In Vetta 8

di
genere
trio

Lorena, ancora tremante, è in piedi, le cosce brillano della sua umidità e dei liquidi dei due uomini. Respira a bocca aperta, i capelli umidi ricadono sulle spalle. La stanza è carica di odori, suoni e tensione. Ma non è il momento di fermarsi.
Porta lo sguardo verso l’alto, dove sa che c’è chi osserva. Si avvicina alla parete specchiata e, con tono deciso, rompe il silenzio:
— «Mi servono delle scarpe. Non voglio camminare scalza.»
Una breve attesa. Poi, quasi impercettibile, si apre una fessura laterale. Appare un vassoio nero opaco con due oggetti: un paio di autoreggenti finissime, nere con riga posteriore, e un paio di décolleté nere in vernice, altissime, col tacco d’acciaio sottile.
Lorena non ringrazia. Non serve.
Si siede su una poltrona bassa, accavalla le gambe ancora nude e comincia a infilare le calze con lentezza calcolata. Le arrotola sulle dita, le fa scivolare sul piede e lungo il polpaccio. Quando arrivano alla coscia, le sistema tirandole con due dita, facendole aderire perfettamente. La riga dietro le gambe è un filo nero di precisione chirurgica.
Poi prende le scarpe. Le calza. Il piede scivola dentro e si ferma deciso. Il tacco alza la postura, le curve si accentuano, il corpo cambia presenza.
E proprio mentre si alza, una voce nota si accende nelle cuffie. È Thomas.
— «Brava Lorena. Adesso sì. Sei pronta davvero.»
La sua voce è più intima ora, come se fosse nella sua testa.
— «Hai ancora due stanze davanti a te. Puoi scegliere tu. Una è fatta solo di specchi. Lì non c’è nessuno, solo tu… ma ti vedrai da ogni angolazione, mentre una voce ti guiderà. L’altra stanza è più calda… più viva. Non sarai sola. E lì non sarai tu a condurre.»
Poi una pausa. E infine:
— «Dimmi dove vuoi andare, Lorena.»
Non risponde ma si dirige verso la seconda opzione proposta, ogni passo risuona come il battito di un cuore trattenuto. La stanza è vuota, ma al centro — illuminato da una luce che sembra tagliare l’aria — c’è un palco basso, largo quanto un letto a una piazza, rivestito di velluto nero.
Lorena si avvicina, sola.
Non ha bisogno di sapere.
Ha scelto.
Sale sulla piattaforma con passo lento, elegante, in equilibrio precario sui suoi tacchi d’acciaio. Indossa ancora il body nero lucido a perizoma, le autoregenti con riga, le décolleté affilate come un’arma. Nulla di più.
Una voce automatica, metallica, ma sensuale, risuona:
— «Sdraiati. Al centro. Gambe leggermente divaricate. Le braccia lungo i fianchi.»
Lorena esegue.
Il velluto le accoglie la schiena.
I glutei restano scoperti, l’elastico del body teso. I capezzoli, già turgidi sotto le due strisce tese, spingono contro il materiale lucido.
Poi un altro comando, più dolce.
— «Indossa la mascherina.»
Lorena la prende dal cuscino. È di velluto nero, profumata, tiepida come una mano. La lega dietro la testa.
Ora è buio.
I respiri rallentano.
Poi nelle cuffie… la prima voce. Femminile.
— «Che bel respiro. Tienilo così, per me.»
Una mano la sfiora. Dal polso al gomito. Un tocco lieve, come un indumento che accarezza. Un’altra voce, maschile:
— «La tua pelle è più calda di quanto pensassi. Ti tremano le cosce.»
Un dito risale l’interno coscia. Lentamente. Non tocca ancora nulla di proibito, ma le si ferma a un soffio dal tanga.
Poi arriva una lingua. Un colpo breve e umido tra il collo e la spalla. Lorena sobbalza leggermente.
Non può reagire. Non deve. Solo sentire.
— «Non muoverti», sussurra un'altra voce, maschile, più giovane.
Le leccano l’orecchio. Le mordono piano il lobo. Una mano si posa sul suo seno sinistro, sopra la stoffa, ma con decisione.
