Specchio, desiderio. Quarta parte
di
Stemmy
genere
confessioni
Dopo qualche minuto di abbracci silenziosi e carezze leggere, ci guardiamo e sorridiamo, ancora nudi e disordinati nel letto. “Doccia veloce?” le chiedo. Serena annuisce con complicità. La accompagno in bagno e l’acqua calda che scivola sulle nostre pelli è come un rito di passaggio, un lavacro di intimità che non toglie nulla al desiderio, ma ci restituisce alla realtà con leggerezza.
Nessun gioco stavolta sotto l’acqua, solo sorrisi, baci sul collo e uno sfregarsi tenero delle schiene e dei capelli. È uno di quei momenti in cui l’intimità non ha bisogno di parole, solo di piccoli gesti condivisi.
Una volta asciutti, infiliamo abiti comodi — io una maglietta e dei pantaloni di cotone, lei una mia camicia che le arriva quasi a metà coscia — e torniamo in cucina. I piatti della cena ci aspettano e, invece di vederli come un fastidio, iniziamo a sistemare tutto insieme, ridendo come due adolescenti. Io passo i piatti, lei li sistema nella lavastoviglie con precisione quasi militare. Ci prendiamo in giro, ci raccontiamo aneddoti stupidi, e ogni tanto ci scambiamo sguardi complici, toccandoci con naturalezza tra un bicchiere e una forchetta.
È una felicità semplice, disarmante. Una di quelle che arrivano quando meno te lo aspetti, quando non la stavi nemmeno cercando più.
Una volta che la cucina è tornata in ordine, spegniamo le luci e ci dirigiamo verso la camera da letto. Ci infiliamo sotto le lenzuola, Serena si rannicchia accanto a me, con la testa appoggiata sulla mia spalla. Prendo il telecomando e metto su un film leggero, più per compagnia che per seguirlo davvero.
La sua mano accarezza il mio petto lentamente, mentre io le passo le dita tra i capelli. Ogni tanto commentiamo qualcosa del film, ma in realtà siamo assorti l’uno nella presenza dell’altro. Il tempo scorre lento, pieno di quella pace che arriva solo dopo il piacere condiviso, quando tutto è silenzio, pelle e cuore.
Nel buio della stanza, con la luce dello schermo a disegnare riflessi sui suoi lineamenti distesi, penso che non potrei essere altrove. E che, per la prima volta dopo tanto tempo, non ne avrei alcun desiderio.
Il mattino ci sorprende con la pioggia. I vetri della finestra tremano sotto la danza delicata delle gocce, e dalle persiane lasciate aperte la sera prima si intravede un cielo grigio, quieto, quasi ovattato. L’aria è fresca ma non fredda, il contrasto perfetto con il calore del letto ancora profumato di noi.
Mi sveglio per primo, con la sensazione precisa di aver dormito accanto a qualcosa di prezioso. Mi stiracchio piano per non disturbarla, ma il fruscio delle lenzuola leggere, un cotone morbido, appena piegato dal nostro dormire intrecciato, la desta dolcemente.
Serena apre gli occhi piano, ancora confusi dal sonno, ma sorride appena li posa su di me. -Piove…- sussurra, la voce ancora roca, affascinante. Annuisco, poi ci alziamo insieme e andiamo in bagno, in silenzio, uno accanto all’altra, con quella naturalezza che solo una sintonia appena nata ma già profonda può creare.
Tornati a letto, ci infiliamo nuovamente sotto le lenzuola. La pioggia continua a cadere, regolare, ipnotica. Accendiamo la televisione, ma solo per avere un sottofondo, una scusa per non parlare e lasciarci solo guidare dal desiderio muto dei corpi. Nessuno ha fame di colazione. Abbiamo solo fame l’uno dell’altra.
Lei mi si accosta senza dire nulla, e le sue mani cercano la mia pelle. Le lenzuola scivolano piano giù, rivelando i nostri corpi ancora nudi. Il suo respiro si fa più caldo, più profondo. Ci baciamo con lentezza, come se avessimo tutto il tempo del mondo, ed è davvero così.
La luce grigia della pioggia avvolge tutto di una bellezza liquida, sospesa. E lì, tra baci lenti, mani curiose e sorrisi silenziosi, ci ritroviamo ancora, più vicini.
