Specchio, desiderio. 6. Ricordi dal passato

di
genere
confessioni

La luce del sole filtra dolcemente dalle tende, disegnando riflessi dorati sul pavimento lucido della stanza. Mi sveglio lentamente, con quella piacevole stanchezza nelle ossa che solo una notte vissuta intensamente può lasciare. Resto immobile qualche secondo, poi mi volto e lo guardo. Max dorme ancora, disteso sul fianco, il respiro profondo e regolare. Sembra sereno. E bellissimo.
Non riesco a distogliere lo sguardo. C’è qualcosa nel modo in cui il sole accarezza il suo viso che mi stringe lo stomaco e mi riempie il petto. Lo amo. Forse non gliel’ho detto ancora, forse nemmeno a me stessa fino in fondo. Ma lo sento. In ogni parte del mio corpo. E lo so.
Non voglio che finisca. Non voglio che questo sia solo un weekend perfetto, un’evasione prima del ritorno alla normalità. Non voglio che diventi un ricordo dolce e distante. Voglio tenerlo. Proteggerlo. Farlo crescere.
Già in ufficio ho colto sguardi, frasi lasciate a metà, mezze confessioni. “Da quando è vedovo, Max è... disponibile.” “Sai che ci proverei volentieri, con uno così?” Sorrisi finti, dita che giocherellano coi bicchieri durante le pause caffè. Le ho ascoltate, tutte. Ho sorriso anch’io, ma dentro di me cresceva qualcosa di molto chiaro: non lo mollo. Non glielo lascio.
Non è solo gelosia. È qualcosa di più. Perché con Max... è tutto diverso. È con lui che ho scoperto davvero il sesso. Non solo il piacere fisico — anche quello, certo — ma l’intimità, l’abbandono, il desiderio di essere desiderata. Con il mio ex marito non è mai stato così. Raramente raggiungevo un orgasmo. Pensavo ad altro, aspettavo che finisse. E credevo fosse normale.
Con Max, invece, mi sento viva. Non è solo il suo corpo — che, sì, è impressionante — ma il modo in cui mi guarda. Il modo in cui mi tocca. Il fatto che per lui il mio piacere venga prima di tutto. Lo capisco da come mi osserva quando sono sopra di lui, da come mi accoglie con le mani, da come aspetta, si trattiene, finché io non sono andata in pezzi almeno una volta. A volte due.
E ora lo guardo dormire, e so che farò di tutto per tenermi stretta questo sentimento. Non mi importa se sarà complicato, se dovrò affrontare sguardi, voci, insicurezze. Mi importa lui. Questo legame che sento crescere ogni giorno.
Mi avvicino piano, poso un bacio lieve sulla sua spalla. Lui si muove appena, sorride nel sonno. La mia mano si posa sul suo petto, sento il calore, la vita. Vorrei restare così per ore.
E mentre il sole continua a scaldare la stanza, sento dentro di me che forse, per la prima volta, ho davvero trovato quello che cercavo. Non lo dirò ad alta voce. Non ancora. Ma il mio cuore, quello sì, lo ha già capito.
Apro gli occhi lentamente, accolto da una luce calda che entra dalle finestre spalancate sul parco. Il profilo dei palazzi, laggiù in lontananza, è sfocato dal riverbero del sole. Sento il profumo di Serena prima ancora di vederla, e subito dopo le sue labbra si posano sulle mie in un bacio lieve, quasi timido. Un buongiorno silenzioso, che vale più di mille parole.
Lei è già sveglia, mi osservava da un po’, lo capisco dal suo sorriso e da come mi accoglie fra le braccia non appena mi muovo. Restiamo distesi così, senza parlare, a goderci il semplice piacere della vicinanza. Il silenzio non è vuoto, è pieno di respiri lenti, di carezze che non vogliono chiedere niente. Solo esserci.