Poi arriva la seconda. Sul seno destro. Questa volta è una mano di donna. Più piccola, più affusolata. Le dita stringono, accarezzano i contorni.
Le due mani si muovono con ritmo complementare. Come se si conoscessero.
Il respiro di Lorena accelera.
Una lingua le lecca il ventre.
Un’altra voce, più roca, femminile:
— «Mi inginocchierò tra le tue gambe, amore. Sentirò la tua eccitazione attraverso il tessuto. Ti farò impazzire senza togliertelo.»
E mantiene la promessa.
Una bocca si preme contro il tanga, lo succhia leggermente, lasciando il tessuto ancora bagnato. Lorena sente la pressione, la vibrazione, le labbra. Poi una lingua si fa strada sotto l’elastico, scivolando con delicatezza tra le sue labbra intime. Non la penetra. Solo la accarezza.
Nel frattempo, una bocca le succhia un capezzolo attraverso il body, mentre una mano le stringe le ginocchia dall’esterno, spingendole ad aprirsi di più.
Un’altra voce nelle cuffie:
— «Fatti trovare morbida. Voglio solo assaggiarti, e poi lasciarti tremare.»
Una mano le tiene ferma la fronte, mentre un’altra bocca sale tra le sue gambe. La lingua questa volta è più rapida, più esperta, entra, indugia, gioca. Le dita si alternano tra seno e glutei.
Lorena non distingue più le direzioni. Il corpo intero pulsa.
Le dicono:
— «Ti stai inarcando. Non farlo. Lasciati andare.»
E lei lo fa.
Due lingue ora le stanno leccando l’interno coscia, da entrambi i lati. Una lingua calda le entra tra le natiche, lecca l’ano con pazienza, mentre due dita le sfiorano il clitoride, ancora sopra il tessuto. Lorena gemette, ma il suono è solo suo. Nessuno ride, nessuno la ferma.
La stanno baciando ovunque.
Una bocca le succhia le dita dei piedi.
Una lingua le accarezza la scapola.
Un bacio le sfiora la bocca, senza entrare.
Lorena si contrae.
Poi urla. Muta. Dentro.
Un orgasmo esplode come un’onda rovesciata, senza tocco diretto, senza penetrazione.
Solo bocche.
Solo mani.
Solo voci.
Il corpo vibra dopo l’orgasmo, ma non ha tempo di rilassarsi.
Le mani non si sono mai fermate.
Le bocche non hanno mai smesso di cercarla.
Poi…
Una voce entra nelle cuffie, lenta, femminile, insinuante, come seta che le sfiora la nuca:
— «Sei tutta bagnata. Te ne rendi conto? Ci stai invitando. Sei tu che ci stai chiamando.**
Lorena deglutisce. Il corpo è caldo. Ma non risponde.
La voce continua, più vicina, più affilata:
— «Adesso ti leccherò il culo finché non mi supplicherai con il tuo corpo.»
E lo fa.
Una lingua calda, insistente, le si insinua tra i glutei, le gira attorno, la stuzzica con precisione chirurgica, mentre due dita, con guanti sottili, le accarezzano l’interno delle cosce con lentezza spietata.
Poi una voce maschile, ruvida, graffiata:
— «Non ti abbiamo ancora tolto nulla. Ma stai già tremando.**
Le dita si insinuano sotto il body, lateralmente. Ne seguono la curva, lo tirano leggermente. Non strappano. Non sfilano. Lo tengono teso.
La lingua tra le gambe non le dà pace.
Lorena inarca i fianchi, e subito un’altra voce:
— «No. Ferma. Devi restare distesa. Così, come sei.**
Una mano le prende il mento, con dolce forza. Una bocca si avvicina alle sue labbra.
Non la bacia.
La sfiora. Soffia. Lecca un solo punto: l’angolo sinistro della bocca.
Lorena geme senza suono, la gola stretta, il corpo teso.
Poi tre voci insieme. Tre sussurri diversi, ognuno con un ritmo. Uno maschile, uno femminile, uno ambiguo.
