Specchio, desiderio. Terza parte
di
Stemmy
genere
confessioni
Il ritorno a casa, dopo averla lasciata sulla soglia del suo appartamento con un ultimo, lungo abbraccio, ha il sapore dolce di qualcosa che sai di voler vivere ancora.
La notte è silenziosa, le strade quasi deserte. Guido con i finestrini socchiusi, l’aria estiva mi accarezza il viso, mentre nella testa rivedo ogni momento passato con Serena.
Dall’aperitivo spensierato al suo sguardo pieno di intenzione… fino a quel bacio in auto. E poi, il resto i suoi sospiri, la doccia, il calore del suo corpo, la sua voglia di darmi tutto.
Prima di scendere dall’auto, mi appoggio qualche secondo al volante e sorrido da solo.
Non mi sentivo così da tanto, forse da troppo. E un pò mi vergogno.
Abbiamo deciso, quasi senza dircelo, che quello che stava nascendo tra noi doveva restare riservato.
Per ora.
Il mio ruolo dirigenziale in azienda m’impedisce di impegnarmi con una collega. Ma anche la sua posizione, gli sguardi, i pettegolezzi… tutto ci invita alla discrezione.
Ma tra noi c’è qualcosa che urla, pur in silenzio.
La mattina dopo, nel mio ufficio, il tentativo di tornare alla quotidianità si infrange contro una realtà semplice:
non riesco a concentrarmi.
I numeri sullo schermo si confondono, le mail restano lì a metà, e ogni volta che guardo fuori dalla finestra, la vedo.
Serena.
Con il suo profumo, le sue mani, il suo sorriso che sapeva leggere dentro.
Ripercorro nella mente ogni gesto, ogni parola, ogni sussurro.
La sua voce che mi diceva "E tu ?"
Il modo in cui si è abbandonata, fiera e vulnerabile allo stesso tempo.
E proprio mentre sto cercando invano di tornare in carreggiata, il mio cellulare vibra sul tavolo.
Un messaggio.
Serena.
"Ciao Max…
So che è presto, ma non riesco a togliermi dalla testa la serata di ieri. È stato tutto magnifico, inaspettato, intenso… e tu sei stato sorprendente, in ogni modo possibile.
Ho ancora addosso la tua presenza, la tua forza, le tue mani, il tuo respiro.
Non so se anche tu… ma io non vedo l’ora di rivederti.
Il prima possibile.
Serena."
Mi blocco, il cuore che fa un sobbalzo. Rileggo lentamente ogni parola, lasciando che il suo messaggio mi attraversi.
È lei. È autentica. E vuole rivedermi.
Rispondo subito, d’istinto, senza riflettere troppo:
"Serena…
Ti penso da quando ho chiuso la porta di casa. Ogni istante, ogni immagine, ogni tuo gesto è ancora vivo in me.
È stata una serata che non dimenticherò mai. E se anche per te è stato così, allora voglio solo una cosa: riviverla.
Presto.
Anche io non riesco a pensare ad altro che a te."
Premo invia.
Poi mi appoggio allo schienale e chiudo gli occhi.
Non è solo attrazione.
È qualcosa che mi sta cambiando dentro.
E io voglio lasciarmi cambiare.
Il giorno dopo decido di fare un passo importante in direzione di Serena, invitandola a trascorrere il weekend a casa mia. Così prima di andare a dormire compongo un messaggio che non si limita a darle la buona notte:
"Serena, stavo pensando… che ne dici di una cena a casa mia venerdì sera? Cucino io, prometto di impegnarmi. E… se ti va, potresti restare anche per il weekend. Così, senza orari né fretta. Solo noi. Mi piacerebbe trascorre il weekend con te."
La risposta arriva quasi subito.
"Lo vorrei tanto, Max. Quel ‘solo noi’ suona come una carezza. Venerdì cena da te. E sì, mi fermo. Con tutto il cuore."
Il messaggio mi scalda dentro come un abbraccio silenzioso.
I pochi giorni che ci separano da quel venerdì sembrano passare più veloci del previsto, eppure ogni sera porta con sé un frammento di attesa, un sussurro che si insinua nei pensieri.
Serena, ogni sera prima di addormentarsi stringe al petto il cellulare con la mia buona notte ed il ricordo del nostro incontro vive come un film nella sua mente.
Immersa nella penombra della sua camera. Il cellulare tra le mani, lo schermo ancora acceso con l’ultima notifica: -Buona notte, Serena… sognami-
Sorride.
Le labbra si piegano in un’espressione morbida, un po’ stanca, un po’ innamorata.
Sfiora il display con la punta delle dita, come se potesse sentire la sua voce lì, imprigionata tra le parole.
Il suo pensiero torna a quella sera, alla doccia, al modo in cui lui l’ho tenuta tra le braccia come se fosse preziosa.
Alla forza gentile delle mie mani, al modo in cui l’ho guardata negli occhi quando lei non riusciva più a trattenere il piacere.
Ogni istante è ancora lì, vivo sulla sua pelle.
Non era mai stata così… sorpresa. Così presa.
Chiude gli occhi.
La mano scivola piano sotto la stoffa della maglietta da notte. Un gesto lento, delicato. Non è impazienza. È nostalgia del corpo dell’altro.
Del mio corpo.
Si accarezza con dolcezza, come se volesse risvegliare in sé la memoria fisica di ciò che ha provato.
La doccia. I baci. Le mie mani che la cercavano come se l’avessero sempre conosciuta.
E in quell’abbandono silenzioso, arriva piano il piacere. Non violento, ma profondo, avvolgente. Come una marea gentile. Erano secoli che non si masturbava, quasi ne avesse persa la memoria.
Un respiro più marcato. Un lieve tremito. Poi il silenzio.
Serena si morde il labbro, le guance arrossate, gli occhi lucidi di emozione, tanto nella penombra della camera da letto è sola.
Si volta sul fianco, stringendo il cuscino come se fosse lui.
E poco prima di addormentarsi, sussurra a voce bassa:
-Max-
I giorni scorrono lenti e vibranti di attesa.
Anche se le ore in ufficio sono fitte di impegni e responsabilità, il pensiero torna sempre lì, a Serena.
Non passa un’ora senza che qualcosa, un profumo, un tono di voce, un gesto non me la riporti alla mente.
Ci incrociamo spesso, anche se il destino sembra divertirsi a farlo accadere sempre quando siamo circondati dai colleghi.
Alla macchinetta del caffè, capita di arrivare insieme. Un saluto cordiale, neutro. Un cenno del capo, a volte un sorriso.
Niente che possa destare sospetti.
Ma basta uno sguardo, appena più lungo del dovuto, per sentire quella corrente elettrica attraversarmi la schiena.
In mensa è peggio.
Lei arriva con due collaboratrici del marketing, io sono già seduto con i miei colleghi.
I nostri tavoli sono distanti, ma non abbastanza da impedirci di incrociare gli occhi per una frazione di secondo.
Poi torniamo a parlare con gli altri, fingendo interesse per il progetto di turno, mentre dentro di noi c’è un incendio che cerchiamo di domare con la disciplina.
Il telefono è diventato il nostro rifugio segreto.
Scorrono brevi messaggi, a tratti ironici, a tratti più intensi.
-Oggi sei molto serio, Max. Ma ti stava bene quella camicia-
-Sei bellissima anche con quegli occhiali da pc. O forse soprattutto con quelli-
-Non vedo l’ora che sia venerdì. Sto contando le ore-
La distanza fisica sembra quasi aumentare il desiderio.
Io torno spesso, con la mente, alla notte che abbiamo vissuto.
Ma anche a come ci siamo lasciati: con l’intesa di chi ha appena scoperto qualcosa di raro, da non sprecare.
E venerdì si avvicina.
La bolla che ci avvolge è sottile, ma intatta.
E la promessa che ci attende è fatta di pelle, emozione e intimità.
Una cena, una casa, due cuori che cercano qualcosa di più.
Quando il campanello suona, mi sembra di trattenere il fiato.
Mi passo una mano sui capelli, controllo d’istinto il grembiule, quello spiritoso che ho scelto per dare un tono più leggero alla serata, e vado ad aprire.
Appena la porta si apre, eccola.
Serena.
Bellissima.
