L & L

di
genere
tradimenti

Laura entrò nel reparto con il consueto passo deciso, accompagnata dal ritmo netto dei tacchi sul pavimento in legno. Era il suono che segnava il suo arrivo ogni mattina, come una firma inconfondibile. Non cercava di farsi notare, ma non poteva farne a meno: era diventato parte del suo modo di esistere, di affermarsi. E quel modo di attraversare gli spazi, con la schiena dritta, le spalle aperte e lo sguardo che non tremava mai, diceva molto di più di quanto lasciasse trapelare a parole.
Quel giorno, come spesso accadeva ultimamente, mentre passava tra le scrivanie, sentì su di sé uno sguardo diverso. Non cercato. Non chiassoso. Solo silenziosamente intenso.
Leonardo era seduto al fondo dell’open space, nella postazione più nascosta, accanto a una stampante che nessuno usava mai. Era il nuovo arrivato, fresco di laurea, silenzioso, sempre un po’ accartocciato su sé stesso come se volesse farsi dimenticare.
Camicia a quadretti, occhiali spessi, postura incerta. Parlava poco, ascoltava molto. Si muoveva con una timidezza quasi commovente, come se ogni gesto fosse frutto di una valutazione interiore, ogni parola un atto di coraggio. Eppure Laura lo aveva notato fin dal primo giorno.
Non per qualcosa che avesse detto. Ma per come la guardava.
Non osava farlo apertamente. Ma ogni volta che lei si girava improvvisamente, lo trovava con lo sguardo sospeso, inchiodato a qualche dettaglio del suo corpo, del suo viso, della sua presenza. Bastava un secondo. Il tempo di un respiro. Ma sufficiente a scatenarle dentro qualcosa che non sentiva da molto.
Aveva cominciato a farci caso davvero una mattina, mentre si chinava a raccogliere una chiavetta USB accanto alla scrivania di lui. Quando si rialzò, sentì i suoi occhi addosso. Non si mosse. Non parlò. Solo lo guardò. E lui si irrigidì, abbassando subito lo sguardo, impallidendo.
Da quel momento in poi fu un crescendo silenzioso.
Laura, senza mai dirsi che lo stava facendo apposta, iniziò a passare più spesso vicino alla sua scrivania. A spiegargli cose che non avevano bisogno di spiegazioni. A chinarsi quel tanto che bastava a fargli perdere il filo. Ogni volta, Leo arrossiva. Ogni volta, le sue mani tremavano appena.
Mani grandi, nervose, apparentemente troppo goffe per la tastiera, troppo impacciate per tutto quel trattenersi. Ma affascinanti. Vive.
Laura aveva quarantadue anni e un matrimonio solido quanto basta da risultare anestetico. Nessuno la toccava più davvero. Nessuno la guardava più così. E adesso c’era quel ragazzo impacciato che sembrava non riuscire a staccarle gli occhi di dosso, pur facendo di tutto per farlo.
In quel conflitto interiore, in quel desiderio che gli scoppiava dentro e che cercava inutilmente di nascondere, Laura sentiva una forza antica. Quella che si prova quando si è oggetto di una venerazione non ancora contaminata dal possesso.
E quella mattina, mentre si chinava accanto a lui per mostrargli un grafico sullo schermo, restò a lungo in silenzio. Non era necessario dire nulla. Il profumo del suo collo, la vicinanza impercettibile, il calore tra le loro ombre, bastavano.
Lui abbassò lo sguardo con un’espressione quasi sofferente. Lei sorrise appena, senza farsi vedere.
Era venerdì, e l’ufficio si stava svuotando come ogni fine settimana. I rumori delle stampanti tacevano, le voci si affievolivano dietro i saluti di circostanza, e il pavimento lucido tornava a brillare nel silenzio.
Laura si era fermata ancora un po’. Una scusa qualsiasi: il report trimestrale, un confronto con l’area vendite, un’email da scrivere meglio. In realtà non voleva tornare a casa. Non subito. L’idea di una cena prevedibile, della TV accesa in sottofondo e del marito distratto le dava il voltastomaco quella sera.
Sorseggiava un tè tiepido dalla tazza aziendale mentre le luci del piano si abbassavano in automatico. Solo quelle sulle scrivanie ancora attive restavano accese. Fu allora che lo vide.
Leonardo. Ancora lì.
Era piegato sul portatile, la schiena curva, le dita che scorrevano sulla tastiera con una lentezza attenta. Laura lo guardò senza farsi vedere, restando alle spalle della vetrata del suo ufficio. Lui era immerso nel suo lavoro, eppure ogni tanto si fermava. Non per distrarsi, ma per pensare. O per sentire.