Sono felice che sia lei a cercarmi. Quel suo modo silenzioso, tenero e istintivo di avvicinarsi, di sfiorarmi con il respiro prima ancora che con le mani, mi fa sentire desiderato… scelto. Sembra volermi dire “ancora”, con il corpo, con lo sguardo, con ogni piccolo gesto. E io le rispondo allo stesso modo, senza parole.
Le nostre bocche si incontrano in un bacio lento, profondo, fatto di respiri condivisi. Intanto le mie mani risalgono con calma lungo il suo corpo, come se stessero esplorando un territorio sacro. Le dita si posano sul suo seno, accarezzandolo con dolcezza. Indugiano sui capezzoli, che si tendono subito al mio tocco, come se la sua pelle stesse anticipando ciò che sta per arrivare.
Lei si lascia andare, si abbandona a me. Sento il suo corpo che si rilassa sotto le mie carezze, il respiro che cambia ritmo, si fa più profondo, più caldo. E poi, con quella naturalezza che è puro invito, le sue gambe si aprono lentamente, come un fiore che si schiude sotto il primo sole del mattino.
C’è qualcosa di quasi sacro in quel gesto. Non è solo desiderio, è fiducia. È lei che mi si offre, ancora una volta, con tutta sé stessa. E io, commosso da tanta bellezza, mi preparo ad amarla con la stessa attenzione, la stessa devozione, la stessa fame dolce che non mi abbandona più da quando l’ho incontrata.
Ma poi, inaspettatamente, Serena apre gli occhi. Mi fissa per qualche istante, il suo sguardo è serio e tenero al tempo stesso. Quasi timidamente, come se dovesse chiedere il permesso, mi sussurra con un filo di voce:
-Hai fatto tantissimo per me…-
Non aggiunge altro. Non serve. La sua mano si muove con naturalezza, scivola lentamente sotto il lenzuolo e trova il mio membro, che già da tempo pulsa di desiderio contro di lei. Il contatto è deciso e dolce, e in quell’attimo sento un brivido attraversarmi la schiena. I suoi occhi restano fissi nei miei, senza distrazioni, come se stesse leggendo dentro di me ogni reazione, ogni battito accelerato, ogni fremito.
La mia erezione è improvvisa, violenta, quasi impaziente. La sua mano, minuta e gentile, a fatica riesce ad avvolgermi completamente, ma inizia comunque a muoversi, con lentezza, con intenzione. È un gesto che non cerca fretta né spettacolo: è un dono. È Serena che vuole restituirmi il piacere che ha ricevuto, che vuole farmi sentire amato, celebrato, desiderato.
La tensione tra noi si fa più densa, più calda. Il suo respiro cambia, e il mio segue il ritmo della sua mano. Il lenzuolo si solleva appena, come spettatore complice, mentre fuori la pioggia continua a tamburellare dolcemente sulle finestre, come un sottofondo lontano. E in quella stanza che profuma di pelle, di notte condivisa e di emozioni che non si possono più nascondere, mi abbandono anch’io, con gli occhi fissi nei suoi.
Le stacco delicatamente la mano, con un sorriso appena accennato che vuole rassicurarla. Non è un rifiuto, tutt’altro: è un invito ad aspettare qualcosa di ancora più profondo. Serena coglie subito il gesto per ciò che è, e nei suoi occhi leggo una consapevolezza nuova, come se stesse per entrare in un territorio più intimo, più vero.
Mi volto verso il comodino, apro il cassetto con calma e prendo un preservativo. Lei mi osserva in silenzio mentre lo indosso con gesti rapidi, sicuri. Questa volta non voglio trattenermi, voglio andare fino in fondo, completamente, con lei. Sento che ne abbiamo bisogno entrambi.
Infilo una mano sotto la sua coscia e la sollevo con naturalezza. Lei capisce al volo, e con eleganza e sicurezza si muove per posizionarsi sopra di me. Sono seduto contro la testata del letto, la schiena appoggiata ai cuscini, le gambe lunghe e distese sul lenzuolo ancora sgualcito dalla notte.