Di una bellezza che non ostenta, che non cerca approvazione.
Una gonna beige morbida, leggermente ondulata, che si muove insieme a lei come seta al vento.
Una camicetta bianca, trasparente il giusto, che disegna i contorni del suo corpo senza scoprirli.
I capelli sono acconciati ma liberi, raccolti con grazia sopra le spalle, come se la giornata fosse stata lunga ma lei volesse comunque arrivare al meglio.
Resto un attimo immobile sulla soglia, rapito.
Lei sorride, mi guarda da capo a piedi e si morde appena il labbro.
-Ma che meraviglia questo chef in grembiule!- scherza, varcando la soglia con passo leggero.
-Riservo il meglio solo per le occasioni speciali- Rispondo, mentre chiudo la porta alle sue spalle.
Le sfioro il fianco con una mano, il contatto è fugace ma basta a farci tremare entrambi.
Ci scambiamo un bacio delicato, quasi casto.
Ma dentro quel bacio c’è tutto: l’attesa, il rispetto, la voglia di non bruciare niente.
Le offro un bicchiere di vino bianco, fresco al punto giusto e lo beviamo in piedi in cucina, mentre sono concentrato a cucinare un risotto con i funghi.
La luce è soffusa, la musica in sottofondo è scelta con cura: un po’ di jazz, qualche nota di nostalgia.
Alziamo i calici, intrecciando le braccia.
-A noi due- sussurro.
Lei mi guarda dritto negli occhi.
-A noi due- ripete, con una voce che già sa di promessa.
La cucina profuma di brodo e burro, con quella punta di vino bianco che ha sfumato il riso poco prima che diventasse cremoso.
Concentrato e fiero del mio lavoro, impiatto con cura: un cucchiaio abbondante per lei, disposto al centro del piatto come fosse il piatto forte di un ristorante stellato, poi completo con una spolverata di parmigiano e un filo d’olio.
-Chef Max al servizio!- Esclamo con tono teatrale ma con tanto orgoglio, mentre appoggio il piatto davanti a Serena.
Lei ride, felice, e il suo sguardo è pieno di luce.
-Non avrei mai pensato di finire la settimana con un risotto fatto in casa… e servito così.-
«E non sarà l’ultima volta,» rispondo riempiendo anche il mio piatto. «Cucinare mi rilassa. E... be’, quando c’è qualcuno come te a cui cucinare, diventa ancora più piacevole.»
Al centro del tavolo, una bottiglia di rosso elegante, morbido e profumato, prende il posto del bianco iniziale.
Lo verso nei calici con cura, e brindiamo ancora una volta, questa volta in silenzio, lasciando che i nostri sguardi parlino da soli.
Il primo boccone le strappa un sospiro genuino.
-È buonissimo, davvero. Cremoso, saporito al punto giusto. Lo hai fatto tu davvero o c’è uno chef chiuso in camera da letto?-
Scoppio a ridere. -Tutto opera mia. Ma se vuoi vedere la cucina, posso farti fare un giro dietro le quinte.-
Mentre mangiamo, la conversazione si scioglie e prende vie leggere, divertenti.
Spettegoliamo con ironia sui colleghi, ridendo dei vezzi di chi prende troppo sul serio i pranzi in mensa o delle email lunghissime inviate solo per ribadire ovvietà. E noto che a Serena piace molto spettegolare sui colleghi, ma soprattutto sulle colleghe.
-Hai notato che Morena piega sempre il tovagliolo sulla gamba sinistra, anche se non lo usa mai?-
-E che Silvia mette sempre il badge sul collo anche quando siamo fuori sede?-
Ridiamo, senza cattiveria, con la complicità di chi ha condiviso decine di pause caffè, e ora scopre che dietro quelle pause c’è qualcosa di più.
Anche le futilità assumono un sapore diverso, perché a tavola con noi non c’è solo il cibo, ma anche il piacere di stare insieme, di riconoscersi nei dettagli, di voler scoprire sempre di più l’uno dell’altra.
E in mezzo a quella cena semplice, in casa, con il vino che scorre lento e le risate che riempiono gli spazi, sento che ci stiamo divertendo davvero, e che ogni gesto, ogni battuta, ogni sorriso, ci sta avvicinando sempre di più.
Il risotto è stato un successo, ma non mi lascio andare troppo alla soddisfazione: è il momento dell’arrosto, che avevo preparato con cura la sera prima ed ora passato in forno. Lo affetto con calma in cucina, mentre Serena, ancora seduta al tavolo, mi osserva con quel mezzo sorriso che ormai mi fa battere il cuore.
-Profumo delizioso- dice, respirando a fondo mentre appoggio nel suo piatto due fette di arrosto ben dorate, accompagnate da patate croccanti al rosmarino.
-Spero che sia buono come sembra-
-Dopo il risotto, mi fido ciecamente di te-
Mangiamo lentamente, assaporando ogni boccone. Il vino rosso accompagna bene anche la carne e ci regala una leggerezza allegra, una morbidezza nei gesti, nei sorrisi, che rende tutto ancora più intimo.
Non c'è fretta. La serata è tutta per noi.
Quando tolgo i piatti e ritorno con due coppette fredde di gelato al fior di latte, sormontate da fragole fresche, lei allunga una mano e mi sfiora il braccio.
-Non dovevi esagerare così… ma sono felice che tu l’abbia fatto-
Le sorrido.
Il dolce, con quel gelato al fior di latte appena ammorbidito dal calore dell’ambiente e le fragole rosse e succose, si presta a un gioco improvviso e complice.
-Fammi assaggiare…- dice Serena con un tono tra il malizioso e il divertito, protendendo il viso verso di me.
Prendo un cucchiaino colmo e glielo porto lentamente alle labbra. Lei apre la bocca con una finta solennità, come se stessimo compiendo un rituale antico, e poi chiude gli occhi per assaporare meglio.
-Delizioso.-
-Il gelato?-
-Anche.- Mi sorride, lasciando in sospeso il resto.
Poi tocca a lei. Riempiendo il cucchiaino con una precisione teatrale, lo solleva verso di me. Ma mentre lo avvicina, ruota appena il polso e una goccia bianca le scivola sul dito. Serena ride e, prima che possa fare qualsiasi cosa, si lecca il dito con disinvoltura, senza mai distogliere lo sguardo dal mio.
-Ops…-
-Mi sa che è il tuo modo di distrarmi.-
-Sta funzionando?-
-Terribilmente.-
A quel punto la complicità prende il sopravvento. Ci imbocchiamo a vicenda, ridendo a ogni tentativo goffo, a ogni sbavatura di gelato che finisce su un angolo delle labbra o, nel mio caso, sul mento.
Aspetta, ti aiuto io…- dice lei, chinandosi per pulirmi con un tovagliolo, ma il suo gesto si trasforma in una carezza lieve, quasi involontaria, che rimane un po’ più a lungo del necessario fra le mie gambe.
In quell’istante, la temperatura della serata cambia.
Il calore non viene più solo dal vino o dalle luci soffuse della sala, ma da quella vicinanza carica di promesse, da quel gioco che si sta facendo sempre meno innocente.
I nostri occhi ora si cercano con un’intensità diversa.
La leggerezza cede il passo al desiderio.
Serena incrocia le gambe lentamente, lasciando intravedere un istante la pelle chiara sotto la gonna leggera. Appoggio il cucchiaino e mi perdo in quel momento, sapendo che il bello… deve ancora iniziare.
Mi alzo lentamente, lasciando che la sedia scivoli indietro sul pavimento con un suono morbido. Serena rimane seduta, lo sguardo fisso su di me. Ha le mani raccolte in grembo, le labbra ancora umide di vino e risate. Non dice nulla, ma i suoi occhi parlano chiaro: sta assaporando il momento, trattenendo il respiro in attesa della mia prossima mossa. Sa che qualcosa sta per cambiare, e non ha nessuna intenzione di fermarlo.
Mi porto alle sue spalle. L’aroma dei suoi capelli mi colpisce subito, un misto inebriante di femminilità e mistero. Mi chino e le sfioro il collo con un bacio leggerissimo, sentendo la pelle fremere sotto le mie labbra. Le mani si muovono lente, come guidate da un istinto antico, accarezzandole le braccia, poi scivolando sulle sue spalle, sfiorandole la schiena attraverso il tessuto sottile della camicetta. Ogni contatto è una scintilla, ogni gesto una promessa.