Senza far rumore, uscì nel corridoio e si avvicinò.
«Leonardo.»
La voce lo colse alla sprovvista. Lui scattò appena, poi si voltò. Il riflesso azzurro del monitor gli accendeva gli occhi dietro le lenti.
«Oh, dottoressa… scusi, non pensavo…»
«Tutto bene?»
Lui annuì subito, troppo in fretta. Chiuse un file, goffamente.
«Sì, sì… volevo solo finire una cosa per lunedì.»
Lei si avvicinò ancora. Sentiva il profumo della moquette pulita e quello più vivo della sua giacca, poggiata sulla sedia.
«Hai bisogno di una mano?»
«No… cioè… è solo una presentazione, niente di urgente.»
Laura si chinò accanto a lui, appoggiando una mano sul bordo della scrivania. Il suo braccio sfiorò quello di lui.
«Fammi vedere.»
Laura si chinò su di lui, piegandosi quel tanto che bastava a osservare il monitor da vicino. Lo fece con naturalezza, come se fosse solo un gesto pratico, ma la sedia di Leonardo era piccola, rigida, e il suo corpo magro non occupava spazio. Così, quando lei si abbassò, inevitabilmente il suo petto sfiorò la spalla di lui.
Fu un contatto morbido, caldo, breve. Ma per Leo fu come se il tempo si congelasse. Rimase immobile, le mani sospese sulla tastiera, il respiro improvvisamente irregolare. Laura lo sentì. Lo avvertì distintamente, non attraverso i sensi, ma attraverso il corpo stesso. Lo scarto della sua postura, il calore che salì subito nella pelle, la tensione dei muscoli sotto quella camicia a quadretti.
Fece finta di niente. Gli indicò una barra del grafico sullo schermo.
«Così è più chiaro, vedi? Devi lasciare più respiro intorno ai dati.»
Laura si chinò su di lui con attenzione, sfiorando con il petto la sua spalla. Fu un contatto quasi impercettibile, ma vivo, caldo. Leonardo si irrigidì di colpo. Non si mosse, ma le sue mani tremarono appena. Lei restò lì, come se nulla fosse, indicando lo schermo a pochi centimetri dal suo volto.
Il suo profumo lo avvolse. Non era dolce, né invadente: aveva qualcosa di talcato, pulito, con una nota di fondo più calda, quasi sensuale. Era il profumo di una donna vera, non quello sintetico delle ragazze della sua età. E lui lo sentiva sulle tempie, sul petto, come un battito aggiuntivo.
Poi, con lentezza, Laura si raddrizzò. Lo guardò per un istante, incrociando appena i suoi occhi dietro le lenti.
«Leo…»
Lui sobbalzò. Non l’aveva mai chiamato così.
«Sì?»
«Secondo me non ce la farai a finirla stasera. E nemmeno domani mattina, se ci provi da solo.»
Lui tentò una risposta, ma la voce non gli uscì subito.
«Cioè… io pensavo di lavorarci anche da casa…»
«Meglio di no. Se ti va, domattina passo io in ufficio. Alle dieci. Lavoriamo insieme. Un paio d’ore, non di più.»
Leonardo deglutì.
«Sì… certo… se non le dispiace.»
«Mi fa piacere, invece.»
Poi gli sorrise. Ma non era il solito sorriso. Era morbido, un po’ più lento, carico di qualcosa che non si poteva ancora nominare.
Prese la sua giacca e si voltò verso il corridoio.
«A domani, Leo.»
E uscì. Senza voltarsi.
La porta si chiuse alle sue spalle con il solito clic sordo, quello che ogni sera segnava il ritorno a casa. Laura appoggiò la borsa sul mobiletto dell’ingresso, si tolse le scarpe con un gesto meccanico e rimase lì, per un attimo, immobile, con la fronte appoggiata contro la porta. Non accese subito la luce.
La casa era silenziosa. Il marito era uscito con amici, i figli dai nonni. Le piaceva quel silenzio, a tratti. Ma quella sera no. Quella sera non riusciva a gestirlo. Era troppo pieno.
Attraversò il corridoio a piedi nudi, il parquet fresco sotto le dita, e si diresse in bagno. Mentre si guardava allo specchio, si accorse che aveva ancora il viso leggermente arrossato. Ma non era trucco. Non era stanchezza. Era qualcos’altro.
