiamo a vedere se c’è la mia taglia?»
E lo sguardo che si scambiarono in quel momento era più caldo di qualunque tramonto.
Appena varcata la soglia del negozio, la luce calda li accolse con la morbidezza di un palco illuminato solo per loro. Il vestito era lì, appeso come un invito troppo esplicito per essere ignorato. Ale lo sfiorò con due dita, poi lo staccò dalla gruccia. La commessa si fece subito avanti.
«Taglia S, dovrebbe andare…»
Ma si avvicinò, lo prese delicatamente per il fianco e disse con un sorriso appena percettibile:
«Non avete una XS? Secondo me, a lei… starebbe ancora meglio.»
Ale lo guardò, sorpresa. Poi lo studiò negli occhi.
C’era qualcosa, lì dentro. Un invito. Una provocazione tenera. E forse un desiderio profondo di vederla oltre.
La commessa tornò con la XS tra le mani. Ale la prese e sparì dietro la tenda del camerino.
Quando aprì uno spiraglio e sussurrò: «Ma…?», il suo tono era già diverso.
Marco si avvicinò, lentamente. E quando la vide… trattenne il fiato.
Ale era lì, in piedi, con l’abito color argento addosso. La taglia più piccola aderiva perfettamente, come se il tessuto fosse stato colato sul suo corpo. Il collo drappeggiato lasciava intravedere la nascita dei seni, mentre il tessuto tirato sui capezzoli li evidenziava senza pudore: erano chiaramente eretti, tesi, protesi contro quella sottile barriera, rivelando un’eccitazione impossibile da negare.
Si girò appena. La schiena nuda fino al fondoschiena, lo spacco sulla coscia che saliva alto, quasi vertiginoso. I fianchi marcati, perfetti. Ma qualcosa lo fece restare in silenzio un istante. Poi parlò, con tono basso, calmo, profondo.
«Ale… il tanga si vede. Rovina tutto.»
Lei si girò verso di lui, confusa. «Cosa?»
Lui fece un passo, senza toccarla. «Quel vestito… non vuole l’intimo. Lo rifiuta. È come una pelle nuova. E sotto… non deve esserci niente.»
Lei lo guardò. Il cuore le batteva più forte. Poi si voltò verso lo specchio.
Guardò il proprio riflesso. Il tanga segnava la stoffa, la tirava. Era vero. L’abito sembrava chiedere libertà. Pelle su pelle. Null’altro.
Senza una parola, infilò le mani sotto il bordo dell’abito e lo sfilò. Il tanga scivolò giù. Lei si chinò e lo posò sul ripiano, piegato, come un oggetto che aveva appena smesso di servire.
Poi si rivestì.
Quando si voltò di nuovo, il tessuto era cambiato. Più fluido, più perfetto, più suo. Il drappeggio sul seno si era teso appena, disegnando con chiarezza la forma dei capezzoli, e lo spacco non lasciava spazio al dubbio: sotto quel vestito, c’era solo lei. Nuda, viva, pronta.
Marco le sorrise. Ma non parlò.
Ale uscì dal camerino a testa alta, la commessa si zittì un secondo, colpita da come quel corpo indossava la luce.
«Lo prendo,» disse Ale. Senza esitare.
Quando uscirono dal negozio, la busta con l’abito leggero tra le mani, Marco le passò un braccio attorno alla schiena. Camminarono verso il ristorante, e solo una volta seduti lei si avvicinò, con un sorriso malizioso e un battito in più nel cuore.
«Ma… quando rientriamo in albergo… te lo faccio vedere per bene.»
Lui le lanciò uno sguardo caldo, penetrante.
«Perché vuoi aspettare fino in albergo?»
Lei lo guardò, sorpresa. Arrossì. Balbettò appena.
Non sapeva se stesse scherzando.
Ma Ma era serio.
«Vuoi che lo metta adesso?» sussurrò lei.
Lui le prese la mano, se la portò alle labbra, e senza distogliere lo sguardo rispose:
«Non ha importanza quello che voglio io, Ale. Conta solo quello che desideri tu.»
E in quel momento, tra un sorso d’acqua e un respiro trattenuto, lei capì che il suo desiderio era pronto a fare un altro passo. Forse il più grande.
Ale abbassò lo sguardo appena, stringendo il bordo della tovaglia tra le dita. Il cuore le batteva più forte.
Aveva sussurrato la domanda quasi per gioco: "Vuoi che lo metta adesso?"
Ma la risposta di Ma era arrivata seria. Diretta.
“Non ha importanza quello che voglio io, Ale. Conta solo quello che desideri tu.”
Lo guardò negli occhi. Fissa. A lungo.
In quegli istanti cercava di capire se stesse giocando con lei. Se fosse una provocazione come tante. Ma non c’era ironia nel suo sguardo. Solo calma. Quella calma tipica di chi sa esattamente cosa sta dicendo, e perché.
E allora lo sentì. Un calore interno, quasi improvviso, che partiva dal petto e le saliva al volto.
Lo sguardo le cambiò.
Si illuminò. Si distese.
Un sorriso le affiorò sulle labbra. Caldo, vivo, consapevole.