Serena prende il mio viso tra le mani e mi bacia, un bacio profondo e caldo, poi si raddrizza con grazia, guidata da un istinto che ormai ci appartiene. Le sue mani sistemano il mio sesso tra le sue cosce, e quando la punta trova il suo centro, lei chiude gli occhi. In quell’attimo sospeso, è la gravità che fa il resto.
Scende lentamente, trafitta da me. Il suo corpo lo accoglie tutto, poco a poco, in un’unione che non è solo fisica, ma anche silenziosamente emotiva. Le sue mani si appoggiano al mio petto, e il suo volto si distende in un’espressione di piacere intenso e commosso, come se quel gesto fosse la più intima delle dichiarazioni d’amore.
Il suo respiro si fa più profondo, il suo bacino si muove con lentezza e consapevolezza, mentre io la tengo per i fianchi, guidandola piano, lasciandomi andare al piacere di vederla così: fiera, bella, completamente con me. Dentro di me.
E lo specchio sull’armadio, ancora una volta, cattura la nostra immagine: due corpi fusi, incastonati l’uno nell’altro, immersi in un momento che sembra non finire mai.
Serena inizia a muoversi con una lentezza carica di intenzione. Il suo corpo, accovacciato sopra di me, si lascia andare a un ritmo che ha qualcosa di ancestrale e perfetto. I suoi movimenti sono studiati e naturali al tempo stesso, come se ogni gesto fosse un passo di una danza intima che conosce solo lei.
Sento il calore del suo ventre contro il mio, ma soprattutto il modo in cui cerca il contatto tra il suo clitoride e la mia pelle, sfiorando con delicatezza il mio basso ventre. È come se stessimo modellando il piacere secondo un disegno solo nostro, cercando insieme quel punto in cui i corpi si parlano da soli, senza bisogno di parole.
Le sue mani si stringono attorno al mio collo, non con forza, ma con quel bisogno urgente di un appiglio, di un punto fermo da cui trarre energia, spinta, piacere. I suoi occhi sono chiusi, ma ogni espressione del viso parla: parla di estasi, di fiducia, di quel confine che viene superato quando ci si dona completamente.
Io la accolgo, la sostengo, la sento vibrare su di me. Le mie mani scorrono sulle sue cosce, poi le afferro i fianchi per guidarla appena, quanto basta a seguirla nel ritmo che ci sta portando via, sempre più vicini all’apice.
Il suo respiro diventa affannoso, quasi spezzato, e un attimo dopo sento il suo corpo tendersi, tremare, aprirsi all’orgasmo con un gemito che le sfugge senza controllo. È bellissima in quel momento, fiera e vulnerabile insieme, e poco dopo, il mio piacere esplode in un’ondata che mi attraversa e mi svuota. Il mio gemito si fonde al suo, la stringo forte contro di me e resto immobile, col cuore che batte come se volesse uscire dal petto.
Rimaniamo così, ancora uniti, i corpi stretti in un abbraccio che non ha fretta di sciogliersi. Il tempo sembra essersi fermato.
Sembra impossibile che sia tutto così perfetto, eppure sta accadendo davvero.
Serena è ancora adagiata sul mio petto, il respiro che lentamente torna regolare, la fronte leggermente umida contro la mia spalla. Le accarezzo piano la schiena, seguendo la curva della sua colonna vertebrale con le dita, come per imprimere nella pelle il ricordo di quel momento. Il suo profumo si mescola al mio, all'odore tiepido dei corpi che si sono appena cercati e trovati con totale abbandono.
Guardo il soffitto, poi i suoi capelli sparsi sul mio petto, poi di nuovo il suo viso, che adesso sorride appena. Quel sorriso che ha qualcosa di disarmato e complice, come se anche lei stesse pensando la stessa cosa: che a volte la realtà, per quanto imprevedibile, può superare i sogni.
Ci stringiamo senza dire nulla, come se le parole fossero di troppo, come se il silenzio fosse il luogo più sicuro dove far riposare tutta questa felicità inattesa.
Io la tengo tra le braccia e penso che forse, per la prima volta dopo tanto tempo, non sto desiderando altro.
