Nulla è scontato

di
genere
sentimentali

Entro alla mostra con l’animo quieto, quasi distratto. Le sale si aprono una dopo l’altra, le opere mi vengono incontro senza urgenza. Mi fermo, osservo, mi lascio attraversare. Intorno a me le persone si raccolgono in piccoli cerchi, scambiano impressioni, sorridono, si spostano. È un fluire ordinato, gentile. Io ci sono dentro, ma senza essere davvero coinvolto.
Poi, a un certo punto, ti vedo.
Non succede all’improvviso. Succede come quando qualcosa di importante entra nel campo visivo prima ancora di essere messo a fuoco. Sei leggermente discosta dagli altri, non perché tu ti stia sottraendo, ma perché il tuo modo di stare crea uno spazio tutto tuo. E appena il mio sguardo ti raggiunge, sento che qualcosa dentro di me si ferma. Come se avessi trovato, senza cercarlo, un punto fermo.
Ti guardo nella tua interezza. Non cerco nulla, non analizzo. Lascio che sia l’insieme a parlarmi. La postura, l’eleganza naturale, il modo in cui abiti il tuo corpo con una calma che non chiede conferme. In quell’istante non provo sorpresa, né desiderio improvviso. Provo riconoscimento. Una sensazione profonda, silenziosa, che mi dice che vederti non è un gesto neutro.
Mentre ti osservo, sento nascere qualcosa che non ha fretta e non ha bisogno di parole. È una certezza morbida, quasi fisica. Il respiro si fa più lento, lo sguardo si posa e resta. Non sto pensando a ciò che potrei fare, né a ciò che potrebbe accadere. Sto solo lì, a guardarti, e a rendermi conto che potrei innamorarmi di te già così, senza sapere nulla, senza avvicinarmi, senza che tu ti accorga di me.
In quel momento capisco che non sto più visitando una mostra.
Sto vivendo un incontro.
Il mio sguardo scende lentamente, come se avesse bisogno di trovare un appoggio prima di osare di più, e si ferma sui tuoi piedi. Indossi scarpe scamosciate color lilla, una sfumatura delicata ma decisa, che cattura la luce senza rifletterla, come se assorbisse lo sguardo invece di respingerlo. Il colore mi sorprende, perché non è comune, non è neutro, eppure su di te sembra inevitabile, come se non potesse essere altro che così.
I tacchi sono slanciati, eleganti, ma ciò che mi colpisce davvero è il modo in cui li porti. Non c’è esitazione, non c’è tensione. I tuoi piedi vi abitano dentro con naturalezza, come se quella forma fosse stata pensata per te e solo per te. Resto a guardarli più a lungo del previsto, affascinato da quanto equilibrio ci sia già lì, in quel punto preciso in cui il corpo incontra il suolo.
Lo sguardo risale appena, fino alle caviglie. Sottili, ben definite, perfette nel modo in cui emergono dalla scarpa senza chiedere attenzione. È un dettaglio che mi spiazza, perché non ha nulla di appariscente eppure è capace di fermarmi. Mi accorgo che sto provando una meraviglia silenziosa, quasi incredula, come se stessi scoprendo una bellezza che non si concede tutta insieme, ma chiede di essere guardata con rispetto.
E penso, con una chiarezza che mi sorprende:
se già qui, così in basso, c’è tanta armonia, quanto deve esserci nel resto di te.
Lo sguardo risale di poco, quanto basta per incontrare la parte di pelle che resta scoperta sopra le scarpe. È lì che mi fermo. I polpacci catturano la mia attenzione con una forza quieta, composta. C’è una tensione naturale, una compattezza che parla di equilibrio, di forza controllata, di un corpo che conosce se stesso. Non sono morbidi per debolezza, né duri per ostentazione. Sono esattamente come devono essere.
La pelle ha una lucentezza sottile, non artificiale. Non riflette la luce in modo aggressivo, la accoglie. E mentre li osservo sento nascere un pensiero istintivo, quasi inevitabile: devono essere setosi al tatto. È una certezza che non nasce dal desiderio immediato, ma dall’armonia che vedo. Come se quella superficie promettesse, senza dirlo, una continuità tra ciò che appare e ciò che si sentirebbe sotto le dita.
Resto lì, incredulo davanti a quanto una parte così precisa del tuo corpo riesca a trattenermi. Mi sorprende la calma con cui il mio sguardo indugia, come se avessi capito che non c’è nulla da affrettare. Ogni muscolo sembra al suo posto, ogni linea racconta una bellezza che non ha bisogno di essere esibita. È una bellezza che si offre allo sguardo, non allo svelamento.