Poi, quasi sussurrando, le propongo un’idea:
-Ti va una camminata in montagna? Vorrei portarti in un posto speciale. Un luogo della mia infanzia-
Lei mi guarda con curiosità, accenna un sì, ma aggiunge che non è attrezzata. Le sorrido:
-Non preoccuparti, non è un'escursione impegnativa. È il monte Legnoncino, una salita semplice ma con panorami incredibili. E poi… conosco dei sentieri nascosti, scorciatoie che non sono nemmeno sulle mappe. Luoghi romantici, appartati. Perfetti per noi due-
L’idea le piace. Ridacchia e si alza dal letto con quell’entusiasmo spontaneo che la rende ancora più bella. Passiamo prima da casa sua: la accompagno su, mi fa entrare. In pochi minuti si prepara, pantaloncini corti e una maglietta tecnica che le disegna perfettamente il corpo. Non riesco a non guardarla mentre si allaccia le scarpe. Lei lo nota, sorride, e con un tono leggero mi dice:
-Sei sicuro che vuoi arrivare in cima?-
Scoppiamo a ridere, poi partiamo.
Il viaggio in auto dura poco più di un’ora e mezza. Guidiamo verso nord, costeggiando il lago che riflette il cielo azzurro, attraversando piccoli paesi con nomi familiari. Durante il tragitto, ci raccontiamo dei ricordi d’infanzia: le estati passate all’aperto, gli amici, le scoperte. Io le parlo delle mie vacanze in montagna, delle corse nei boschi, delle prime avventure con la bicicletta e dei pomeriggi passati a esplorare i sentieri nascosti. Lei mi racconta delle estati con i nonni, dei giochi con la cugina più grande, del mare che amava ma che trovava sempre un po’ affollato.
C’è una dolcezza semplice in questo scambio, una fiducia che cresce, naturale come il paesaggio che si trasforma fuori dal finestrino. Quando arriviamo al rifugio, l’aria è già diversa. Più fresca, più pulita. Scendiamo dalla macchina, ci guardiamo, e senza dirci nulla iniziamo a camminare, con negli occhi la promessa di una giornata solo nostra.
Serena in montagna è una scoperta. Cammina qualche passo avanti a me, leggera, sicura, elegante. I suoi pantaloncini corti e la maglietta aderente disegnano il profilo di un corpo che sembra fatto per il movimento, per la libertà. Ma non è solo il suo aspetto a colpirmi è l’energia che emana. Quel modo di procedere dritta, con un ritmo deciso, come se sapesse esattamente dove sta andando. E forse lo sa.
La osservo da dietro, lasciando che lo sguardo si posi su ogni gesto. I suoi capelli raccolti, le spalle dritte, le gambe che si muovono con naturalezza su quel sentiero di terra e pietre. E mentre la seguo, sento qualcosa che si muove dentro di me. Non è solo desiderio. È qualcosa di più profondo. Qualcosa che da troppo tempo avevo sepolto, convinto che fosse meglio così.
C’è una parte di me che ho lasciato indietro anni fa, molto prima che la mia vita prendesse la piega che ha preso. È una parte che conosce il desiderio come fame, come bisogno primordiale. Ma anche la solitudine, il dolore, il buio. È fatta di impulsi e di eccessi, di quella furia muta che ho imparato a controllare con la disciplina, con le abitudini, con la calma apparente.
Ma Serena, con la sua leggerezza, la sua libertà, con quel suo modo di sorridere mentre affronta la salita come se nulla potesse fermarla, sta scardinando qualcosa. Non lo fa apposta. Non ne ha idea. Eppure ogni suo passo risveglia quella parte mia che avevo chiuso a doppia mandata. Non è pericolosa, non ancora, ma è potente. Ed è viva.
Lei si volta e mi lancia uno sguardo brillante.
-Allora, Max… questa deviazione segreta esiste davvero?-
Annuisco.
-Seguimi-
La conduco lungo una traccia invisibile, una deviazione che pochi conoscono. Tagliamo un tornante e ci addentriamo nel bosco. Il sentiero segnalato scompare, e inizia la parte che solo chi conosce davvero questa montagna può affrontare. Serena non esita. Mi segue, si fida.
Dopo qualche minuto, raggiungiamo un piccolo ruscello. L’acqua è limpida, fredda, incastonata tra le rocce. La luce filtra tra le fronde e accende il verde del muschio. Qui, il mondo si allontana. Qui il tempo non serve.