Non era più un sorriso per lui. Era per sé.
Perché in quel momento, scelse.
«Arrivo subito,» disse, alzandosi con leggerezza.
Prese la busta, si diresse con passo sicuro verso i bagni del ristorante. Non si voltò. Non doveva più farlo.
In bagno si guardò allo specchio. Sfilò lentamente il vestito sabbia.
Poi tolse il tanga.
Infine, con mani ferme, indossò l’abito argento.
Le scivolò addosso come liquido. Il tessuto freddo sulla pelle nuda le fece correre un brivido lungo la schiena.
Lo sistemò con attenzione. Nessun reggiseno, niente a nascondere i capezzoli ormai tesi.
Si legò i capelli in una coda alta, tirata all’indietro, senza cera — non ce l’aveva con sé — ma con le dita li rese ordinati, lucidi, definiti.
Si guardò ancora una volta.
Sorrise.
Poi uscì.
Quando tornò in sala, il ristorante si fece più lento.
L’abito brillava sotto le luci calde, ogni passo disegnava la curva delle sue gambe nude, lo spacco laterale si apriva al ritmo dei fianchi. La coda alta le lasciava il collo completamente esposto.
Non si guardava attorno. Guardava solo lui.
Arrivò al tavolo. Si chinò. Lo baciò sulla guancia, lasciando un’impronta lieve.
Poi, con un gesto semplice, preciso, gli mise in mano il suo tanga nero piegato.
E gli sussurrò all’orecchio, con voce ferma:
«Hai detto che non ci stava bene sotto.»
Poi si sedette.
Incrociò le gambe.
E sorrise.
La cena scorse senza fretta, tra calici di vino bianco freddo e piatti che arrivavano con grazia.
Parlavano. Ridevano. Si punzecchiavano con quella leggerezza rara che esiste solo quando l’intesa è ormai una certezza.
Ale si muoveva con naturalezza, il vestito argento che le abbracciava il corpo come una seconda pelle. Quando si chinava per prendere il calice o incrociava le gambe, lo spacco si apriva quel tanto che bastava a far voltare più di una testa. I capezzoli si intuivano sotto la luce calda, tesi, vivi. E lei… sembrava non farci caso. O forse sì. Ma se lo godeva.
Ma la osservava. Continuamente. Ogni volta che pensava di concentrarsi su un altro dettaglio — un piatto, un gesto del cameriere — finiva sempre lì. Sul profilo del suo viso. Sulle spalle nude. Su quel piccolo brillare del suo sguardo.
Le si avvicinò, chinandosi leggermente oltre il tavolo.
«Sei bellissima.»
Ale lo guardò con finta severità. «Lo so. Ma da seduta… si vede la fine dei miei glutei.»
«Lo so anche questo,» disse lui, senza spostare lo sguardo. «Il cameriere ti sta mangiando con gli occhi.»
Lei sorrise, tagliente. «Solo il cameriere?»
«No, Ale. Tutti i maschi del ristorante ti stanno mangiando con gli occhi. E io… sono il tuo più acceso estimatore.»
Lei si passò una mano sulla coscia con lentezza teatrale, poi gli sussurrò:
«E il tuo piatto preferito?»
«Quello che ho davanti.»
Risero entrambi. Ma gli occhi — quelli no. Gli occhi erano sempre lì. Fissi.
Quando la cena finì, si alzarono lentamente. Ale camminava con passo sciolto, sicuro. Il vestito le accarezzava i fianchi con ogni passo. Sapeva che la stavano guardando. Lo sentiva bruciare sulla pelle. Ma non si nascondeva. Non più.
Uscirono dal ristorante e si incamminarono sul lungomare.
L’aria era dolce, umida di salsedine, il mare mormorava a pochi metri. I lampioni disegnavano aloni morbidi sulle pietre. Camminavano piano, le dita intrecciate, il silenzio complice di due che non devono più spiegarsi niente.
Ale si fermò un istante davanti a una balaustra. Si appoggiò con le braccia distese, il petto spinto in avanti, il vento che le muoveva la coda alta.
Marco la osservò da dietro.
L’abito le stava aderente, vibrante. Lo spacco mostrava quasi tutta la coscia. I glutei — come aveva detto lei — finivano appena sotto la linea del tessuto. E la schiena nuda, perfetta, sembrava brillare sotto la luna.
«Hai freddo?» le chiese.
«No,» rispose.
Poi si voltò appena, con un sorriso che era già un invito.
«Ho solo voglia di passeggiare ancora un po’. Con te. Così.»
E Ma, mentre la guardava brillare sulla notte, capì che quella donna — la stessa che aveva accompagnato passo dopo passo — stava ormai camminando da sola. Ma lo voleva accanto.
E questo… valeva tutto.
La passeggiata sul lungomare era punteggiata di locali con tende aperte, luci calde e musica che si mescolava al rumore del mare. I loro passi erano lenti, le dita intrecciate come se fossero tornati quindicenni, ma ogni tanto si urtavano lievemente con il fianco, come a cercare conferma di esserci ancora.
