La confessione

di
genere
corna

Era sera. La luce nella stanza era soffusa, il rumore del mare un fruscio sommesso in lontananza. Mi voltai verso di te, con lo sguardo che cercava appigli, il cuore che batteva forte.
«Posso dirti una cosa?» ti sussurrai. «Fammi cominciare da lontano…»
Ero a San Teodoro. Avevo passato la giornata da sola, mentre tu eri al convegno. Il sole era forte, la spiaggia quasi vuota. Mi ero tolta il reggiseno. Volevo sentire la pelle libera, esposta. Due ragazzi mi avevano notata. Erano giovani, curiosi, forse un po’ intimiditi. Ma io mi sentivo viva. Sicura. Sensuale.
Li sentivo su di me, quegli sguardi. E io lasciavo che lo facessero. Mi sono sollevata appena, mettendo in mostra i seni, sistemando il costume… infilando il tessuto tra le natiche. Mi piaceva provocare.
Uno di loro si è avvicinato. Qualche parola, qualche sorriso. Occhiate maliziose. Poi, d’improvviso, un invito sfrontato, buttato lì. Un camper parcheggiato sotto le tamerici, un po’ scalcinato. E io… li ho seguiti. Senza pensare. Solo sentendo.
Dentro c’era caldo, odore di corpi, lenzuola disordinate, biancheria sparsa. Mi hanno stretta, spogliata, spinto dolcemente contro il letto sfatto. Le mani erano ovunque. Le bocche sui miei capezzoli, sulla pancia, tra le cosce. La mia figa colava sotto le loro lingue.
Li volevo. Tutti e due. Non m’importava più di nulla. Ero una femmina calda, matura, vogliosa di cazzo giovane. Mi hanno chiesto chi dovesse essere il primo. Ho sorriso. «C’è posto per entrambi. A voi la scelta della via.»
Mi hanno presa insieme. Uno davanti, uno dietro. Il mio corpo si apriva, gemeva, si adattava con fame. Le mammelle sbattevano pesanti, la pelle bruciava. E io parlavo. Li incoraggiavo. Mi lasciavo andare completamente.
Urlavo. E a un certo punto ho detto:
«Che bestie feroci siete… venitemi dentro… voglio tutto!»
Dopo, nudi, stanchi, le loro mani mi accarezzavano piano. Sentivo ancora i miei orifizi pulsare. Uno dei due mi ha chiesto delle foto. Ho indossato foulard e occhiali da sole per nascondermi, rendermi irriconoscibile. Mi sono fatta ritrarre così: nuda, aperta, ancora calda di loro. Le tette in primo piano, la fessura gonfia, un filo lucido tra le chiappe. Un’esibizione che non avrebbero dimenticato.
Peccato partissero quella sera. Altrimenti… chissà.
Poi è arrivato il silenzio. Non un rimorso vero, no. Una fitta. La consapevolezza che avevo fatto qualcosa da sola. Senza te.
Eppure… più forte era il ricordo, più urgente diventava il bisogno di raccontartelo.
Eravamo a letto. La luce fioca, le lenzuola spostate, le nostre gambe intrecciate.
Parlavo piano, come se ogni parola fosse un tocco.
«Non so se posso raccontarti proprio tutto…»
«Puoi. Devi.»
E allora l’ho fatto. Con calma. Ma senza censure.
Ti raccontavo di quando mi sono inginocchiata per loro. Dei loro cazzi in bocca, ruvidi, con quell’odore e sapore pungente di maschio. Del pavimento ruvido sotto le ginocchia, delle mani che mi guidavano, dei brividi di piacere e di umiliazione.
E della frase sussurrata da uno di loro:
«Stai ferma. Ora ti prendiamo insieme.»
La mia voce non tremava. Era viva. Calda.
Parlavo di sottomissione come di un segreto dolce. E intanto ti accarezzavo l’interno coscia. Le dita risalivano lente, come a dirti: senti cosa mi è rimasto addosso.
«Mi sono fatta usare… e mentre mi prendevano, io ti immaginavo lì. A guardarmi. A decidere tu quando potevo godere.»
Il tuo respiro era profondo, la tua mano stretta sulla mia nuca. Ma non mi hai fermata.
«Mi hanno chiesto di dirlo, sai?»
«Cosa?»
«Che ero la loro troia. E io… l’ho detto. Forte. Perché mi faceva godere. E perché sapevo che tu… mi avresti capita.»
Le mie labbra erano ormai a un soffio dalle tue.
«Adesso… voglio che tu mi usi come loro. Anzi, peggio. Perché tu sei l’unico a potermi portare oltre.»
«Ti ho pensato mentre mi scopavano. E l’ho fatto anche per te. Perché noi ci diciamo tutto.»
Mi hai guardata in silenzio. Poi hai detto, con voce ferma:
«Ok, troietta. Sai cosa ti aspetta.»
Hai aperto il cassetto. Hai tirato fuori il frustino e il dildo grande.
Ho sorriso. Mi sono inginocchiata. Gli occhi coperti. Le gambe aperte. La pelle pronta.
I colpi sono arrivati secchi. Sulle natiche, sui seni, sull’inguine.
Per l’amplesso. Per l’orgoglio. Per l’eccitazione che ti avevo dato solo raccontandoti tutto.
Poi, il dildo. Spinto a fondo nella mia figa, ancora calda di ricordi.
Godevo, mi contorcevo. E quando mi hai presa da dietro, con forza, mentre il dildo restava piantato dentro, il mio corpo è esploso.
Le mammelle sbattevano, la voce si faceva urlo.
— sì, inculami… puniscimi… lo merito…
L’estasi è venuta violenta. E quando ci siamo svuotati, tremavo ancora.
Poi, il silenzio.
Hai sfilato il dildo. Lo abbiamo leccato insieme, lentamente, assaporando il gusto della mia eccitazione.
Nudi. Abbracciati. La pelle viva.
Mi hai sussurrato all’orecchio:
«Sei sempre e comunque la mia sporca troietta.»
E io ho sorriso.
«Allora domani voglio due. Come a San Teodoro. Ma stavolta… tu scegli chi mi scopa.»


scritto il
2025-07-20
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