Serena si siede su una pietra liscia, toglie le scarpe e immerge i piedi nell’acqua. Ride.
-È bellissimo… come fai a conoscere un posto così?-
La guardo, con uno strano peso sul petto.
-Ci venivo da ragazzino. Quando volevo sparire-
Lei si gira verso di me, incuriosita.
-Sparire da cosa?-
Scrollo le spalle.
-Da tutto-
I suoi occhi mi studiano, e per un attimo temo che possa vedere troppo. Perché la verità è che questo posto non è solo un rifugio: è un confine. Un punto preciso dove una parte di me è rimasta indietro. Una parte che ora, guardandola lì, con l’acqua che le accarezza le caviglie e il sole che le illumina il viso, sembra voler tornare.
E io non so se lo voglio davvero.
All’improvviso sento uno spruzzo d’acqua gelida colpirmi in pieno volto.
-Ehi!- esclamo, mentre Serena ride, già in fuga, con i piedi nudi che sollevano spruzzi dal ruscello e le gambe snelle che sfrecciano sull’erba bagnata.
Non posso fare a meno di seguirla. Ridiamo entrambi, come due ragazzi sfuggiti alle regole del mondo. La raggiungo dopo pochi metri, la afferro e con una mossa rapida ma gentile la adagio nell’erba alta, sotto i rami bassi di un faggio. Serena ride ancora, ma c’è un lampo diverso nei suoi occhi quando le afferro i polsi e li tengo fermi per un momento, sopra la testa.
-Sei mia- le dico, a bassa voce, con un'intensità che non riesco a controllare.
Ed è in quel gesto, in quelle parole, che qualcosa dentro di me si muove. Un’eco. Una voce lontana, una parte antica e irrisolta che si riaffaccia. Quella stessa parte che avevo sepolto con cura sotto strati di razionalità, di controllo, di scelte giuste. Ma Serena... Serena la risveglia. Non con paura, ma con naturalezza. Come se sapesse che può abbracciare anche il mio buio, e renderlo luce.
Mi chino su di lei e inizio a baciarla, lentamente, lasciando che le nostre risate si dissolvano nel calore crescente dei nostri corpi. Le labbra si cercano, si riconoscono. Il contatto con la sua pelle, ancora fredda d’acqua, mi dà i brividi.
Le mie mani iniziano a esplorare il suo corpo con delicatezza, sfiorando i fianchi, accarezzando il ventre, poi salendo piano verso il seno, sopra la maglietta sottile. Lei chiude gli occhi per un attimo, come se quel gesto, semplice e tenero, bastasse a fermare il tempo.
So che Serena ha quella forma di dolce timidezza che la rende ancora più desiderabile. Quella ritrosia antica che quasi tutte le donne conservano, che le impedisce di prendere davvero l’iniziativa, anche se il suo corpo grida il contrario. E forse proprio per questo io sento il desiderio – no, il bisogno – di guidarla. Di condurla nel piacere, ancora una volta, come fosse la prima.
Mi piego su di lei, il volto vicino al suo collo, e mentre le sussurro qualcosa all’orecchio, le mani scivolano sotto la maglietta e trovano la pelle nuda. Il suo respiro cambia, si fa più veloce. Le mie labbra scendono lungo la clavicola, mentre sento le sue dita stringersi contro la mia schiena.
-Max…- mormora appena, con un tono che è metà invocazione e metà resa.
Non c’è fretta. Solo noi due, nell’erba alta, con il cielo azzurro sopra e il mormorio dell’acqua poco distante. Ogni tocco è un invito, ogni carezza una promessa.
Le mani le scivolano lungo i fianchi mentre, con delicatezza, le sfilo prima i pantaloncini e poi le mutandine leggere. Serena mi guarda, sospesa tra il desiderio e un’improvvisa esitazione. Il suo corpo freme, ma i suoi occhi cercano i miei.
-Max… qui?- sussurra, la voce appena incrinata da un filo d’ansia.
Capisco subito. La timidezza, la paura che qualcuno possa sbucare all’improvviso dal sentiero nascosto. È come se il suo corpo fosse già pronto ad accogliermi, ma la sua mente stesse ancora lottando.