Alessia sembrava fluttuare, avvolta in quell’abito d’argento che rifletteva la luce dei lampioni, le gambe nude e la schiena scoperta, i capelli raccolti in alto in una coda tesa e vibrante a ogni passo. Camminava fiera, consapevole, eppure ancora sorridente, morbida, vera.
Passarono accanto a uno stabilimento balneare che la sera si era trasformato in lounge bar. Dall’interno filtrava una musica lenta e sensuale, ritmata quanto bastava a far muovere le teste e le anche degli avventori. Luci soffuse, risate, bicchieri che tintinnavano.
Alessia si fermò.
«Ma… ti va di bere qualcosa?»
Marco si voltò verso di lei. I suoi occhi, sotto la luce morbida, sembravano ancora più chiari.
«Certo,» rispose, stringendole la mano.
Entrarono nel locale tra sguardi che si voltavano già dal primo passo. Il rumore di fondo non copriva del tutto quel mormorio silenzioso che spesso accompagna le presenze che spiccano. E Alessia spiccava. Era diversa.
Non solo per l’abito — che lasciava scoperte curve precise, scolpite, provocanti nella loro naturalezza — ma per come lo indossava. Seduta al bancone, con la gamba accavallata e la schiena dritta, sembrava nata per stare lì. Il tessuto argentato accompagnava ogni movimento del corpo, ogni rotazione di spalla, ogni sorriso accennato.
Rimasero al bancone per un po’, gustando i drink con lentezza, chiacchierando di tutto e di niente.
Attorno a loro, il locale scorreva tranquillo: risate leggere, sorsi di cocktail, gente in sandali e vestiti estivi.
Eppure, quasi senza volerlo, tutti — chi per un secondo, chi con più insistenza — rivolgevano uno sguardo ad Alessia.
Qualcuno si voltava mentre passava, altri lanciavano un’occhiata tra una battuta e l’altra. C’erano sorrisi, cenni d’approvazione appena accennati, sguardi che si fermavano giusto un attimo in più sulle sue gambe nude, sul modo in cui l’abito argentato le si muoveva addosso.
Nulla di invadente, ma abbastanza da far capire a Marco che sì, lei si stava facendo notare.
Non per eccesso, ma per quella nuova luce che sembrava averle acceso dentro.
Lei, seduta con una gamba accavallata e un braccio appoggiato al bancone, parlava con semplicità, sorrideva, si passava le dita tra i capelli raccolti. E ogni gesto, ora, sembrava fatto con consapevolezza. Come se finalmente avesse capito quanto potesse essere bella. E quanto fosse bello esserlo per se stessa.
Marco si voltò verso di lei, lasciando il bicchiere mezzo pieno sul bancone. Il suo sguardo era diverso, fisso su di lei ma senza invaderla, come se la stesse osservando per la prima volta con la luce giusta.
Alessia, seduta accanto, stava sistemando una ciocca sfuggita dalla coda.
Poi si accorse del silenzio. Lo guardò.
«Che c’è?» chiese, accennando un sorriso.
Lui si prese un respiro, breve ma profondo.
«Ale… stasera ho capito una cosa.»
Lei sollevò appena le sopracciglia, incuriosita.
Lui continuò.
«Ho capito che non sei solo tornata a sentirti bella. Sei tornata a volerlo. Ma non per farti guardare, o per piacere a me… nemmeno per reagire alla fine di una storia. No. Tu stasera… tu stasera ti sei scelta.»
Alessia lo fissava, immobile. Poi abbassò leggermente lo sguardo. Ma Marco non smise.
«Per settimane ti ho vista combattere. A volte disperata, a volte testarda. Ti sei affidata a me, a questo… gioco che abbiamo inventato insieme. Ma non ero io il punto. Non era l’approvazione degli altri, né i vestiti, né i complimenti. Era tu. Era ritrovare quella voce che avevi nascosto sotto le paure, sotto le rinunce, sotto quel maledetto senso di colpa che ti sei portata dietro troppo a lungo.»
Il locale intorno a loro continuava a vivere. Ma per qualche istante, era come se l’aria si fosse addensata tutta attorno a quel bancone.
Lui le prese la mano, non forte, ma con fermezza.
«Hai ricominciato ad amarti, Ale. Non perché qualcuno ti ha detto che lo meriti. Ma perché ti sei guardata e finalmente hai visto chi sei. Non quella che eri prima, non quella che ti hanno voluto far diventare. Ma questa donna, adesso, qui. Che entra in un negozio e si prova un vestito assurdo. Che si guarda allo specchio e si sorride da sola. Che cammina per strada consapevole di quanto vale. Non solo fuori. Dentro.»
Lei deglutì piano, serrando appena le labbra. Non riusciva a parlare, e forse non voleva.
Ma gli occhi le si inumidirono leggermente, senza bisogno di lacrime.
Marco si avvicinò un po’.
«Io ho solo camminato al tuo fianco. E a volte ti ho messo uno specchio davanti. Ma sei tu che ti ci sei guardata dentro. E non hai più abbassato lo sguardo.»
Alessia si voltò verso il bicchiere. Lo prese, bevve un piccolo sorso, cercando di calmare quel nodo che le si era formato nella gola.