Poi inizio a baciarla davvero, con lentezza e decisione. Il suo respiro si fa più profondo, più irregolare.
All’improvviso si alza di scatto, come se non potesse più contenersi. Mi abbraccia con forza, il suo corpo che si incolla al mio in un gesto istintivo, totalizzante. Poi si gira leggermente, inclinando il viso verso di me, e mi sussurra con una voce che vibra di emozione:
-L’altra volta, quando mi hai stretta da dietro… è stato bellissimo-
E senza aggiungere altro, si abbandona contro di me, la sua schiena aderente al mio busto, cercando quel contatto che entrambi desideriamo da giorni. La sua fiducia, il modo in cui si offre senza parole, mi attraversa come una scossa.
Il tessuto della sua camicetta è sottile, ma è la gonna – quella gonna beige leggera che ondeggiava mentre camminava – a rivelarmi qualcosa di più. Quando la mia mano si posa sul suo ventre e l’altra scivola lentamente verso il basso, capisco che non è stata una scelta casuale.
Lei si muove leggermente, seguendo il percorso delle mie dita, e con un sospiro caldo mi confessa, con un tono quasi divertito ma carico di tensione:
-L’ho messa apposta, sai? Questa gonna… Perché l’altra volta, quando mi hai stretta contro di te, mi è piaciuto da morire.-
Quelle parole mi colpiscono con forza. Mi confermano che ogni gesto, ogni sguardo, ogni sfioramento di quella sera non era stato frutto del caso, ma desiderato, evocato, atteso.
Il tessuto si solleva facilmente sotto la mia mano, rivelando la seta sottile delle sue mutandine e la sua pelle già calda, tesa, viva. Lei si tende verso di me, si lascia attraversare da quel contatto, come se fosse stato il vero motivo della sua venuta.
Il suo respiro accelera. Le sue mani cercano le mie, guidandole con dolcezza, ma senza esitazione. E in quell’intimità silenziosa, so che lei vuole rivivere quel momento.
Serena si abbandona completamente tra le mie braccia, con la schiena aderente al mio petto, il capo reclinato appena di lato, gli occhi chiusi. Sento il suo respiro farsi più caldo, più profondo, e il suo corpo cede alla mia presa, fiduciosa. Le mie dita la sfiorano con una lentezza studiata, con attenzione, cercando i suoi punti più sensibili, là dove il piacere si fa vivo e trema sotto la pelle.
È già bagnata, calda, pronta. La mia mano si muove con sicurezza ma anche con estrema delicatezza, come se stessi toccando qualcosa di sacro. Le sue mutandine, leggere come la gonna che ha scelto per me, non riescono a nascondere quanto desideri tutto questo. Sento il suo ventre tendersi sotto la mia mano, e il suo corpo fremere a ogni movimento, a ogni carezza più profonda.
Geme piano, senza vergogna. Il suono è basso, rotondo, sincero. Una confessione sussurrata con il corpo. Si stringe a me con forza, le sue mani scivolano lungo le mie braccia, come a voler farmi capire che sta sentendo ogni cosa, che ogni mio gesto sta toccando corde invisibili.
Le dita insistono con attenzione dove il suo piacere è più vivo, le accarezzo il clitoride con tocchi delicati ma decisi, alternando ritmo e pressione, lasciandole il tempo di sentire, di aspettare, di desiderare ancora. La sua voce diventa un sussurro spezzato, il respiro si fa disordinato, il suo corpo si inarca contro di me. Le sue mani ora cercano un appiglio, qualcosa che la tenga salda mentre tutto dentro di lei si scioglie.
Il suo piacere cresce, lo sento. Si muove con me, si lascia guidare, mentre io la tengo stretta, proteggendola e conducendola fino in fondo.
Il suo corpo è morbido e teso allo stesso tempo, appoggiato contro il mio con abbandono e desiderio. La mia mano si muove con dolce precisione, guidata dai suoi gemiti che diventano sempre più profondi, quasi un canto soffocato, vibrante. Serena inclina il capo all’indietro, poggiandolo sulla mia spalla, i capelli che sfiorano la mia guancia, mentre il suo respiro si fa corto, spezzato, urgente.
Sento le sue dita afferrarmi l’avambraccio, cercando un appiglio tra l’inevitabile e il desiderato. Il suo ventre si contrae in piccoli scatti, il bacino preme contro il mio, cercando più contatto, più intensità. E poi, d’un tratto, tutto esplode.
Il suo corpo si tende in un arco perfetto, un gemito lungo, profondo e gutturale le scappa dalle labbra, mentre il suo interno vibra, trema, pulsa di piacere. Le sue gambe cedono per un istante, ma la mia stretta la sostiene, la contiene, la protegge.
Le sue mani cercano il mio fianco, le dita si aggrappano alla mia camicia, i respiri diventano spasmi caldi e disordinati. La sento fremere contro di me, scossa da quell’onda che sale e poi la travolge come una marea silenziosa ma inarrestabile.
E io resto lì, immobile e presente, un rifugio solido mentre lei attraversa ogni secondo di quel piacere, lasciandosi andare, completamente.
Il corpo di Serena è ancora scosso da piccoli fremiti, segno che l’onda del piacere appena vissuto sta lentamente ritirandosi, lasciandola languida tra le mie braccia. Le accarezzo piano il ventre, assecondando il ritmo del suo respiro che pian piano si fa più regolare, mentre i suoi occhi restano chiusi, il viso ancora acceso di piacere e stupore.
Quando sento che si è placata, la sollevo con delicatezza, tenendola tra le mie braccia come qualcosa di prezioso. Lei non dice nulla, ma il suo abbandonarsi a me parla più di mille parole. La conduco verso la camera da letto, illuminata da una luce morbida e calda, e la adagio con dolcezza sul letto. Serena apre gli occhi e mi guarda: c’è un misto di tenerezza, attesa e una scintilla viva di desiderio.
Mi stendo accanto a lei, le accarezzo il viso con il dorso della mano, e le labbra tornano a cercarsi, lente, affamate, morbide. I baci si moltiplicano, si spostano, scivolano lungo la sua pelle con pazienza e intenzione, seguendo il respiro che di nuovo accelera. La mia bocca raggiunge le sue spalle, poi il ventre, poi ancora più in basso, mentre le mie mani scivolano lungo i suoi fianchi per sfilarle le mutandine leggere, intrise del suo piacere.
Serena trattiene il fiato quando le tolgo l’ultimo velo di stoffa, come se si sentisse improvvisamente più nuda, più vulnerabile. Ma non c’è imbarazzo, solo fiducia. E poi sorpresa, quando si accorge di ciò che sto per fare.
Mi sistemo tra le sue gambe e inizio a baciarla lì, è la prima volta che qualcuno la baci li, per Serena è una cosa nuova con il suo ex non l’aveva mai fatto.
All’inizio resta immobile, quasi incredula, poi il suo corpo si rilassa e si tende al tempo stesso. Le mani affondano nelle lenzuola, il collo si piega indietro, e un suono rotondo e spezzato le esce dalle labbra.
Con la lingua le do piacere con lentezza e dedizione, ascoltando ogni suo movimento, ogni sospiro, ogni gemito trattenuto. È una danza silenziosa, intima, fatta di esplorazione e accoglienza. Serena mi accoglie con tutta se stessa, aprendosi non solo nel corpo, ma anche nell’anima. Si lascia andare, meravigliata e travolta.
Mentre assaporo il suo piacere, sento la mia eccitazione crescere, farsi viva, quasi impaziente. Il mio membro è gonfio, duro, pienamente eretto, premuto contro il materasso. Lo sento pulsare, imprigionato nei pantaloni ancora addosso, un richiamo primitivo e inevitabile che vibra dentro di me con insistenza.
Ogni movimento della mia lingua, ogni risposta del suo corpo, alimenta quel fuoco che brucia tra le mie gambe. La desidero. La desidero profondamente. Ma in quel momento non c'è fretta, non c’è altro che lei. Il suo profumo, il suo calore, il suo corpo che si apre sotto la mia bocca e che si prepara, tremando, ad accogliere di nuovo l’ondata del piacere.