Mi chino fra le sue cosce, con dolcezza, e la bacio piano. Sento il tremito della pelle sotto le mie labbra. Le mani le scorrono sulle gambe, lente, rassicuranti.
-Fidati- le dico piano, sollevando lo sguardo.
Lei resta immobile per un istante, gli occhi fissi nei miei. E in quell’istante, so che Serena sta tornando a quel pensiero che l’aveva attraversata al risveglio. Quel desiderio silenzioso e profondo di proteggere ciò che tra noi stava nascendo. Di non lasciarselo sfuggire per timidezza o insicurezza.
Sapeva che io avevo già ricevuto attenzioni in ufficio, che altre donne forse avrebbero colto l’occasione. Ma con me, con il mio modo di toccarla, di ascoltarla, di volerla intera… aveva scoperto un’intimità che mai aveva conosciuto, nemmeno nel suo matrimonio. Un piacere che non era solo fisico, ma emotivo. Ed era questo che non voleva rischiare di perdere.
Così la vedo cambiare. Inspira piano. Non dice nulla, ma il modo in cui rilassa le spalle e allarga lentamente le gambe è più eloquente di mille parole. Mi sta dicendo di sì. Che si fida. Che è mia, anche in quel luogo insolito, anche con la paura nel petto.
Io accolgo quel gesto come un dono prezioso. Mi posiziono meglio, e con lentezza e dedizione inizio ad assaporarla, come fosse la cosa più naturale del mondo. La sua pelle sa di vento e di estate, e il suo profumo si mescola al verde intorno a noi.
Lei è tesa all’inizio, vigile. Ma a ogni tocco della mia lingua, a ogni respiro caldo sulla sua intimità, sento il suo corpo cedere. Le mani affondano nell’erba, poi si avvicinano ai miei capelli, esitano… finché all’improvviso mi afferra con forza, proprio quando il piacere esplode e lei geme forte, incurante ormai di chi possa sentirla.
La sua voce si confonde con il fruscio degli alberi, con il mormorio dell’acqua, con il battito accelerato del mio cuore.
Ancora prima che il piacere la lasci del tutto, mi chino su di lei e la bacio. Un bacio lungo, profondo, che mescola il calore del suo respiro al sapore del suo orgasmo. È un gesto istintivo, quasi primordiale: volevo sentire la sua essenza con le mie labbra, condividere quel momento fino in fondo.
Il mio corpo è ancora teso, vivo, e la mia eccitazione non si è attenuata. Il mio membro in piena erezione preme con decisione contro il suo ventre nudo, e quando lei se ne accorge, abbassa lo sguardo con un sorriso velato di imbarazzo. Serena è così: c’è in lei un pudore tenero e autentico, che non ha niente a che vedere con l’insicurezza. È parte di ciò che la rende unica.
Allora la prendo per mano, con calma, senza forzarla, e la guido verso di me. Il mio sguardo è fermo, il suo un po' esitante. Ma non fugge. Le porto una mano dietro la nuca, la accarezzo piano, poi la accompagno dolcemente verso il mio membro. Lei capisce, forse arrossisce, ma non si tira indietro. La sua bocca si avvicina, si schiude con lentezza, incerta e timida. L’aveva già fatto con me, a fatica riesce a prenderlo e sono io che la guido con le mani in modo da accompagnare il suo movimento con la bocca e con le mani.
I suoi occhi restano aperti, fissi nei miei per qualche istante, come se volesse comunicarmi tutto quello che non può dire a parole. Le guance si tendono, gonfie per l’impegno, e il respiro si fa irregolare, spezzato dal ritmo lento e profondo del suo movimento. La sento prendere fiato con grazia, in pause brevi ma necessarie, mentre continua a dedicarsi a me con quella concentrazione dolce, quasi devota, che mi lascia senza parole.
La sua bocca si muove con rispetto, non per timore, ma per attenzione, per far sì che ogni gesto sia esatto, mai affrettato. Ogni volta che scende un po’ di più, percepisco il suo impegno, lo sforzo sottile ma reale di contenere tutto di me. Ed è proprio questa sua dedizione, questo voler andare oltre i propri limiti senza forzarsi, a toccarmi nel profondo, a rendere quel momento carico di bellezza.