Poi si girò, gli appoggiò una mano sulla coscia e gli disse a bassa voce, con un tono che non lasciava spazio a equivoci:
«Ma… non smettere mai di tenermi lo specchio davanti. Anche quando non ho voglia di guardarmi.»
Marco non rispose. Le strinse le dita tra le sue e si limitò ad annuire, lentamente.
Poi lei si alzò, piano, come se stesse tornando dal centro di se stessa.
Si sistemò l’abito sulle cosce e passò dietro di lui.
Le mani gli scivolarono sulle spalle. Si chinò a dargli un bacio sulla guancia.
Alessia si voltò verso di lui proprio mentre uscivano dal locale, la luce calda delle lanterne alle loro spalle e il mare appena percettibile oltre la strada.
Non c’era più nulla da dire. Marco l’aveva guardata davvero, aveva pronunciato parole che nessun altro le aveva mai detto. E lei non lo avrebbe dimenticato.
Si fermò. Gli prese la mano, intrecciandola con la sua.
Poi, senza guardarlo, con voce bassa ma piena di quella nuova sicurezza che la stava trasformando, disse:
«Quindi il tuo lavoro è finito?»
Marco le lanciò uno sguardo interrogativo, ma non fece in tempo a parlare.
Lei si voltò, sorridendo in modo appena più sfacciato, e aggiunse:
«Andiamo in camera. Ho una gran voglia… di pagarti.»
Gli occhi le brillavano nella notte, colmi di malizia e complicità.
Non stava più interpretando un ruolo: lo stava scrivendo.
Marco non disse nulla. Le strinse la mano e cominciarono a camminare verso l’albergo, passo dopo passo, lasciando che fosse lei, per una volta, a tenerlo per mano e condurlo.
Forte, elegante, sensuale. Sua.
Entrarono in camera senza fretta, senza dirsi una parola. Le luci basse restituivano al silenzio un’intimità morbida, quasi densa. Marco chiuse la porta con un gesto lento, mentre Alessia attraversava la stanza in linea retta, come attratta da qualcosa che solo lei conosceva. Arrivò alla grande porta finestra, la spalancò con entrambe le mani e lasciò entrare l’aria salmastra della sera.
Si voltò appena, restando in controluce, le spalle dritte, lo sguardo fisso su di lui.
«Vieni.»
Marco si avvicinò, in silenzio, rapito. Quando fu abbastanza vicino da vedere i riflessi lucidi della sua pelle sotto la luce del balcone, lei gli voltò di nuovo le spalle. Con un movimento lento, quasi studiato, lasciò scivolare il vestito lungo il corpo. La stoffa argentata scese accarezzandole la schiena, abbracciò le curve dei fianchi e si fermò un attimo sulle cosce, poi scivolò a terra, ammassandosi ai suoi piedi.
Nuda. Totalmente.
Sotto quel vestito non c’era nulla, come lui stesso le aveva suggerito.
Le natiche alte, tonde, scolpite dalla posizione, il profilo della schiena allungata, i seni protesi in avanti, invisibili ma presenti nel suo respiro.
Si appoggiò con le mani alla ringhiera, leggermente inarcata, le gambe appena divaricate.
La testa voltata quel tanto che bastava per far brillare il suo sguardo.
«Ora ti voglio.»
Lo disse senza tremare.
Una dichiarazione che era desiderio puro, ma anche comando.
Marco si fermò. Si tolse la giacca, poi la maglietta dei Led Zeppelin, senza distogliere lo sguardo da lei. I jeans caddero pochi istanti dopo. Non li sfilò nemmeno del tutto. Scalzo, la raggiunse.
Le mani gli tremavano appena mentre si posavano sui suoi fianchi. La pelle di Alessia era calda, tesa, viva. La sfiorò con le dita, lentamente, poi si chinò. Le baciò la spina dorsale, una vertebra dopo l’altra, poi le natiche, la parte più tenera dell’interno coscia. Lei non si mosse. Rimase lì, come un invito vivente, come se quel corpo fosse il suo linguaggio.
Si rialzò e si avvicinò.
La visione che aveva davanti era un richiamo primordiale: Alessia, inarcata contro la ringhiera del terrazzo, nuda, offerta, respirava a fondo come per contenere la tensione che le scaldava il ventre. Marco la raggiunse senza dire nulla, le posò le mani sui fianchi e questa volta la strinse forte.
Il suo bacino premette contro di lei, deciso, mentre con una mano risaliva lungo il busto fino ad afferrare un seno, impastarlo, sentirlo vivo.
Lei emise un gemito profondo, un suono sincero che sembrava nato nella gola e sceso a cercare spazio tra le gambe.
«Così mi piaci» sibilò Marco all’orecchio, senza dolcezza, con fame.
Le spinse le gambe un po’ più divaricate con il ginocchio, e senza smettere di accarezzarla con una mano le entrò dentro, con forza, in un gesto unico, pieno, che fece sobbalzare Alessia in avanti, le mani ancora aggrappate alla ringhiera.
Il rumore sordo del bacino che incontrava i suoi glutei rimbalzava nel silenzio della sera.