Si sbottonò lentamente la camicetta. La aprì, lasciandola cadere sulle spalle, e si fermò a guardarsi. La pelle era calda, lievemente umida. Fece scivolare una mano sul petto, poi sulla spalla. Quel punto lì. Quel punto dove, pochi minuti prima, il suo corpo aveva sfiorato quello di lui.
Non lo aveva fatto apposta. Ma non aveva neppure fatto nulla per evitarlo.
Chiuse gli occhi. Le tornò in mente la rigidità improvvisa di Leonardo, il modo in cui si era bloccato, come un animale sorpreso. Ma anche il modo in cui non si era ritratto. Era rimasto lì. In balia di lei.
Aprì l’acqua del lavandino, si rinfrescò il viso, poi il collo. Ma il calore non passava. Si spogliò lentamente, come se i vestiti avessero trattenuto troppo, e rimase per un attimo nuda nella penombra del bagno. Si osservò. Il seno si alzava e si abbassava al ritmo di un respiro più veloce del normale. La pelle reagiva all’aria, viva, pronta.
E mentre si infilava una maglietta morbida per la notte, il pensiero non si staccava da quel corpo esile, nervoso, inadeguato solo in apparenza. Da quegli occhi che la cercavano senza volerlo. Dalle sue mani. Dai suoi silenzi.
Sapeva che domani non sarebbe stato solo lavoro. E sapeva che, da quel momento, ogni suo gesto sarebbe stato un gioco. Ma non un gioco di potere. No. Era qualcosa di più torbido e più profondo. Era un gioco tra ciò che poteva accadere… e ciò che stava già accadendo dentro di lei.
La sveglia suonò prima del solito, anche se non c’era nessun obbligo. Laura aprì gli occhi con quella sensazione strana di chi sa di avere un appuntamento, ma non con il lavoro.
Fece colazione in silenzio, una tazza di caffè e yogurt. Poi si chiuse in bagno, accese lo specchio retroilluminato e rimase a fissarsi per un lungo istante. C’erano giorni in cui si truccava per abitudine, e altri — come questo — in cui il trucco era una dichiarazione.
Optò per un eyeliner marcato, preciso, quasi felino. Rossetto no: solo un gloss lucido, trasparente, che rendeva le labbra brillanti e morbide. I capelli, lavati la sera prima, erano un’esplosione riccia perfettamente disciplinata.
Poi aprì l’armadio. E il dilemma.
Era sabato. Nessun dress code. Ma era oggi. Doveva sembrare casuale. Incontrollata. E invece ogni dettaglio fu scelto con la precisione chirurgica di una trappola.
Scelse i jeans a vita alta, quelli che la abbracciavano perfettamente sui fianchi e le slanciavano la figura senza sembrare forzati. Sopra, indossò una camicetta bianca shankrata, corta quanto bastava a lasciare libera la linea della vita, leggera, fluida, perfettamente stirata. I bottoni restavano tutti chiusi, come al solito, ma bastava un soffio di vento o un movimento sbagliato perché il tessuto si sollevasse, rivelando un dettaglio in più.
Era un capo dall’eleganza pulita, ma chi lo guardava con attenzione capiva subito che non era stato scelto a caso.
Sotto, lingerie da urlo. Nera, come la parte più nascosta dei suoi pensieri. Un reggiseno push-up in raso lucido, che sollevava e raccoglieva il seno con eleganza feroce, e un tanga coordinato, sottile, sgambato, morbido al tatto come una promessa. Non lo avrebbe mostrato a nessuno, certo. Ma lo indossava con la logica più pericolosa di tutte: non succede… ma se succede?
Poi, il tocco finale: scarpe rosse. Scamosciate. Un tacco pieno, solido, che dava grazia e potere a ogni passo. Le guardò per un istante mentre se le infilava seduta sul bordo del letto. Rosse, sì. Come una scelta.
Prima di uscire si voltò verso lo specchio. Un respiro profondo, un controllo al profumo dietro le orecchie. Poi, piano, uscì di casa.
Era sabato. L’ufficio sarebbe stato vuoto. Ma per lei e Leonardo, da quel momento, non c’era più nulla di neutro.
L’ascensore si aprì sul piano deserto. Il display segnava le 10:02. Laura uscì con passo lento, le scarpe rosse che lasciavano un’eco lieve nel corridoio vuoto. L’ufficio, il sabato, sembrava un altro posto. I neon spenti, solo la luce naturale dalle vetrate.
Aveva un sorriso sottile sulle labbra. Sapeva che lui sarebbe stato lì.