E mentre continuo a guardarti, sento crescere dentro di me una forma nuova di stupore. Più profonda. Più intima. Come se il mio sguardo stesse imparando, centimetro dopo centimetro, quanto sei straordinaria, e quanto io non fossi preparato a esserlo davanti a te.
Lo sguardo continua a salire con una cautela nuova, come se avesse già imparato che ogni centimetro di te merita attenzione piena. Incontra la gonna, aderente il giusto, fermata all’altezza del ginocchio con una misura che parla di eleganza assoluta. Nulla di provocante in senso dichiarato, eppure tutto, incredibilmente, lo è.
La stoffa ha una lieve lucentezza che cattura la luce e la accompagna lungo le forme, senza spezzarle mai. Non rivela, disegna. Segue il tuo corpo con una precisione che mi lascia senza parole, come se sapesse esattamente dove aderire e dove lasciar respirare. È in quel seguire che accade qualcosa di profondamente destabilizzante per me.
I glutei si delineano sotto il tessuto con una sinuosità che non ha bisogno di essere accentuata. Sono lì, presenti, armoniosi, parte di un insieme perfetto. Non c’è nulla di volgare, nulla di forzato. C’è una bellezza piena, matura, che mi sorprende per quanto sia naturale e al tempo stesso magnetica. Mi accorgo che sto trattenendo il respiro, come se temessi che anche solo inspirare troppo potesse rompere quell’equilibrio.
Resto colpito da quanto la tua eleganza riesca a essere conturbante senza mai perdere misura. È proprio questo a disarmarmi. Il fatto che il tuo corpo non chieda di essere desiderato, eppure lo sia in modo così potente, così inevitabile. E dentro di me cresce una certezza silenziosa: più ti guardo, più capisco che questa bellezza non si esaurisce nello sguardo, ma lo educa.
Lo sguardo risale ancora, lentamente, come se ormai avesse imparato che ogni passaggio richiede rispetto. Incontra la canottiera, semplice solo in apparenza, perché su di te nulla resta davvero semplice. Il tessuto aderisce con discrezione, accarezza il busto senza stringere, e lascia intravedere appena l’intimo nero sotto, come un segreto che non chiede di essere svelato ma che è impossibile ignorare.
Il contrasto mi colpisce. Il nero, deciso, quasi sgargiante nella sua profondità, dovrebbe essere un azzardo. E invece su di te è perfetto. Non indurisce, non appesantisce. Esalta. È come se quel colore fosse stato pensato per dialogare con la tua pelle, per farla risaltare ancora di più, per darle una luce nuova. Rimango sorpreso da quanto sia naturale, da quanto sembri inevitabile.
Poi sono le braccia a catturarmi. Scoperte quanto basta, libere, disegnate da una tonicità elegante, mai aggressiva. C’è forza, sì, ma è una forza gentile, composta, che parla di controllo e grazia insieme. Il modo in cui le tieni, rilassate ma presenti, completa l’immagine di una donna che abita il proprio corpo con una consapevolezza che mi disarma.
Mi accorgo che lo stupore non è diminuito, anzi. È cambiato. È diventato più caldo, più vicino, più difficile da tenere solo dentro lo sguardo. E penso, con una chiarezza che mi attraversa senza chiedere permesso, che ogni dettaglio che scopro non fa che confermare ciò che ho sentito fin dall’inizio: ti guardo e continuo a innamorarmi, centimetro dopo centimetro, senza riuscire a fermarmi.
È solo allora che me ne accorgo.
In mezzo a tanta armonia composta, c’è una piccola interruzione, una sorpresa inattesa che mi colpisce più di quanto immaginassi. Tra il bordo della gonna e l’orlo della canottiera resta scoperta una striscia di pelle. Non ampia, non ostentata. Quanto basta per farsi notare solo da chi guarda davvero.
Il mio sguardo si ferma lì, istintivamente. Il ventre appare teso, disegnato con una naturalezza che parla di equilibrio e vitalità, ma allo stesso tempo morbido, vivo. La pelle ha una lucentezza delicata, una luce propria che sembra rispondere all’ambiente, come se respirasse. È una bellezza che non avevo previsto, ed è proprio questo a colpirmi così a fondo.
Resto sorpreso da quanto quel dettaglio mi emozioni. Non c’è nulla di scoperto in modo esplicito, eppure sento che è una delle parti più intime che abbia visto finora. Forse perché è lì, fragile e sicura insieme. Forse perché sembra concessa per caso, come se tu non sapessi quanto sia capace di fermare lo sguardo.