Parlano uno sopra l’altro, nelle cuffie, come se si parlassero attraverso di lei:
— «Apro le tue gambe.»
— «Ti lecco il capezzolo destro.»
— «Metto due dita sul tuo clitoride. Solo premute. Non mi muovo.»
E accade tutto.
Perfettamente sincronizzato.
Il corpo di Lorena si spalanca al piacere.
Un capezzolo succhiato con lentezza infinita.
Il clitoride premuto con fermezza, attraverso il tessuto lucido ormai trasparente.
Una lingua che torna sul suo ano e lo penetra, con la punta, ritmata.
— «Non ti fermeremo finché non esplodi.»
Le voci le rimbombano dentro come tamburi lontani.
Ogni comando è un’onda.
Ogni voce è una mano invisibile.
Un’altra donna, con voce dolce ma perentoria:
— «Apri la bocca. Ora. Non parlare. Solo aprila.»
Lorena obbedisce.
Una lingua le entra in bocca.
Non sa di chi sia. Ma è calda. È morbida.
Un bacio profondo, bagnato, lento.
Mentre una mano la stringe alla gola, non per soffocarla, ma per farle sentire che non può sfuggire.
Poi una voce, più lontana, maschile, rotonda, da uomo maturo:
— «Vorrei solo guardarti mentre vieni. Non ti toccherò. Ma lo sentirò. Dentro di me.»
Lorena geme davvero adesso. Un suono rotto.
Le labbra si muovono. Non chiede. Ma si arrende.
Due bocche si incontrano sulle sue cosce. Una le lecca l’interno ginocchio. L’altra scivola dritta sul sesso, sotto il tessuto, e la succhia forte.
La lingua si muove in cerchi.
Un dito entra.
E poi un altro.
Lorena urla. Stavolta davvero.
Un orgasmo le squassa il ventre, si arrampica nella schiena, le spalanca le braccia e le irrigidisce le gambe.
Ma nessuno si ferma.
Le voci si fanno più fitte, come in una marea:
— «Ancora...»
— «Non hai ancora finito...»
— «Non puoi fermarti adesso…»
Lorena non ha più coscienza del tempo.
Il corpo, disteso sul palco, vibrante, sudato, vestito, è diventato una superficie sensibile su cui scrivere il piacere.
Le autoreggenti sono umide. Il body nero lucido aderisce come una seconda pelle intrisa di calore. I tacchi ancora ai piedi, tesi, appuntiti, la sollevano come un trofeo.
Le voci non si sono mai fermate.
Anzi. Si sono moltiplicate.
— «Stai diventando morbida come miele. Hai un odore che fa impazzire tutti.»
La voce è femminile, quasi sognante.
E Lorena sente la lingua di quella donna passare sotto il tanga, leccarla con un’avidità lenta, come se stesse assaporando qualcosa di sacro.
Poi una voce maschile, più ruvida:
— «Spalanca le gambe. Fai spazio anche a me.»
Due mani la afferrano sotto le ginocchia e le gambe vengono divaricate di forza, ma con rispetto.
Un altro volto si avvicina.
Le leccano il sesso da sotto, mentre il primo continua a stuzzicarle il clitoride dall’alto.
Due lingue. Una sotto, una sopra.
E poi una bocca sul capezzolo, che lo succhia come se volesse nutrirsi di lei.
Lorena scuote la testa bendata, geme, si inarca.
Le voci nelle cuffie diventano un coro, come un rituale:
— «Vieni ancora…»
— «Trema per noi…»
— «Lascia che ti svuotiamo…»
— «Solo piacere, nient’altro…»
Un dito le entra nell’ano. Un altro nel sesso. Insieme. Coordinati.
Le lingue si alternano, si rincorrono, si sovrappongono.
Lorena grida.
Non è più un gemito.
È un grido interrotto, come se si strappasse dentro.
L’orgasmo le esplode nel basso ventre, più profondo, più lungo del primo.
Sente le pareti vaginali contrarsi, i muscoli delle gambe diventare duri come marmo.