E io resto lì, in ascolto del suo piacere, dedito solo a lei fino a quando il suo respiro si spezza, come se qualcosa dentro di lei si fosse appena dischiuso. Il suo ventre si tende, le gambe si irrigidiscono un istante per poi tremare in un’ondata che parte dal profondo e risale fino al petto. Un lungo, profondo gemito le esce dalle labbra, roco, pieno, liberatorio.
Il suo corpo si inarca, cercando più contatto, più piacere, poi si abbandona, scosso da brividi che la attraversano come onde successive, sempre più dolci, sempre più dense. Le sue dita stringono le lenzuola, le cosce si chiudono intorno al mio capo in un gesto istintivo, mentre un fremito continuo la percorre.
Ogni fibra del suo essere vibra di piacere, un piacere totale, che la prende e la travolge senza lasciarle respiro, senza darle tregua. È un orgasmo che non è solo fisico: è qualcosa che la apre, la libera, la svela.
E quando finalmente si placa, resta lì, distesa, il corpo ancora teso come la corda di un violino appena sfiorata. Il petto si solleva in respiri profondi, il viso è arrossato, gli occhi chiusi, le labbra socchiuse in un sorriso stanco e incredulo. Piano piano la spoglio della gonna e della camicetta lasciandola completamente nuda.
Mi alzo lentamente sul letto, sento il materasso che affonda leggermente sotto il mio peso. I suoi occhi mi seguono, curiosi e accesi, mentre con gesti rapidi e decisi mi libero dei pantaloni. I boxer sono ancora lì, ma la mia erezione è evidente, preme ostinatamente contro il tessuto ormai inutile.
Serena, sdraiata davanti a me, mi osserva in silenzio. Le labbra socchiuse, lo sguardo colmo di desiderio e di quella meraviglia che non è più solo sorpresa, ma un riconoscimento sincero di ciò che sente di volere ancora. Aveva già intravisto il mio desiderio, sì… ma ora che lo rivede, nitido, potente, lo stupore sul suo viso è come la prima volta.
Si solleva appena, senza distogliere gli occhi dai miei, e con movimenti delicati mi sfila lentamente i boxer. Il mio membro si libera, scivola contro la sua guancia nel rialzarsi con naturalezza, come guidato da un istinto proprio. Serena resta ferma un istante, il viso sfiorato dalla mia virilità, il respiro caldo sulla mia pelle.
Non dice nulla, ma i suoi occhi parlano per lei. Non c’è imbarazzo. Solo desiderio. Rispetto. Intesa.
Mi stendo accanto a lei, il respiro ancora affannato per il desiderio trattenuto. La guardo un istante, così bella, così rilassata dopo l’ondata di piacere appena vissuta. Ho imparato in fretta a conoscere i suoi gesti, i segnali sottili del suo corpo. So che le piace essere avvolta, sentirsi contenuta, protetta.
Così, con dolcezza, la giro sul fianco e mi sistemo dietro di lei. Le mie braccia la cercano come per istinto, una la avvolge in un abbraccio naturale, l’altra la tira delicatamente a me. Il mio sesso, duro, teso, preme contro la sua schiena nuda, caldo del nostro desiderio. Lei si lascia andare, il suo corpo si abbandona al mio, come se fosse il posto più sicuro dove stare.
Con un gesto lento e controllato, guido il mio membro tra le sue cosce, trovando la via tra le sue labbra umide, ancora tese per l’emozione precedente. Inizio a entrare in lei piano, molto piano, cercando il ritmo giusto, la profondità giusta, accompagnato solo dal suo respiro che cambia, si fa corto, trattenuto.
È una sensazione nuova per lei, lo sento nei piccoli movimenti del suo corpo. Non era mai stata penetrata così, in quella posizione intima, stretta tra le mie braccia, mentre tutto il mio corpo la accoglieva con calma, come se volessi raccontarle qualcosa solo attraverso l’unione.
Davanti a noi, l’anta lucida dell’armadio riflette la scena. Nello specchio vedo i nostri corpi, incastrati in un amplesso che ha qualcosa di primitivo e allo stesso tempo dolcissimo. Mi colpisce quanto questa immagine richiami quella del nostro primo incontro nella casa di Serena, quando la sua figura minuta si rifletteva nell’ingresso mentre il mio corpo la stringeva da dietro. Anche ora, come allora, lo specchio ci cattura in un momento di totale abbandono, ma con qualcosa in più: la consapevolezza di un desiderio che cresce e si fa più profondo.
Il suo viso è contratto all’inizio, per lo sforzo di accogliermi, ma poi, lentamente, si scioglie in una meraviglia di sensazioni. E io, osservando il suo piacere riflesso, mi sento travolto da un’emozione che va ben oltre il desiderio fisico un’intimità nuova, irripetibile, che ci avvolge e ci lega.
Mentre il mio bacino inizia a muoversi con un ritmo più fluido, la mia mano scivola lungo il suo ventre e poi giù, dove il piacere si concentra. Le sfioro il clitoride con delicatezza, come se volessi accenderla poco a poco. E lei, in risposta, geme piano, quasi sussurrando il suo abbandono, la sua gratitudine. Il nostro amplesso diventa danza, respiro condiviso, estasi crescente.
Il ritmo si fa più lento ma profondo, carico di significato. Serena è distesa su un fianco, le sue spalle appoggiate al mio petto, la schiena leggermente inarcata, seguendo il mio movimento con un abbandono che racconta fiducia, desiderio, appartenenza. Le mie mani la stringono con dolce fermezza: una sul ventre, l’altra ancora posata dove può regalarle brividi e piacere. I suoi gemiti si fondono con il mio respiro che le accarezza il collo.
Davanti a noi, l’anta lucida dell’armadio riflette ogni dettaglio: le nostre silhouette avvinghiate, la mia figura che la contiene, il suo viso prima contratto nello sforzo di accogliermi, poi, piano, disteso in un’estasi crescente. La scena che si riflette nello specchio sembra echeggiare quella del nostro primo incontro, davanti allo specchio dell’ingresso di casa sua: lo stesso riflesso, la stessa luce di desiderio che ci unisce.
Sento che il culmine è vicino. La mia eccitazione pulsa forte, irrefrenabile. Mi stacco appena da lei, il mio membro teso e lucido scivola fuori dal suo calore, e Serena si adagia sul fianco con grazia, la pelle arrossata dal piacere. I suoi occhi mi cercano, aperti, profondi. Si offre al mio sguardo e al mio piacere con un sorriso intimo, senza parole.
Con una mano guido il mio sesso, e il primo getto caldo le colpisce il ventre, seguito da un secondo più potente, che le accarezza il seno e si apre su di lei come un fiore. Altri rivoli scivolano sulla sua pelle, coprendole la pancia e le costole in un disegno liquido e sincero, che parla di me, del mio desiderio per lei, del piacere che abbiamo condiviso. Serena chiude gli occhi, poi li riapre, e nel suo sguardo vedo soddisfazione, dolcezza, quasi meraviglia.
Serena rimane distesa sul fianco, il respiro ancora affannato, il corpo ancora tremante di piacere. Il mio seme, caldo e denso, le vela la pelle della pancia e del seno in rivoli lucidi, come un sigillo intimo della passione appena consumata. Lei abbassa gli occhi e, con un gesto spontaneo e premuroso, porta le mani a raccoglierlo con delicatezza, cercando di non farlo colare sulle lenzuola.
Il suo gesto mi sorprende. Non è solo la cura, non è solo il pudore: è quella dolce attenzione, quell’eleganza istintiva nel prendersi cura del nostro momento, a colpirmi nel profondo. Rimango per un attimo immobile a guardarla, come se quel semplice gesto dicesse molto più di mille parole.
La giro sulla schiena e, senza pensare, piego il busto verso di lei e la bacio. Un bacio morbido, lento, pieno di gratitudine e desiderio che ancora vibra, ma già si trasforma in un sentimento più ampio, più profondo. Lei mi sorride fra le labbra, mentre le sue mani sono ancora occupate a contenere il nostro segreto. Il suo viso è vicino al mio, rilassato, sereno, come se ogni cosa fosse al suo posto.