Lei non trattenne la voce: il piacere le uscì in una lunga esclamazione arrochita, spezzata solo dai colpi che la facevano fremere ad ogni spinta.
I fianchi di Marco si muovevano con ritmo crescente, la prese per i capelli tirandole indietro il capo, la baciò sul collo mentre continuava a possederla con forza.
Il balcone vibrava appena sotto di loro.
Dalla passeggiata poco sotto, qualcuno — forse una coppia, forse un passante — intravide le due figure, le ombre in movimento, il suono, il corpo nudo di lei appoggiato alla ringhiera.
Ma Alessia non si nascose.
Non si coprì.
Non smise.
Anzi, mosse il bacino incontro a lui, affamata, complice.
«Ti piace così, eh Ale?» ansimò Marco, continuando a colpirla, le mani sui fianchi stretti che ora accoglievano ogni sua spinta come un inno al corpo.
Lei annuì più volte, senza riuscire a parlare, il viso stravolto di piacere, le guance arrossate, i seni scossi dal ritmo.
Il mondo era là fuori.
Ma loro erano sopra.
Sopra tutto. Sopra le convenzioni, sopra la vergogna, sopra ogni limite.
Quando rallentò un attimo, sentì il respiro di lei farsi più corto, quasi supplicante, mentre si stringeva ai suoi polsi per farlo ricominciare.
E lui riprese. Ancora. Fino a quando tutto si caricò al massimo.
Alessia si voltò lentamente, ancora appoggiata alla ringhiera con le braccia tese dietro di sé. Il corpo tremava leggermente, le cosce scoperte accarezzate dalla brezza salmastra, il ventre contratto dal piacere interrotto.
Guardò Marco con occhi lucidi di desiderio, le labbra dischiuse come se stesse per sussurrare un segreto.
Lui la fissava.
Non solo con brama, ma con quella fame piena di rispetto e di sete, di uomo che finalmente ha trovato qualcosa per cui valga la pena perdersi.
Lei gli prese la nuca con dolcezza, lo attirò a sé e, senza dire nulla, si sollevò. Le gambe lo avvolsero con naturalezza attorno alla vita, i piedi nudi incrociati dietro la sua schiena.
Marco la sostenne con le mani sui glutei, la spinse dolcemente contro la ringhiera e entrò di nuovo in lei, questa volta lentamente, guardandola negli occhi.
Il primo bacio fu quasi timido.
Il secondo, famelico.
Il terzo, eterno.
Si baciarono mentre si muovevano, a ritmo lento ma profondo, come se volessero scoprirsi attraverso le labbra, scambiarsi l’anima tra una spinta e un gemito.
Le mani di lei si insinuavano tra i capelli di lui, le unghie leggere sulla nuca, mentre le sue si muovevano sul fianco, poi sul seno, poi di nuovo a stringerla a sé.
«Così... così ti voglio», mormorò lei, con la voce impastata, ruvida di piacere.
«Lo so Ale... sei perfetta. Sei mia.»
«No, Ma... sono nostra. Mi hai restituita a me stessa.»
Le parole si mescolavano ai sospiri, e ogni spinta dentro di lei era un giuramento non detto, un ti voglio, un ti sento, un non finire mai.
Alessia si mosse sopra di lui con grazia istintiva, incollandosi al suo petto, i seni strusciati contro la sua maglietta ormai inzuppata di sudore.
Le braccia strette al collo di lui, il collo teso all’indietro per lasciarsi baciare, le cosce strette attorno al suo bacino come una promessa.
Il piacere cresceva, ma non c’era fretta.
Non volevano arrivare — volevano restare lì, dentro quella vertigine.
Poi lo sguardo di Marco si fece più scuro, la voce più profonda:
«Sei così bella… Dio, quanto ti desidero…»
«Tienimi, Ma… portami dove vuoi… ma non lasciarmi mai…»
La ringhiera tremò.
Loro no.
Il ritmo si fece più stretto, più denso. Non più lento, né veloce, ma… giusto.
Le loro bocche si cercavano, ma si mancavano apposta, mordendosi a fior di labbra, scambiandosi respiri, umidità, parole strozzate.
«Ma... io...»
«Sì, Ale... anch’io...»
«Non ti fermare...»
«Mai.»
E non si fermarono.
I muscoli di lei si contrassero attorno a lui come una carezza furiosa, un invito e una richiesta che Marco accolse spalancando la bocca in un gemito roco, piegandosi a baciarla sul collo, sui seni, ovunque riuscisse, mentre la prendeva con tutta l’anima.
Le gambe di Alessia si tesero d’improvviso, i piedi inarcati, i talloni che premevano contro la sua schiena.
Un singhiozzo di piacere le sfuggì dalle labbra, le unghie gli graffiarono la nuca, le braccia si strinsero al suo collo con forza, mentre l’orgasmo la attraversava come un’onda rovente.
Il suo ventre si contraeva, la pelle umida tremava contro quella di lui.
Marco la seguì un istante dopo, venendo dentro di lei, in un gemito profondo, la testa affondata contro la sua spalla, le mani che la stringevano come se temesse di perdersi.
Restarono così, incollati, con il fiato corto e i corpi ancora uniti.