E ancora una voce, mentre lei cerca invano di trovare respiro:
— «Non hai ancora capito… non ti abbiamo dato tutto. Questo era solo il secondo. Il terzo ti farà impazzire. E te lo strappiamo via.**
Qualcosa cambia nell’aria.
I passi si fanno più netti.
Le mani più veloci.
Le bocche più affamate.
Uno le morde il gluteo.
Un altro le risucchia il clitoride da sotto il body.
Due dita la penetrano con forza.
Un palmo le preme sulla bocca.
Lorena non capisce più dove finisce il suo corpo e dove cominciano gli altri.
Non sa quante mani, quante lingue, quante voci.
Ma le sente.
Tutte.
Una voce femminile, autoritaria e crudele:
— «Adesso ti facciamo impazzire. Preparati. E non trattenerti. Se non gridi, lo rifacciamo da capo.»
— «Ora. Vieni per noi. Mostrati. Apriti.»
La voce nelle cuffie non è più un sussurro.
È un comando.
Lorena sente il suo sesso come un centro incandescente. Le labbra intime gonfie, tese, bagnate, pulsano. Il clitoride è in fiamme.
Una lingua continua a martellarlo con precisione micidiale.
Due dita le entrano con forza, le curve perfettamente orientate verso il punto G, non la stuzzicano: la attaccano.
— «Ti voglio bagnata, tutta. Così bagnata da sporcare questo palco.»
Una voce maschile le prende l’orecchio:
— «Ti senti? Stai esplodendo. Non fermarti. Non adesso.»
Una bocca le risucchia un capezzolo con forza, mentre un'altra le lecca le lacrime che sono scese sotto la mascherina.
Il corpo si inarca.
Lorena sbatte i talloni, i tacchi fanno rumore sul velluto.
Il ventre si contrae, si solleva.
— «Ci siamo, troia bella. Ora vienimi in faccia.»
Due dita dentro. Una lingua sopra. Una bocca sul seno. Una mano sul collo.
E poi…
Il mondo si apre.
Lorena urla, un suono gutturale, carnale, un lamento d’orgasmo che sembra un pianto.
I muscoli si contraggono tutti insieme, il corpo si tende come una corda e poi… si spezza.
Il liquido parte.
Un primo getto caldo e violento le scappa dalla vagina, inarrestabile.
Poi un altro.
E un altro.
Viene.
Viene sul volto di chi la stava leccando, sul palco, sulle sue stesse cosce.
Le autoreggenti si macchiano. Il body è completamente bagnato.
Il corpo si affloscia, le gambe tremano, il bacino non riesce più a stare sollevato.
È nuda senza essere spogliata.
Svuotata. Aperta. Vinta.
Una voce tenera, femminile, nelle cuffie:
— «Così… bellissima. Così ti vogliamo. Così ti ricorderai di noi. Ogni notte.»
E poi, silenzio.
Tutte le bocche si allontanano.
Tutte le mani si staccano.
Solo il suo respiro resta.
Pesante. Irregolare. Ancora umido di tutto ciò che le è appena accaduto.
Il silenzio, dopo tutto quel frastuono di corpi, bocche, lingue e voci, è quasi assordante.
Lorena resta lì, stesa sul velluto ancora umido del suo piacere, la pelle che ancora freme, le cosce tremolanti, il fiato che non riesce a ritrovare un ritmo regolare.
Non si muove. Non parla. Non chiede.
Il body le aderisce al corpo come una seconda pelle laccata e trasparente, le autoreggenti sono bagnate, le ginocchia leggermente divaricate.
I talloni dei suoi tacchi in acciaio puntano verso l’esterno, fermi e immobili, come se fossero gli ultimi due chiodi a tenerla ancorata al mondo reale.
Un minuto.
Poi un altro.
Solo il battito del cuore, nel petto e tra le gambe, tiene vivo il tempo.
Poi, lentamente, una voce.
Quella.
Quella voce.
Thomas.
— «Lorena.»
La sua voce rientra nelle cuffie, adesso chiara, definita.
Non più solo osservatore.
Guida. Regista. Padrone del prossimo atto.
— «Hai superato ogni prova. Sei stata meravigliosa. Ma… non è ancora finita.»
Un respiro.
