Schiavo per amore. Ventiduesimo episodio

di
genere
dominazione

Osservai Diana. Dio, quant’era sensuale! Era statuaria. Con quel corpo e con quel viso avrebbe potuto cercare il successo nella moda o nello spettacolo e, con la sua caparbietà, forse ci sarebbe riuscita. E, invece, aveva cercato altre vie e, col senno del poi, aveva scelto quella giusta. Troppo fumina, troppo diretta per avere successo in mondi dove spesso bisogna nascondere la propria indole e mostrarsi diversi da quello che si è realmente. Certo, nemmeno nei suoi sogni più rosei avrebbe potuto immaginare di sposare uno degli uomini più ricchi della città, impossessarsi di tutto e infine, dulcis in fundo, sottomettere lui e il sottoscritto per soddisfare le sue voglie di predominio fisico e psicologico. Ma, intanto, solo osservandola e solo al pensiero di poter far sesso di nuovo con lei, il mio membro cominciava a mettersi sull’attenti. Lei se ne accorse, sorrise e contemporaneamente mi fece cenno di alzarmi dal letto. Mi afferrò il viso, quel viso martoriato dai numerosi schiaffi ricevuti, e lo avvicinò al suo. Cominciavo a non connettere. La mia erezione si faceva palpitante mentre lei si attaccava a me. Il mio cazzo si strofinava sui suoi pantaloni lucidi aderentissimi e la sua bocca cominciò a sfiorare la mia facendo diventare al massimo la mia erezione.
“Se te ne vieni, giuro che ti meno di brutto. Non hai il diritto di farlo. Sei ancora di mia proprietà e devi obbedirmi. Allora, Paolo, ce l’hai bello dritto. Mi desideri?”
“Ta…Tanto, padrona” balbettai, sempre meno cosciente.
“Lo so. Mi basta guardarti per fartelo drizzare. Non è potere questo?”
“Si, padrona.” risposi in un sussurro. Le sue labbra si attaccarono alle mie. Ero in estasi. Tutto ciò che mi aveva fatto, sembrava non esistere più. Cominciò a baciare ogni centimetro delle mie labbra.
“Allora, Paolo, vuoi andartene? Vai, ti lascio libero fin da adesso. Senza attendere domattina.” mi disse proseguendo però a baciarmi. Dovevo staccarmi da lei e fuggire il più lontano possibile, ma ero come se fossi immobilizzato. La sua mano destra intanto scese sul mio pene.
“La prego, non mi faccia così. Io devo andarmene. Devo. Non posso fare questo tipo di vita.”
“Sei libero, Paolo. Non ti sto trattenendo con la forza,” invece io continuavo a non muovermi, a desiderare sempre di più quella sua bocca rossa, quella lingua che esplorava voluttuosamente la mia bocca che l’accoglieva come può fare un assetato con l’acqua fresca. Mi accarezzava il viso e il pene contemporaneamente e la mia mente si offuscava sempre di più. Ero in suo potere, ancora una volta, forse di più rispetto a quando usava la sua forza. Il cazzo sembrava quasi sul punto di esplodere e mi trattenni per paura, ma il desiderio era ormai al parossismo. Lei sembrò accorgersene e me lo strinse per evitare che eiaculassi “No, Paolo, ricordati quello che ti ho detto prima. Non te ne puoi venire. Ma puoi toccarmi. Toccami Paolo. Sono bella, vera? Non potrai mai avere un’altra donna come me. Toccami il seno, il sedere. E’ l’ultima volta che potrai farlo.”
Lo feci. Quei seni così rigogliosi, così duri, quel sedere perfetto, strizzato in quei pantaloni che lo rendevano ancor più bello delineandone la forma.
“E’ bellissima, padrona.” sospirai. I suoi baci si facevano sempre più intensi. Cercai di ragionare, per quanto mi fosse possibile. Quello che avevo subito, il fatto di essere stato picchiato in continuazione, di aver bevuta la sua urina, di essere stato usato come posacenere e, addirittura, di essere stato inculato, valeva quello che stavo vivendo? E se me ne fossi andato, avrei mai potuto rivivere quei momenti di sensualità allo stato puro? Non capivo più niente. Il mio cuore batteva alla velocità della luce mentre Diana smise di baciarmi e mi prese il viso tra le sue mani, stavolta con dolcezza.
“Tu non puoi andare da nessuna parte. Tu mi appartieni. Sei mio. Lo sai, vero?”
Scossi la testa. “No, no.” feci. Era l’ultimo tentativo di finirla ma lei mi sorrise avvicinando di nuovo il suo viso al mio. I suoi occhi azzurri sembravano ipnotizzarmi. Mi sentivo svuotato, incapace di muovere un solo muscolo mentre l’erezione ormai era giunta al top. Stavo per venirmene e, se l’avessi fatto, per me sarebbero stati guai grossi.