E infatti c’era.
Leonardo era seduto esattamente dove lo aveva lasciato. Solo, curvo sulla tastiera, un caffè ormai freddo vicino al mouse. Indossava una camicia grigia chiusa fino all’ultimo bottone e un maglioncino sottile sopra. I capelli ancora più arruffati del solito. Quando la sentì arrivare, si voltò di scatto.
«Buongiorno,» mormorò, sollevandosi in piedi quasi d’istinto.
«Ma buongiorno, Leo. Sei qui da tanto?»
«Dalle otto e mezza… volevo sistemare alcune cose prima.»
Lei lo guardò. Gli occhi stanchi, le mani un po’ arrossate, ma nessuna sbavatura. Era serio, attento, forse nervoso. O forse solo incantato.
«Hai già mangiato qualcosa?»
«Un cornetto al bar sotto. Ma… possiamo iniziare quando vuole.»
Laura poggiò la borsa sulla scrivania e si sedette accanto a lui, sul bordo della stessa sedia dove il giorno prima aveva sentito la tensione attraversarlo. Questa volta non si chinò subito. Infilò le dita tra i ricci per sistemarsi una ciocca, poi sbottonò appena il polsino sinistro, con un gesto lento, e rimboccò la manica. Il movimento scoprì parte dell’avambraccio, segnato da una vena sottile e viva. Un gesto semplice. Ma in quel silenzio… vibrava.
Si sporse appena verso di lui, questa volta facendo attenzione. Non lo sfiorò. Non ancora.
«Fammi vedere a che punto sei.»
Leonardo le mostrò la presentazione. La aprì con movimenti lenti, quasi esitanti. Laura notò che il file aveva un nome diverso. Non più “Report Sett Q2” ma semplicemente: “L. 10”.
Lo sapeva. Non era più un lavoro. Era qualcosa che gli restava addosso.
Scorsero insieme le slide. Laura faceva domande, correzioni. A tratti sorrideva, altre volte taceva, con lo sguardo fisso sullo schermo. Lui prendeva appunti come uno scolaro diligente, ma ogni tanto — ogni tanto — sbirciava. Il profilo del suo volto. La curva dei fianchi. L’incavo tra i bottoni.
E Laura lo lasciava fare. Come se non se ne accorgesse. Ma ogni fibra del suo corpo sapeva che quegli sguardi erano lì. Li sentiva scivolare sulla pelle sotto la camicetta.
Poi, in un momento di silenzio, mentre correggevano il font di una slide, Laura gli si avvicinò appena. E stavolta, il fianco della sua coscia sfiorò quello di lui.
Un nulla. Ma Leonardo si bloccò.
Lei continuò a digitare, tranquilla, e mormorò piano:
«Così va molto meglio. Sei d’accordo?»
Lui annuì.
«Sì… sì, molto meglio.»
Ma non guardava lo schermo.
Le slide scorsero lente, una dopo l’altra, fino all’ultima. Il lavoro era finito. Leonardo stava ancora sistemando la formattazione di una tabella, quando Laura si stiracchiò lievemente sulla sedia e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
«Direi che possiamo dichiararla chiusa.»
«Sì,» fece lui, con un sorriso incerto, «è venuta bene.»
«Hai fatto un ottimo lavoro, Leo. Davvero.»
Si alzò, sistemandosi i pantaloni sulle anche con un gesto leggero e naturale. Poi lo guardò con un’espressione che sembrava più luminosa del necessario.
«Festeggiamo con un caffè? Dai, te lo offro io.»
Leonardo annuì subito. Si alzò anche lui, seguendola con uno scatto un po’ rigido. Il corridoio era silenzioso, la luce del giorno filtrava dalle finestre laterali e dava alla scena un’aura quasi irreale. Lei camminava davanti, le spalle dritte, il passo calmo ma deciso. Ogni movimento delle anche era calibrato e sincero. Le scarpe rosse tracciavano un ritmo regolare sul pavimento.
E mentre avanzava, senza voltarsi, con un gesto lento, Laura portò le mani alla camicetta. Uno. Due. Tre bottoni si aprirono. L’ultimo, subito sotto il seno, lasciò spazio a un respiro profondo. Il tessuto si distese e il solco tra i seni si fece visibile. Il bordo del reggiseno nero comparve netto, netto quanto bastava per togliere il fiato.
Sapeva che lui era dietro. Sapeva esattamente dove guardava.