Poi ancora lui, pacato ma fermo:
— «Ora togli la mascherina.»
Le mani di Lorena si sollevano a fatica. I muscoli sembrano pesare il doppio, ma le dita trovano i nastri, li sciolgono, e lentamente sfilano la benda.
La luce della stanza — morbida, ma netta — la colpisce agli occhi come un ritorno improvviso alla realtà.
Ma quello che vede non è realtà. È ancora sogno. È ancora gioco.
La stanza è di nuovo vuota.
Nessuna presenza visibile.
Solo lei, al centro del palco.
E la voce.
Thomas.
— «Sei pronta per il gran finale della giornata, Lorena?»
La bocca si apre appena, la voce le esce rotta ma lucida, con una nota ironica e sorpresa.
— «Ancora...?»
Una pausa.
Poi lui. Calmo. Inesorabile.
— «Sì. Con te… non abbiamo ancora finito.»
Il respiro si placa, lento, profondo.
Lorena resta stesa, immobile, ancora col ventre che pulsa e le cosce indolenzite, i sensi annebbiati, il corpo caldo di eccesso.
Poi, il silenzio si incrina.
Un suono.
Secco. Metallico.
Alle sue spalle.
Lei non si gira. Non può.
La luce la raggiunge ancora prima che lei si alzi. Bianca, piena. Nessuna penombra in cui nascondersi.
Una voce nella cuffia. Solo una frase.
— «Alzati. Entra.»
Lorena scivola giù dal palco, le gambe incerte ma il passo deciso. I talloni toccano il suolo più compatto, poi avanzano. Quando varca la soglia, la luce la inghiotte.
La stanza è diversa.
Più pulita. Più crudele.
Specchi ovunque.
Lei si vede da ogni lato, riflessa, amplificata, moltiplicata.
E poi, il letto. Al centro. Immenso. Come una promessa e una condanna.
Non fa in tempo a orientarsi.
Due corpi la avvolgono.
Due presenze la stringono, senza preavviso.
Non parlano.
Le mani la toccano, decise, calde, già sicure di lei.
Le bocche l’assalgono.
Una sulla bocca — affamata, carnale, invadente — le ruba il respiro.
Un bacio lungo, profondo, irruento. La tiene stretta per la nuca, l'altra mano le scivola lungo la schiena, fino a stringerle i fianchi.
La lingua di lui le entra in bocca, le impone un ritmo, le detta un bisogno.
Dall’altro lato, un’altra bocca le prende il collo, la morde piano, poi le succhia la pelle con lentezza, lasciando tracce calde e bagnate, scendendo verso la clavicola, poi più giù.
Le mani si muovono ovunque.
Sente il busto slacciarsi. Le cinghie tirate, sfilate.
La stoffa si tende, cede. Cade.
Il body scivola sul fianco.
Le calze vengono arrotolate lentamente, con dita forti ma precise, che non strappano, ma spogliano come se la liberassero da ogni residuo di difesa.
Lorena non resiste. Non vuole.
Si lascia fare.
Vuole essere fatta.
I loro corpi premono contro il suo, e sono enormi.
La tengono in mezzo, stretta come una perla nella morsa del piacere.
Il calore della pelle contro la sua, il contrasto tra la loro forza e la sua resa la fa tremare.
Sente i seni liberi, premuti contro due pettorali duri come pietra. Le mani la sorreggono, le muovono i fianchi, la guidano all’indietro, verso il bordo del letto.
La spingono giù con lentezza.
Lorena si siede. Le cosce divaricate.
Una lingua la cerca già tra le gambe.
L’altra bocca la reclama ancora.
I baci si fanno più violenti, più profondi.
Una mano tra le gambe la accarezza con il dorso delle dita. È bagnata. Di nuovo. Di già.
E allora la aprono.
Le ginocchia tirate verso l’esterno, la schiena che si piega.
Lorena non si copre. Non si ritrae.
Li guarda negli occhi, e si arrende.
Uno dei due si inginocchia.
L’altro le prende la testa, la solleva, la bacia di nuovo.
E poi, inizia.
