Specchio, desiderio. Quinta parte

di
genere
confessioni

Quando Serena torna a stendersi accanto a me, i nostri corpi caldi sotto il leggero lenzuolo estivo, le accarezzo il braccio e le sussurro che la pioggia, soprattutto in estate, ha sempre avuto su di me un effetto benefico. La trovo malinconica e romantica, ma anche rigenerante. Lei sorride, curiosa, e allora le propongo una gita: «Ti va se andiamo al lago?».
Nel giro di poco siamo in macchina. Serena indossa un vestito semplice e leggero, io una camicia arrotolata sugli avambracci. Non smette di piovere, ma sembra che il mondo abbia deciso di rallentare per noi. Arrivati al lago, apriamo l’ombrello e camminiamo piano, a passo lento, seguendo la curva della riva. L’acqua del lago è immobile, come se trattenesse il fiato. Le mie dita intrecciate alle sue, le sue labbra che si sollevano appena quando mi volto a guardarla.
Sotto l’ombrello, stretti l’uno all’altra, sembriamo gli unici rimasti in questo angolo di mondo sospeso. Nessuna fretta, nessun rumore, solo i nostri passi ovattati e il canto discreto della pioggia.
Più tardi ci rifugiamo in un piccolo ristorante con la veranda affacciata sul lago. Il locale è quasi deserto. Ci sediamo vicini, dalla nostra posizione vediamo il paesaggio che si sfoca dietro il vetro bagnato, come un acquerello che la pioggia sta dipingendo solo per noi. Siamo soli, ma non ci sentiamo isolati: siamo insieme, e questo basta. Lontani da tutto, anche dal pensiero che questa magia possa finire.
Le chiacchiere sono leggere, gli sguardi profondi. Ogni gesto, ogni parola, sembra rallentare il tempo, e in quella solitudine preziosa ci sentiamo padroni del mondo