La cappella è gonfia al limite, riempie tutta la bocca di Serena nel momento in cui, con un gemito strozzato, esplodo dentro di lei che accusa il colpo lasciando uscire tutto il mio membro che continua ad eruttare e rivoli di seme bianco le colano dalla bocca. Completo l’orgasmo aiutandomi con la mano, svuotandomi sul prato.
Serena si ritrae lentamente da me, con il volto arrossato e gli occhi brillanti. Sorride, un sorriso tenero e fiero, come chi sa di aver donato un piacere autentico, sincero. È felice, lo vedo. Felice non solo per l’effetto che ha avuto su di me, ma per la nostra intimità, per quella connessione così intensa e vera che sembra crescere ogni volta che ci sfioriamo.
Serena si volta di lato, con grazia, e si libera con discrezione della mia sborra sull’erba alta, quasi con un gesto pudico, rispettoso. Io la guardo, incantato. C’è qualcosa di profondamente bello in tutto ciò: nel modo in cui la sua femminilità si intreccia alla sua naturalezza, nella libertà che ci concediamo senza mai mancare di delicatezza.
Restiamo lì, ancora un momento, immobili e complici, come se anche la natura intorno a noi volesse trattenere quell’istante. Poi ci alziamo insieme, senza fretta, sfiorandoci le mani. Il ruscello è a pochi passi, il suo suono limpido ci accompagna mentre ci avviciniamo.
L’acqua è gelida ma ristoratrice. Ci chiniamo entrambi, ridendo piano per il brivido che ci attraversa le gambe, e ci sciacquiamo con cura, senza parlare. Solo gesti lenti, essenziali, carichi di una quieta dolcezza. Il sole filtra tra le fronde, riflettendosi sullo scorrere dell’acqua e disegnando piccoli giochi di luce sulle nostre pelle. In quell’istante tutto sembra perfetto: la montagna, il silenzio, il nostro respiro che torna piano alla normalità… e noi due.
Ma quel ricordo oscuro, che credevo sepolto in un’altra vita, torna a farsi vivo con una forza che non riesco più a ignorare. È come un’eco che risale da un tempo lontano, da un luogo dentro di me che non ho mai davvero avuto il coraggio di guardare in faccia. Serena risveglia tutto questo, senza volerlo. Ogni suo gesto, ogni sua carezza, ogni volta che mi guarda con quella luce negli occhi… porta a galla qualcosa che pensavo di aver dimenticato.
E io lo sento, con una chiarezza quasi crudele: mi arrenderò. Non perché sia debole, ma perché è troppo potente ciò che si sta muovendo dentro di me. Come se questa donna, col suo amore e la sua innocenza, avesse trovato le chiavi delle mie prigioni interiori. E ora che ha aperto quella porta, nulla potrà più richiuderla.
Serena cammina accanto a me con un sorriso lieve, ancora velato dal piacere che mi ha appena donato. Si muove con passo leggero, come se la felicità le avesse tolto peso, e ogni tanto mi guarda di sottecchi, come per assicurarsi che io stia davvero bene, che quel momento sia rimasto con me, dentro di me.
Il sentiero si fa più ripido man mano che saliamo, ma non ne avvertiamo la fatica. L’aria è limpida e profuma di muschio e resina, il silenzio è punteggiato solo dal vento tra i rami e dal suono dei nostri respiri tranquilli.
Poi, all’improvviso, la cima. E Serena si ferma, stupita. Davanti a noi si apre un panorama che pare dipinto: il lago, disteso come uno specchio d’argento sotto le nuvole, e la valle che si perde lontano, punteggiata di tetti e campanili, di campi e boschi.
Lei resta immobile, con gli occhi spalancati, come se il mondo stesso avesse smesso di girare solo per offrirle quel momento. La croce di ferro sulla vetta veglia silenziosa, affondata in quel cielo terso, come un segno eterno inciso sul crinale.