Le labbra di uno le divorano la bocca mentre le mani dell’altro le stringono i fianchi con forza crescente. I loro corpi, caldi, enormi, schiacciano il suo da entrambi i lati: è stretta tra due montagne di carne viva, muscoli tesi, fiato bollente e desiderio affamato.
Ogni bacio è una presa. Ogni morso, una promessa.
Lorena non ha tempo per pensare, né per contare i battiti. Il letto le prende la schiena mentre le ginocchia si piegano, aperte sotto il peso di chi è davanti.
Non c’è fretta, ma nemmeno tregua.
La bocca del primo scende, affonda, apre.
La lingua le scivola tra le pieghe, lenta e spessa, a cercarle l’umore già pronto.
L’altro la tiene ferma, con una mano sola dietro la nuca. Non per impedirle di muoversi, ma per farle capire che non serve più comandare.
Adesso è loro.
Ed è tutto quello che voleva.
Il primo la penetra con la lingua, affondando in lei con una pazienza feroce.
La succhia, la assaggia, la costringe a contorcersi, mentre dita dure le premono i glutei, li allargano, li palpeggiano con devozione animalesca.
Lorena geme, si tende, inarca il bacino.
Ma ogni volta che prova a muoversi, una mano la richiama al centro.
No. Ferma.
Qui.
Apri di più.
Lascia che succeda.
Il secondo le bacia i seni, affonda il volto tra le curve, la lecca come fosse assetato. Le dita le sfiorano la gola, risalgono tra le scapole, poi la stringono.
Le braccia enormi la sollevano leggermente, come se non pesasse nulla, mentre l’altro continua a mangiarla viva.
Lorena lo sente — non li vede, non li nomina, li sente — e la carne le trema tra le cosce.
Sa che quello non è ancora l’inizio.
È la preparazione.
La tempesta deve ancora aprirsi.
Poi la bocca si stacca.
Un respiro caldo la colpisce tra le gambe.
Una voce, roca, vicinissima:
— «Adesso ti entriamo. Uno alla volta. Poi insieme. Tu non farai nulla. Solo sentirci. Solo aprirti.»
Lorena non risponde.
Non ce n’è bisogno.
I colossi si sollevano.
Lei li guarda.
E allarga le gambe.
Le mani la sollevano, la girano, la guidano.
Non c’è esitazione nei loro gesti, ma nessuna brutalità. Lorena è accolta, avvolta, invasa da due corpi che si muovono intorno a lei come onde che si rincorrono sullo stesso scoglio: vogliono distruggerla e adorarla insieme.
Il primo la prende da dietro. La tiene salda, inclinata verso il letto, con le ginocchia aperte e i talloni ancora sollevati.
Quando entra in lei, lo fa in un solo colpo.
Pieno. Lento. Profondo.
Lorena urla piano, il respiro spezzato, la bocca socchiusa. E proprio lì, l’altro le afferra il mento, le fa voltare il viso e glielo offre.
Non le chiede. Le entra.
Le labbra si allungano, la lingua si muove, lo accoglie fino a riempirsi la bocca.
È posseduta in due direzioni, e ogni centimetro del suo corpo è attraversato.
Le braccia le tremano. Il ventre le si contrae.
Un primo orgasmo le scuote la pancia, le cosce le tremano, e il fiato le esplode nel palmo che le preme sulla nuca.
Poi si scambiano.
Lorena resta inginocchiata, le gambe molli ma ancora aperte, il sesso gocciolante.
Quando il secondo la prende, la forza è diversa, ma più profonda ancora.
Le mani le afferrano i fianchi, la tirano contro ogni colpo, e di nuovo, la bocca si riempie.
Lecca, succhia, geme. Non c’è più distinzione tra dominio e offerta.
Gode mentre è usata. E mentre li usa.
Il piacere le esplode dentro come ondate ravvicinate, impossibili da frenare.
Tre. Forse quattro orgasmi.
Lorena non li conta.
Li vive. Li cavalca.
Fino a quando il primo la prende di nuovo per le ascelle, la solleva, la deposita sul petto ampio e duro come pietra.
Lei non oppone resistenza. Sale.