Arrivarono alla macchinetta. Lei si chinò un istante per prendere due bicchierini, poi selezionò i caffè. Sempre dandogli la schiena. Le scapole appena in vista, i fianchi stabili. Il tessuto della camicetta si sollevava e ricadeva lento, come se ogni respiro fosse una messa in scena.
Quando il secondo bicchiere si riempì, si girò lentamente. E si appoggiò con la schiena alla macchina, tenendo i due caffè in mano, le braccia piegate, i gomiti contro i fianchi. Il gesto sollevava ulteriormente il petto, spingendo i seni in avanti in modo impercettibile, ma irreversibile. Il taglio della camicetta aperta incorniciava il centro.
Il reggiseno nero appariva netto, deciso. Ma quello che colpiva era il modo in cui lei lo portava. Con totale, assoluta noncuranza.
Leonardo si bloccò. Letteralmente.
Le sue pupille si dilatarono in un istante, il respiro si fece corto, la voce si fermò in gola. Guardava. Cercava di non farlo, ma guardava. E non capiva se doveva parlare, sorridere, voltarsi, fingere. Le mani gli restarono sospese, incerte.
Laura gli porse il caffè con un sorriso calmo.
«Tieni.»
Lui prese il bicchiere come se avesse paura di toccarle le dita.
«Grazie…» mormorò, a fatica.
Lei sorseggiò il proprio caffè con lentezza, gli occhi fissi nei suoi. Poi, inclinando appena la testa:
«Tutto bene, Leo?»
Lui annuì. Ma non disse niente. Non ci riusciva.
E lei, per la prima volta, sentì la vertigine del potere. Ma non quello di chi domina. Quello di chi viene desiderata fino all’incapacità.
Laura bevve il suo caffè lentamente, dritta, appoggiata alla macchinetta come se stesse posando per un dipinto. Le braccia piegate, il petto in avanti, le labbra umide di calore e silenzio.
Leonardo era immobile. Il bicchierino tra le mani, intatto. Guardava ovunque tranne che dove voleva guardare. Eppure ogni fibra del suo corpo la sentiva.
Lei lo osservò in silenzio, poi parlò.
«Ti piacciono?»
Lui sollevò lo sguardo come chi teme una trappola. Ma non c’era cattiveria nei suoi occhi. Solo desiderio. E qualcosa di feroce dietro la calma.
«C-cosa?»
Laura abbassò lentamente lo sguardo verso la scollatura aperta, dove il reggiseno nero incorniciava un seno gonfio di sangue, di voglia, di consapevolezza. Poi tornò su di lui.
«I miei seni. Ti piacciono, Leo?»
Leonardo annuì. Lentamente. Le labbra socchiuse. Il viso paonazzo.
«S-sì… mi piacciono…»
Laura non rispose subito. Si limitò a guardarlo, immobile, come se stesse pesando ogni dettaglio di quella risposta. Poi, senza abbassare lo sguardo, portò le mani alla camicetta. Il gesto fu calmo, preciso. Uno dopo l’altro, i bottoni si aprirono, senza fretta, fino all’ultimo.
La camicetta si aprì in due, scivolando sui fianchi. Il reggiseno nero apparve in tutta la sua eleganza audace, sostenendo i seni pieni, alti, rotondi. Il contrasto tra la sua pelle chiara e la stoffa scura era ipnotico.
Leonardo fece un passo indietro istintivo, come se avesse paura.
Ma Laura non glielo permise.
Fece un passo avanti. Un altro. Fino a essere così vicina da sentire il suo respiro irregolare sfiorarle il petto. Poi, lentamente, con assoluta calma, gli prese le mani.
Le sue erano fredde, tese. Le guidò come si guida un gesto sacro. Le posò sopra i seni, con entrambe le mani, e lì le lasciò.
Non parlava più. Lo guardava negli occhi.
E lui, con quelle dita lunghe, grandi, sproporzionate, tremava. Ma non si ritraeva.
Sfiorò. Poi strinse. Piano. Il pollice di sinistra si mosse lungo il bordo del reggiseno.
Un fremito attraversò il corpo di lei. Ma restò immobile. Gli occhi piantati nei suoi.
«È la prima volta che tocchi una donna, vero?» sussurrò.
Lui non riuscì nemmeno ad annuire. Era paralizzato. Ma il suo corpo parlava per lui. Le mani si muovevano incerte, goffe ma piene di desiderio trattenuto. La pelle di Laura si tese sotto le sue dita.
«Respira,» gli disse. «Senti come sono vere. Come sono tue, adesso.»