Lei appoggiata alla ringhiera, lui ancora dentro, ancora duro, ancora pieno.
Un primo round, sì. Ma solo un primo.
«Sei incredibile, Ale...»
«Non ho finito con te, Ma...»
E sorridendo, ancora affannati, si baciarono piano, come chi sa che la notte è appena iniziata.
Il silenzio che seguì fu denso di sudore e respiro, rotto solo dallo sciabordio distante delle onde e dal battito impazzito dei cuori.
Marco non si era ancora staccato da lei. Le mani ancora le stringevano i glutei, il naso sfiorava l’incavo del suo collo, e Alessia si era aggrappata a lui come se la terra avesse smesso di girare.
Poi, improvviso, un trillo secco dal comodino.
Si guardarono un istante, ancora abbracciati, un po’ persi.
«Il telefono?» mormorò lui, sollevando appena la testa.
Alessia rise piano. «Forse ci stanno chiamando per congratularsi.»
Marco si mosse a fatica, la prese tra le braccia e la portò in camera, ancora senza staccarsi del tutto. Con una mano libera sollevò la cornetta.
«Pronto?»
Una voce cortese, femminile, con un leggerissimo accento straniero:
«Buonasera signor Marco, mi scusi l’invadenza. Abbiamo ricevuto una segnalazione da alcuni ospiti sul terrazzo... diciamo, sul... ehm... volume delle effusioni. Se poteste continuare... in camera... ve ne saremmo grati.»
Lui impietrito, poi un sorriso lento gli si aprì sul volto. Guardò Alessia — che, dietro di lui, lo fissava interrogativa, ancora nuda e bellissima, i capelli spettinati, il sorriso pronto a scoppiare.
«Sì, certo, assolutamente. Ci scusiamo.
Ah… già che ci siamo, potremmo ordinare una bottiglia di bianco ghiacciato in camera? Magari... un Lugana se ce l’avete.»
«Subito, signor Marco. Arriva tra dieci minuti.»
Riattaccò. Si voltò.
Alessia lo aspettava con le braccia incrociate, finta severa. «Cos’hanno detto?»
«Che ci hanno sentiti.»
Lei si portò una mano alla bocca, gli occhi sbarrati e pieni di luce, poi esplose in una risata cristallina, sincera, libera.
Marco la seguì, raggiungendola sul letto, tirandola giù con sé tra le lenzuola ancora fresche, nudi entrambi, nudi davvero, non solo nei corpi ma in tutto il resto.
«Siamo due adolescenti in ritardo, Ma...»
«No Ale... siamo due adulti che si sono trovati.»
Si abbracciarono, tra baci lievi sulle spalle, sulle tempie, sulla pancia. Si rotolarono ridendo, senza smettere di toccarsi, di cercarsi.
Quando bussarono alla porta, Marco indossò solo il boxer e andò ad aprire. Tornò col secchiello e la bottiglia, la sistemò sul comodino e riempì i due calici.
«A cosa brindiamo?»
Alessia si mise seduta sul letto, avvolta solo in un lenzuolo.
Lo guardò con quegli occhi verdi che ora brillavano di una nuova consapevolezza.
«A noi. E a chi ha avuto il coraggio di chiamare la reception.»
Risero di nuovo.
I calici tintinnarono. Il vino era freddissimo, quasi pungente.
Il contatto con la lingua accese un nuovo desiderio. Ma questa volta niente fretta, niente pose da film. Solo due corpi stanchi e felici, due persone che si erano trovate, davvero.
Alessia sparisce un attimo in bagno, lasciandolo a letto con il sorriso ancora appeso alle labbra e la pelle segnata dai loro abbracci.
Marco sente solo l’acqua scorrere, il phon per pochi secondi. Poi silenzio.
La porta si apre lentamente.
E lì, in controluce, lei.
Ha ripescato dal borsone un top nero lucido, di quelli microscopici, probabilmente mai indossato prima.
Una minigonna in jeans sfilacciata che lascia intravedere il solco delle natiche ogni volta che si muove.
Niente reggiseno, ovviamente.
Ai piedi, solo le décolleté nere col tacco alto che aveva messo alla cena della sera precedente.
Ma è il viso a raccontare tutto.
Capelli raccolti in una coda altissima, gli occhi truccati con una linea di eyeliner esagerata, le labbra rosso fuoco.
Sembra un’altra. Sembra se stessa. Sembra quella che aveva sempre voluto essere e che ora ha deciso di mostrare.
Avanza piano, si ferma davanti allo specchio dell’armadio, lo apre con un gesto secco.
Si siede sulla sedia, a cavalcioni, il seno che quasi esce dal top, i capezzoli ormai duri sotto il tessuto sottile.
Lo guarda dallo specchio.
«Ma… resta lì. Tocca solo te stesso. Io ho voglia di guardarmi. E di vederti mentre mi guardi.»
Marco resta sul letto, a schiena nuda, con le lenzuola scivolate sui fianchi. Il respiro si è fatto più lento, non per la calma, ma per contenere il fuoco che gli si è riacceso dentro. È nuda potenza, quella donna davanti a lui, una carezza e una minaccia allo stesso tempo.