E si fa penetrare dall’alto.
Lenta. Gloriosa.
Le mani sulle sue cosce la tengono aperta.
Il suo corpo scende.
Le sue unghie gli graffiano il petto.
Gli occhi si chiudono.
Poi sente il secondo dietro di lei.
Il respiro caldo sulla schiena.
Le mani sui fianchi. Le dita che cercano spazio.
— «Ora ti vogliamo insieme.»
Lorena si irrigidisce.
Si ferma a un respiro dalla resa totale.
Poi si gira.
E con un filo di voce, carico di fuoco:
— «Il culo non è per voi.»
Una pausa.
Il colosso sotto di lei ghigna, con lentezza, come chi accetta la sconfitta solo per preparare la vittoria vera.
— «Come preferisci», le mormora. Ma le tiene il bacino fermo.
Poi guarda l’altro. Un cenno.
Lorena sente le mani dietro di sé che la riaprono. Che guidano.
E poi… entra.
Dentro. Nello stesso punto. Insieme.
Due corpi che la dividono, che si prendono ogni spazio.
Lorena grida, si inarca, si spezza in due.
È troppo.
È tutto.
Le pareti del sesso le si tendono, si aprono, si dilatano fino al punto di non ritorno.
Il secondo orgasmo squirtato la travolge senza controllo.
Il corpo si contrae, l’urlo le esplode in gola, le mani tremano, il liquido le cola giù sulle cosce, e i due la tengono stretta, affondata tra i loro corpi come una dea consumata dal piacere.
E lei…
sorride.
Con la bocca ancora aperta.
Il respiro torna a farsi lento.
Il battito nel petto non è più tamburo, ma vibrazione sorda che si espande fino alle dita.
Lorena è ancora lì, sdraiata sul letto immenso, le gambe abbandonate, il ventre che pulsa, le labbra socchiuse, umide di piacere e spossatezza.
I due colossi la tengono ancora per un istante. Uno le bacia la spalla, l’altro le passa un palmo largo e caldo sulla schiena, con un gesto sorprendentemente dolce.
Poi si scambiano un cenno muto.
E lasciano la stanza.
Lorena resta sola.
Distesa. Aperta.
Non serve nulla.
Nessuna parola. Nessun pensiero.
Solo silenzio e carne.
Forse si addormenta. O forse resta immobile, in una specie di sospensione, svuotata e completa insieme.
Non sa quanto tempo passa.
Poi la porta si apre.
Le due donne dell’ingresso — eleganti, impeccabili, discrete — entrano senza parlare. Portano una scatola nera lucida e una sacca con le sue cose.
Una di loro posa la scatola sul letto.
L’altra le si avvicina, le sistema una ciocca di capelli dietro l’orecchio con un gesto materno.
— «I suoi abiti, signora. L’autista è già pronto.»
Lorena si alza senza parlare.
Non c’è più bisogno di fingere compostezza, né di trattenere alcun tremore.
Si riveste lentamente, in silenzio, il corpo ancora scosso da ciò che ha vissuto.
Ogni indumento che si rimette addosso è come un velo tra lei e l’esperienza, ma nulla potrà davvero coprirla.
L’autista la aspetta già con lo sportello aperto.
Nessuna domanda. Nessuno sguardo.
Solo strada.
Notte.
Ritorno.
Quando arriva a casa, non accende nessuna luce.
Lascia cadere la borsa all’ingresso, le scarpe appena dentro.
Va in bagno.
Si spoglia.
Si infila sotto la doccia.
Acqua calda.
Silenzio.
Respiro.
Non si lava.
Non si insapona.
Lascia solo che l’acqua scorra, lenta, calda, abbondante, sul sesso ancora pulsante, tra le pieghe stanche, sulle cosce che ancora sanno di piacere.
Poi si trascina fino al letto.
Nuda. Ancora gocciolante.
Le lenzuola le si attaccano alla pelle umida.
Chiude gli occhi.
Non pensa.
Non ricorda.
Non sogna.
E si addormenta così.
Come si addormentano le donne che hanno appena scoperto di cosa sono capaci.

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2025-07-22
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