In quel momento, così semplice e così intimo, capisco quanto sia speciale averla lì con me, tra le mie braccia, in quella notte che già profuma di qualcosa che va oltre il desiderio.
stemmy75@gmail.com
La notte è silenziosa, le strade quasi deserte. Guido con i finestrini socchiusi, l’aria estiva mi accarezza il viso, mentre nella testa rivedo ogni momento passato con Serena.
Dall’aperitivo spensierato al suo sguardo pieno di intenzione… fino a quel bacio in auto. E poi, il resto i suoi sospiri, la doccia, il calore del suo corpo, la sua voglia di darmi tutto.
Prima di scendere dall’auto, mi appoggio qualche secondo al volante e sorrido da solo.
Non mi sentivo così da tanto, forse da troppo. E un pò mi vergogno.
Abbiamo deciso, quasi senza dircelo, che quello che stava nascendo tra noi doveva restare riservato.
Per ora.
Il mio ruolo dirigenziale in azienda m’impedisce di impegnarmi con una collega. Ma anche la sua posizione, gli sguardi, i pettegolezzi… tutto ci invita alla discrezione.
Ma tra noi c’è qualcosa che urla, pur in silenzio.
La mattina dopo, nel mio ufficio, il tentativo di tornare alla quotidianità si infrange contro una realtà semplice:
non riesco a concentrarmi.
I numeri sullo schermo si confondono, le mail restano lì a metà, e ogni volta che guardo fuori dalla finestra, la vedo.
Serena.
Con il suo profumo, le sue mani, il suo sorriso che sapeva leggere dentro.
Ripercorro nella mente ogni gesto, ogni parola, ogni sussurro.
La sua voce che mi diceva "E tu ?"
Il modo in cui si è abbandonata, fiera e vulnerabile allo stesso tempo.
E proprio mentre sto cercando invano di tornare in carreggiata, il mio cellulare vibra sul tavolo.
Un messaggio.
Serena.
"Ciao Max…
So che è presto, ma non riesco a togliermi dalla testa la serata di ieri. È stato tutto magnifico, inaspettato, intenso… e tu sei stato sorprendente, in ogni modo possibile.
Ho ancora addosso la tua presenza, la tua forza, le tue mani, il tuo respiro.
Non so se anche tu… ma io non vedo l’ora di rivederti.
Il prima possibile.
Serena."
Mi blocco, il cuore che fa un sobbalzo. Rileggo lentamente ogni parola, lasciando che il suo messaggio mi attraversi.
È lei. È autentica. E vuole rivedermi.
Rispondo subito, d’istinto, senza riflettere troppo:
"Serena…
Ti penso da quando ho chiuso la porta di casa. Ogni istante, ogni immagine, ogni tuo gesto è ancora vivo in me.
È stata una serata che non dimenticherò mai. E se anche per te è stato così, allora voglio solo una cosa: riviverla.
Presto.
Anche io non riesco a pensare ad altro che a te."
Premo invia.
Poi mi appoggio allo schienale e chiudo gli occhi.
Non è solo attrazione.
È qualcosa che mi sta cambiando dentro.
E io voglio lasciarmi cambiare.
Il giorno dopo decido di fare un passo importante in direzione di Serena, invitandola a trascorrere il weekend a casa mia. Così prima di andare a dormire compongo un messaggio che non si limita a darle la buona notte:
"Serena, stavo pensando… che ne dici di una cena a casa mia venerdì sera? Cucino io, prometto di impegnarmi. E… se ti va, potresti restare anche per il weekend. Così, senza orari né fretta. Solo noi. Mi piacerebbe trascorre il weekend con te."
La risposta arriva quasi subito.
"Lo vorrei tanto, Max. Quel ‘solo noi’ suona come una carezza. Venerdì cena da te. E sì, mi fermo. Con tutto il cuore."
Il messaggio mi scalda dentro come un abbraccio silenzioso.
I pochi giorni che ci separano da quel venerdì sembrano passare più veloci del previsto, eppure ogni sera porta con sé un frammento di attesa, un sussurro che si insinua nei pensieri.
Serena, ogni sera prima di addormentarsi stringe al petto il cellulare con la mia buona notte ed il ricordo del nostro incontro vive come un film nella sua mente.
Immersa nella penombra della sua camera. Il cellulare tra le mani, lo schermo ancora acceso con l’ultima notifica: -Buona notte, Serena… sognami-
Sorride.
Le labbra si piegano in un’espressione morbida, un po’ stanca, un po’ innamorata.
Sfiora il display con la punta delle dita, come se potesse sentire la sua voce lì, imprigionata tra le parole.
Il suo pensiero torna a quella sera, alla doccia, al modo in cui lui l’ho tenuta tra le braccia come se fosse preziosa.
Alla forza gentile delle mie mani, al modo in cui l’ho guardata negli occhi quando lei non riusciva più a trattenere il piacere.
Ogni istante è ancora lì, vivo sulla sua pelle.
Non era mai stata così… sorpresa. Così presa.
Chiude gli occhi.
La mano scivola piano sotto la stoffa della maglietta da notte. Un gesto lento, delicato. Non è impazienza. È nostalgia del corpo dell’altro.
Del mio corpo.
Si accarezza con dolcezza, come se volesse risvegliare in sé la memoria fisica di ciò che ha provato.
La doccia. I baci. Le mie mani che la cercavano come se l’avessero sempre conosciuta.
E in quell’abbandono silenzioso, arriva piano il piacere. Non violento, ma profondo, avvolgente. Come una marea gentile. Erano secoli che non si masturbava, quasi ne avesse persa la memoria.
Un respiro più marcato. Un lieve tremito. Poi il silenzio.
Serena si morde il labbro, le guance arrossate, gli occhi lucidi di emozione, tanto nella penombra della camera da letto è sola.
Si volta sul fianco, stringendo il cuscino come se fosse lui.
E poco prima di addormentarsi, sussurra a voce bassa:
-Max-
I giorni scorrono lenti e vibranti di attesa.
Anche se le ore in ufficio sono fitte di impegni e responsabilità, il pensiero torna sempre lì, a Serena.
Non passa un’ora senza che qualcosa, un profumo, un tono di voce, un gesto non me la riporti alla mente.
Ci incrociamo spesso, anche se il destino sembra divertirsi a farlo accadere sempre quando siamo circondati dai colleghi.
Alla macchinetta del caffè, capita di arrivare insieme. Un saluto cordiale, neutro. Un cenno del capo, a volte un sorriso.
Niente che possa destare sospetti.
Ma basta uno sguardo, appena più lungo del dovuto, per sentire quella corrente elettrica attraversarmi la schiena.
In mensa è peggio.
Lei arriva con due collaboratrici del marketing, io sono già seduto con i miei colleghi.
I nostri tavoli sono distanti, ma non abbastanza da impedirci di incrociare gli occhi per una frazione di secondo.
Poi torniamo a parlare con gli altri, fingendo interesse per il progetto di turno, mentre dentro di noi c’è un incendio che cerchiamo di domare con la disciplina.
Il telefono è diventato il nostro rifugio segreto.
Scorrono brevi messaggi, a tratti ironici, a tratti più intensi.
-Oggi sei molto serio, Max. Ma ti stava bene quella camicia-
-Sei bellissima anche con quegli occhiali da pc. O forse soprattutto con quelli-
-Non vedo l’ora che sia venerdì. Sto contando le ore-
La distanza fisica sembra quasi aumentare il desiderio.
Io torno spesso, con la mente, alla notte che abbiamo vissuto.
Ma anche a come ci siamo lasciati: con l’intesa di chi ha appena scoperto qualcosa di raro, da non sprecare.
E venerdì si avvicina.
La bolla che ci avvolge è sottile, ma intatta.
E la promessa che ci attende è fatta di pelle, emozione e intimità.
Una cena, una casa, due cuori che cercano qualcosa di più.
Quando il campanello suona, mi sembra di trattenere il fiato.
Mi passo una mano sui capelli, controllo d’istinto il grembiule, quello spiritoso che ho scelto per dare un tono più leggero alla serata, e vado ad aprire.
Appena la porta si apre, eccola.
Serena.
Bellissima.
Di una bellezza che non ostenta, che non cerca approvazione.
Una gonna beige morbida, leggermente ondulata, che si muove insieme a lei come seta al vento.