Leonardo lasciò uscire un sospiro, quasi un lamento. Gli occhi si velarono. Le mani iniziarono a muoversi un po’ più sicure. Un pollice sfiorò il capezzolo sotto il tessuto. Lei trattenne un gemito.
Ma non fece un passo indietro.
Laura rimase lì, a pochi centimetri da lui, le sue mani ancora sulle sue. Il seno pieno, caldo, respirava sotto quelle dita che tremavano. Lo guardava negli occhi, senza alcuna esitazione, e per la prima volta nella giornata fu lei a parlare senza filtri.
La voce era bassa, vellutata, profonda.
«Mi piace quando mi guardi così, Leo.»
Lui cercò di rispondere, ma il fiato non lo seguiva più.
Lei sorrise appena, ma non era tenerezza. Era fame.
«Mi eccita sentirmi desiderata. Sapere che mi pensi. Che mi immagini. Che mi vuoi…»
Fece un passo avanti. I seni, ancora tra le sue mani, premettero contro il suo petto. Poi, lentamente, lo spinse indietro. Un passo. Poi un altro. Fino a che la sua schiena non toccò la parete liscia del corridoio.
Laura lo guardò ancora. Gli occhi lucidi, brillanti, fermi.
E poi lo baciò.
Non fu un bacio timido. Non fu un assaggio. Fu un bacio pieno, carnale, profondo. Le sue labbra lo cercarono con fame contenuta troppo a lungo. Si aprirono subito, spinsero, cercarono la sua lingua. Lo fece suo in un secondo, come se volesse imprimerlo dentro di sé.
Le sue mani salirono lentamente lungo il collo di lui, poi si intrecciarono tra i capelli. Il seno premeva forte sul suo petto. Le gambe si avvicinarono. E tutto il suo corpo diceva una cosa sola: non voglio più trattenermi.
Leonardo restò immobile solo un secondo. Poi qualcosa si sciolse dentro di lui. Le mani si chiusero sulla sua schiena. E finalmente, dopo giorni, settimane, forse anni, baciò davvero.
Il bacio si fece più profondo, carnale, travolgente. Laura era ancora contro la parete, il corpo premuto contro il suo, il reggiseno ancora ben visibile, la bocca viva, calda, umida. Ma qualcosa stava cambiando.
Leonardo, senza un avvertimento, portò le mani alla vita dei suoi jeans. Laura non fece in tempo a reagire. Sentì le sue dita scivolare decise sul bottone. Un attimo, e il clic secco si aprì. Poi la zip, lenta, sibilante, tirata giù fino in fondo.
Non disse nulla. Lo lasciò fare. Sentì l’aria più fredda scivolare sotto il tessuto, la stoffa allentarsi appena. Il cuore le rimbombava in petto.
Poi lui abbassò leggermente il bordo dei jeans, quel tanto che bastava per scoprire il tanga nero in raso. I suoi occhi si abbassarono. Laura li seguì.
Era ancora vestita, ma si sentiva nuda.
Completamente offerta.
Volontariamente.
Le dita di Leonardo si mossero lente, sfiorando prima il fianco, poi seguendo il bordo sottile del tanga. Laura trattenne il respiro, ma non lo fermò.
Poi lui si abbassò ancora un po’. Solo un istante. Solo per far scivolare la mano sotto.
E la toccò.
Direttamente.
Le dita passarono sopra la seta lucida, poi sotto. Trovarono la pelle. E poi la verità: calda, morbida, bagnata. Gonfia.
Senza esperienza, ma guidato dal puro desiderio, la accarezzò piano, poi spinse un dito dentro.
Laura si piegò in avanti, un braccio intorno al suo collo, l’altro contro la parete per non cedere.
Ansimava. Non parlava. Ma ogni parte del suo corpo stava dicendo sì.
Laura si aggrappò alla parete, il fiato spezzato, le labbra aperte in un sussurro spezzato. Sentiva un dito di Leonardo affondare dentro di lei, lento, incerto, ma presente.
Poi, un attimo dopo, sentì il secondo.
Due dita, incredibilmente lunghe, la riempirono in profondità. Il gesto non era raffinato, non aveva nulla della sicurezza di un uomo esperto. Ma c’era una dedizione, una fame che le accendeva ogni nervo. Muoveva le dita dentro di lei con cautela all’inizio, poi con crescente decisione, cercando l’angolo giusto, quel punto che la faceva vibrare.
E quando lo trovò, Laura gemette.