Serena si stacca appena da me, si appoggia sul gomito e mi guarda con quegli occhi limpidi e intensi che sembrano attraversarmi. La pioggia batte ancora lieve contro i vetri e la luce grigia del mattino filtra dalle persiane socchiuse, accarezzando la stanza con delicatezza. C'è silenzio, solo il nostro respiro, il nostro odore mescolato, la pelle ancora calda.
Poi lei parla, con voce bassa ma ferma, carica di quella dolcezza consapevole che le appartiene.
-Sai… non so esattamente cosa sia successo tra ieri sera e stamattina, ma non mi era mai capitato di sentirmi così… vicina a qualcuno. Così bene. Non parlo solo di quello che abbiamo fatto, del desiderio, del piacere. Parlo di come mi guardi, di come mi tocchi, di come mi fai sentire al sicuro. E importante-
Abbassa lo sguardo un istante, come a cercare le parole giuste, poi torna a incrociare i miei occhi.
-Non voglio che sia solo un’avventura, Max. Non voglio che finisca con il weekend. Non posso far finta che non mi stia succedendo qualcosa di importante-
Rimango in silenzio. Le accarezzo piano il viso, cercando di trovare un equilibrio tra ciò che sento e ciò che temo. So che le sue parole sono sincere, ma dentro di me qualcosa frena, come sempre. Forse è paura, forse solo abitudine al controllo, forse esperienze passate che hanno lasciato cicatrici invisibili.
Sospiro, poi sorrido. Un sorriso calmo, grato.
-Serena… quello che mi hai detto mi colpisce. E lo capisco. Lo sento anche io, in qualche modo. Ma… non voglio rovinare questo momento con troppe aspettative, con troppe parole. Non adesso-
Le prendo la mano, la stringo fra le mie.
-Prendiamoci questo. Quello che ci sta accadendo. Senza metterci subito un’etichetta, senza correre. Viviamolo. Il tempo… farà il suo corso. E se quello che stiamo costruendo è vero, se resiste alla vita di tutti i giorni, allora lo scopriremo. Insieme-
Lei non risponde subito. Mi osserva, silenziosa. Poi annuisce piano e si avvicina di nuovo, poggiando la fronte sulla mia.
-Va bene- sussurra. -Ma promettimi solo una cosa… non scappare, se capirai che anche tu vuoi qualcosa di più.-
Le rispondo solo con un bacio, lungo, lento, profondo. Senza promesse affrettate, ma carico di un sentimento che forse, piano piano, sta trovando il suo posto.
stemmy75@gmail.com
Nessun gioco stavolta sotto l’acqua, solo sorrisi, baci sul collo e uno sfregarsi tenero delle schiene e dei capelli. È uno di quei momenti in cui l’intimità non ha bisogno di parole, solo di piccoli gesti condivisi.
Una volta asciutti, infiliamo abiti comodi — io una maglietta e dei pantaloni di cotone, lei una mia camicia che le arriva quasi a metà coscia — e torniamo in cucina. I piatti della cena ci aspettano e, invece di vederli come un fastidio, iniziamo a sistemare tutto insieme, ridendo come due adolescenti. Io passo i piatti, lei li sistema nella lavastoviglie con precisione quasi militare. Ci prendiamo in giro, ci raccontiamo aneddoti stupidi, e ogni tanto ci scambiamo sguardi complici, toccandoci con naturalezza tra un bicchiere e una forchetta.
È una felicità semplice, disarmante. Una di quelle che arrivano quando meno te lo aspetti, quando non la stavi nemmeno cercando più.
Una volta che la cucina è tornata in ordine, spegniamo le luci e ci dirigiamo verso la camera da letto. Ci infiliamo sotto le lenzuola, Serena si rannicchia accanto a me, con la testa appoggiata sulla mia spalla. Prendo il telecomando e metto su un film leggero, più per compagnia che per seguirlo davvero.
La sua mano accarezza il mio petto lentamente, mentre io le passo le dita tra i capelli. Ogni tanto commentiamo qualcosa del film, ma in realtà siamo assorti l’uno nella presenza dell’altro. Il tempo scorre lento, pieno di quella pace che arriva solo dopo il piacere condiviso, quando tutto è silenzio, pelle e cuore.
Nel buio della stanza, con la luce dello schermo a disegnare riflessi sui suoi lineamenti distesi, penso che non potrei essere altrove. E che, per la prima volta dopo tanto tempo, non ne avrei alcun desiderio.