Una camicetta bianca, trasparente il giusto, che disegna i contorni del suo corpo senza scoprirli.
I capelli sono acconciati ma liberi, raccolti con grazia sopra le spalle, come se la giornata fosse stata lunga ma lei volesse comunque arrivare al meglio.
Resto un attimo immobile sulla soglia, rapito.
Lei sorride, mi guarda da capo a piedi e si morde appena il labbro.
-Ma che meraviglia questo chef in grembiule!- scherza, varcando la soglia con passo leggero.
-Riservo il meglio solo per le occasioni speciali- Rispondo, mentre chiudo la porta alle sue spalle.
Le sfioro il fianco con una mano, il contatto è fugace ma basta a farci tremare entrambi.
Ci scambiamo un bacio delicato, quasi casto.
Ma dentro quel bacio c’è tutto: l’attesa, il rispetto, la voglia di non bruciare niente.
Le offro un bicchiere di vino bianco, fresco al punto giusto e lo beviamo in piedi in cucina, mentre sono concentrato a cucinare un risotto con i funghi.
La luce è soffusa, la musica in sottofondo è scelta con cura: un po’ di jazz, qualche nota di nostalgia.
Alziamo i calici, intrecciando le braccia.
-A noi due- sussurro.
Lei mi guarda dritto negli occhi.
-A noi due- ripete, con una voce che già sa di promessa.
La cucina profuma di brodo e burro, con quella punta di vino bianco che ha sfumato il riso poco prima che diventasse cremoso.
Concentrato e fiero del mio lavoro, impiatto con cura: un cucchiaio abbondante per lei, disposto al centro del piatto come fosse il piatto forte di un ristorante stellato, poi completo con una spolverata di parmigiano e un filo d’olio.
-Chef Max al servizio!- Esclamo con tono teatrale ma con tanto orgoglio, mentre appoggio il piatto davanti a Serena.
Lei ride, felice, e il suo sguardo è pieno di luce.
-Non avrei mai pensato di finire la settimana con un risotto fatto in casa… e servito così.-
«E non sarà l’ultima volta,» rispondo riempiendo anche il mio piatto. «Cucinare mi rilassa. E... be’, quando c’è qualcuno come te a cui cucinare, diventa ancora più piacevole.»
Al centro del tavolo, una bottiglia di rosso elegante, morbido e profumato, prende il posto del bianco iniziale.
Lo verso nei calici con cura, e brindiamo ancora una volta, questa volta in silenzio, lasciando che i nostri sguardi parlino da soli.
Il primo boccone le strappa un sospiro genuino.
-È buonissimo, davvero. Cremoso, saporito al punto giusto. Lo hai fatto tu davvero o c’è uno chef chiuso in camera da letto?-
Scoppio a ridere. -Tutto opera mia. Ma se vuoi vedere la cucina, posso farti fare un giro dietro le quinte.-
Mentre mangiamo, la conversazione si scioglie e prende vie leggere, divertenti.
Spettegoliamo con ironia sui colleghi, ridendo dei vezzi di chi prende troppo sul serio i pranzi in mensa o delle email lunghissime inviate solo per ribadire ovvietà. E noto che a Serena piace molto spettegolare sui colleghi, ma soprattutto sulle colleghe.
-Hai notato che Morena piega sempre il tovagliolo sulla gamba sinistra, anche se non lo usa mai?-
-E che Silvia mette sempre il badge sul collo anche quando siamo fuori sede?-
Ridiamo, senza cattiveria, con la complicità di chi ha condiviso decine di pause caffè, e ora scopre che dietro quelle pause c’è qualcosa di più.
Anche le futilità assumono un sapore diverso, perché a tavola con noi non c’è solo il cibo, ma anche il piacere di stare insieme, di riconoscersi nei dettagli, di voler scoprire sempre di più l’uno dell’altra.
E in mezzo a quella cena semplice, in casa, con il vino che scorre lento e le risate che riempiono gli spazi, sento che ci stiamo divertendo davvero, e che ogni gesto, ogni battuta, ogni sorriso, ci sta avvicinando sempre di più.
Il risotto è stato un successo, ma non mi lascio andare troppo alla soddisfazione: è il momento dell’arrosto, che avevo preparato con cura la sera prima ed ora passato in forno. Lo affetto con calma in cucina, mentre Serena, ancora seduta al tavolo, mi osserva con quel mezzo sorriso che ormai mi fa battere il cuore.
-Profumo delizioso- dice, respirando a fondo mentre appoggio nel suo piatto due fette di arrosto ben dorate, accompagnate da patate croccanti al rosmarino.
-Spero che sia buono come sembra-
-Dopo il risotto, mi fido ciecamente di te-
Mangiamo lentamente, assaporando ogni boccone. Il vino rosso accompagna bene anche la carne e ci regala una leggerezza allegra, una morbidezza nei gesti, nei sorrisi, che rende tutto ancora più intimo.
Non c'è fretta. La serata è tutta per noi.
Quando tolgo i piatti e ritorno con due coppette fredde di gelato al fior di latte, sormontate da fragole fresche, lei allunga una mano e mi sfiora il braccio.
-Non dovevi esagerare così… ma sono felice che tu l’abbia fatto-
Le sorrido.
Il dolce, con quel gelato al fior di latte appena ammorbidito dal calore dell’ambiente e le fragole rosse e succose, si presta a un gioco improvviso e complice.
-Fammi assaggiare…- dice Serena con un tono tra il malizioso e il divertito, protendendo il viso verso di me.
Prendo un cucchiaino colmo e glielo porto lentamente alle labbra. Lei apre la bocca con una finta solennità, come se stessimo compiendo un rituale antico, e poi chiude gli occhi per assaporare meglio.
-Delizioso.-
-Il gelato?-
-Anche.- Mi sorride, lasciando in sospeso il resto.
Poi tocca a lei. Riempiendo il cucchiaino con una precisione teatrale, lo solleva verso di me. Ma mentre lo avvicina, ruota appena il polso e una goccia bianca le scivola sul dito. Serena ride e, prima che possa fare qualsiasi cosa, si lecca il dito con disinvoltura, senza mai distogliere lo sguardo dal mio.
-Ops…-
-Mi sa che è il tuo modo di distrarmi.-
-Sta funzionando?-
-Terribilmente.-
A quel punto la complicità prende il sopravvento. Ci imbocchiamo a vicenda, ridendo a ogni tentativo goffo, a ogni sbavatura di gelato che finisce su un angolo delle labbra o, nel mio caso, sul mento.
Aspetta, ti aiuto io…- dice lei, chinandosi per pulirmi con un tovagliolo, ma il suo gesto si trasforma in una carezza lieve, quasi involontaria, che rimane un po’ più a lungo del necessario fra le mie gambe.
In quell’istante, la temperatura della serata cambia.
Il calore non viene più solo dal vino o dalle luci soffuse della sala, ma da quella vicinanza carica di promesse, da quel gioco che si sta facendo sempre meno innocente.
I nostri occhi ora si cercano con un’intensità diversa.
La leggerezza cede il passo al desiderio.
Serena incrocia le gambe lentamente, lasciando intravedere un istante la pelle chiara sotto la gonna leggera. Appoggio il cucchiaino e mi perdo in quel momento, sapendo che il bello… deve ancora iniziare.
Mi alzo lentamente, lasciando che la sedia scivoli indietro sul pavimento con un suono morbido. Serena rimane seduta, lo sguardo fisso su di me. Ha le mani raccolte in grembo, le labbra ancora umide di vino e risate. Non dice nulla, ma i suoi occhi parlano chiaro: sta assaporando il momento, trattenendo il respiro in attesa della mia prossima mossa. Sa che qualcosa sta per cambiare, e non ha nessuna intenzione di fermarlo.
Mi porto alle sue spalle. L’aroma dei suoi capelli mi colpisce subito, un misto inebriante di femminilità e mistero. Mi chino e le sfioro il collo con un bacio leggerissimo, sentendo la pelle fremere sotto le mie labbra. Le mani si muovono lente, come guidate da un istinto antico, accarezzandole le braccia, poi scivolando sulle sue spalle, sfiorandole la schiena attraverso il tessuto sottile della camicetta. Ogni contatto è una scintilla, ogni gesto una promessa.