Un suono pieno, involontario, basso e profondo. Non lo trattenne. Le sue gambe si piegarono leggermente, i muscoli delle cosce si tesero, il bacino si muoveva ora da solo, spingendosi contro la sua mano.
Leonardo non disse nulla. Non osava. Ma la guardava. La guardava mentre lei si lasciava fare, mentre la bocca si apriva, mentre il busto si inarcava.
«Così… sì…» sussurrò lei tra i denti. La voce rotta, calda, liquida.
E lui lo sentì. E allora le spinse dentro le dita fino in fondo, con dolcezza ma senza esitazione. Cominciò a muoverle, lentamente, poi con un ritmo irregolare, provando, imparando, ascoltando ogni suo respiro come fosse un comando.
Laura si lasciò andare contro di lui, il volto nascosto nel suo collo, i gemiti che si facevano più frequenti, più bassi, più umidi. Ogni volta che le sue dita si spingevano dentro, lei tremava. Ogni volta che uscivano, sentiva un vuoto che la faceva impazzire.
«Non fermarti…» disse, quasi in un lamento.
Sentiva ogni movimento, ogni impulso incerto che cercava il ritmo giusto. E lo trovava. Sempre più a fondo, sempre più dentro. La sua voce si era fatta un respiro, il gemito sordo di chi non vuole farsi sentire, ma non può trattenere niente.
Poi accadde.
Il pollice di lui — grande, teso — si mosse. Scivolò in alto. Cercò. Trovò.
E la sfiorò proprio lì. Sulla clitoride.
Un punto. Un tocco. Poi una pressione circolare, ruvida, precisa. Forse per caso. Forse no. Ma bastò.
Il corpo di Laura si irrigidì di colpo. Le mani si strinsero sulla sua nuca. Le cosce tremarono. Il ventre si contrasse.
«Oh Dio… Leo… sì…»
Le dita dentro si muovevano, ma ora era il pollice a guidare tutto. Un cerchio, poi un altro. Sempre lì. Sempre sul punto giusto.
E lei non riuscì più a parlare.
Un’onda le salì dalle gambe, le strinse la pancia, le esplose nel petto. Tutto si chiuse e poi si aprì, come un lampo trattenuto troppo a lungo. Si venne addosso a lui, gemendo piano, mormorando parole confuse nel suo orecchio, stringendolo come se stesse precipitando.
Era tutta bagnata. Vibrava. Ogni muscolo contratto. Le cosce premute sulle sue. La fronte sul suo collo.
E non si vergognava. Non più.
Solo dopo lunghi secondi riprese fiato. Le mani ancora sulla sua pelle. Il viso arrossato. Gli occhi chiusi.
Il respiro di Laura era ancora spezzato, la fronte appoggiata alla spalla di lui, il corpo rilassato ma ancora attraversato da scosse. Lo stringeva come se volesse restare lì per sempre, sentire il battito accelerato del petto giovane contro il suo, il calore che saliva, il profumo della pelle.
Poi si scostò piano, e lo guardò.
Leonardo aveva gli occhi lucidi, stupiti, quasi impauriti dalla forza di ciò che aveva appena provocato. Ma Laura gli sorrise. Un sorriso pieno, rotondo, sporco di piacere e gratitudine.
Lo baciò. Lentamente. Dolce. Ma profondo.
Le sue labbra si aprirono sulle sue, la lingua cercò la sua, e in quel bacio gli comunicò tutto: il grazie, l’eccitazione, l’ammirazione, la voglia.
«Non hai idea… di quanto mi servisse questo,» mormorò contro la sua bocca.
«Grazie, Leo.»
Poi le sue mani scesero. Lentamente. Dal petto alla cintura. E si inginocchiò.
Lo fece con calma, con una naturalezza che non lasciava spazio al dubbio. Non cercava di impressionarlo. Stava scegliendo di celebrarlo. Di premiarlo. Di restituire ciò che lui le aveva dato.
Quando Laura abbassò delicatamente l’elastico dei boxer, il membro di Leonardo si liberò all’istante, con uno scatto pieno e teso, proiettandosi verso l’alto come se non potesse più essere trattenuto. La sua lunghezza era impressionante: la base spessa e liscia cresceva senza sosta fino alla punta, che non solo raggiungeva l’ombelico, ma lo superava nettamente, lasciando visibile tutta la lunghezza della cappella oltre la linea del ventre.
Era dritto, duro, palpitante, innaturalmente lungo per un ragazzo così esile, eppure perfettamente proporzionato nel suo slancio verticale.