Il mattino ci sorprende con la pioggia. I vetri della finestra tremano sotto la danza delicata delle gocce, e dalle persiane lasciate aperte la sera prima si intravede un cielo grigio, quieto, quasi ovattato. L’aria è fresca ma non fredda, il contrasto perfetto con il calore del letto ancora profumato di noi.
Mi sveglio per primo, con la sensazione precisa di aver dormito accanto a qualcosa di prezioso. Mi stiracchio piano per non disturbarla, ma il fruscio delle lenzuola leggere, un cotone morbido, appena piegato dal nostro dormire intrecciato, la desta dolcemente.
Serena apre gli occhi piano, ancora confusi dal sonno, ma sorride appena li posa su di me. -Piove…- sussurra, la voce ancora roca, affascinante. Annuisco, poi ci alziamo insieme e andiamo in bagno, in silenzio, uno accanto all’altra, con quella naturalezza che solo una sintonia appena nata ma già profonda può creare.
Tornati a letto, ci infiliamo nuovamente sotto le lenzuola. La pioggia continua a cadere, regolare, ipnotica. Accendiamo la televisione, ma solo per avere un sottofondo, una scusa per non parlare e lasciarci solo guidare dal desiderio muto dei corpi. Nessuno ha fame di colazione. Abbiamo solo fame l’uno dell’altra.
Lei mi si accosta senza dire nulla, e le sue mani cercano la mia pelle. Le lenzuola scivolano piano giù, rivelando i nostri corpi ancora nudi. Il suo respiro si fa più caldo, più profondo. Ci baciamo con lentezza, come se avessimo tutto il tempo del mondo, ed è davvero così.
La luce grigia della pioggia avvolge tutto di una bellezza liquida, sospesa. E lì, tra baci lenti, mani curiose e sorrisi silenziosi, ci ritroviamo ancora, più vicini.
Sono felice che sia lei a cercarmi. Quel suo modo silenzioso, tenero e istintivo di avvicinarsi, di sfiorarmi con il respiro prima ancora che con le mani, mi fa sentire desiderato… scelto. Sembra volermi dire “ancora”, con il corpo, con lo sguardo, con ogni piccolo gesto. E io le rispondo allo stesso modo, senza parole.
Le nostre bocche si incontrano in un bacio lento, profondo, fatto di respiri condivisi. Intanto le mie mani risalgono con calma lungo il suo corpo, come se stessero esplorando un territorio sacro. Le dita si posano sul suo seno, accarezzandolo con dolcezza. Indugiano sui capezzoli, che si tendono subito al mio tocco, come se la sua pelle stesse anticipando ciò che sta per arrivare.
Lei si lascia andare, si abbandona a me. Sento il suo corpo che si rilassa sotto le mie carezze, il respiro che cambia ritmo, si fa più profondo, più caldo. E poi, con quella naturalezza che è puro invito, le sue gambe si aprono lentamente, come un fiore che si schiude sotto il primo sole del mattino.
C’è qualcosa di quasi sacro in quel gesto. Non è solo desiderio, è fiducia. È lei che mi si offre, ancora una volta, con tutta sé stessa. E io, commosso da tanta bellezza, mi preparo ad amarla con la stessa attenzione, la stessa devozione, la stessa fame dolce che non mi abbandona più da quando l’ho incontrata.
Ma poi, inaspettatamente, Serena apre gli occhi. Mi fissa per qualche istante, il suo sguardo è serio e tenero al tempo stesso. Quasi timidamente, come se dovesse chiedere il permesso, mi sussurra con un filo di voce:
-Hai fatto tantissimo per me…-
Non aggiunge altro. Non serve. La sua mano si muove con naturalezza, scivola lentamente sotto il lenzuolo e trova il mio membro, che già da tempo pulsa di desiderio contro di lei. Il contatto è deciso e dolce, e in quell’attimo sento un brivido attraversarmi la schiena. I suoi occhi restano fissi nei miei, senza distrazioni, come se stesse leggendo dentro di me ogni reazione, ogni battito accelerato, ogni fremito.