Poi inizio a baciarla davvero, con lentezza e decisione. Il suo respiro si fa più profondo, più irregolare.
All’improvviso si alza di scatto, come se non potesse più contenersi. Mi abbraccia con forza, il suo corpo che si incolla al mio in un gesto istintivo, totalizzante. Poi si gira leggermente, inclinando il viso verso di me, e mi sussurra con una voce che vibra di emozione:
-L’altra volta, quando mi hai stretta da dietro… è stato bellissimo-
E senza aggiungere altro, si abbandona contro di me, la sua schiena aderente al mio busto, cercando quel contatto che entrambi desideriamo da giorni. La sua fiducia, il modo in cui si offre senza parole, mi attraversa come una scossa.
Il tessuto della sua camicetta è sottile, ma è la gonna – quella gonna beige leggera che ondeggiava mentre camminava – a rivelarmi qualcosa di più. Quando la mia mano si posa sul suo ventre e l’altra scivola lentamente verso il basso, capisco che non è stata una scelta casuale.
Lei si muove leggermente, seguendo il percorso delle mie dita, e con un sospiro caldo mi confessa, con un tono quasi divertito ma carico di tensione:
-L’ho messa apposta, sai? Questa gonna… Perché l’altra volta, quando mi hai stretta contro di te, mi è piaciuto da morire.-
Quelle parole mi colpiscono con forza. Mi confermano che ogni gesto, ogni sguardo, ogni sfioramento di quella sera non era stato frutto del caso, ma desiderato, evocato, atteso.
Il tessuto si solleva facilmente sotto la mia mano, rivelando la seta sottile delle sue mutandine e la sua pelle già calda, tesa, viva. Lei si tende verso di me, si lascia attraversare da quel contatto, come se fosse stato il vero motivo della sua venuta.
Il suo respiro accelera. Le sue mani cercano le mie, guidandole con dolcezza, ma senza esitazione. E in quell’intimità silenziosa, so che lei vuole rivivere quel momento.
Serena si abbandona completamente tra le mie braccia, con la schiena aderente al mio petto, il capo reclinato appena di lato, gli occhi chiusi. Sento il suo respiro farsi più caldo, più profondo, e il suo corpo cede alla mia presa, fiduciosa. Le mie dita la sfiorano con una lentezza studiata, con attenzione, cercando i suoi punti più sensibili, là dove il piacere si fa vivo e trema sotto la pelle.
È già bagnata, calda, pronta. La mia mano si muove con sicurezza ma anche con estrema delicatezza, come se stessi toccando qualcosa di sacro. Le sue mutandine, leggere come la gonna che ha scelto per me, non riescono a nascondere quanto desideri tutto questo. Sento il suo ventre tendersi sotto la mia mano, e il suo corpo fremere a ogni movimento, a ogni carezza più profonda.
Geme piano, senza vergogna. Il suono è basso, rotondo, sincero. Una confessione sussurrata con il corpo. Si stringe a me con forza, le sue mani scivolano lungo le mie braccia, come a voler farmi capire che sta sentendo ogni cosa, che ogni mio gesto sta toccando corde invisibili.
Le dita insistono con attenzione dove il suo piacere è più vivo, le accarezzo il clitoride con tocchi delicati ma decisi, alternando ritmo e pressione, lasciandole il tempo di sentire, di aspettare, di desiderare ancora. La sua voce diventa un sussurro spezzato, il respiro si fa disordinato, il suo corpo si inarca contro di me. Le sue mani ora cercano un appiglio, qualcosa che la tenga salda mentre tutto dentro di lei si scioglie.
Il suo piacere cresce, lo sento. Si muove con me, si lascia guidare, mentre io la tengo stretta, proteggendola e conducendola fino in fondo.
Il suo corpo è morbido e teso allo stesso tempo, appoggiato contro il mio con abbandono e desiderio. La mia mano si muove con dolce precisione, guidata dai suoi gemiti che diventano sempre più profondi, quasi un canto soffocato, vibrante. Serena inclina il capo all’indietro, poggiandolo sulla mia spalla, i capelli che sfiorano la mia guancia, mentre il suo respiro si fa corto, spezzato, urgente.
Sento le sue dita afferrarmi l’avambraccio, cercando un appiglio tra l’inevitabile e il desiderato. Il suo ventre si contrae in piccoli scatti, il bacino preme contro il mio, cercando più contatto, più intensità. E poi, d’un tratto, tutto esplode.
Il suo corpo si tende in un arco perfetto, un gemito lungo, profondo e gutturale le scappa dalle labbra, mentre il suo interno vibra, trema, pulsa di piacere. Le sue gambe cedono per un istante, ma la mia stretta la sostiene, la contiene, la protegge.
Le sue mani cercano il mio fianco, le dita si aggrappano alla mia camicia, i respiri diventano spasmi caldi e disordinati. La sento fremere contro di me, scossa da quell’onda che sale e poi la travolge come una marea silenziosa ma inarrestabile.
E io resto lì, immobile e presente, un rifugio solido mentre lei attraversa ogni secondo di quel piacere, lasciandosi andare, completamente.
Il corpo di Serena è ancora scosso da piccoli fremiti, segno che l’onda del piacere appena vissuto sta lentamente ritirandosi, lasciandola languida tra le mie braccia. Le accarezzo piano il ventre, assecondando il ritmo del suo respiro che pian piano si fa più regolare, mentre i suoi occhi restano chiusi, il viso ancora acceso di piacere e stupore.
Quando sento che si è placata, la sollevo con delicatezza, tenendola tra le mie braccia come qualcosa di prezioso. Lei non dice nulla, ma il suo abbandonarsi a me parla più di mille parole. La conduco verso la camera da letto, illuminata da una luce morbida e calda, e la adagio con dolcezza sul letto. Serena apre gli occhi e mi guarda: c’è un misto di tenerezza, attesa e una scintilla viva di desiderio.
Mi stendo accanto a lei, le accarezzo il viso con il dorso della mano, e le labbra tornano a cercarsi, lente, affamate, morbide. I baci si moltiplicano, si spostano, scivolano lungo la sua pelle con pazienza e intenzione, seguendo il respiro che di nuovo accelera. La mia bocca raggiunge le sue spalle, poi il ventre, poi ancora più in basso, mentre le mie mani scivolano lungo i suoi fianchi per sfilarle le mutandine leggere, intrise del suo piacere.
Serena trattiene il fiato quando le tolgo l’ultimo velo di stoffa, come se si sentisse improvvisamente più nuda, più vulnerabile. Ma non c’è imbarazzo, solo fiducia. E poi sorpresa, quando si accorge di ciò che sto per fare.
Mi sistemo tra le sue gambe e inizio a baciarla lì, è la prima volta che qualcuno la baci li, per Serena è una cosa nuova con il suo ex non l’aveva mai fatto.
All’inizio resta immobile, quasi incredula, poi il suo corpo si rilassa e si tende al tempo stesso. Le mani affondano nelle lenzuola, il collo si piega indietro, e un suono rotondo e spezzato le esce dalle labbra.
Con la lingua le do piacere con lentezza e dedizione, ascoltando ogni suo movimento, ogni sospiro, ogni gemito trattenuto. È una danza silenziosa, intima, fatta di esplorazione e accoglienza. Serena mi accoglie con tutta se stessa, aprendosi non solo nel corpo, ma anche nell’anima. Si lascia andare, meravigliata e travolta.
Mentre assaporo il suo piacere, sento la mia eccitazione crescere, farsi viva, quasi impaziente. Il mio membro è gonfio, duro, pienamente eretto, premuto contro il materasso. Lo sento pulsare, imprigionato nei pantaloni ancora addosso, un richiamo primitivo e inevitabile che vibra dentro di me con insistenza.
Ogni movimento della mia lingua, ogni risposta del suo corpo, alimenta quel fuoco che brucia tra le mie gambe. La desidero. La desidero profondamente. Ma in quel momento non c'è fretta, non c’è altro che lei. Il suo profumo, il suo calore, il suo corpo che si apre sotto la mia bocca e che si prepara, tremando, ad accogliere di nuovo l’ondata del piacere.