Laura restò ferma, in ginocchio, con gli occhi fissi su quella visione.
Uno scettro vero, vivo, pulsante.
E il solo pensiero di prenderlo in bocca le fece vibrare qualcosa, dentro.
Laura restò immobile per qualche secondo. Inginocchiata davanti a lui, gli occhi fissi sul membro teso, proiettato verso l’alto. Non solo superava l’ombelico: la cappella lucida e turgida oltrepassava il punto più alto del ventre di tutta la punta.
Sospirò piano, con un sorriso stupito sulle labbra.
«Mio Dio…» mormorò.
Poi alzò gli occhi su di lui.
«Non hai solo le mani grandi, Leo… complimenti. Mai visto uno così.»
Leonardo non rispose. Era immobile. In apnea. La guardava da sopra, tremando. La camicetta a terra, il reggiseno la stringeva, ma in quel momento Laura era tutta bocca, tutta desiderio, tutta fame.
E senza dire altro, lo prese.
Aprì le labbra e avvolse la punta tra la lingua e il palato. Lentamente. Calda. Umida. Profonda. Emise un suono basso, come un mugolio di piacere suo, mentre sentiva quel peso scivolare nella gola.
Le mani di lui si chiusero sui suoi capelli, ma non per guidarla: solo per resistere.
Lei cominciò a muoversi. Un ritmo lento, avvolgente, sicuro. Ogni affondo era misurato, controllato, ogni risalita accompagnata dalla lingua che avvolgeva la corona con precisione. Lo guardava mentre lo faceva. Lo guardava, e dentro quello sguardo c’era tutto: voglia, potere, gratitudine, piacere puro.
Con una mano lo teneva alla base. Con l’altra gli accarezzava l’addome, sentendo i muscoli contrarsi. Poi affondò ancora. Più a fondo. E ancora.
Leonardo gemette. Piano. Incredulo.
«Laura… io… sto per…»
Ma lei non si fermò. Anzi. Accelerò. Il suono della bocca su di lui si fece più bagnato, più pieno, più osceno.
E quando lui venne, lo fece tremando tutto. Un gemito sordo, il corpo che si contrasse, le dita nei suoi capelli, le gambe che cercavano di non cedere.
Laura lo prese tutto. Senza esitazioni. Gli occhi chiusi, il viso rilassato, la bocca riempita.
Inghiottì. Lentamente. Gustandolo. Poi si staccò con un suono dolce e caldo, si passò la lingua sulle labbra, e si rialzò.
«E adesso,» disse con voce roca, vicinissima al suo orecchio, «dimmi se avevi mai immaginato qualcosa del genere.»
Laura si rialzò lentamente, le mani che si lisciavano i ricci scivolati sulle spalle, il respiro ancora caldo sulle labbra. Leonardo la fissava, con lo sguardo di chi non sa più distinguere il sogno dalla veglia.
Lei si avvicinò, gli passò una mano sulla guancia, poi lo baciò. Un bacio lento, tenero, profondo. Non c’era più fretta, né fuoco urgente. Solo un calore che rimaneva dentro, che cercava un contatto più sottile, più umano.
Quando si staccarono, Laura gli sfiorò le labbra con il pollice.
«Stai bene?»
Lui annuì, ancora senza parole. Poi, con un filo di voce, quasi senza guardarla:
«Solo… nei miei sogni.»
Lei sorrise. Non c’era più arroganza, solo dolcezza. Un senso di pienezza che le arrossava il viso senza bisogno di trucco. Si voltò, recuperò la camicetta, cominciò a rivestirsi. I bottoni si chiudevano uno a uno, l’intimo sistemato, i jeans rialzati con un gesto sicuro.
Leonardo la imitò, silenzioso, ancora scosso, ma con un sorriso sulle labbra che non aveva mai avuto prima.
Quando furono pronti, lei prese la borsa, poi lo guardò.
«Lunedì mattina. Alle nove. Come se non fosse successo niente.»
Lui fece per annuire, poi si bloccò.
«Davvero… niente?»
Laura si avvicinò un’ultima volta. Lo guardò negli occhi.
«Niente che si possa raccontare.»
Gli baciò la guancia, lieve. E se ne andò.
Se avete commenti, suggerimenti e critiche potete lasciarli qua sotto o scrivere a mogliemonella2024@gmail.com
scritto il
2025-08-08
2 . 7 K
visite
4 1
voti
valutazione
7.1
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Alessia Epilogo

racconto sucessivo

L & L 2^ Parte
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.