La mia erezione è improvvisa, violenta, quasi impaziente. La sua mano, minuta e gentile, a fatica riesce ad avvolgermi completamente, ma inizia comunque a muoversi, con lentezza, con intenzione. È un gesto che non cerca fretta né spettacolo: è un dono. È Serena che vuole restituirmi il piacere che ha ricevuto, che vuole farmi sentire amato, celebrato, desiderato.
La tensione tra noi si fa più densa, più calda. Il suo respiro cambia, e il mio segue il ritmo della sua mano. Il lenzuolo si solleva appena, come spettatore complice, mentre fuori la pioggia continua a tamburellare dolcemente sulle finestre, come un sottofondo lontano. E in quella stanza che profuma di pelle, di notte condivisa e di emozioni che non si possono più nascondere, mi abbandono anch’io, con gli occhi fissi nei suoi.
Le stacco delicatamente la mano, con un sorriso appena accennato che vuole rassicurarla. Non è un rifiuto, tutt’altro: è un invito ad aspettare qualcosa di ancora più profondo. Serena coglie subito il gesto per ciò che è, e nei suoi occhi leggo una consapevolezza nuova, come se stesse per entrare in un territorio più intimo, più vero.
Mi volto verso il comodino, apro il cassetto con calma e prendo un preservativo. Lei mi osserva in silenzio mentre lo indosso con gesti rapidi, sicuri. Questa volta non voglio trattenermi, voglio andare fino in fondo, completamente, con lei. Sento che ne abbiamo bisogno entrambi.
Infilo una mano sotto la sua coscia e la sollevo con naturalezza. Lei capisce al volo, e con eleganza e sicurezza si muove per posizionarsi sopra di me. Sono seduto contro la testata del letto, la schiena appoggiata ai cuscini, le gambe lunghe e distese sul lenzuolo ancora sgualcito dalla notte.
Serena prende il mio viso tra le mani e mi bacia, un bacio profondo e caldo, poi si raddrizza con grazia, guidata da un istinto che ormai ci appartiene. Le sue mani sistemano il mio sesso tra le sue cosce, e quando la punta trova il suo centro, lei chiude gli occhi. In quell’attimo sospeso, è la gravità che fa il resto.
Scende lentamente, trafitta da me. Il suo corpo lo accoglie tutto, poco a poco, in un’unione che non è solo fisica, ma anche silenziosamente emotiva. Le sue mani si appoggiano al mio petto, e il suo volto si distende in un’espressione di piacere intenso e commosso, come se quel gesto fosse la più intima delle dichiarazioni d’amore.
Il suo respiro si fa più profondo, il suo bacino si muove con lentezza e consapevolezza, mentre io la tengo per i fianchi, guidandola piano, lasciandomi andare al piacere di vederla così: fiera, bella, completamente con me. Dentro di me.
E lo specchio sull’armadio, ancora una volta, cattura la nostra immagine: due corpi fusi, incastonati l’uno nell’altro, immersi in un momento che sembra non finire mai.
Serena inizia a muoversi con una lentezza carica di intenzione. Il suo corpo, accovacciato sopra di me, si lascia andare a un ritmo che ha qualcosa di ancestrale e perfetto. I suoi movimenti sono studiati e naturali al tempo stesso, come se ogni gesto fosse un passo di una danza intima che conosce solo lei.
Sento il calore del suo ventre contro il mio, ma soprattutto il modo in cui cerca il contatto tra il suo clitoride e la mia pelle, sfiorando con delicatezza il mio basso ventre. È come se stessimo modellando il piacere secondo un disegno solo nostro, cercando insieme quel punto in cui i corpi si parlano da soli, senza bisogno di parole.
Le sue mani si stringono attorno al mio collo, non con forza, ma con quel bisogno urgente di un appiglio, di un punto fermo da cui trarre energia, spinta, piacere. I suoi occhi sono chiusi, ma ogni espressione del viso parla: parla di estasi, di fiducia, di quel confine che viene superato quando ci si dona completamente.
Io la accolgo, la sostengo, la sento vibrare su di me. Le mie mani scorrono sulle sue cosce, poi le afferro i fianchi per guidarla appena, quanto basta a seguirla nel ritmo che ci sta portando via, sempre più vicini all’apice.