E io resto lì, in ascolto del suo piacere, dedito solo a lei fino a quando il suo respiro si spezza, come se qualcosa dentro di lei si fosse appena dischiuso. Il suo ventre si tende, le gambe si irrigidiscono un istante per poi tremare in un’ondata che parte dal profondo e risale fino al petto. Un lungo, profondo gemito le esce dalle labbra, roco, pieno, liberatorio.
Il suo corpo si inarca, cercando più contatto, più piacere, poi si abbandona, scosso da brividi che la attraversano come onde successive, sempre più dolci, sempre più dense. Le sue dita stringono le lenzuola, le cosce si chiudono intorno al mio capo in un gesto istintivo, mentre un fremito continuo la percorre.
Ogni fibra del suo essere vibra di piacere, un piacere totale, che la prende e la travolge senza lasciarle respiro, senza darle tregua. È un orgasmo che non è solo fisico: è qualcosa che la apre, la libera, la svela.
E quando finalmente si placa, resta lì, distesa, il corpo ancora teso come la corda di un violino appena sfiorata. Il petto si solleva in respiri profondi, il viso è arrossato, gli occhi chiusi, le labbra socchiuse in un sorriso stanco e incredulo. Piano piano la spoglio della gonna e della camicetta lasciandola completamente nuda.
Mi alzo lentamente sul letto, sento il materasso che affonda leggermente sotto il mio peso. I suoi occhi mi seguono, curiosi e accesi, mentre con gesti rapidi e decisi mi libero dei pantaloni. I boxer sono ancora lì, ma la mia erezione è evidente, preme ostinatamente contro il tessuto ormai inutile.
Serena, sdraiata davanti a me, mi osserva in silenzio. Le labbra socchiuse, lo sguardo colmo di desiderio e di quella meraviglia che non è più solo sorpresa, ma un riconoscimento sincero di ciò che sente di volere ancora. Aveva già intravisto il mio desiderio, sì… ma ora che lo rivede, nitido, potente, lo stupore sul suo viso è come la prima volta.
Si solleva appena, senza distogliere gli occhi dai miei, e con movimenti delicati mi sfila lentamente i boxer. Il mio membro si libera, scivola contro la sua guancia nel rialzarsi con naturalezza, come guidato da un istinto proprio. Serena resta ferma un istante, il viso sfiorato dalla mia virilità, il respiro caldo sulla mia pelle.
Non dice nulla, ma i suoi occhi parlano per lei. Non c’è imbarazzo. Solo desiderio. Rispetto. Intesa.
Mi stendo accanto a lei, il respiro ancora affannato per il desiderio trattenuto. La guardo un istante, così bella, così rilassata dopo l’ondata di piacere appena vissuta. Ho imparato in fretta a conoscere i suoi gesti, i segnali sottili del suo corpo. So che le piace essere avvolta, sentirsi contenuta, protetta.
Così, con dolcezza, la giro sul fianco e mi sistemo dietro di lei. Le mie braccia la cercano come per istinto, una la avvolge in un abbraccio naturale, l’altra la tira delicatamente a me. Il mio sesso, duro, teso, preme contro la sua schiena nuda, caldo del nostro desiderio. Lei si lascia andare, il suo corpo si abbandona al mio, come se fosse il posto più sicuro dove stare.
Con un gesto lento e controllato, guido il mio membro tra le sue cosce, trovando la via tra le sue labbra umide, ancora tese per l’emozione precedente. Inizio a entrare in lei piano, molto piano, cercando il ritmo giusto, la profondità giusta, accompagnato solo dal suo respiro che cambia, si fa corto, trattenuto.
È una sensazione nuova per lei, lo sento nei piccoli movimenti del suo corpo. Non era mai stata penetrata così, in quella posizione intima, stretta tra le mie braccia, mentre tutto il mio corpo la accoglieva con calma, come se volessi raccontarle qualcosa solo attraverso l’unione.
Davanti a noi, l’anta lucida dell’armadio riflette la scena. Nello specchio vedo i nostri corpi, incastrati in un amplesso che ha qualcosa di primitivo e allo stesso tempo dolcissimo. Mi colpisce quanto questa immagine richiami quella del nostro primo incontro nella casa di Serena, quando la sua figura minuta si rifletteva nell’ingresso mentre il mio corpo la stringeva da dietro. Anche ora, come allora, lo specchio ci cattura in un momento di totale abbandono, ma con qualcosa in più: la consapevolezza di un desiderio che cresce e si fa più profondo.
Il suo viso è contratto all’inizio, per lo sforzo di accogliermi, ma poi, lentamente, si scioglie in una meraviglia di sensazioni. E io, osservando il suo piacere riflesso, mi sento travolto da un’emozione che va ben oltre il desiderio fisico un’intimità nuova, irripetibile, che ci avvolge e ci lega.
Mentre il mio bacino inizia a muoversi con un ritmo più fluido, la mia mano scivola lungo il suo ventre e poi giù, dove il piacere si concentra. Le sfioro il clitoride con delicatezza, come se volessi accenderla poco a poco. E lei, in risposta, geme piano, quasi sussurrando il suo abbandono, la sua gratitudine. Il nostro amplesso diventa danza, respiro condiviso, estasi crescente.
Il ritmo si fa più lento ma profondo, carico di significato. Serena è distesa su un fianco, le sue spalle appoggiate al mio petto, la schiena leggermente inarcata, seguendo il mio movimento con un abbandono che racconta fiducia, desiderio, appartenenza. Le mie mani la stringono con dolce fermezza: una sul ventre, l’altra ancora posata dove può regalarle brividi e piacere. I suoi gemiti si fondono con il mio respiro che le accarezza il collo.
Davanti a noi, l’anta lucida dell’armadio riflette ogni dettaglio: le nostre silhouette avvinghiate, la mia figura che la contiene, il suo viso prima contratto nello sforzo di accogliermi, poi, piano, disteso in un’estasi crescente. La scena che si riflette nello specchio sembra echeggiare quella del nostro primo incontro, davanti allo specchio dell’ingresso di casa sua: lo stesso riflesso, la stessa luce di desiderio che ci unisce.
Sento che il culmine è vicino. La mia eccitazione pulsa forte, irrefrenabile. Mi stacco appena da lei, il mio membro teso e lucido scivola fuori dal suo calore, e Serena si adagia sul fianco con grazia, la pelle arrossata dal piacere. I suoi occhi mi cercano, aperti, profondi. Si offre al mio sguardo e al mio piacere con un sorriso intimo, senza parole.
Con una mano guido il mio sesso, e il primo getto caldo le colpisce il ventre, seguito da un secondo più potente, che le accarezza il seno e si apre su di lei come un fiore. Altri rivoli scivolano sulla sua pelle, coprendole la pancia e le costole in un disegno liquido e sincero, che parla di me, del mio desiderio per lei, del piacere che abbiamo condiviso. Serena chiude gli occhi, poi li riapre, e nel suo sguardo vedo soddisfazione, dolcezza, quasi meraviglia.
Serena rimane distesa sul fianco, il respiro ancora affannato, il corpo ancora tremante di piacere. Il mio seme, caldo e denso, le vela la pelle della pancia e del seno in rivoli lucidi, come un sigillo intimo della passione appena consumata. Lei abbassa gli occhi e, con un gesto spontaneo e premuroso, porta le mani a raccoglierlo con delicatezza, cercando di non farlo colare sulle lenzuola.
Il suo gesto mi sorprende. Non è solo la cura, non è solo il pudore: è quella dolce attenzione, quell’eleganza istintiva nel prendersi cura del nostro momento, a colpirmi nel profondo. Rimango per un attimo immobile a guardarla, come se quel semplice gesto dicesse molto più di mille parole.
La giro sulla schiena e, senza pensare, piego il busto verso di lei e la bacio. Un bacio morbido, lento, pieno di gratitudine e desiderio che ancora vibra, ma già si trasforma in un sentimento più ampio, più profondo. Lei mi sorride fra le labbra, mentre le sue mani sono ancora occupate a contenere il nostro segreto. Il suo viso è vicino al mio, rilassato, sereno, come se ogni cosa fosse al suo posto.
In quel momento, così semplice e così intimo, capisco quanto sia speciale averla lì con me, tra le mie braccia, in quella notte che già profuma di qualcosa che va oltre il desiderio.
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