Mi rendo conto che sto provando qualcosa di diverso dallo stupore iniziale. È una forma di tenerezza improvvisa, un desiderio di protezione quasi, mescolato all’ammirazione. E penso, con un sorriso che nasce senza volerlo, che anche nelle parti più piccole, più inattese di te, c’è una bellezza che sorprende e resta.
Solo allora lo sguardo arriva ai tuoi capelli.
Sono sottili, leggeri, attraversati da una vitalità che li rende quasi vaporosi. Cadono e si muovono con una naturalezza che ricorda una criniera domata con intelligenza, non con forza. C’è libertà, ma anche compostezza. Nulla è fuori posto, eppure nulla sembra costretto.
La luce li attraversa e li rende vivi, pieni, come se avessero una loro presenza autonoma. Li osservo e sento nascere un desiderio immediato, quasi istintivo: quello di avvicinarmi abbastanza da poterne sentire il profumo. Un profumo che immagino pulito, caldo, personale. Di quelli che non si dimenticano.
E senza volerlo, la mente completa il gesto che le mani non fanno. Le immagino affondare tra quei capelli, lentamente, lasciandosi guidare dalla loro morbidezza, seguendone il volume, sentendo sotto le dita quella combinazione perfetta di seta e forza. È un pensiero che mi attraversa con dolcezza, senza irruenza, come qualcosa che nasce dal rispetto prima ancora che dal desiderio.
Resto colpito da quanto anche questo dettaglio contribuisca a renderti intera. Non sono solo capelli belli. Sono capelli che invogliano, che promettono una vicinanza, che fanno desiderare un gesto semplice e profondamente intimo. E mentre li guardo capisco che il mio stupore non è più solo ammirazione: è un bisogno silenzioso di prossimità.
E poi arrivo al tuo volto.
Non di colpo. Ci arrivo come si arriva a qualcosa che si teme di profanare anche solo guardandolo troppo in fretta.
Il primo impatto è una sospensione. Come se il tempo, per un istante, avesse deciso di arretrare di mezzo passo. I lineamenti sono armonici senza essere prevedibili. Nulla è eccesso, nulla è mancanza. Ogni cosa sembra stare esattamente dove deve stare, come se il tuo viso fosse il risultato di una scelta lenta, consapevole, non di un caso.
Gli occhi sono ciò che mi trattiene davvero. Non tanto per il colore, ma per la profondità. Non guardano: accolgono. C’è una luce viva, intelligente, che non si offre tutta insieme. È uno sguardo che chiede di essere meritato. E mentre lo incontro sento qualcosa cedere dentro di me, una difesa sottile, come se non avessi più alcun motivo per restare spettatore.
Le labbra completano l’incanto con una naturalezza disarmante. Non sono costruite per sedurre, eppure lo fanno. Hanno una morbidezza che promette calore, parola, sorriso. Mi sorprendo a immaginare la loro voce prima ancora del suono, il modo in cui potrebbero pronunciare un nome, forse il mio, con quella grazia quieta che ti appartiene.
E in quell’istante capisco.
Non è la somma dei dettagli a renderti così straordinaria. È l’insieme che vibra. Il modo in cui il tuo volto riflette ciò che sei: una bellezza che non chiede di essere adorata, ma che lo diventa inevitabilmente.
Sento una forma di stupore che non avevo previsto, qualcosa che assomiglia alla gratitudine. Come se il solo fatto di poterti guardare fosse già un privilegio. E so, con una certezza che non ha bisogno di prove, che se anche non accadesse nulla oltre questo istante, tu resteresti. Nella memoria. Nello sguardo. In un punto preciso del cuore.
Resto fermo, e per la prima volta distolgo lo sguardo da te. Non perché tu abbia perso forza, ma perché sento che quello che sta accadendo ora non riguarda più soltanto ciò che vedo. Riguarda me.
Mi accorgo, con una chiarezza che mi sorprende, che ti amo già così. Senza averti parlato. Senza che tu sappia nulla di me. Ti amo in questo punto preciso del tempo, da lontano, nel modo più puro e più pericoloso che esista: amarti senza chiederti nulla.
Non è un’ipotesi, non è un desiderio. È una certezza che si posa dentro di me con un peso dolce e irrevocabile. So, in questo istante, che nessuno potrebbe amarti come ti amo io adesso. Non perché io sia migliore, ma perché questo amore nasce senza bisogno di essere ricambiato, senza futuro promesso, senza spazio occupato. È intero. È assoluto. È vero.