“E invece sì. Non puoi farci niente. Mi desideri troppo, mi ami troppo. Abbandonati, Paolo. Sarai uno schiavo felice se riuscirai a comprendere che quella è la tua reale dimensione. Tu sei nato per essere il mio schiavo. Ma uno schiavo che può avere l’onore di fare sesso con la propria padrona. Ecco perché tu sei destinato a rimanere con me. Perché tu faresti qualsiasi cosa pur di avermi.”
Sapevo che era vero. Era maledettamente vero. Era sempre stato così, anche se non avrei mai immaginato che potesse esserlo anche a quelle condizioni. Cercavo di essere razionale ma lei riprese a baciarmi e la mia razionalità scomparve definitivamente. Si, quei momenti valevano tutte le torture che mi avrebbe potuto fare. Non potevo resisterle. Mi era entrata nella mente, oltre che nel cuore e lei lo sapeva, l’aveva sempre saputo e doveva soltanto prenderne coscienza.
Si staccò da me e mi sorrise. “In ginocchio, Paolo. Giurami fedeltà, obbedienza, devozione, e amore assoluto. E stasera te la ricorderai per sempre perché sarà la prima volta che farai l’amore con me da schiavo convinto. Obbedisci!”
Completamente privato della mia volontà, mi inginocchiai ai suoi piedi. “ Io... Io sono il suo schiavo, signora. Felice di esserlo. Le prometto che l’adorerò e le obbedirò come merita.” dissi infine.
“Fino a che io vorrò.”
“Fino a che lei vorrà." aggiunsi. Le baciai i piedi, o meglio quegli stivali altissimi che ancora calzava. Con un gesto della mano, mi fece rialzare e mi baciò per l’ennesima volta.
“Ora puoi venire.” mi disse e prese il membro accarezzandolo semplicemente. Il cazzo sussultò esplodendo sperma, mentre io respiravo a fatica con gli occhi chiusi, vivendo quei secondi di pura libido nel modo più intenso possibile. Il pene smise di sussultare e io raprii gli occhi per bearmi della splendida visione della mia padrona dinanzi a me. Si, la mia padrona. Era inutile girarci intorno. Ero suo e sapevo che poteva fare di me qualunque cosa avesse voluto. Avevo lottato con me stesso ma poi, alla resa dei conti, le mie difese, le mie voglie di un ritorno alla vita normale, si erano sgretolate non appena lei aveva deciso che il mio posto non era altrove ma sotto di lei. Padrona Diana mi mise in bocca le sue dita sporche del mio sperma e le succhiai con passione e quasi... con desiderio. Chinò la sua testa per darmi un semplice ma per me meraviglioso bacio sulle labbra.
“Grazie, padrona.” le dissi.
“E’ piaciuto anche a me. Non faccio niente che possa non piacermi. Adesso riprenditi perché fra un po’ voglio scoparti e godere anch’io.”
“Spero di non essere stanco, padrona. E’ stato fantastico ma so che fare l’amore con lei è ancora più bello e non voglio rinunciarci se ho questa possibilità.“
Lei si rimise seduta sul letto osservandomi compiaciuta. “Non ci rinuncerai. Non ti preoccupare della stanchezza. Se voglio, te ne faccio venire dieci volte consecutivamente. Mi basta schioccare le dita e ordinarti di fartelo venire duro e tu mi obbedirai. Tu non puoi resistermi. Ricordatelo sempre.”
“Lo so, padrona.” ammisi
“Bene. Vai a chiamare il cornuto e digli di prendermi le sigarette e di raggiungermi. Il portacenere non è necessario perché lo farà lui. Vai anche a pulirti, già che ci sei, e poi torna qui.”