Dopo pranzo, usciamo di nuovo. La pioggia cade ancora, più fine, quasi timida, ma sufficiente a tenerci vicini, abbracciati sotto lo stesso ombrello. Camminiamo lungo la riva, senza meta precisa, ridendo come due ragazzi. Serena cerca in ogni modo di tenere asciutti i capelli -Se si arricciano, poi sono un disastro- e io la prendo in giro con affetto, dicendole che le stanno bene anche spettinati. Lei finge di offendersi, incrocia le braccia e si gira di spalle, ma non resiste e ride anche lei, mentre mi colpisce piano con il fianco.
È un gioco, uno di quelli che solo chi è davvero a proprio agio con l’altro riesce a improvvisare.
A un certo punto ci fermiamo, ci guardiamo, e senza dircelo sappiamo entrambi che è ora di tornare a casa. Ma non finisce lì. -Questa sera cucino io-, dice Serena, sistemandosi una ciocca umida dietro l’orecchio. -Voglio prepararti la mia specialità: spaghetti allo scoglio, mi vengono bene, sai!- lo dice ridendo, con un tono ironico che non nasconde però un filo di entusiasmo. Io la guardo sorpreso. -Sicura? A casa non ho nemmeno gli spaghetti…-
-Allora passiamo dal supermercato. Almeno così siamo sicuri che il disastro sarà completo-
Il supermercato è quasi vuoto, come tutto oggi. Riempiamo il carrello, ridendo tra le corsie, discutendo sul tipo di pasta e sul vino da abbinare. Lei si prende gioco di me per come scelgo il gelato per il dessert, io le faccio notare che ha preso le fragole, di nuovo. -Per sicurezza-, mi dice, ammiccando.
Usciamo sotto la pioggia che non ha mai smesso, ma adesso ci sembra solo parte del nostro mondo. Torniamo a casa, le buste della spesa in una mano, le dita intrecciate nell’altra. Serena si sfila le scarpe all’ingresso, poi si gira verso di me con uno sguardo che dice tutto: questa giornata la voglio vivere fino in fondo, con te.
Siamo rientrati da poco. Dopo esserci cambiati ci sentiamo a nostro agio, Serena ha indossato una tuta leggera color sabbia, semplice e morbida, che le accarezza il corpo come una seconda pelle. A piedi nudi si muove tra i pensili della cucina con naturalezza, come se quel luogo fosse sempre stato anche suo. Sta preparando la sua famosa “specialità”, gli spaghetti allo scoglio, e lo fa con una dedizione che mi incanta.
La osservo in silenzio. È concentrata, le mani immerse nell'acqua fredda mentre pulisce le cozze, con movimenti precisi e sicuri. Poi, senza fretta, prende i pomodorini e inizia a tagliarli a metà, uno a uno. La lama scivola sulla polpa lucida con un suono ritmico, ipnotico.
Mi fermo ad ammirarla. La luce calda della cucina le disegna il profilo del seno, appena visibile sotto la stoffa leggera. Le gambe, tornite e affusolate, si tendono quando si sposta da un lato all'altro del piano di lavoro. I capelli raccolti in un nodo disordinato lasciano scoperto il collo, la nuca, e qualcosa dentro di me si accende.
Non è solo desiderio fisico. È qualcosa di più profondo, un’emozione che nasce dalla bellezza della semplicità. In quei gesti quotidiani, nel modo in cui muove le mani o inclina la testa per leggere meglio una confezione, sento un’intimità nuova, quasi struggente. E all’improvviso, tra una cozza e un pomodorino, la voglia di lei mi travolge.
Serena si accorge che la sto guardando. Si volta verso di me con un sorriso complice e ironico, come se sapesse già tutto.
-Che c’è?- chiede, con una scintilla maliziosa negli occhi.
-Semplicemente… sei bellissima- rispondo, con voce bassa, quasi rauca.
Lei accoglie il mio complimento con una risata leggera, quasi fanciullesca. -Grazie- dice voltando appena il viso, gli occhi che brillano d’ironia. Poi torna subito ai piani della cucina, come se volesse fingere di ignorare l’effetto che ha su di me.
Ma io non resisto. L’attrazione è troppo forte, istintiva. Le sono addosso in un attimo, avvicinandomi alle sue spalle con un movimento silenzioso, felpato. Le braccia le si chiudono intorno alla vita, le mani che la stringono con dolce fermezza. E poi il mio viso affonda nel suo collo, lasciando un bacio lungo, caldo, proprio sotto l’attaccatura dei capelli.
Lei ha un sussulto, quasi impercettibile, ma non smette di lavorare. Sta ancora tagliando i pomodorini con calma apparente, come se volesse resistere, o forse prolungare quella tensione deliziosa che ci avvolge.
-Continua…- le mormoro all’orecchio con un filo di voce, mentre le mie mani iniziano a muoversi, lente, esplorando il profilo dei fianchi, le curve dei glutei sotto la stoffa leggera della tuta. -Così è ancora più eccitante.-
Lei trattiene un respiro. Poi sorride, con quella punta di sfida che conosco bene.
-Davvero?- sussurra, senza voltarsi, mentre la lama affonda nell’ennesimo pomodorino.
Annuisco contro la sua pelle, il mio bacino che preme contro la sua schiena, inequivocabile. Lei lo sente, ne percepisce ogni dettaglio. Il mio desiderio è lì, pulsante, ardente, premuto contro di lei, che resta immobile come se niente stesse accadendo, ma con il corpo che trema appena sotto la mia stretta.
Le mani si fermano per un istante sopra il tagliere. -Allora non fermarti neanche tu…- dice con un tono basso, quasi vibrante.
E in quell’equilibrio perfetto tra il gioco e la resa, tra il fuoco e il controllo, la cucina si trasforma in un teatro silenzioso, in cui ogni gesto, anche il più semplice, brucia di desiderio.
Il suo corpo si tende appena, un fremito sottile la attraversa mentre resto stretto a lei. Il coltello sul tagliere si ferma a mezz’aria, poi riprende il suo movimento lento, misurato, ma le mani di Serena non sono più ferme come prima. Taglia, ma distratta, consapevole di ogni mio gesto.
E poi accade. Senza una parola, senza voltarsi, allarga leggermente le gambe. Un gesto quasi impercettibile, eppure chiarissimo. Un’apertura. Un invito. Un’offerta silenziosa e potente.
La mia mano scivola lungo il suo fianco, si insinua nella tuta, attraversa il confine sottile delle mutandine leggere, ignorandole, e raggiunge senza esitazioni il centro caldo e vivo del suo desiderio. La trovo già bagnata, pronta, e il contatto della mia pelle sulla sua provoca in lei un piccolo gemito trattenuto che vibra nell’aria come una nota sospesa.
Le mie dita si muovono lente, esperte, accarezzandola con precisione e dolcezza, e il suo bacino reagisce cercando la mia mano, seguendone i movimenti. La sua testa si piega leggermente di lato, il respiro le sfugge più irregolare, ma le sue mani non hanno ancora abbandonato del tutto i pomodorini.
Intanto io premo il bacino contro di lei, il mio sesso duro, in piena erezione, affonda tra i suoi glutei, separati solo da pochi millimetri di tessuto sottile. È un contatto carico di elettricità, e anche per me è un momento di puro piacere. Ogni suo movimento, ogni spasmo, ogni goccia della sua eccitazione che scivola sulle mie dita, alimenta il mio desiderio, lo intensifica, lo rende quasi difficile da contenere.
-Non ti fermare…- sussurra, con un filo di voce che sembra un vento caldo dietro l’orecchio.
E io non lo faccio. Resto lì, alle sue spalle, immerso nel suo profumo e nella morbidezza della sua pelle, le mani all’opera, il mio corpo contro il suo, in un equilibrio incandescente tra il gioco e la resa.