Alessia non si muove. È seduta sulla sedia, a cavalcioni, le mani appoggiate allo schienale, le braccia che spingono il seno in avanti. Gli occhi non si staccano dallo specchio, dallo sguardo riflesso di Marco che è rimasto incantato.
«Ti piace?» chiede con voce roca, ma controllata.
Lui annuisce appena, come se ogni parola rischiasse di rompere qualcosa di sacro.
Lei sorride, appena. Poi scivola con la lingua sul labbro superiore, molto lentamente.
Solleva una gamba, poi l’altra, e si sistema meglio sulla sedia, facendola stridere appena sul pavimento. La minigonna si solleva, le cosce si aprono quel tanto che basta per lasciar intravedere che non indossa nulla sotto.
Marco si morde un labbro.
«Hai detto che dovevo cominciare a osare, no?»
E intanto, una mano si infila tra le cosce. Prima un accenno. Poi un gesto più deciso. Le dita che si sfiorano il ventre, che si muovono lente, come a disegnare cerchi invisibili.
Ma non è Marco lo spettatore.
È Alessia.
È lei che guarda se stessa nello specchio, che si morde il labbro, che geme piano per la propria immagine, per quella femmina che ora riconosce.
«Voglio vederti anche tu... Ma. Fallo per me.»
Marco scivola con una mano sotto le lenzuola. Il membro è già duro, teso, e ogni suo gesto è per lei.
Lei che si accarezza il seno sopra il top, poi lo alza con entrambe le mani, lasciando i capezzoli liberi di spingere contro l’aria.
Alessia si osserva nello specchio, con una calma che sa di controllo, ma anche di sfida. Il top le fascia il seno, i capezzoli tesi ne disegnano il contorno sotto il tessuto. I fianchi sono nudi, la minigonna è ormai a terra, e i tacchi la slanciano come una visione irreale.
Si accarezza lentamente, con due dita che si muovono tra le cosce, indugiando, giocando. Poi le solleva, le porta alla bocca e le lecca con lentezza, ad occhi chiusi, assaporandosi davvero.
Lo guarda, lo fissa negli occhi riflessi.
«Sono proprio buona…»
Un attimo di silenzio, poi un sussurro più roco, più basso.
«Perché non vieni ad assaggiarmi?»
Marco non dice nulla. Non ne ha bisogno. Si alza con lentezza, quasi avesse paura di rompere l’incantesimo. I suoi passi sono decisi, ma carichi di una tensione elettrica che vibra nell’aria. Si ferma davanti a lei, proprio dietro la sedia. Alessia è ancora seduta a cavalcioni, le spalle dritte, il collo allungato in avanti verso lo specchio. Lo guarda, lo aspetta.
Lui si inginocchia.
Le mani le scorrono sulle cosce, le dita si insinuano tra le sue cosce, nuda, tranne che per i tacchi. Resta così, davanti a lei, tra le sue gambe, il respiro che si fa più corto.
Poi la bacia, lì dove ha origine il suo sapore.
Non ha fretta. La esplora con la bocca come si esplora un mistero, con cura, con dedizione, con un desiderio antico che torna nuovo. Le sue mani le stringono le cosce, la sua lingua la accarezza, la gusta, la avvolge, affondando e ritraendosi in un ritmo che diventa ipnotico.
Alessia si piega in avanti. Le mani si aggrappano allo schienale della sedia, le dita lo artigliano. Un gemito le sfugge, sottile, tremante. Poi un altro, più profondo. Il suo respiro si fa irregolare, i fianchi si muovono contro il viso di lui, come se cercasse ancora più contatto, ancora più profondità.
«Ma…» mormora tra un ansito e l’altro, «non fermarti… ti prego…»
Marco obbedisce. Anzi, intensifica. La sua lingua è ovunque, presente, implacabile. La bocca si fa più famelica, come se volesse assorbirla dentro di sé, fino all’ultimo battito, all’ultimo spasmo. E quando le sente tremare le cosce, quando il suo corpo si tende come una corda pronta a spezzarsi, lui stringe, accoglie, accompagna.
Il piacere di lei esplode nella sua bocca, in onde che la scuotono tutta. Il suo viso si contrae, si abbandona, il capo ricade all’indietro mentre il corpo si arrende.
Silenzio. Solo i respiri. Solo loro due.
Poi lei abbassa gli occhi, lo guarda da sopra la spalla, ancora ansimante.
«Quello era… pazzesco.»
Lui sorride, ancora in ginocchio.
«Non ho ancora finito.»
Lo guarda per un lungo istante. Lui è ancora in ginocchio, con le labbra umide e il respiro corto. Lei si solleva lentamente dalla sedia, con una grazia felina, le gambe che ancora tremano un poco, ma lo sguardo che non vacilla. Gli prende il viso tra le mani, lo solleva verso di sé.
«Adesso tocca a me…» sussurra con un sorriso appena accennato.
Lo guida dolcemente verso il letto, facendolo sedere sul bordo. Gli slaccia i pantaloni senza fretta, lo libera, lo accarezza. Lo guarda, lo osserva attentamente. Poi, con una naturalezza disarmante, si inginocchia tra le sue gambe e lo prende nella bocca, senza mai abbassare lo sguardo.