“Faccio subito, padrona” le risposi. Indietreggiai fino a giungere a ridosso della porta e solo allora mi voltai per uscire. Scesi le scale e andai prima nel salone dove Alberto era ancora in ginocchio in attesa di ordini. Osservò il mio pene ancora sporco di sperma ma, naturalmente, non proferì parola. Gli dissi di recarsi immediatamente nella stanza della padrona con le sue sigarette e quindi mi recai in bagno a lavarmi per l’ennesima volta. Ora che non ero di fronte a padrona Diana, la mia mente cominciava a schiarirsi mentre in sua presenza, soprattutto nei momenti in cui abbandonava il suo sadismo facendo leva sulla sua sensualità, ero come ipnotizzato. Non ero quindi riuscito ad andarmene. Le erano bastati cinque minuti di baci per ridurmi di nuovo in schiavitù. Ora cosa mi sarebbe accaduto? Era solo l’inizio di torture ancora peggiori? E avrei ancora avuto la possibilità di scelta? Se fra dieci giorni, un mese o due, fossi riuscito a prendere la decisione di andarmene, l’avrei potuto fare o sarei stato costretto ad essere il suo schiavo a vita? Era un bel dilemma. Sarebbe stato meglio vivere alla giornata e quella sera interminabile, cominciata con incredibili torture, stava per finire magnificamente. Mi affrettai, uscii dal bagno e rifeci le scale per andare nel piano di sopra. La porta della camera della mia padrona era spalancata e lei si era completamente spogliata. Rimasi sulla porta ad ammirarla a bocca aperta, con il respiro affannoso. Quanto mi piaceva quel corpo! No, non mi piaceva solo il suo corpo. Era riduttivo ricondurre la mia passione per lei solo al suo corpo, pure se in effetti si trattava di un corpo perfetto. Io avevo sempre amato tutto di lei. La sua sfrontata sensualità, ovviamente, che alcuni minuti prima mi aveva fatto letteralmente impazzire e che mi aveva praticamente obbligato a rimanere suo schiavo, ma avevo sempre ammirato anche la sua sicurezza, il suo modo di fare. E solo allora comprendevo perché avevo amato anche la sua spavalderia, il suo modo di darmi ordini mascherati da favori.
Continuavo ad osservala bramoso. Era semisdraiata sul letto, con la schiena poggiata sulla spalliera, le gambe unite leggermente piegate sulla sua destra, i suoi seni che sfidavano la forza di gravità rimanendo incredibilmente dritti, la sua bocca leggermente aperta e la sua sigaretta tra le dita della sua mano destra. Al suo fianco, sulla sua destra, Alberto in ginocchio con la bocca aperta e la lingua pronta a ricevere la cenere dalla nostra padrona.
Mi sorrise. “Avvicinati, Paolo, e mettiti al mio fianco.” mi disse.
Lo feci e mi misi in una posizione simile alla sua. Avevo un leggero tremore dovuto all’emozione di stare vicino a lei in procinto di fare l’amore, sensazione che avevo avuto anche le volte precedenti. In più, il mio solito respiro affannoso di queste circostanze. In silenzio attendevo che lei terminasse di fumare e vedevo le nuvole di fumo uscire dalla sua bocca dipinta di rosso. Era sensuale anche nel modo di fumare. Quando ebbe terminato, spense la sigaretta nella mano di Alberto che lanciò un urlo strozzato ma anche stavolta non gli fece ingoiare il mozzicone. Si voltò poi verso di me che stavo ancora in ginocchio sul letto, facendomi segno di mettermi di fronte a lei. Ero di nuovo eccitato al massimo. Probabilmente, aveva ragione quando aveva affermato che, se avesse voluto, avrebbe potuto farmene venire dieci volte consecutivamente. Riprendemmo da dove avevamo interrotto, con numerosi, lunghissimi e appassionati baci, dopodiché spinse la mia testa sui suoi seni, altro momento meraviglioso. Baciavo e succhiavo i suoi capezzoli turgidi e con la lingua disegnavo i contorni delle sue areole. Vedevo che ogni tanto si voltava ad osservare il marito che era costretto a guardare il tradimento della sua bella moglie senza poter dire nulla. Sorrideva beata. Ci godeva come una matta e quello doveva essere forse il momento top della dominazione su suo marito, il massimo dell’umiliazione che gli poteva infliggere. Io invece, ero come in una bolla. La prima volta ero stato a disagio nel fare sesso in quel modo, anche se poi mi ero lasciato trascinare dall’enorme desiderio che provavo nei confronti di Diana, ma ormai non m’interessava più che ci fossero due occhi che ci osservavano. Avrebbero potuto anche essere dieci o cento o mille e per me sarebbe stata la stessa cosa. Contava soltanto che di fronte a me ci fosse lei. Lei che prese ad accarezzarmi il pene, pienamente soddisfatta della reazione erotica che avevo avuto. E malgrado la mia recente eiaculazione. Non capivo più nulla di nuovo. Pensavo soltanto che ero eccitato alla massima potenza. Mi prese le braccia spingendomi con la schiena sul letto e mettendosi sopra di me. Continuavo a baciarla come se non ci fosse un domani. L’amavo, la desideravo, la volevo. A qualunque costo. E, per soddisfare la mia brama, l’avevo barattata con la mia libertà. Ma ne valeva la pena e ne fui definitivamente convinto quando lei si pose sopra la mia asta e si morse sensualmente le labbra.
“Ooohh. Bravo, Paolino. Ce l’hai proprio bello duro come piace a me. Hai fatto la scelta giusta e questa è la mia ricompensa. La ricompensa della tua padrona. Sei felice?”
“Si, padrona. Lo sono.” risposi sinceramente chiudendo poi gli occhi. Stavo facendo l’amore con Diana e quella era felicità allo stato puro.

Continua...
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davidmuscolo@tiscali.it
scritto il
2025-07-15
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