-È incredibile- sussurra Serena, e nella sua voce c’è qualcosa di profondo, quasi commosso. Le sue dita cercano le mie, e restiamo così, in piedi, abbracciati, con il vento che ci attraversa e il cuore pieno di un silenzio che vale più di mille parole.
In quel momento sento che non potrei desiderare altro. Eppure, in fondo a quel silenzio, il mio cuore sa che qualcosa sta cambiando. E con tutto il cuore vorrei che Serena l’accettasse.
Le propongo di aspettare che la cima si svuoti, di attendere quel momento di silenzio e solitudine che segue il passaggio delle ultime persone, per restare lì, ai piedi della croce, e far diventare quel luogo il nostro rifugio intimo, voglio fare l’amore lì in quel luogo. Serena, inizialmente titubante, mi guarda con quegli occhi sinceri che tradiscono il dubbio: quella vetta è un punto di passaggio, frequentato da escursionisti e curiosi, ben diverso dalla quiete appartata del ruscello.
Ma c’è qualcosa nel mio sguardo, nella promessa implicita di rispetto e cura, che la convince. -Va bene- dice, quasi a malincuore, -per te- Così ci accordiamo di aspettare le 18:30, un orario che, a giudicare dal ritmo lento con cui si svuota il sentiero, dovrebbe garantire la nostra privacy.
Nel frattempo, stendiamo il telo con delicatezza sull’erba fresca. Ci sediamo abbracciati, le mie braccia avvolgono il suo corpo, mentre i nostri sguardi si perdono nell’immensità del panorama. Il lago si stende come un lago di cristallo, la valle si perde dolcemente all’orizzonte, e la croce, alta e solenne, veglia su di noi come un antico custode.
-Serena- dico piano, -hai mai pensato a come potremmo vivere tutto questo… noi, insieme, senza farlo diventare un segreto pesante?-
Lei mi guarda, con un sorriso che sa di sfida e dolcezza insieme. -Sai, Max, ci penso spesso. Vorrei che quello che abbiamo non fosse solo un rifugio nascosto, ma qualcosa di vero… qualcosa che possa durare, nonostante tutto.-
Le sue parole mi colpiscono, come un sussurro d’intimità che si fa promessa. -Ma come fare, quando i nostri mondi sono così intrecciati con quelli degli altri? In ufficio, è come camminare su un filo sottile-
Serena annuisce, fissando il panorama. -Dovremo imparare a muoverci con discrezione, a leggere ogni momento, ogni situazione. Essere complici nel silenzio e nel segreto, senza mai perdere di vista il nostro spazio. Ho pensato a piccoli rituali, come scambiarci un segno o una parola in codice… qualcosa che sia solo nostro-
La guardo negli occhi, sentendo il battito accelerare. -Io non posso perdere il lavoro, dovremmo essere discreti, però mi piace. Potremmo ritagliarci momenti solo per noi, durante pause o dopo il lavoro, mantenendo quel brivido che rende tutto più intenso.-
Lei sorride, appoggiando la testa sulla mia spalla. -E poi, nel futuro… magari un weekend lontano, una piccola fuga solo nostra, dove possiamo essere semplicemente noi, senza filtri né paure-
Prendo la sua mano, stringendola dolcemente. -Sì, Serena. Costruiremo il nostro mondo, passo dopo passo, tra piccole fughe e momenti rubati. Non sarà sempre facile, ma ne varrà la pena-
Lei chiude gli occhi per un attimo, come per imprimere quel momento nel cuore. -Con te, Max, voglio provarci. Perché quello che abbiamo… è qualcosa di raro. E io non voglio perderlo-
Le parole di Serena scivolano leggere nell’aria, eppure lasciano un’eco profonda dentro di me. «Con te, Max, voglio provarci. Perché quello che abbiamo… è qualcosa di raro. E io non voglio perderlo.»
Un sorriso nasce spontaneo sulle mie labbra, ma dentro, qualcosa si agita. Quel passato oscuro, quella parte di me che ho sempre cercato di tenere nascosta, fa capolino in silenzio, come un’ombra che si allunga sulle luci del presente.