Serena lascia cadere il coltello con un piccolo tonfo secco sul piano di lavoro. Un gesto istintivo, quasi liberatorio. Poi appoggia entrambe le mani sul marmo della cucina, inclina il capo all’indietro e lascia che l’onda del piacere le attraversi il corpo come un fremito profondo, un brivido che risale dalla pelle alle labbra, da dove le sfuggono gemiti chiari, aperti, sinceri.
Il suono della sua voce, l’immagine del suo corpo che vibra sotto le mie dita, l’atmosfera sospesa e rovente della cucina… tutto mi scuote dentro. Il desiderio monta in me con una forza incontrollabile, così intensa che per un attimo temo di non riuscire a contenerla. Allora mi stacco da lei di colpo, un respiro lungo e affamato, gli occhi nei suoi, che brillano d’eccitazione e stupore.
La prendo per le spalle e la giro verso di me. I nostri sguardi si cercano, si trovano, e poi le nostre bocche si uniscono in un bacio profondo, bruciante. Il mio corpo la stringe, le mie mani tornano a esplorare con decisione, ma è la destra a farsi strada, decisa e consapevole, fra le sue cosce, risalendo fino a ritrovare il punto esatto da cui era nata tutta quell’onda di piacere.
Lei geme dentro la mia bocca, il respiro le si spezza contro le labbra.
Con l’altra mano le prendo dolcemente la nuca, la tengo a me come se non volessi lasciarla andare mai più. Ma è lei, stavolta, a compiere un gesto che mi colpisce nel profondo: le sue mani si avvolgono attorno al mio avambraccio, lo stringono con forza, guidano il movimento delle mie dita come a voler fonderlo al proprio desiderio, come se volesse dirmi “è lì, è così che voglio sentire la tua forza”.
I suoi occhi si socchiudono, la fronte contro la mia, il corpo che si tende e si arrende ancora, in cerca di quella tensione perfetta, dell’equilibrio delicato tra l’abbandono e il controllo.
Siamo lì, in cucina, tra pomodorini tagliati a metà, cozze ancora da pulire e stoviglie in attesa. Eppure, in quel momento, l’unico ingrediente necessario è lei.

Serena mi guarda ancora con il respiro affannato, gli occhi brillanti di una gratitudine silenziosa che dice molto più di qualsiasi parola. Poi, con un gesto improvviso e tenero, si sistema dietro di me. Le sue mani leggere, quasi in punta di dita, si insinuano nella mia tuta, come se stesse cercando di entrare in un territorio che ormai le appartiene. Sento il suo tocco che si fa via via più audace, più deciso, ma sempre guidato da un’intimità profonda, rispettosa, quasi devota.
Mi spoglio con il suo aiuto, lasciando che la stoffa scivoli lungo le gambe, e mi ritrovo così, esposto solo al calore della sua presenza. Mi appoggio con le mani al piano della cucina, un gesto naturale per cercare equilibrio, mentre lei continua quel suo gesto lento e consapevole, come se stesse danzando al ritmo della mia emozione. Il marmo freddo sotto i palmi, il profumo dei pomodorini appena tagliati nell’aria, il rumore lieve della pioggia contro i vetri: tutto si fonde in un’unica sensazione avvolgente.
Dal piano della cucina riesco a scorgere lo specchio all’ingresso, vedo la scena che stiamo componendo. Due corpi che si cercano e si accolgono, due anime che stanno costruendo qualcosa che somiglia pericolosamente alla felicità. Non distolgo lo sguardo, voglio ricordare tutto. Serena, in quell'immagine riflessa, è bellissima. Forte, determinata, eppure dolce, come se avesse scelto esattamente quel momento per donarsi ancora una volta, a modo suo.
Il piacere si avvicina con potenza, eppure è diverso. È più maturo, più consapevole. È l’eco di tutto ciò che stiamo diventando, e non solo l’onda di un desiderio. Quando tutto si compie, con una bellezza intensa ma trattenuta, rimango immobile per un istante, il respiro spezzato e il cuore pieno. Le mani di Serena grondanti del mio sperma schizzato verso l’alto come l’eruzione di un vulcano e poi scivolata sulle sue mani. Nessuno dei due parla. In quel silenzio c’è tutto.
C’è la consapevolezza che, ormai, passare troppe ore senza finire tra le braccia l’uno dell’altra è diventato quasi… impossibile. Come se il nostro corpo avesse preso l’abitudine di cercarsi a intervalli regolari, come il bisogno di un caffè o di un respiro profondo. Ridiamo di questo, dandoci la colpa a vicenda:
-È colpa tua-,
-No, sei tu che non mi lasci scampo-
Ma la verità è che non riusciamo proprio a resisterci. E, in fondo, non vogliamo nemmeno provarci.

Stemmy75@gmail.com
di
scritto il
2025-07-31
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