Il suo respiro diventa affannoso, quasi spezzato, e un attimo dopo sento il suo corpo tendersi, tremare, aprirsi all’orgasmo con un gemito che le sfugge senza controllo. È bellissima in quel momento, fiera e vulnerabile insieme, e poco dopo, il mio piacere esplode in un’ondata che mi attraversa e mi svuota. Il mio gemito si fonde al suo, la stringo forte contro di me e resto immobile, col cuore che batte come se volesse uscire dal petto.
Rimaniamo così, ancora uniti, i corpi stretti in un abbraccio che non ha fretta di sciogliersi. Il tempo sembra essersi fermato.
Sembra impossibile che sia tutto così perfetto, eppure sta accadendo davvero.
Serena è ancora adagiata sul mio petto, il respiro che lentamente torna regolare, la fronte leggermente umida contro la mia spalla. Le accarezzo piano la schiena, seguendo la curva della sua colonna vertebrale con le dita, come per imprimere nella pelle il ricordo di quel momento. Il suo profumo si mescola al mio, all'odore tiepido dei corpi che si sono appena cercati e trovati con totale abbandono.
Guardo il soffitto, poi i suoi capelli sparsi sul mio petto, poi di nuovo il suo viso, che adesso sorride appena. Quel sorriso che ha qualcosa di disarmato e complice, come se anche lei stesse pensando la stessa cosa: che a volte la realtà, per quanto imprevedibile, può superare i sogni.
Ci stringiamo senza dire nulla, come se le parole fossero di troppo, come se il silenzio fosse il luogo più sicuro dove far riposare tutta questa felicità inattesa.
Io la tengo tra le braccia e penso che forse, per la prima volta dopo tanto tempo, non sto desiderando altro.
Serena si stacca appena da me, si appoggia sul gomito e mi guarda con quegli occhi limpidi e intensi che sembrano attraversarmi. La pioggia batte ancora lieve contro i vetri e la luce grigia del mattino filtra dalle persiane socchiuse, accarezzando la stanza con delicatezza. C'è silenzio, solo il nostro respiro, il nostro odore mescolato, la pelle ancora calda.
Poi lei parla, con voce bassa ma ferma, carica di quella dolcezza consapevole che le appartiene.
-Sai… non so esattamente cosa sia successo tra ieri sera e stamattina, ma non mi era mai capitato di sentirmi così… vicina a qualcuno. Così bene. Non parlo solo di quello che abbiamo fatto, del desiderio, del piacere. Parlo di come mi guardi, di come mi tocchi, di come mi fai sentire al sicuro. E importante-
Abbassa lo sguardo un istante, come a cercare le parole giuste, poi torna a incrociare i miei occhi.
-Non voglio che sia solo un’avventura, Max. Non voglio che finisca con il weekend. Non posso far finta che non mi stia succedendo qualcosa di importante-
Rimango in silenzio. Le accarezzo piano il viso, cercando di trovare un equilibrio tra ciò che sento e ciò che temo. So che le sue parole sono sincere, ma dentro di me qualcosa frena, come sempre. Forse è paura, forse solo abitudine al controllo, forse esperienze passate che hanno lasciato cicatrici invisibili.
Sospiro, poi sorrido. Un sorriso calmo, grato.
-Serena… quello che mi hai detto mi colpisce. E lo capisco. Lo sento anche io, in qualche modo. Ma… non voglio rovinare questo momento con troppe aspettative, con troppe parole. Non adesso-
Le prendo la mano, la stringo fra le mie.
-Prendiamoci questo. Quello che ci sta accadendo. Senza metterci subito un’etichetta, senza correre. Viviamolo. Il tempo… farà il suo corso. E se quello che stiamo costruendo è vero, se resiste alla vita di tutti i giorni, allora lo scopriremo. Insieme-
Lei non risponde subito. Mi osserva, silenziosa. Poi annuisce piano e si avvicina di nuovo, poggiando la fronte sulla mia.
-Va bene- sussurra. -Ma promettimi solo una cosa… non scappare, se capirai che anche tu vuoi qualcosa di più.-
Le rispondo solo con un bacio, lungo, lento, profondo. Senza promesse affrettate, ma carico di un sentimento che forse, piano piano, sta trovando il suo posto.
stemmy75@gmail.com
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