Vorrei lasciarmi andare completamente a quel momento, abbracciare con fiducia il futuro che Serena immagina, ma la mente mi riporta a quei ricordi difficili, a quelle paure che ancora sussurrano nel buio. Sento il peso di ciò che ho vissuto, la fragilità di questa felicità appena nata.
Guardo Serena, e vedo la sua luce, la sua forza. So che sarà lei a proteggere questo legame, ma io devo fare i conti con me stesso, con la parte di me che teme di perdere tutto, e allo stesso tempo brama di non lasciarsi sfuggire questo rapporto.
Nel silenzio che segue, stringo più forte la sua mano, come a cercare un’ancora. Perché, nonostante tutto, voglio provarci. Voglio credere che possiamo vincere, insieme.
Da almeno un’ora non si vede anima viva, come se il tempo stesso avesse deciso di concederci questo spazio tutto nostro.
Stringo Serena a me, sentendo il calore del suo corpo contro il mio, il respiro che si fa più profondo e lento. La sua pelle sotto le mie mani è morbida e viva, e nei suoi occhi leggo la stessa brama che arde in me. La bacio con dolcezza, un bacio che è promessa e desiderio, mentre lentamente scivolo con le dita a liberarla, togliendole prima i pantaloncini, poi le mutandine.
La guido, con delicatezza ma fermezza, verso il mio membro, lasciando che sia lei a portarlo in vita, a risvegliare l’eccitazione che pulsa in me. Le sue mani tremano appena, ma sono decise, e io comincio a scivolare tra le sue pieghe, ad accarezzarla e ad accompagnarla con la mia mano.
Prima di posare su di lei il peso della mia penetrazione, la sua voce, un soffio caldo e vibrante, mi sfiora l’orecchio: «Non fermarti, Max. Vai fino in fondo. Non voglio che ti fermi…»
Quelle parole sono una scintilla che incendia ogni fibra del mio corpo.
Penetro piano, voglio farle il meno male possibile, quando finalmente scivolo morbido dentro di lei senza resistenze il nostro ritmo si fonde in unico movimento, i nostri gemiti si alternano e questa volta senza dover pensare a fermarmi sono io il primo che raggiunge l’orgasmo e lo faccio accompagnando gli ultimi colpi con movimenti più profondi che Serena accoglie ad occhi spalancati quasi sorpresa di riuscire a resistere a tanta eccitazione.
Non mi fermo, lei deve ancora avere la sua parte.
La sento tremare sotto di me, le mani che mi stringono forte le braccia, quasi volessero imprimermi addosso ogni istante di quel piacere che la attraversa. Il suo respiro si fa affannoso, profondo e intenso, mentre i suoi gemiti si mescolano ai battiti accelerati del mio cuore.
Vedo i suoi occhi chiudersi piano, le labbra socchiuse in un sospiro di abbandono, e sento la sua pelle che si irrigidisce e poi si rilassa, come onde che si infrangono e si ritirano. La sua forza e la sua dolcezza si fondono in quel momento perfetto, e io sono completamente preso da lei, da quel contatto che ci unisce in modo così profondo.
Le sue mani mi afferrano la nuca con decisione, come per ancorarsi a me, e in quell’istante tutto il resto svanisce: c’è solo il calore, il desiderio e la complicità che si consumano insieme, fino all’ultimo brivido.
Aspettiamo che i nostri corpi si rilassino, ancora intrecciati nell’abbraccio silenzioso che segue ogni tempesta di piacere. Con calma, estraiamo dai nostri zaini dei fazzoletti con cui ci asciughiamo delicatamente, attenti a non lasciare tracce del nostro incontro così privato. Li raccogliamo con cura in un sacchetto, pronti a portarli con noi per non lasciare nulla sul posto, quasi a voler sigillare un ricordo che resterà solo nostro.
Ci alziamo lentamente, il sorriso soddisfatto di Serena tradisce il grande sollievo di non essere stata vista da nessuno. Le sue mani cercano le mie, e insieme ci incamminiamo lungo il sentiero che ci riporterà alla macchina, ancora avvolti nella complicità di quel momento perfetto.


stemmy75@gmail.com
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2025-08-03
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