Ma non è solo sesso. È la sua scelta, la sua voce, il suo potere. Gli regala piacere come se fosse un dono che ha deciso di offrirgli, sapendo esattamente l’effetto che avrà su di lui. E quando lui comincia a tremare, lei si ferma, si alza in piedi e lo fa stendere.
«Ora stai fermo, Ma. Lascia fare a me.»
Gli monta sopra con lentezza, tenendo gli occhi nei suoi. Il suo corpo lo accoglie con un sussulto, ma non si muove subito. Appoggia le mani sul suo petto, lo accarezza, lo bacia sulla fronte.
«Voglio guardarti mentre vengo di nuovo…»
E comincia a muoversi, lentamente, con un ritmo profondo, ipnotico, pieno. Non è una corsa, è una danza. I capelli sciolti le ricadono sulle spalle, i seni oscillano, il ventre vibra. Marco non ha più il controllo, ma non lo rimpiange: è lei che lo porta con sé, ed è il viaggio più bello che abbia mai fatto.
Alessia è ancora sopra di lui, il respiro incerto, le labbra socchiuse in un sorriso che non ha più nulla di timido. Si muove con lentezza, assaporando ogni secondo, poi sente il corpo di Marco tendersi sotto di lei. Gli occhi socchiusi, le mani che si aggrappano ai suoi fianchi. Sta per venire.
Ma lei non vuole.
Si ferma. Gli prende il volto tra le mani, lo guarda.
«No… non adesso.»
Le sue dita gli sfiorano le labbra, poi il petto, poi scendono sul ventre. Lo tiene lì, sospeso, in un limbo di desiderio.
«Mi servi ancora.»
E si solleva, sfilandosi con dolcezza. Marco resta sdraiato, il petto che si alza e si abbassa, gli occhi che la seguono.
Lei si gira e gli dà le spalle. Lo guarda da sopra la spalla mentre si inginocchia sopra di lui al contrario, le mani sulle sue cosce, il busto dritto. La schiena liscia e nuda, i capelli sciolti a scivolarle lungo i fianchi. Lo guida dentro di sé con un movimento lento, preciso. Poi si abbassa fino a toccarlo con le mani, si solleva, lo tiene completamente in pugno.
Ogni suo movimento è un messaggio.
“Guarda cosa ti sto facendo. Guarda chi sono diventata.”
Il ritmo cresce, poi si spezza. Riprende. Si arresta di nuovo. Lui geme. Lei lo domina col piacere. Il suo.
E quando decide che è il momento, lo dice solo con un movimento. Un affondo più profondo, un fremito nel ventre, e il piacere ricomincia a montare.
Alessia continua a muoversi sopra di lui, lenta e sensuale, lo sguardo incollato al suo. Ogni affondo è un messaggio di potere e passione, un trionfo della loro complicità rinata.
Poi qualcosa cambia. Lei si ferma. Si blocca in equilibrio, il corpo teso come un filo. Lo spazio tra loro si fa un ponte di desiderio silenzioso.
Senza spostarsi, si contrae. I muscoli vaginali si tendono, si stringono, lo guidano dentro di sé in un impulso sottile, potente. Marco sente ogni movimento, ogni reazione, come un'onda che cresce.
La mano di lui si infila tra le sue, le accarezza i fianchi, cerca sicurezza. Alessia non risponde con le parole. Risponde con il corpo. Con ogni contrazione:
**lui sente la profondità del suo piacere
la sua energia che sale
il suo respiro che diventa più rapido**
Lei chiude gli occhi, la testa indietro, i capelli che le scivolano lungo la schiena, e sembra spinta da una forza invisibile che la travolge.
Marco stringe la presa, la mano sulla sua schiena increspata, mentre il suo orgasmo esplode dentro di lui, guidato da quella danza intensa, intima, autentica. Lo segue, la sua voce si perde in un respiro profondo, mentre il piacere gli travolge ogni centro.
Si fermano insieme nell’abbraccio, i corpi tremano, i loro battiti si fondono. Rimangono un istante, soldati del piacere, vinti e trionfanti insieme.
Marco le prende il viso tra le mani, con le dita che le accarezzano piano le guance, ansimante, ancora immerso nell’eco del piacere che li ha travolti.
I suoi occhi sono fissi nei suoi, aperti, nudi, sinceri.
E poi, in un soffio che non lascia spazio a dubbi, le dice:
“Ti amo.”
Lei non risponde. Non ce n’è bisogno.
Per un istante sembra trattenere il respiro, poi i suoi occhi si velano, si illuminano, e si riempiono di lacrime silenziose, dolci, calde, che scivolano lungo il viso senza fretta.
Lacrime di felicità.
Di verità.
Di qualcosa che non sperava più di provare.
Chiude gli occhi e appoggia la fronte alla sua, tremante, lasciandosi cullare da quell’abbraccio. Le sue braccia lo stringono piano, non per desiderio, ma per amore.
Perché, anche se non l’ha detto…
lo ha sentito. Lo ha capito. E lo ha ricambiato.
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