E sento anche un’altra cosa, più profonda ancora. La consapevolezza che non conoscerti sarebbe, per me, una perdita grave. Non un rimpianto vago, ma una mancanza reale. Come rinunciare a una lingua che avrei potuto parlare, a una musica che avrei potuto comprendere. Ma insieme a questo sento qualcosa che mi riguarda meno, e che pure mi attraversa: anche tu perderesti qualcosa, se non ti lasciassi amare come io saprei.
Non per bisogno, non per controllo.
Ma per dedizione. Per attenzione. Per quello sguardo che sa fermarsi prima di ferire, che sa restare prima di pretendere. Io so, con una calma che non avevo mai conosciuto prima, che potrei amarti nel modo giusto. Non togliendoti nulla. Aggiungendo.
E mentre questo pensiero si compie dentro di me, capisco che non c’è urgenza. Che non serve avvicinarmi, parlare, farmi vedere. Questo amore esiste già. Sta in piedi da solo. E questo, paradossalmente, lo rende ancora più forte.
Rialzo lo sguardo quasi con esitazione, come se una parte di me sapesse già che, da quel momento in poi, nulla resterà esattamente com’era prima. I tuoi occhi non sono ancora sui miei. Stanno seguendo qualcosa davanti a te, forse un dettaglio di un’opera, forse un pensiero che ti attraversa. Io resto lì, sospeso, trattenendo il respiro.
Poi succede.
Non c’è un gesto netto, non c’è un movimento deciso. È come se i tuoi occhi si sollevassero lentamente, guidati da un’intuizione più che da una scelta, e incontrassero i miei. Per un istante brevissimo non accade nulla. Il tempo si dilata, si fa sottile, quasi fragile. È uno spazio silenzioso in cui tutto potrebbe ancora tornare indietro.
E invece restiamo.
Il tuo sguardo non scivola via. Non si ritrae. Mi guarda davvero. E in quel momento sento una scossa lieve, profonda, come se qualcosa che avevo tenuto ordinato dentro di me trovasse improvvisamente un punto di contatto con il mondo. Nei tuoi occhi non leggo sorpresa, né imbarazzo. Leggo presenza. Una curiosità calma, aperta, che mi fa sentire visto tanto quanto io ti sto vedendo.
Non c’è bisogno di sorridere. Non c’è bisogno di segni. È lo sguardo stesso a parlare, a dire che sì, questo incontro esiste, che non è un errore, che può restare lì senza dover essere spiegato. E io sento, con una lucidità che mi attraversa come un respiro profondo, che tutto ciò che ho provato fino a un attimo prima non era un’illusione. Era un’attesa.
Resto immobile, eppure mi sento incredibilmente vicino a te. Come se, in quell’incrocio di sguardi, avessimo già fatto il primo passo l’uno verso l’altra senza muoverci. E penso che, qualunque cosa accada dopo, questo istante non potrà essere cancellato. Perché ci siamo visti. Davvero.
Sento le parole arrivare prima ancora di essere pensate. La bocca si schiude lentamente, con una titubanza che non è paura, ma rispetto. Come se stessi per nominare qualcosa di fragile e potentissimo insieme. La voce esce appena, quasi un soffio, ma è chiara. Due parole soltanto. Essenziali.
Ti amo.
Restano lì, tra noi, nude. Non cercano conferma, non chiedono ritorno. Sono semplicemente vere nel momento esatto in cui vengono pronunciate. Per un istante temo di aver rotto qualcosa, di aver incrinato quell’equilibrio perfetto che si era creato. Trattengo il respiro, pronto ad accogliere qualunque cosa verrà.
Tu non dici nulla.
Non rispondi.
E poi sorridi.
È un sorriso lieve, lento, che non ha bisogno di parole per farsi capire. Non è un sì, non è un no. È accoglienza. È grazia. È come se mi stessi dicendo che hai sentito tutto, che nulla è andato perduto, che quelle parole non sono cadute nel vuoto. Nei tuoi occhi non c’è imbarazzo, non c’è distanza. C’è una dolcezza piena, consapevole, che mi attraversa più di qualunque risposta.
In quel sorriso c’è spazio.
Spazio per restare, per attendere, per non avere fretta.
E io capisco che, qualunque cosa accada dopo, questo istante è salvo.
Perché l’amore, a volte, non ha bisogno di essere detto due volte. Basta che venga accolto una sola volta, così. Con un sorriso.
scritto il
2025-12-13
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